31 ottobre, 2005

OTTOBRE 2005: Il sogno Mondiale

29 ottobre, 2005

MILAN 3 - JUVENTUS 1

(14 PT) Seedorf, (26 PT) Kakà, (45 PT) Pirlo, (31 ST) Trezeguet.

Li abbiamo ridicolizzati con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Kaladze dal 39 ST), Kakà, Inzaghi (Vieri dal 24 ST), Gilardino (Cafu dal 34 ST).

Il tema tattico: la Juve è lenta, il Milan è hard rock! La notte delle streghe di Halloween si consuma a San Siro con una luna di anticipo. Lezione di calcio: ancora una volta, Capello esce a testa bassa dal confronto con Ancelotti (parziale di 7 vittorie a 3), la sua squadra ridimensionata. Diabolico pensare di demolire la spocchiosa capolista con le sue stesse armi: aggressività all'eccesso e intensità mentale assoluta. Un solo calo di tensione, a un quarto d'ora dalla fine, regala un golletto alla "bandiera senza colori" e cancella l'imbarazzante 0 dietro al 3 dei gol subiti: episodio che premia la Vecchia Signora (...Patrizia?) ben oltre i suoi meriti, se è vero che l'armata invincibile (9 successi in sequenza dal via del campionato, contro le scartine della Serie A: quanto basta affinché il foglio rosa strillasse al miracolo...) non entra mai in lizza. Dieci minuti di studio per non commettere il primo errore, poi partono i fuochi d'artificio. Lo stratega Don Fabio l'aveva pensata grossa: Zambrotta traslocato a destra per arginare il fiume in piena di Sergio e Clarence; a sinistra basterà il grigio Pessotto, in assenza di Cafu... E allora Carlone manda Riccardino a fantasticare su quell'ala: proprio dalle corsie esterne parte l'urto devastante che spazzerà via la Juve. Temevamo il loro strapotere al centro, ma è in mezzo al campo di battaglia che abbiamo sovrastato i fenomeni Emerson e Vieira con un Sindaco di dimensioni esorbitanti: anima e ringhio della squadra, trasforma la notte umida di fine ottobre in una bolgia di fuoco e fiamme... Inferno Rossonero! Davanti è prezioso e oscuro il logorio incessante perpetrato dai nostri Super alter-ego, Pippo & Gila, che manda in corto circuito il sistema nervoso della Goeba. Dietro è esemplare la prova della linea difensiva: il capitano sterilizza lo slavo-svedese con la complicità di Sandronesta, sulle laterali Sergio si conferma diligente nel ruolo di terzino puro, mentre Stam spazza senza pietà ogni briciola lasciata a terra dagli avversari (inclusa una parrucca gialla nel secondo tempo). E Pirlo torna ad essere se stesso, per la prima volta nella stagione: fuoriclasse assoluto, illumina, dirige e finalizza come un chirurgo. Per una notte, ci siamo travestiti da qualcosa che non siamo, senza risparmiare i colpi bassi. Ma la Juve di Capello si batte così. Peccato non avere avuto la forza di farlo anche l'8 maggio scorso.

