30 novembre, 2005
29 novembre, 2005
MILAN 3 - BRESCIA 1
(26 PT) Rui Costa, (40 PT) Gilardino, (2 ST) Alberti, (24 ST) Vieri.
Abbiamo giocato con Kalac, Marzoratti, Simic, Costacurta (Stam dal 32 ST), Kaladze, Gattuso (Pirlo dall'1 ST), Vogel, Jankulovski, Rui Costa, Gilardino (Ardemagni dal 19 ST), Vieri.
Millequattrocentosettantatre spettatori paganti sono la platea dello Stadio Delle Alpi in una domenica torinese come tante di Serie A e sono, al contempo, i malati del Diavolo che - a gradi centigradi zero - assistono agli ottavi di finale della competizione più insulsa del calcio italiano. Qui si assegna lo Scudetto Rotondo, quello che portano sul petto con malcelato orgoglio, a giudicare dai recenti caroselli automobilistici (con conseguente impennata delle polveri sottili a Milano), squadroni del calibro dell'Inter di Roberto Mancini: un autentico specialista del genere. Dai microfoni Rai, il vecchio cuore neroblu Marco Civoli specifica che il Milan è tuttora imbattuto: ineccepibile, dacché si disputa la gara d'esordio. In cabina, siede al suo fianco il garrulo Mazzola: passa la poesia solo a pronunciare i nomi... E tuttavia, esistesse una politica assennata dei vivai, sarebbe questa la competizione ideale per esibire giovani talenti, che non hanno prospettive di apparire in campionato (figurarsi in Champions) nell'era delle rose allargate a 25 e più elementi. Accade, viceversa, che in Coppa Italia debbano ritrovare fiato e dignità gli esiliati della domenica e del mercoledì: parliamo di Dario Simic che, nel breve lasso di sei giorni, precipita dal firmamento turco agli stallatici brèhä senza passare per Milan-Lecce; parliamo di Johann Vogel, di cui avevamo apprezzato una crescita beneaugurante a inizio stagione e che è successivamente svanito alla vista del pubblico per oltre un mese; parliamo di Christian Vieri - il vero colpo basso del nostro mercato estivo - sottratto alla concorrenza con i danari buoni per portare a casa un Luca Toni o due Vincenzo Iaquinta... ma passi: sarebbe sufficiente che la mettesse un paio di volte nel derby per ricordarlo con simpatia negli anni a venire, come già Paolo Rossi; parliamo anche di Marek Jankulovski, che qualcuno aveva sbandierato per jolly di fascia e variante naturale, tanto a destra che a sinistra, poi oscurato per manifesta inadeguatezza dopo due-uscite-due sui campetti di ferragosto (e congratulazioni agli osservatori); ma parliamo anche di Gattuso, Rui Costa e Gilardino, che vengono gravati di 45 più 90 più 65 minuti inservibili, alla vigilia di una settimana che darà significato e direzione (in un senso o nell'altro) ai sei mesi successivi. Ricadiamo nel dominio della ordinaria follia nella gestione del gruppo secondo Carlone Ancelotti. Con tutto ciò, Lino Marzoratti vede il campo per due tempi interi e parla con apprezzabile misura nel post partita, evitando i superlativi (ha ben capito l'antifona); mentre il bravo Matteo Ardemagni deve accontentarsi di 25 minuti per il classico gettone di presenza; segnalo, a disposizione in panchina, anche Luca Antonelli: erede del mitico Dustin. La cronaca vale poco: il portoghese indovina un destro a volo nel sette, e sarebbe già materia sufficiente per tornare a casa. Poi raddoppia il Gila con prezioso colpo di testa direttamente dal corner (assist di Rui Costa, per le statistiche). Quindi subiamo gol su calcio piazzato, giusto per confermare certi limiti strutturali (provassimo a marcare a uomo, solo per curiosità? dice Dario Simic, faciliterebbe il compito di chi gioca assieme per la prima volta... o quasi). Infine mandiamo in gol addirittura Vieri, dopo pregevole tocco a due col portoghese: in sintesi, due assist e un gol. In Coppa Italia, sembrano fenomeni anche quei due.
Abbiamo giocato con Kalac, Marzoratti, Simic, Costacurta (Stam dal 32 ST), Kaladze, Gattuso (Pirlo dall'1 ST), Vogel, Jankulovski, Rui Costa, Gilardino (Ardemagni dal 19 ST), Vieri.
