31 gennaio, 2008

GENNAIO 2008: Missing

Andriy Shevchenko of Chelsea looks on during the Chelsea Training Session at Stamford Bridge on December 10, 2007 in London, United Kingdom. (Photo by Ryan Pierse/Getty Images)

IL FALSO NEL BILANCIO ONESTO (fine)

Bilanci: prosciolti Milan, Inter e Galliani.

[Corriere.it] Il giudice per l'udienza preliminare (Gup) di Milano, Paola Di Lorenzo, ha prosciolto Adriano Galliani, vice presidente vicario e amministratore delegato del Milan, Rinaldo Ghelfi, vice presidente dell'Inter e Mauro Gambaro, ex dirigente nerazzurro, accusati dalla procura di Milano di falso in bilancio in relazione all’inserimento negli esercizi di valori gonfiati di calciatori che le due società si scambiavano. Il giudice ha anche prosciolto le due società, accusate in base alla legge sulla responsabilità amministrativa. Il proscioglimento è arrivato «perché il fatto non costituisce reato» e non, come si era saputo in un primo momento, perché «il fatto non sussiste». Questo in base alla nuova legge sul falso in bilancio, che prevede il dolo specifico, dolo che in questo caso non è stato riscontrato. Infatti nel suo provvedimento il gup «dichiara non luogo a procedere nei confronti degli imputati Galliani Adriano, Ghelfi Rinaldo Antonio e Gambaro Mauro, in relazione a tutte le imputazioni a loro ascritte, perché il fatto non costituisce reato». Inoltre il giudice ha dichiarato il «non luogo a procedere» nei confronti delle società rossonera e nerazzurra, imputate in base alle legge 231, «in relazione alle imputazioni concernenti il bilancio al 30/6/2003 perché l'azione penale non poteva essere esercitata per essere il reato presupposto anteriormente prescritto». L'inchiesta, condotta dal pm Carlo Nocerino, ipotizzava trucchi contabili per plusvalenze fittizie sulla compravendita di alcuni giocatori durante la stagione calcistica 2003-2004.

29 gennaio, 2008

IL 7 ROSSONERO

Sheva: mi rivedo in Pato.

[Gazzetta.it] Si è rivisto com’era lui allora? Non proprio, ma ha visto qualcuno di molto simile. Pato è un po’ più piccolo, un po’ più giovane, forse più veloce, meno potente. Ma più di un riflesso nello specchio ha portato Andriy Shevchenko a rileggersi com’era nel 1999 e a vedere com’è adesso questo ragazzo brasiliano che ha conquistato tutti con la stessa maglia sulle spalle. A 18 anni, Shevchenko non era ancora nei piani del Milan, ma giocava già in prima squadra con la Dinamo Kiev. A 18 ha fatto il suo primo gol in Champions, a 22 è stato capocannoniere della Champions, sempre a 22, nel 1999, è arrivato al Milan, a 26 ha vinto la Champions e a 27 è stato campione d’Italia. Ha giocato il primo e probabilmente unico Mondiale a 29, perché essere ucraino non è come essere brasiliano. Pato ha fatto molte cose prima di Shevchenko e altre può farne per bruciare il tempo. «È così bravo, ma ha soltanto 18 anni. Spero non lo tormentiate con i paragoni».

Dicono che Pato le somigli. Sembra anche a lei?
«Sì. Perché anche a Pato piace partire un po’ indietro. Non si comporta proprio da prima punta e ha un modo di giocare che somiglia al mio: capisce il gioco, va negli spazi. A me non piaceva e non mi piace stare fermo. Vedo che non piace nemmeno a lui».

Pato ha segnato già tre gol ma ne ha anche sbagliati tanti. Lei alla sue età sbagliava molto?
«In questo ero esattamente come lui. Ero potente, ma sbagliavo tanti gol anch’io. Sono migliorato negli anni e la fortuna di Pato è di essere arrivato al Milan presto».