Gli episodi chiave: ecatombe bianconera, malgrado Bertini. Ci ha provato anche quest'anno, come dodici mesi fa, a dirigere la gara verso il risultato che sapeva lui: il pari, l'unico sostenibile da una Juve in netto calo atletico, ora come allora. E come dodici mesi fa, in campo ha giocato una squadra sola. Al Delle Alpi uscimmo mortificati dagli episodi, con l'illusione di avere portato a casa un punto comunque prezioso. Quest'anno la sorte ci ha restituito il maltolto, e con mano pesante ha punito: ferocemente e splendidamente sotto la curva nord, imbrattata di bianco e nero. A scansione regolare di un quarto d'ora, le stilettate che hanno scritto la parola fine sull'imbattibilità degli undici piemontesi tosti. Tre esecuzioni in 45 minuti: tale è la dimensione dell'ecatombe, per chi nei 9 turni precedenti ne aveva patite soltanto due! E uno: il Gila nasconde la palla a Thuram dentro l'area di rigore e chiude la triangolazione allo Zionero, che quando vede gobbo carica il suo destro più mortifero: piedino del francese e... pluff, parabola letale per Chimenti. E due: Riccardino prende i calcioni sulla fascia, palla in mezzo e mischia risolta con un tocco loffio dal napoletano: a centro area c'è ancora musica e magia, per una demi-volée che manda la biglia sotto il legno lungo. E tre: altri calcioni a Kakà, altra punizione. Va Pirlo con la faccia di chi la vuole mettere di nuovo al centro, Chimenti si sposta sul secondo palo e... zot, parte la rasoiata maligna sul primo. Apoteosi rossonera e si abbassano gli altri vessilli in un muro di silenzio. Intanto in campo, ai capelliani salta la vena e allora ci pensa Bertini: calcolo non meno di quattro gialli sottratti ai campioni d'Italia, dei quali due avrebbero fruttato il rosso nell'arco dei novanta minuti. Eresia che uno squadrista come Emerson finisca la gara con la fedina penale intonsa. Emblematico l'episodio di fine tempo: Chiellini porta via un pallone con il braccio (solare dalla mia posizione) e punta Sandronesta, che lo affronta in tackle: punizione contro e ammonizione! In quel momento il recupero è scaduto, ma vuoi negare alla Juve l'opportunità di rientrare in gara a bocce ferme? Ritenta Bertini! sarai più fortunato... A testa bassa nel tunnel. Il secondo tempo è uno stillicidio di giochi sporchi per manifesta inferiorità tecnica e tattica: ci pestano come fabbri, secondo le migliori tradizioni. In successione: gomitata di Thuram sulla tempia del Gila, Bertini a cinque metri: bene così. Nedved cammina sulla schiena del Sindaco, steso a terra: tutto regolare. Mutu carica Nesta in area e con un calcio in ricaduta tenta di colpire la mano protetta dal tutore: vede rosso persino Dida, e ho detto tutto. Nervi tesi? è il segno della resa.

La tribuna di Steve: hic et nunc, dimenticare Ataturk. C'era una volta la Juve e adesso non c'è più. "Abbiamo preso gol in un momento di gioco in cui il Milan non esisteva proprio. Il secondo, due rimpalli... Perché abbiamo perso? semplice, i loro tiri sono finiti in porta e i nostri no". Ipse dixit. Che il grande allenatore sia un piccolo uomo è un fatto di pubblico dominio. Ma le parole biascicate da Mister "Io? mai alla Juve!" sono la riprova che l'uno-due-tre in un tempo e la sistematica demolizione di tutte le certezze bianconere (il centrocampo mondiale, il fenomeno Ibrahimovic, la difesa impenetrabile) hanno squarciato in profondità una coscienza già scossa dalla batosta di Champions contro il Bayern. Il tempo dirà in che misura i segni della devastazione produrranno danni al loro sistema neurale. Dal canto nostro, possiamo sotterrare per sempre i fantasmi di Istanbul: essere andati al riposo, di una gara che vale da sola come mezza finale per il titolo, con il vantaggio sinistro di tre reti ed essere tornati sul campo con il triplo della determinazione e della concentrazione, senza concedere un tiro fino a un quarto d'ora della fine, è sintomo della piena guarigione. Anche dopo il gol di Trezeguet, abbiamo tenuto gli oppositori al largo da Dida. Vittoria fondamentale, dunque, per l'identità del gruppo, per la consapevolezza dei valori caratteriali oltre che tecnici della squadra. Non ci saranno sempre strisce bianconere davanti agli occhi, ma è importante capire che certi duelli si devono combattere di spada più che di fioretto. Milan-Juventus è la storia del calcio italiano: i nostri grandi valori romantici contro la loro ferrea disciplina militare, i nostri colpi di punta e tacco contro i loro gomiti alti e i calcioni. Parlano i numeri: è la sfida più giocata in Serie A (174 volte), è il confronto fra grandi club più datato (prima edizione nel 1901, a Torino in Piazza della Armi: 3 a 2 per i bisnonni rossoneri), è il derby delle due primatiste nell'albo d'oro del campionato (45 scudetti in un secolo, senza contare coppe e supercoppe). Una contrapposizione senza fine che da sempre è sinonimo di equilibrio (61 vittorie per noi, 68 per loro, 67 i pareggi fra tutte le competizioni). E da sempre, buttare giù la Juve è il primo passo verso la gloria tricolore. Di qui in avanti non resta che continuare a marciare. Intanto scaliamo a meno due, e aspettiamo il Balon d'Or...