Millequattrocentosettantatre spettatori paganti sono la platea dello Stadio Delle Alpi in una domenica torinese come tante di Serie A e sono, al contempo, i malati del Diavolo che - a gradi centigradi zero - assistono agli ottavi di finale della competizione più insulsa del calcio italiano. Qui si assegna lo Scudetto Rotondo, quello che portano sul petto con malcelato orgoglio, a giudicare dai recenti caroselli automobilistici (con conseguente impennata delle polveri sottili a Milano), squadroni del calibro dell'Inter di Roberto Mancini: un autentico specialista del genere. Dai microfoni Rai, il vecchio cuore neroblu Marco Civoli specifica che il Milan è tuttora imbattuto: ineccepibile, dacché si disputa la gara d'esordio. In cabina, siede al suo fianco il garrulo Mazzola: passa la poesia solo a pronunciare i nomi... E tuttavia, esistesse una politica assennata dei vivai, sarebbe questa la competizione ideale per esibire giovani talenti, che non hanno prospettive di apparire in campionato (figurarsi in Champions) nell'era delle rose allargate a 25 e più elementi. Accade, viceversa, che in Coppa Italia debbano ritrovare fiato e dignità gli esiliati della domenica e del mercoledì: parliamo di Dario Simic che, nel breve lasso di sei giorni, precipita dal firmamento turco agli stallatici brèhä senza passare per Milan-Lecce; parliamo di Johann Vogel, di cui avevamo apprezzato una crescita beneaugurante a inizio stagione e che è successivamente svanito alla vista del pubblico per oltre un mese; parliamo di Christian Vieri - il vero colpo basso del nostro mercato estivo - sottratto alla concorrenza con i danari buoni per portare a casa un Luca Toni o due Vincenzo Iaquinta... ma passi: sarebbe sufficiente che la mettesse un paio di volte nel derby per ricordarlo con simpatia negli anni a venire, come già Paolo Rossi; parliamo anche di Marek Jankulovski, che qualcuno aveva sbandierato per jolly di fascia e variante naturale, tanto a destra che a sinistra, poi oscurato per manifesta inadeguatezza dopo due-uscite-due sui campetti di ferragosto (e congratulazioni agli osservatori); ma parliamo anche di Gattuso, Rui Costa e Gilardino, che vengono gravati di 45 più 90 più 65 minuti inservibili, alla vigilia di una settimana che darà significato e direzione (in un senso o nell'altro) ai sei mesi successivi. Ricadiamo nel dominio della ordinaria follia nella gestione del gruppo secondo Carlone Ancelotti. Con tutto ciò, Lino Marzoratti vede il campo per due tempi interi e parla con apprezzabile misura nel post partita, evitando i superlativi (ha ben capito l'antifona); mentre il bravo Matteo Ardemagni deve accontentarsi di 25 minuti per il classico gettone di presenza; segnalo, a disposizione in panchina, anche Luca Antonelli: erede del mitico Dustin. La cronaca vale poco: il portoghese indovina un destro a volo nel sette, e sarebbe già materia sufficiente per tornare a casa. Poi raddoppia il Gila con prezioso colpo di testa direttamente dal corner (assist di Rui Costa, per le statistiche). Quindi subiamo gol su calcio piazzato, giusto per confermare certi limiti strutturali (provassimo a marcare a uomo, solo per curiosità? dice Dario Simic, faciliterebbe il compito di chi gioca assieme per la prima volta... o quasi). Infine mandiamo in gol addirittura Vieri, dopo pregevole tocco a due col portoghese: in sintesi, due assist e un gol. In Coppa Italia, sembrano fenomeni anche quei due.
26 novembre, 2005
MILAN 2 - LECCE 1
(4 PT) Pirlo, (22 ST) Konan, (49 ST) Inzaghi.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho (Costacurta dal 18 ST), Gattuso (Jankulovski dal 35 ST), Pirlo, Seedorf, Rui Costa, Shevchenko, Giardino (Inzaghi dal 28 ST).