Qualcuno ha detto: troppo presto.
«Non è mai troppo presto se capiti in una società seria come il Milan. Pato ha compagni che lo aiuteranno a crescere, gente che ha una visione del gioco diversa dagli altri. Parlo di Pirlo, Kakà, Seedorf. Giocare accanto a gente così per un attaccante è una garanzia».

Nostalgia di quei tempi? A trentuno anni, non si sentirà già vecchio...
«Per carità. Ho ricominciato proprio in questi giorni ad allenarmi dopo un problema alla schiena che mi ha tenuto fermo per un po’. Sono in un grande club, la squadra sta andando bene. La vita non è fatta soltanto di passato: la mia vita ora è al Chelsea. Al Milan ho fatto il mio tempo. Il futuro è di Pato».

Insomma, la sua maglia numero 7 ha trovato un vero erede....
«Pato farà la sua storia come io ho fatto la mia. Io sono felice del segno che ho lasciato nel Milan, ho passato sette anni fantastici e ho dato il meglio di me. Anche le stagioni difficili a Milano sono state belle e questa è la cosa che mi resta dentro. Amo il Milan e amo l’Italia che mi ha dato tante cose, l’ho sempre detto e non c’è niente di male a continuare a dirlo. Al tuo posto arriva sempre qualcuno altro: il Milan trova i giocatori che lasciano il segno».

A sostituirla, veramente, hanno fatto un po’ di fatica.
«Quello che ho fatto io, o Rivera, o Boban, o Baresi, o Van Basten, resterà. Giudicatemi per quello che ho dato, ma il futuro non è mio».

Che cosa le piace di Pato?
«Che fa tutto verso la porta, come facevo io. Cerca di velocizzare e non fa mai un movimento laterale, si muove sempre in avanti. Ha qualità, ma non deve dimostrare qualcosa a ogni partita. Dategli modo di crescere».

I tifosi immaginano quanti gol potrà segnare e contano quanti ne servono al Milan per risalire la classifica...
«Non è importante quanti gol segna, sono importanti le sue caratteristiche. Pato è perfetto per il gioco della squadra. Al Milan serviva un giocatore così, a lui serviva una squadra come il Milan per emergere: matrimonio perfetto».

È così difficile ambientarsi nel calcio italiano?
«È difficile se non ti ricordi che non sempre le storie sono semplici, anche se cominciano bene. Ma mi dicono che Pato è un ragazzo equilibrato, e poi Ancelotti sa come trattarlo e i miei ex compagni sono giocatori intelligenti: sanno dargli la palla al momento giusto, sapranno dargli una mano fuori dal campo quando arriveranno momenti meno facili. Fidatevi di uno che di gol ne ha fatti tanti: se Pato sbaglia non importa, importa quello che è. Il ragazzo giusto al posto giusto».

Com’era lui, ma sono passati tanti anni e di questo è meglio non parlare più.

20 gennaio, 2008

IL FALSO NEL BILANCIO ONESTO (segue)

Plusvalenze: perché deferiti solo Milan e Inter?

[Repubblica.it/SpyCalcio] Martedì il superprocuratore Stefano Palazzi deferirà Milan e Inter: finalmente è chiusa l'inchiesta sulle plusvalenze. Milan e Inter hanno fornito "informazioni mendaci, reticenti o parziali". Ma, pur sopravvalutando ragazzini sconosciuti, non se ne sono serviti per iscriversi "fraudolentemente" al campionato. E questo eviterà penalizzazioni in classifica per illecito amministrativo, o doping amministrativo. Probabile solo un'ammenda con diffida. Sui due club, come noto, è stata aperta un'inchiesta della procura di Milano e Palazzi ha utilizzato quel materiale (pare però che Adriano Galliani non sia mai stato sentito a Roma: come mai?). Ma anche su tantissime altre società era stata aperta ancora prima che sulle due milanesi un'inchiesta penale, dalla Juventus al Genoa all'Udinese. Quasi tutti i club d'altronde si sono serviti per anni di quell'escamotage contabile. Ma per ora la giustizia sportiva si occupa solo di Milan e Inter. Di sicuro, la questione plusvalenze va chiarita una volta per tutte: la Covisoc - su impulso di Abete - ci sta lavorando. Ma è difficile mettere "paletti" alle valutazioni dei calciatori, anche se molti in passato sono stati ceduti a cifre altissime e non hanno mai giocato. Autentici carneadi pagati decine di miliardi di lire. Una pagina poco simpatica per il mondo del pallone.