26 ottobre, 2005

EMPOLI 1 - MILAN 3

(34 PT) aut. Simic, (45 PT) Gilardino, (5 ST) Gilardino, (10 ST) Vieri.

Abbiamo giocato con Dida, Cafu, Costacurta, Simic, Kaladze, Seedorf (Vogel dal 39 ST), Pirlo, Jankulovski (Gattuso dal 15 ST), Rui Costa, Vieri, Gilardino (Kakà dal 22 ST).

Il tema tattico: il turnover logora chi non lo fa. Tredici punti nelle ultime cinque giornate con 6 gol dello scugnizzo Tavano, il terribile Empoli resta in gara per un tempo: fin tanto che ha gambe per raddoppiare e triplicare tutte le marcature a tutto campo, correndo a due o tre velocità più dei nostri. Carlone calca la mano, schierando la dodicesima formazione in dodici gare: emergenza vera dietro, con il capitano a riposo, più Nesta e Stam ancora in infermeria. Va di conseguenza il terzo gettone in otto giorni per il Professore. Impiegato poco (e mai nel suo ruolo), con Billy fa coppia centrale Simic, come solo a Bruges un paio d'anni fa (prova d'orgoglio in inferiorità numerica e magia-Kakà nel finale). Mezzora a ritmi esasperanti, peggio che mai. Manovra leziosa, movimento senza palla inesistente, supponenza di tocchi e tacchi e tunnel in salsa portoghese. Sul centrosinistra, Jankulovski si conferma sugli standard di mediocrità di domenica; sul centrodestra, Seedorf (come sempre nei teatri di provincia) visibilmente non ne ha voglia. Ci si attenderebbe una prova d'appello per lo svizzero e invece torna ad ansimare in regia Pirlo. Ma dopo l'illusione del vantaggio e i tre colpi da ko, non ci crede più nessuno con la maglia blu e il mercoledì di campionato finisce per premiare chi ha i ricambi buoni. Di lì al novantesimo è una sgambata d'allenamento, come in pineta a Carnago. A quel passo, persino il piedelento di Manuel sembra di un altro pianeta...

Gli episodi chiave: tutto in dieci minuti. Nella calma piatta, un fulmine a ciel sereno: al primo affondo dei padroni di casa, tiro da fuori area di Vannucchi, fiancata di Simic e palla nell'angolino opposto a Dida. Così va il calcio. Non basta: due minuti e lasciamo la corsia di destra aperta. Classico contropiede. Assist smarcante per Almiron, fiondata a botta sicura sul primo palo, ma c'è il Didone dei tempi belli a salvare partita e stagione... non fosse che, istanti dopo, la Juve infila il gol del vantaggio sulla Samp e vola avanti di 8: capolinea, si scende. Segue un quarto d'ora di apnea e cattivi pensieri. La rimonta dei ragazzi e la ripartenza del campionato si raccontano in dieci minuti. Il nostro biellese timido già al ventesimo aveva mandato segnali di vitalità e un avvertimento a Berti: pallone domato con il petto, spalle alla porta, piede perno e tocco di testa a seguire, palleggio di coscia e destraccio dal limite (fuori). Il pari arriva nell'unico minuto di recupero, Rui Costa apre la corsia a Kaladze che per una volta affonda e centra maliziosamente a filo d'erba. La zampata del Gila è puro stile Inzaghi: anticipo feroce sul difensore e puntatina dal basso in alto, con palla a sibilare sotto la traversa. Ossigeno. Cinque minuti di ripresa e Cafu gioca bene la sovrapposizione sulla fascia di destra, portandosi appresso il laterale di difesa: orizzonte spalancato per Rui Costa (50 assist in cinque anni), che crossa col compasso un pallone a centro area. Il Gila si alza in armonia e accarezza di testa, il tanto che basta per sfiorare la base del secondo palo. Ben atterrato Supergila! Il testimone del 9 Rossonero è solo tuo... e l'abbraccio a fondo campo (con Pippo in prima fila) non lascia margini di dubbio. Neanche il tempo di domandarsi come, e lo Zionero va in profondità sulla fascia, pennella a giro ancora per il Gila, che si traina a rimorchio difensore e Vieri: pallonata sul faccione e tutti a casa.