Il tema tattico: Lazzaro, alzati e cammina... 72 ore dopo, siamo di nuovo in campo con i dieci undicesimi della trasferta di Istanbul. Unico escluso di fatto è Dario Simic: autentica "rivelazione" (Carlone dixit) del Sokru Saracoglu. L'azzardo è forte. Attendersi più di un'ora di autonomia, fisica e nervosa, dopo i 90 minuti dentro/fuori di Champions è, alternativamente, visionario o miope. A ciò si aggiunga che il terreno è duro per l'abbondante nevicata mattutina, sulle corsie laterali addirittura si pattina. L'esito scontato è che i locomotori esterni viaggiano a scartamento ridotto. La buona sorte è sbloccare subito su calcio da fermo. Il ritmo inziale è frenetico. Il Lecce riparte a testa alta, ma sale male sul fuorigioco e per tre volte il Gila grazia Sicignano vis-à-vis. Conto, in totale, almeno nove situazioni d'attacco buone per chiudere i giochi ma, come in Turchia nel primo tempo, le falliamo in mirabile sequenza. Il divario minimo lascia, tutto sommato, sereni per la pochezza della linea offensiva di Baldini: davanti ne schiera tre, ma il mandato è aggredire i nostri portatori di palla prima che la nostra area. Il secondo tempo inizia su ritmi ancora accettabili, sebbene con un accenno di flessione anche nei centrali. Gli attaccanti hanno ora mai le polveri brinate. Quando al quarto d'ora Cassetti sfonda il quadricipite di Sergio con una ginocchiata (tutto regolare per Tombolini), Ancelotti calca la mano e manda dentro Billy: seconda bocciatura per Simic. La dura lezione della sorte, a metà tempo, è il prevedibile punto del pari: triste quanto puntuale la ricorrenza di un-tiro-un-gol. I nostri ora sono davvero sulle gambe e non resta che la forza della disperazione per non perdere il treno tricolore. Il capitano è costretto a ringiovanire di dieci anni e sobbarcarsi la spinta sulla fascia, improbabile attenderselo dal Professore. Ma il santo delle cause perse si chiama Pippo, e l'ineffabile Carlone lo butta nella mischia a un quarto dalla fine. Mezzora a sbuffare e scalpitare a bordo campo, con la prospettiva di rivestire la tuta e guardare entrare Vieri: stile Istanbul. Invece qua occorre il miracolo, e chi mai più del 9 Rossonero? Entra come un puledro imbizzarrito e al primo contrasto in area va giù con Diamoutene: si gioca. Se il Lecce avesse classe e gambe potrebbe solcare la trequarti aperta e prendersi il bottino pieno: ci prova solo Ledesma al 44' e spolvera la traversa. Replica Janku un minuto dopo, prima della catarsi e la salvazione in pieno recupero. In Rino veritas: il Lazzaro di Reggiolo ringrazi il Santo di Piacenza.
Gli episodi chiave: tre punti oltre i confini della realtà. Appena tre giri di lancette e Tombolini consegna a Pirlo un pallone sulla mattonella giusta: il replay non chiarisce se Stovini vada in anticipo su Rui con la mano o il ginocchio. Dalla mia posizione non sorge neppure il dubbio (fallo). Certo è che il fischietto osserva il contrasto di fronte e non da tergo (come la telecamera), pertanto o è guercio o è punizione. Protesta il difensore e fantasticheranno i moviolisti. Nel frattempo, il nostro Juninho bresciano picchia a tres dedos sulla valvola e indovina un'altra traiettoria da cartoon: prima sale tesa e centrale, poi scende improvvisamente a destra. Filo del palo e gol, come contro De Santis. Vengano a raccontarci che ANCHE Sicignano ha piazzato male la barriera... giornalismo da dilettanti allo sbaraglio. Inizia lo show del tiro fuori. Quando il Gila mette a sedere il portiere in dribbling, il gioco sembra fatto ma, invece di mirare fra i pali, gioca un diagonale fuori bersaglio: a me sa di assist più che di gol mancato, per come chiude il movimento verso centro area con l'interno del piede. Sarebbe lecito attendersi più egoismo dal nostro capocannoniere. La puntuale lezione al consumismo in zona gol arriva su traversone di Cassetti da destra. Di nuovo fatalità, per Stam che sale mezzo metro sopra Vucinic e schiaccia di testa: carambola sulla zucca dell'attaccante e il pallone scende verso l'area piccola; a veder l'olandese così alto in anticipo, nessuno mai avrebbe supposto quella beffa, tant'è che Maldini lascia passare Konan e il barbaro infila Dida. Chiare le analogie con il gol di Caracciolo. Il paradosso della domenica è che l'estremo leccese compie l'unico intervento decisivo su una demi-volée di Nesta (splendida acrobazia da bomber) solo nel finale: ricordo un Parma-Milan in cui replicò quel prodigio all'infinito. Con sei sostituzioni e due interruzioni per infortunio, i minuti di recupero fanno 5 (con buona pace dei dietrologi). Fossero stati 4, poco male: infatti è al 48' e rotti che parte l'ennesimo lancio di Sandrone dalle retrovie. Va Pippo col coltello fra i denti in duello aereo, girando palla al limite dell'area. Pirlo legge a memoria il suo movimento e gioca di testa verso l'area piccola, dove sa che potrà arrivare solo chi ha fame e rabbia. Gamba e cuore volano oltre l'ostacolo: il ginocchio ferito affonda nel ghiaccio ma la punta del destro arriva oltre l'estensione del muscolo e l'immaginazione di Sicignano... oltre i confini della realtà. Gol da delirio, (secondo) gol da 3 punti, gol da Superpippo!