18 gennaio, 2008

NOSTALGIA DE MILAN

Shevchenko soffre di nostalgia.

[Corriere.it] L'Italia di Shevchenko è stata per lungo tempo nel cuore di Milano, ora invece il cuore di Sheva è immerso nel verde della campagna del Surrey, ville in stile vittoriano, green per giocare a golf. Qui i tentacoli di Londra si intuiscono appena. Il mondo di quello che è stato il più implacabile cecchino milanista dell'era moderna è concentrato nelle foto, decine di foto a colori, che raccontano la storia sua e della sua famiglia, di sua moglie e dei due figlioletti. Un piccolo ritratto con Ronaldinho e con il Pallone d'oro è l'unica testimonianza di tanti successi, un'istantanea con Silvio Berlusconi è il solo aggancio visibile alla sua vita in rossonero. Sheva ufficialmente non ha rimpianti («Me ne sono andato per crescere i miei figli in una nuova realtà, non per trovare qualcosa di meglio del Milan: al mondo non conosco nulla di meglio del Milan») ma dentro di sé ha cullato più di una volta il sogno di una retromarcia impossibile. Però l'argomento è tabù. Come le riflessioni su Mourinho.

Andriy, com'è il ricordo dell'Italia a poco più di un anno e mezzo dal suo addio?
«L'Italia mi ha dato tanto. Ho un grande feeling con la sua gente, non soltanto con i tifosi del Milan. E poi parlo sempre la lingua... Come le sembra il mio italiano?».

Insomma... Piuttosto, come va con l'inglese?
«Capisco quasi tutto. Faccio invece fatica a parlarlo. Preferisco l'italiano».

Nostalgia?
«Sì. Mi mancano gli amici e certe cose dell'Italia. La cucina ad esempio. E poi mi manca l'atmosfera, la forte tensione delle partite. Qui invece è tutto più rilassante».

Meglio la Premier o la serie A?
«Dipende da quello che uno preferisce. Il calcio italiano è fantastico. È tattica e intelligenza. In Italia apprezzano il campione e la giocata. Il calcio inglese è più veloce e fisico. Le piccole squadre cercano di colmare il gap con le grandi giocando con molta forza. In sintesi possiamo dire che il calcio italiano è finalizzazione e logica, come una partita a scacchi, il calcio inglese è velocità e istinto».

Come vede la doppia sfida di Milan e Inter con Arsenal e Liverpool?
«Arsenal e Liverpool giocano molto bene in casa. Quindi saranno difficili le due partite qui in Inghilterra. Conoscendo bene il Milan sono sicuro che preparerà alla perfezione la partita. L'Inter sta facendo benissimo in Italia ma per essere considerata una squadra veramente forte deve incominciare a vincere in Europa. Comunque l'Arsenal mi sembra ancora un po' troppo giovane per certe imprese mentre il Liverpool ha qualche problema e non gioca con continuità».

Sheva, perché con la maglia del Chelsea non è ancora riuscito a sfondare?
«Nel mio primo anno ho segnato 14 gol. Certo, non sono i 30 gol che facevo nel Milan, ma non sono andato così male come è stato scritto. Il vero problema è che non riesco a trovare la continuità. Adesso stavo andando bene, avevo segnato 7 reti nelle ultime 10 partite e all'improvviso mi sono bloccato con la schiena. Dovrò stare fermo quasi un mese. Prima di essere giudicato, vorrei ritrovare la continuità».