La tribuna di Steve: è nato un Supergila. La sesta vittoria consecutiva (+5 in media inglese) coincide con la prestazione più deludente del mese. Il turno infrasettimanale conferma che la nuova Serie A è un torneo a tre gironi: in alto, le solite note che pretendono al titolo (come sempre a inizio stagione... poi viene l'autunno, cadono le foglie e si frantumano i sogni tricolori); più sotto, un lotto di provinciali ricche che hanno i mezzi per puntare alla quarta posizione Champions (direi Fiorentina, Palermo e Sampdoria, salvo un rientro di Udinese e Roma); le rimanenti giocano un campionato a margine. Battiamo un Empoli di fascia alta, nel terzo girone di Serie A, e portiamo a casa tre punti di vanagloria. La gioia vera è ritrovare il Didone dell'Old Trafford, se è vero che prima nega il raddoppio e nel finale intercetta un altro fendente dalla distanza, che avrebbe riaperto i giochi. A partire dalle sue mani grandi si può costruire un sogno... Fino al rientro del Balon d'Or, testa e piedi li metterà il Gila. Messo alla gogna dai fogli rosa per due mesi, il flop del calciomercato per inciso viaggia sulla media dei 5 gol in 7 presenze. E' il prezzo da pagare per aver soffiato un talentino azzurro alla real casa sabauda... Da campione a brocco il passo è breve. Ma noi siamo il Milan. E Gila crescerà da Supergila, alla scuola di Pippo. Parola di Shevalover.

23 ottobre, 2005

MILAN 2 - PALERMO 1

(28 PT) Caracciolo, (29 PT) Gattuso, (32 ST) Inzaghi.

Abbiamo giocato con Dida, Cafu, Costacurta, Maldini, Serginho, Gattuso (Seedorf dal 29 ST), Vogel (Pirlo dal 1 ST), Jankulovski, Kakà, Inzaghi, Gilardino (Vieri dal 21 ST).

Il tema tattico: Maldini-Gattuso-Inzaghi, spina dorsale. Cuore e classe, cuore e rabbia, cuore e istinto. Questo è il nostro Milan. Torno a sottolineare come, ancora un mese fa, i fogli rosa fossero inchiostrati di cattive intenzioni: il primo per smettere, il secondo per andarsene, il terzo per arrendersi. Una cosa che non potranno mai toglierci è il cuore, il Vecchio Cuore Rossonero! In assenza di schemi e idee (undicesima formazione in undici partite, siamo in media Mancini), tanto basta per prendere tre punti fondamentali. Orfani del Balon d'Or, perdiamo anche Stam nel riscaldamento: al centro della difesa ricompare la coppia inossidabile. Ma il cosiddetto turnover di Ancelotti ha poco di funzionale: serve solo a confondere l'identità della squadra. Centrocampo insipido e leggero: Rino lascia un numero inusitato di palloni agli avversari, lo svizzero ne tocca pochi (troppo pochi per la posizione che occupa), il ceco ne tocca molti ma con poca qualità: escludere lo Zionero, come sempre, significa rinunciare a geometria e classe (tangibili al suo ingresso, nel decisivo quarto d'ora finale). Il primo tempo è equilibrato: subiamo pressing a tutto campo - sui livelli di Gelsenkirchen - come nelle migliori tradizioni del 4-4-2 targato Clouseau; dietro i delneriani hanno la difesa munita di granatieri e siamo sempre in inferiorità, con Gila & Pippo in cerca (soprattutto) di se stessi. Peraltro, la nostra fase difensiva ormai funziona, se è vero che il Palermo costruisce in totale due palle gol: sulla prima siamo graziati da Santana, sulla seconda puniti da Caracciolo. L'azione parte da un altro pallone buttato da Gattuso, e proprio per questo è il Sindaco che va a mettere il pari sessanta secondi più tardi: esagera e lo mette a palombella. Poi corre a perdifiato sotto la curva (come a Perugia), i pugni sollevati al cielo e in gola il ruggito della battaglia: icona della rinascita.