La tribuna di Steve: supponenza e ottusità in salsa reggiana. Oggi come l'Ottomaggio. Ora e sempre. Il Lecce o la Juve, il turno 13 o la sfida tricolore: non fa alcuna differenza. Sono ancora tutti dentro. Anzi no: è fuori Simic! Torna in campo Stam, e dà subito l'idea di essere tutt'altro che in condizione. Viene da domandarsi se mercoledì notte Ancelotti si fosse fatto burla del croato, pronunciando le testuali parole: "questa volta do ragione al giocatore e contro l'allenatore... la prossima volta dovrò guardare meglio!". Se lo starà chiedendo soprattutto Dario, misteriosamente tenuto ai margini per tre anni malgrado la comprovata affidabilità. Avanti di questo passo, chiederei al Nostro dove abbia guardato, durante gli allenamenti di giovedì e venerdì, per arrivare a escludere (di nuovo) Inzaghi: il Balon d'Or è svuotato: lo si nota da come gira al largo dell'area di rigore, limitandosi al contributo di pura abnegazione in copertura e in ripartenza. Meritava di cedere il suo alloro sulla scena di Istanbul. Non parliamo del Gila, visibilmente annebbiato davanti a Sicignano. Aggiungo: l'ingaggio (discutibile) di Vieri non era stato giustificato con la necessità di calare un ariete sui campi pesanti e di fronte agli avversari minori? Che dire poi del Sindaco, bastonato duro sotto al ginocchio (tre giorni fa si paventava addirittura un menisco) e oggi regolarmente in campo, mentre Vogel fa la muffa in panchina? Chiuderei la lista con Seedorf: ispirato e inesauribile in Champions, non si poteva umanamente attendere il bis contro un Lecce da fondo classifica. Ora qui sta ad intedersi una volta per tutte: il tecnico dica chiaro al mondo che "squadra che vince non si cambia" e metteremo finalmente l'anima in pace. Innanzi tutto la Società, che ogni anno allestisce una rosa di 15-16 potenziali titolari, supponendo che verranno impiegati come tali. In secondo luogo il Popolo Rossonero, che dopo il suicidio di maggio riteneva di doversi attendere più turnover per arrivare alla resa dei conti meno bolliti della scorsa stagione. Infine i diretti interessati, gli esclusi a prescindere - dico Inzaghi, Ambrosini, Simic, Rui Costa e lo stesso Serginho, fino a pochi mesi or sono: solo per citare i calibri grossi - che dovranno fare buon viso a cattiva sorte, quando il tecnico racconta che "va in campo sempre chi sta meglio". La ciliegina sulla torta agra di domenica sera è che Galliani interrompa il suo "sofferto silenzio" per comunicare che abbiamo anticipato NOI il turno - e non l'Inter - per evitare cattivi pensieri... Di nuovo, sentiti ringraziamenti da parte del Milan, caro Presidente di Lega e della Commissione Fifa! Immaginarsi se, anticipando, fossimo scivolati a meno 7... Degno corollario di una serata mesta, quanto lo striscione delle Brigate sistemato al centro della Sud.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho (Costacurta dal 18 ST), Gattuso (Jankulovski dal 35 ST), Pirlo, Seedorf, Rui Costa, Shevchenko, Giardino (Inzaghi dal 28 ST).