Visto Pato? In tanti sostengono che le assomigli.
«No, non l'ho visto. Però tutti i miei compagni mi dicono che è forte e se lo dicono loro mi fido».

E di Ronaldo che gliene pare? Cammina, però segna. Un vero fenomeno.

«Adesso scopriamo che Ronaldo è un fenomeno? Basta che ritrovi un minimo di condizione... Però lui è uno che può risolvere le partite anche da fermo».

Con Kaká vi sentite spesso?
«L'ultima volta ci siamo sentiti per la vittoria del Pallone d'oro. Gli ho mandato un messaggino. Sono stato veramente contento per lui. Ricordo che quando l'ho visto nei primi allenamenti a Milanello ho detto: ecco un altro del Milan che vincerà il Pallone d'oro. Sarebbe bello che Pato percorresse la stessa strada. Però non basta avere talento: per sfondare ti devi confermare, devi dimostrare personalità, devi sapere essere importante nelle partite importanti, devi prendere la squadra per mano nei momenti difficili».

Qualcuno o qualcosa che l'ha sorpresa in serie A.
«L'Udinese. A Udine sono proprio bravi. E poi ho visto un paio di gol fantastici segnati da Di Natale».

Com'è l'Italia immaginata da lontano? La spazzatura a Napoli, il Papa che non può parlare all'Università...
«Ognuno ha le sue grane... Napoli? I soliti problemi, Napoli è una città particolare. Quello che è successo al Papa è invece la conferma di come in questo secolo stanno cambiando i valori. Se pensiamo a cent'anni fa, al potere che aveva la Chiesa... Però la Chiesa è un valore importante, è la nostra cultura. Nella Chiesa ci sono le nostre radici... Sta cambiando tutto, purtroppo. Anche le cose che dovrebbero essere scontate: il rispetto dei giovani per i vecchi, il rispetto per chi è vicino a te e per chi ha idee dalle tue».

A 31 anni si incomincia a pensare al futuro. Lei lo sta facendo?
«Si. Potrei fare tante cose».

Ad esempio?
«Non so se rimarrò nel calcio. Sto pensando che potrei servire il mio Paese, avvicinandolo all'Europa».

Vuole fare il ministro degli Esteri?
«No, la politica no. È un mondo sporco. Però potrei fare da consulente ad alto livello oppure qualcosa di simile al presidente del Comitato olimpico nazionale. Mi devo ancora chiarire le idee».

Dunque non si immagina presidente del Chelsea nel nome e per conto di Abramovich.
«No, per adesso non mi ci vedo proprio».

E non pensa ad un possibile ritorno nella grande famiglia milanista.
«Nemmeno».

Andriy, potesse riavvolgere il tempo di un anno e mezzo...
«Se io sono qui, significa che dovevo essere qui. Inutile voltarsi indietro».

14 gennaio, 2008

MISSION IMPOSSIBLE

«Questa sera abbiamo deciso di ritrovarci per raccontare noi stessi, per raccontare ancora una volta la splendida favola del Milan. Vent'anni fa la missione che ci eravamo prefissi era stata quella di scendere in campo e risultare, tramite il bel gioco, più forti della sfortuna, dell'invidia e dell'ingiustizia e di riuscire ad essere padroni del campo. Oggi quel Milan è diventato il Club più titolato al mondo, la missione dunque è stata compiuta! Adesso però dobbiamo impegnarci per il futuro. La nostra missione da oggi in poi sarà quella di vincere altrettanti trofei nei prossimi vent'anni. Il nostro impegno è nei confronti di coloro che ci amano, ci seguono e prendono ad esempio di lealtà e sportività questa grande società. Grazie a tutti voi e un saluto a tutti gli amici napoletani con la speranza che possano uscire dalle loro contingenze negative».

Silvio Berlusconi, 13 gennaio 2008.