Gli episodi chiave: il cuore di Pippo oltre l'ostacolo. In controtendenza, vediamo il primo cambio già nell'intervallo: bocciato Vogel, dentro Pirlo. Secondo tempo di intensità superiore, come mercoledì contro gli olandesi. I rosanero si chiudono a riccio e non graffiano più davanti. Ma il nostro play ha gambe molli e Kakà conferma di averne solo per 45 minuti. Nel primo tempo aveva spinto forte, con due (infruttuose) cavalcate delle sue, un destro da fuori e un tacco smarcante per Rino. Nella ripresa è sfiancato dai calcetti di Mutarelli, al punto da leggere malissimo due situazioni di contropiede: sulla prima ignora il Gila, sulla seconda (in superiorità numerica) Inzaghi e Vieri. Si gioca di nervi più che di testa. Ancelotti ribalta il centrocampo, escludendo clamorosamente Gattuso. Ma la indovina, perché alla mezzora Jankulovski gioca l'unico pallone di qualità del suo pomeriggio (cross col contagiri), Pippo stacca in orizzontale, col cuore in mano e un sogno negli occhi: torsione a volo d'angelo e palla in fondo al sacco. Un anno e mezzo dopo l'ultimo in Serie A (3-1 alla Samp), un anno e passa dopo l'ultimo in assoluto (3-1 al Celtic): Popolo Rossonero in delirio! La corsa liberatoria questa volta non è sotto la curva ma incontro a chi ha creduto sempre in lui: a Carlone riconosciamo lo spessore umano. Per quantificare la dimensione di Superpippo basta un episodio nei concitati minuti finali: già in preda ai crampi, fa a sportellate sulla fascia, commette fallo, cade, si rialza, intercetta la punizione, punta di nuovo il difensore, subisce il tackle, conquista la rimessa. Non c'è altro da aggiungere, e lo capisce anche il friulano dislessico, finalmente placato in panchina. Monumentale il capitano, Billy è ieratico, i nostri "terzini" brasiliani sono preziosi come non mai quando c'è da sostituire i tocchi di classe con le pallonate, la grinta, il sudore. Resta il trempo di vedere Vieri inciampare in un pallone disegnato col compasso da Seedorf. Tra lui e il Gila, due ingranaggi ancora estranei al meccanismo. Escluso che dalla panchina qualcuno si occupi di disegnare per loro un paio di schemi ad hoc, sarà il tempo a dire quando impareranno a muoversi in armonia con la squadra.

La tribuna di Steve: ora che conta, occhio al fischietto. La settimana che porta allo scontro diretto è iniziata. Si parte per Empoli da -5. Impossibile non tornare con la memoria alla vigilia di un anno fa, al capolavoro di Tiziano Pieri che tenne la capolista a distanza di sicurezza... Quest'anno ci ha pensato tale Oscar Girardi a cancellare Flachi da Juventus-Sampdoria di mercoledì (doppia ammonizione al minuto 81). Che dire, quel fischietto farà strada...

19 ottobre, 2005

MILAN 0 - PSV 0

Abbiamo giocato con Dida, Cafu, Stam, Maldini, Kaladze, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Serginho dal 29 ST), Kakà, Shevchenko (Inzaghi dal 4 ST), Vieri.