Il tema tattico: Lazzaro, alzati e cammina... 72 ore dopo, siamo di nuovo in campo con i dieci undicesimi della trasferta di Istanbul. Unico escluso di fatto è Dario Simic: autentica "rivelazione" (Carlone dixit) del Sokru Saracoglu. L'azzardo è forte. Attendersi più di un'ora di autonomia, fisica e nervosa, dopo i 90 minuti dentro/fuori di Champions è, alternativamente, visionario o miope. A ciò si aggiunga che il terreno è duro per l'abbondante nevicata mattutina, sulle corsie laterali addirittura si pattina. L'esito scontato è che i locomotori esterni viaggiano a scartamento ridotto. La buona sorte è sbloccare subito su calcio da fermo. Il ritmo inziale è frenetico. Il Lecce riparte a testa alta, ma sale male sul fuorigioco e per tre volte il Gila grazia Sicignano vis-à-vis. Conto, in totale, almeno nove situazioni d'attacco buone per chiudere i giochi ma, come in Turchia nel primo tempo, le falliamo in mirabile sequenza. Il divario minimo lascia, tutto sommato, sereni per la pochezza della linea offensiva di Baldini: davanti ne schiera tre, ma il mandato è aggredire i nostri portatori di palla prima che la nostra area. Il secondo tempo inizia su ritmi ancora accettabili, sebbene con un accenno di flessione anche nei centrali. Gli attaccanti hanno ora mai le polveri brinate. Quando al quarto d'ora Cassetti sfonda il quadricipite di Sergio con una ginocchiata (tutto regolare per Tombolini), Ancelotti calca la mano e manda dentro Billy: seconda bocciatura per Simic. La dura lezione della sorte, a metà tempo, è il prevedibile punto del pari: triste quanto puntuale la ricorrenza di un-tiro-un-gol. I nostri ora sono davvero sulle gambe e non resta che la forza della disperazione per non perdere il treno tricolore. Il capitano è costretto a ringiovanire di dieci anni e sobbarcarsi la spinta sulla fascia, improbabile attenderselo dal Professore. Ma il santo delle cause perse si chiama Pippo, e l'ineffabile Carlone lo butta nella mischia a un quarto dalla fine. Mezzora a sbuffare e scalpitare a bordo campo, con la prospettiva di rivestire la tuta e guardare entrare Vieri: stile Istanbul. Invece qua occorre il miracolo, e chi mai più del 9 Rossonero? Entra come un puledro imbizzarrito e al primo contrasto in area va giù con Diamoutene: si gioca. Se il Lecce avesse classe e gambe potrebbe solcare la trequarti aperta e prendersi il bottino pieno: ci prova solo Ledesma al 44' e spolvera la traversa. Replica Janku un minuto dopo, prima della catarsi e la salvazione in pieno recupero. In Rino veritas: il Lazzaro di Reggiolo ringrazi il Santo di Piacenza.
Gli episodi chiave: tre punti oltre i confini della realtà. Appena tre giri di lancette e Tombolini consegna a Pirlo un pallone sulla mattonella giusta: il replay non chiarisce se Stovini vada in anticipo su Rui con la mano o il ginocchio. Dalla mia posizione non sorge neppure il dubbio (fallo). Certo è che il fischietto osserva il contrasto di fronte e non da tergo (come la telecamera), pertanto o è guercio o è punizione. Protesta il difensore e fantasticheranno i moviolisti. Nel frattempo, il nostro Juninho bresciano picchia a tres dedos sulla valvola e indovina un'altra traiettoria da cartoon: prima sale tesa e centrale, poi scende improvvisamente a destra. Filo del palo e gol, come contro De Santis. Vengano a raccontarci che ANCHE Sicignano ha piazzato male la barriera... giornalismo da dilettanti allo sbaraglio. Inizia lo show del tiro fuori. Quando il Gila mette a sedere il portiere in dribbling, il gioco sembra fatto ma, invece di mirare fra i pali, gioca un diagonale fuori bersaglio: a me sa di assist più che di gol mancato, per come chiude il movimento verso centro area con l'interno del piede. Sarebbe lecito attendersi più egoismo dal nostro capocannoniere. La puntuale lezione al consumismo in zona gol arriva su traversone di Cassetti da destra. Di nuovo fatalità, per Stam che sale mezzo metro sopra Vucinic e schiaccia di testa: carambola sulla zucca dell'attaccante e il pallone scende verso l'area piccola; a veder l'olandese così alto in anticipo, nessuno mai avrebbe supposto quella beffa, tant'è che Maldini lascia passare Konan e il barbaro infila Dida. Chiare le analogie con il gol di Caracciolo. Il paradosso della domenica è che l'estremo leccese compie l'unico intervento decisivo su una demi-volée di Nesta (splendida acrobazia da bomber) solo nel finale: ricordo un Parma-Milan in cui replicò quel prodigio all'infinito. Con sei sostituzioni e due interruzioni per infortunio, i minuti di recupero fanno 5 (con buona pace dei dietrologi). Fossero stati 4, poco male: infatti è al 48' e rotti che parte l'ennesimo lancio di Sandrone dalle retrovie. Va Pippo col coltello fra i denti in duello aereo, girando palla al limite dell'area. Pirlo legge a memoria il suo movimento e gioca di testa verso l'area piccola, dove sa che potrà arrivare solo chi ha fame e rabbia. Gamba e cuore volano oltre l'ostacolo: il ginocchio ferito affonda nel ghiaccio ma la punta del destro arriva oltre l'estensione del muscolo e l'immaginazione di Sicignano... oltre i confini della realtà. Gol da delirio, (secondo) gol da 3 punti, gol da Superpippo!