Il tema tattico: scacco matto a Carlone. La vecchia volpe Guus Hiddink - che ad aprile ci aveva spedito a Istanbul con un pallottolliere di gol falliti - non ha più il demonio coreano Park a fare flipper sul fronte d'attacco, ma si presenta con tre pseudo-punte che sono, in realtà, i primi marcatori dei nostri uomini di costruzione. Altro che calcio universale, questi olandesi sembrano belgi: stile Club Brugge di qualche nervoso 0-0, ai tempi d'oro dei Tulipani. L'obiettivo è quello, tignosamente perseguito e conseguito con l'atteggiamento da provinciale che, notoriamente, soffriamo. Al punto che, quando nel secondo tempo gli uomini della Philips hanno un paio di palloni da giocare in superiorità numerica, rinunciano a puntare l'area di rigore e retrocedono verso il centro del campo! Per rendere l'idea, Didone nostro si sporca i guanti giusto due volte: raccoglie un tiro e un cross. Ma sta a noi alzare il ritmo e cercare la via più breve verso il gol. Viceversa, nel primo tempo non si verifica mai l'atteso cambio di passo. Solo nella fase centrale abbiamo un sussulto: con un tentativo di Kakà, non sfruttato in tap-in da Seedorf, e con una buona verticalizzazione (l'unica) per Sheva, che è poco fortunato nel controllo, rimedia, ma strozza il destro. Nel finale, un Pirlo avanzato ci prova da fuori area. Le corsie laterali non funzionano: da un lato Cafu è visibilmente scarico; dall'altro Kaladze avanza a intermittenza, ma con i mezzi mediocri di cui dispone. Anche al centro abbiamo poca qualità nelle giocate dei fantasisti. Aggiungo che tutto il mondo ha imparato la lezione di Poulsen: stasera il mastino di turno si chiama Simons. Non mollerà l'osso un secondo, se non per una magia-Kakà nel secondo tempo: finta a uscire d'esterno e tiro (fuori) come sa fare lui.

Gli episodi chiave: se si ferma Sheva... Il primo tempo si chiude con il fiato sospeso per una smorfia di dolore del Balon d'Or. Chiede il cambio, ma dopo i quindici minuti di riposo è ancora in campo. Mi domando il perché. Appena 180 secondi, e su un pallone non trattenuto da Gomes, il 7 Rossonero si lancia in anticipo: il gigantesco portiere brasiliano lo afferra per un piede (rigorino?) e il muscolo tira. Fine del tour-de-force, con i dovuti ringraziamenti a Carlone. Entra Pippo, ed è l'unica nota lieta della serata. Al primo pallone giocabile, costringe Reiziger (è ancora in circolazione) al fallo da cartellino: ecco il fattore Inzaghi. Proviamo ancora dalla distanza (Kaladze, Seedorf, Cafu), ma nulla. Sui palloni alti, giganteggia Alex (mi pare lo avessimo cercato quest'estate) e scompare Vieri. Domanda: non era stato acquistato esattamente per risolvere queste partite, esattamente per sfruttare queste situazioni tattiche? Sospendiamo il giudizio, solo perché siamo ad ottobre. C'è tanta più intensità nel secondo tempo, ma concretizziamo poco in proporzione a quanto costruiamo: il match report parla di 25 occasioni da gol. Uno sproposito da analizzare. Il meglio viene nell'ultimo quarto d'ora, quando dalla panchina si alza Sergio: assist d'oro per Kakà (ciabattato a lato) e pallone in corridoio per Pippo, che salta il portierone come ai vecchi tempi ma strappa solo un corner. Rientrerà negli spogliatoi con un cartellino giallo per proteste (buon segno, più difficile che accada al suo pacioso compagnone di reparto) e un contatto dubbio in area olandese, ma senza dolori al ginocchio: è questo che conta. Bentornato davvero, caro Superpippo!

La tribuna di Steve: fenomeni in patria, randagi in Europa. E il terzo giorno di Champions cascarono gli asini. Sorseggiamo questo calice di Porto (2-0 ai neroblu) per accompagnare la gustosa Bavarese di martedì (2-1 ai bianconeri, immortale Magath!). Sicché invincibili e imperatori non esistono, se non nell'immaginario collettivo costruito ad arte dalla stampa in rosa: sufficiente varcare i confini dell'orticello tricolore per riequilibrare pesi e misure. Ennesima conferma della mediocrità del calcio nostrano, livellato in basso dal torneo a venti. Non che dal canto nostro abbiamo molto da gioire. Nel girone E, graduatoria più corta e pericolosa con turchi e olandesi a un punto, tedeschi a meno tre: tutto lascia intendere che il destino si compirà di nuovo a Istanbul, fra un mese.

16 ottobre, 2005

CAGLIARI 0 - MILAN 2

(1 PT) Gilardino, (27 PT) Shevchenko.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Costacurta, Maldini, Serginho, Gattuso, Vogel, Seedorf, Rui Costa (Kakà dal 23 ST), Shevchenko (Inzaghi dal 39 ST), Gilardino (Jankulovski dal 33 ST).