La tribuna di Steve: supponenza e ottusità in salsa reggiana. Oggi come l'Ottomaggio. Ora e sempre. Il Lecce o la Juve, il turno 13 o la sfida tricolore: non fa alcuna differenza. Sono ancora tutti dentro. Anzi no: è fuori Simic! Torna in campo Stam, e dà subito l'idea di essere tutt'altro che in condizione. Viene da domandarsi se mercoledì notte Ancelotti si fosse fatto burla del croato, pronunciando le testuali parole: "questa volta do ragione al giocatore e contro l'allenatore... la prossima volta dovrò guardare meglio!". Se lo starà chiedendo soprattutto Dario, misteriosamente tenuto ai margini per tre anni malgrado la comprovata affidabilità. Avanti di questo passo, chiederei al Nostro dove abbia guardato, durante gli allenamenti di giovedì e venerdì, per arrivare a escludere (di nuovo) Inzaghi: il Balon d'Or è svuotato: lo si nota da come gira al largo dell'area di rigore, limitandosi al contributo di pura abnegazione in copertura e in ripartenza. Meritava di cedere il suo alloro sulla scena di Istanbul. Non parliamo del Gila, visibilmente annebbiato davanti a Sicignano. Aggiungo: l'ingaggio (discutibile) di Vieri non era stato giustificato con la necessità di calare un ariete sui campi pesanti e di fronte agli avversari minori? Che dire poi del Sindaco, bastonato duro sotto al ginocchio (tre giorni fa si paventava addirittura un menisco) e oggi regolarmente in campo, mentre Vogel fa la muffa in panchina? Chiuderei la lista con Seedorf: ispirato e inesauribile in Champions, non si poteva umanamente attendere il bis contro un Lecce da fondo classifica. Ora qui sta ad intedersi una volta per tutte: il tecnico dica chiaro al mondo che "squadra che vince non si cambia" e metteremo finalmente l'anima in pace. Innanzi tutto la Società, che ogni anno allestisce una rosa di 15-16 potenziali titolari, supponendo che verranno impiegati come tali. In secondo luogo il Popolo Rossonero, che dopo il suicidio di maggio riteneva di doversi attendere più turnover per arrivare alla resa dei conti meno bolliti della scorsa stagione. Infine i diretti interessati, gli esclusi a prescindere - dico Inzaghi, Ambrosini, Simic, Rui Costa e lo stesso Serginho, fino a pochi mesi or sono: solo per citare i calibri grossi - che dovranno fare buon viso a cattiva sorte, quando il tecnico racconta che "va in campo sempre chi sta meglio". La ciliegina sulla torta agra di domenica sera è che Galliani interrompa il suo "sofferto silenzio" per comunicare che abbiamo anticipato NOI il turno - e non l'Inter - per evitare cattivi pensieri... Di nuovo, sentiti ringraziamenti da parte del Milan, caro Presidente di Lega e della Commissione Fifa! Immaginarsi se, anticipando, fossimo scivolati a meno 7... Degno corollario di una serata mesta, quanto lo striscione delle Brigate sistemato al centro della Sud.
23 novembre, 2005
FENERBAHÇE 0 - SHEVA 4
(16 PT) Shevchenko, (6 ST) Shevchenko, (25 ST) Shevchenko, (31 ST) Shevchenko.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso (Vogel dal 31 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà (Rui Costa dal 19 PT), Gilardino (Vieri dal 30 ST), Shevchenko.
Il tema tattico: notte da Diavolo nell'inferno turco. Sotto una pioggia battente di fischi e acqua gelida, iniziamo contratti a protezione dell'area. Primo non prenderle, infatti le linee di centro e difesa sono ammassate una sull'altra, a troppi metri dalla linea d'attacco. Ci scopriamo spesso sul centrosinistra, dove Seedorf cerca le misure del campo. Carlone ha schierato - neanche a dirlo - il suo Undici dei Sogni: unica novità Dario Simic, per l'assenza concomitante di Stam e Cafu. Sarà lui la rivelazione della serata, straodinario per affidabilità e carisma. Perdiamo subito Kakà per una contusione all'anca, e forse non è un disastro: il Bambino ha bisogno di rifiatare, dentro Rui Costa. I turchi hanno assenze pesanti: Marco Aurelio e Fabio Luciano squalificati, fuori anche la stella Alex. C'è poca qualità e si nota dal folto centrocampo a cinque, che costruisce macchinosamente, isola un abulico Anelka e perde troppi palloni. Ne recupererà un numero incalcolabile Pirlo. Ma intercetta la prima lo Zionero, che manda in porta il Balon d'Or. I padroni di casa accusano il colpo e sbandano paurosamente dietro. Abbiamo una decina di situazioni d'attacco dopo il vantaggio, ma poca lucidità negli ultimi metri: clamorosa la zappata del portoghese su un appoggio geniale ancora di Seedorf, all'altezza del dischetto. Il rischio è quello di tenere in gioco i gialloblu e di fatto arriverà il prevedibile forcing prima del the. Ma il movimento longitudinale del biellese (su tutto il fronte d'attacco) combinato al movimento latitudinale dell'ucraino (a destra, a sinistra, al centro) garantisce le due dimensioni alla nostra manovra d'attacco. La verità è che la squadra gira in armonia quando il trio di centrocampo esprime il top del repertorio. Pirlo è inesauribile in copertura, Il Sindaco va in aggressione su ogni filo d'erba e lo Zio d'Olanda è ispirato dagli dei: giostra a piacimento sul terreno pesante col suo baricentro basso, piede perno e rotazione, fulmineo sul breve, esce dalla marcatura e con aperture verticali illumina la notte turca: manuale di calcio universale! Davanti a Dida, la coppia d'assi non fallisce un colpo: la giornata non può essere sempre viola... Prudente Sergio nel primo tempo, nella ripresa trova la corsia aperta per galoppare come più gli garba e lasciare il segno. Rui Costa aggiunge geometria, a prescindere dalle amnesie che a caldo restano indisponenti. Il crollo psicologico del Fenerbahçe, alla fine, sorprende. Ma era la notte del Balon d'Or: in una sola parola, incontenibile.
Gli episodi chiave: sette volte "7". Quando al quarto d'ora Kakà stringe i denti e tira il muscolo, temiamo un baro segno del destino. Al contrario, la notte delle favole sta per cominciare, con Seedorf che cattura un pallone a metacampo, alza la testa e lancia una stella filante oltre la mediana: progressione imperiosa di Sheva e colpo letale fra le gambe di Volkan. La nostra manovra più bella è una doppia triangolazione disegnata dal Gila con Simic: anticipo di testa e legno esterno del bomber, sempre più intenso per dedizione e concretezza. A seguire, l'unica conclusione pericolosa degli upmini di Daum: il sinistro teso di Yozgatli solca tutta l'area ma si spegne a lato. Nei cinque minuti finali (più due di recupero) i gialloblu spostano avanti il baricentro, cercando ossessivamente il cross: sono preziose due prese di Nelson, per dare tranquillità al reparto e stemperare i bollenti spiriti. Il capitano si distingue sulle respinte aeree, ma la chiave di volta è un recupero in tackle sulla trequarti offensiva, che stronca una ripartenza mortifera dei padroni di casa. Non basta: incursione finale di Tuncay, che salta tre dei nostri come birilli e penetra a fondo area, parte l'appoggio al centro e ancora Paolino in scivolata sventa in corner. Come in uno spot: mica male per uno che doveva smettere a settembre... e sono 150 presenze di Coppa. Nel secondo tempo andiamo subito in gol con una splendida verticalizzazione di Pirlo per Seedorf, il Gila rifinisce al limite dell'area per Sheva: dribbling secco sull'uomo con l'interno destro e shoot furibondo da fermo con il sinistro, una fiondata nell'angolo basso. Balon d'Or! I calcioni subiti al tallone dolente (due) nel primo tempo, ora non fanno più male. Sulla
risposta di Onder dalla distanza, Didone la toglie dal sette. Sheva vola via da ogni lato: per tre volte è solo davanti a Volkan, che fa miracoli. Al quarto tentativo, parte Sergio sulla sinistra, la mette a giro rasoterra e il piattone di destro è un gioco da ragazzi. Tutto lo stadio è in piedi! Entra Vieri e gioca subito l'assist per il quarto. In totale potevano essere sette le gemme del 7 Rossonero: peccato specie per l'ultimo pallone di Seedorf, che prova a piazzare il destro invece che appoggiare a Sheva, smarcato per la cinquina. Mi si perdonerà... ma questa è ingordigia da Shevalover :-)
La tribuna di Steve: l'altra Istanbul ai piedi del Balon d'Or. Minuto 69: il pubblico del Sokru Saracoglu spegne nel silenzio la pioggia di fischi che aveva riversato sui nostri al kick-off, si alza in piedi e fa scrosciare solo applausi: Andry Shevchenko ha appena appoggiato in gol il suo terzo pallone dopo tre salvataggi di Volkan, generoso e indomabile. Si chiama standing ovation, e non accade tutte le sere su un campo di calcio. Specie nella massima competizione europea. Nessuno poi avrebbe pensato di attenderselo in uno stadio che, solo una settimana prima, era stato teatro di una rissa indecente nello spareggio Turchia-Svizzera per l'accesso ai Mondiali. Accade al Milan. E accade al Balon d'Or, che qui un anno fa ottenne l'incoronazione con una doppietta alla nazionale di casa. A memoria, dubito sia accaduto ad un'altra squadra italiana. Sono certo che non è MAI accaduto alla squadra con le strisce bianconere: in Italia, in Europa o dovunque nel mondo. Accadde invece ai Rossoneri già nel 1993, ed ero presente al Parken di Copenhagen, quella sera gelida di Champions: 0 a 6, coi danesi in delirio per il Diavolo. Certo, un'autentica disdetta per i catastrofisti dei media! Attendevano la nostra ecatombe nella bolgia della fatal Istanbul, erano pronti ad intonare il de profundis per il Milan di Ancelotti. Accade, viceversa, che i nostri Ragazzi qua scrivano una pagina di storia (un'altra), incantando i rivali e lanciando un avvertimento al Continente del calcio. Quattro reti del Balon