Il tema tattico: avanti adagio. Ancora una volta, la buona sorte ci sorride, regalandoci il vantaggio dopo meno di trenta secondi. Bravo il Gila a crederci (terzo centro, sempre lontano da San Siro: sarà un caso?), a inseguire e guastare il cuore della difesa sarda: un gol alla Inzaghi, che è anche un tributo all'insperato ritorno del nostro 9 Rossonero: dieci minuti in chiusura, ma questa volta non solo per la gloria. Il gioco, di fatto, è sempre il solito: lento, compassato e mai ficcante. Finché il Balon d'Or - col naso gonfio di sinusite - non decide di accendere i riflettori e prendere a pallonate Carini. Due osservazioni sull'emergenza difensiva (indisponibili Nesta, Cafu, Kaladze). Billy gioca da Professore senza consumare metri superflui, come si conviene a un centrale esperto, che a fine carriera dirige l'orchestra e randella chirurgicamente, col carisma dei veterani. Resto convinto che di uno così (come di Pippo) a Istanbul avremmo fatto un monumento. Non trascuriamo però la pochezza dell'avversario, mai veramente in partita. Risulta prezioso per dare fiato agli assenti, non certo per affrontare serenamente una stagione che - di qui a poco - diventerà tosta. Discorso analogo per l'amato Sergio, che conferma il momento di grazia, chiudendo diagonali vertiginose a centro area. A lui, si sa, piace poco "correre dietro agli avversari" e molto "farsi rincorrere dagli avversari", mentre corre dietro alla palla negli spazi aperti. Un elogio per la dedizione, nel momento del bisogno. Ma senza illudersi che a 34 anni un brasiliano genio e sregolatezza possa decidere di cambiare ruolo. Davanti, tutto il resto è noia: dalla consueta indolenza portoghese al cronico isolamento delle punte, distanti troppe decine di metri dal centrocampo.

Gli episodi chiave: risolve un pallone d'oro. Ma quanto mi piace questo Sheva volitivo ed egoista (come solo un fromboliere di lignaggio superiore ha il diritto di essere) che nel giro di un quarto d'ora traccia prima un paio di stelle filanti col destro e poi carica il sinistro letale: il calibro è da euroderby! Indecente parlare di fortuna per questa soluzione balistica, cercata e trovata, con buona pace del lento estremo argentino (un fenomeno, ricordo, finché ha gravitato intorno al pianeta Juve...). Siamo avvezzi alla campagna denigratoria della stampa, specie quella in rosa: un leit motiv per la stagione 2005-2006. Leggo sottovalutata anche la prova dello svizzero, che viceversa tocca un numero infinito di palloni e tira calci (deo gratias!) quando è necessario. Bene Didone per la sicurezza che torna a infondere al reparto grazie al proverbiale senso del piazzamento, che gli consente di raccogliere palloni apparentemente innocui senza mai macchiare la maglia smeraldo.

La tribuna di Steve: in venti non è più bello. Mite questo autunno, che ci porta sull'Isola a raccogliere un'altra vittoria leggera, senza infamia e senza lode. E assomiglia sempre più a un campionato da periferia del Continente, la Serie A allargata, con le due grandi (tre? mah...) a giocarsi il titolo e un divario imbarazzante fra la prima e la seconda colonna della graduatoria. Divario tecnico, come sempre; ma come mai prima, divario di intensità agonistica. Sui campi di provincia (e in casa contro le provinciali) abbiamo spesso perso punti pesanti: quest'anno, le comparsate di Lazio, Reggina e Cagliari nessuno se le sarebbe attese. Cauti, dunque, a fantasticare che le dure lezioni del passato siano state definitivamente metabolizzate. C'è da sorridere, sicuro, per la crescita lenta ma continua di tante pedine del gruppo che - a quanto pare - Carlone ha imparato essere fondamentali nelle giornate interlocutorie come quella di domenica sera, nelle quali conta il bottino più che il gioco. Di qui alla prossima pausa autunnale si farà sul serio: Champions (un doppio PSV) e campionato (test probanti contro Palermo, Juventus, Udinese) ci diranno dove possiamo arrivare.

02 ottobre, 2005

MILAN 2 - REGGINA 1

(5 PT) Maldini, (20 PT) Maldini, (47 ST) Cavalli.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Vogel, Seedorf, RuiCosta, Shevchenko (Kakà dal 29 ST), Vieri.

Il tema tattico: silenzio, parla il capitano. Varrebbe la pena chiudere qui il diario della giornata, perché tanto era giusto dire. Ma aggiungo, per la cronaca: vittoria facile, quanto può essere una sgambatura d'allenamento. Difronte alla Reggina più modesta delle ultime edizioni, Carlone azzarda infine un paio di varianti sul menù. Il mistero Vogel è svelato e Pirlo ha tregua, prima della chiamata alle armi lippiane: diligente e geometrico, copre con rigore (beh, svizzero!) le zolle critiche fra le due linee e con buona lucidità distribuisce palloni a corto raggio. Diranno che è un ragioniere del centrocampo, ma di Albertini avrebbero detto che era un metronomo. Onestamente, non apprezzo la differenza. Bene dunque tutto il reparto nevralgico, con lo Zionero d'Olanda ancora ispirato dalla notte tedesca e Rino sempre più Sindaco old style: segnali confortanti. Dietro, si conferma l'ottimo momento di Stam: come contro il Siena, punta il suo oppositore di fascia e un paio di volte lo beffa al galoppo; i colpi di testa sono tutti suoi. Nel contesto carico di magia del pomeriggio, rientra anche la miglior prestazione carioca di sempre sull'altra corsia: puntiglioso nei recuperi, a memoria ricordo almeno tre tackle di Sergio da terzino vero; non conoscessimo le sue lune, ci sarebbe da sperare che abbiamo guadagnato un laterale per la difesa (non guasterebbe). Davanti, altra musica: presto detto del solito portoghese indisponente (e tuttavia, dalla bandierina una palla col contagiri per il cabezazo del capitano), Sheva davvero non ne ha più (LUI, però, non riposa... crollasse il mondo?) e Vieri le prova da ogni angolo del campo, ma sempre invano: "Fantozzi contro tutti", dirà la Voce calabrese della nostra coscienza. In Rino veritas.

Gli episodi chiave: quindici minuti da cuore di drago. Un quarto d'ora per cancellare un'estate intera di sospetti, malignità e allusioni. Maldini vuole smettere, Maldini ha le ginocchia malate, Maldini non giocherà mai più due gare di seguito. Le sibille cumane avevano pronunciato l'oracolo: un tam-tam mediatico che dal foglio rosa a doppio velo era diventato prima opinione pubblica e poi sentenza, secondo il più becero costume italiota. Ma il capitano prende le misure e risponde sul campo. E' il suo costume, lo è sempre stato. In quindici minuti riscrive la sua storia: straordinaria l'azione personale del primo gol, con tunnel al difensore ed esterno destro piazzato sul secondo palo; imperioso lo stacco a centro area per il raddoppio. Il record di presenze in Serie A (752) è bagnato con la prima doppia marcatura in carriera. Il tutto, quattro giorni dopo la battaglia di Gelsenkirchen, con assist al bacio per il Balon d'Or. Totale: otto turni fra Coppa e campionato e sei presenze (a parte il nubifragio di Ascoli, ha saltato solo la Lazio). Classe 1968, classe di campioni... e di Shevalover :-)

La tribuna di Steve: ma quanto è bello essere Rossoneri? L'atmosfera surreale di San Siro sotto il primo diluvio autunnale è una cornice semplicemente magica: la curva per una volta vuota e muta di cori e invettive ultras, amplifica le voci del campo, i tonfi sordi del cuoio sull'erba e l'acqua che frusta i pannelli di policarbonato traslucido, su al terzo anello... Fosse sempre questa la domenica allo stadio! Gonfiamo il petto, perché sotto continua a battere il nostro Vecchio Cuore Rossonero. Il calo di tensione a tempo scaduto (fine dell'imbattibilità per Nelson) serve solo a tenere accesa la spia delle perplessità. Ora verranno le Nazionali: sia chiaro per tutti che, dalla ripresa del torneo alla sosta successiva, ogni errore costerà più caro.