d'Or, come solo l'immenso Cigno di Utrecht al Goteborg. Passi decisi nell'Olimpo Rossonero, verso il record "irraggiungibile" di Nordhal. E fanno cinquanta reti in Champions (50!), una meno del primatista merengue Raul. Complessivamente, 54 nelle Coppe: segnò di più solo il leggendario Gerd Muller negli Anni Settanta. Questi sono i numeri del 7 Rossonero: history maker. Lunedì prossimo consegnerà - dicono - il SUO Pallone d'Oro all'extraterrestre del Barca. "Giusto così" ha commentato Sheva,"Ronaldinho fa vincere la sua squadra, diverte la gente e gioca sempre col sorriso sulle labbra". Ma il pallone di Fenerbahçe-Milan se lo è portato a casa e lo terrà per sempre: lo ha autografato la terna arbitrale e consegnato nelle mani del "Balon d'Or" in carica. Anche questo accade solo a pochi eletti: tradizione quanto mai british, come è costume nella patria del football e di certi valori sportivi, incomprensibili nel mondo latino e più che mai nel meschino cortile italiota. "Ringrazio la squadra", ha chiuso Sheva, "ma preferirei segnarne uno per quattro partite consecutive, piuttosto che quattro in una partita sola". E gli altri si tengano pure i loro fenomeni e imperatori.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso (Vogel dal 31 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà (Rui Costa dal 19 PT), Gilardino (Vieri dal 30 ST), Shevchenko.
Il tema tattico: notte da Diavolo nell'inferno turco. Sotto una pioggia battente di fischi e acqua gelida, iniziamo contratti a protezione dell'area. Primo non prenderle, infatti le linee di centro e difesa sono ammassate una sull'altra, a troppi metri dalla linea d'attacco. Ci scopriamo spesso sul centrosinistra, dove Seedorf cerca le misure del campo. Carlone ha schierato - neanche a dirlo - il suo Undici dei Sogni: unica novità Dario Simic, per l'assenza concomitante di Stam e Cafu. Sarà lui la rivelazione della serata, straodinario per affidabilità e carisma. Perdiamo subito Kakà per una contusione all'anca, e forse non è un disastro: il Bambino ha bisogno di rifiatare, dentro Rui Costa. I turchi hanno assenze pesanti: Marco Aurelio e Fabio Luciano squalificati, fuori anche la stella Alex. C'è poca qualità e si nota dal folto centrocampo a cinque, che costruisce macchinosamente, isola un abulico Anelka e perde troppi palloni. Ne recupererà un numero incalcolabile Pirlo. Ma intercetta la prima lo Zionero, che manda in porta il Balon d'Or. I padroni di casa accusano il colpo e sbandano paurosamente dietro. Abbiamo una decina di situazioni d'attacco dopo il vantaggio, ma poca lucidità negli ultimi metri: clamorosa la zappata del portoghese su un appoggio geniale ancora di Seedorf, all'altezza del dischetto. Il rischio è quello di tenere in gioco i gialloblu e di fatto arriverà il prevedibile forcing prima del the. Ma il movimento longitudinale del biellese (su tutto il fronte d'attacco) combinato al movimento latitudinale dell'ucraino (a destra, a sinistra, al centro) garantisce le due dimensioni alla nostra manovra d'attacco. La verità è che la squadra gira in armonia quando il trio di centrocampo esprime il top del repertorio. Pirlo è inesauribile in copertura, Il Sindaco va in aggressione su ogni filo d'erba e lo Zio d'Olanda è ispirato dagli dei: giostra a piacimento sul terreno pesante col suo baricentro basso, piede perno e rotazione, fulmineo sul breve, esce dalla marcatura e con aperture verticali illumina la notte turca: manuale di calcio universale! Davanti a Dida, la coppia d'assi non fallisce un colpo: la giornata non può essere sempre viola... Prudente Sergio nel primo tempo, nella ripresa trova la corsia aperta per galoppare come più gli garba e lasciare il segno. Rui Costa aggiunge geometria, a prescindere dalle amnesie che a caldo restano indisponenti. Il crollo psicologico del Fenerbahçe, alla fine, sorprende. Ma era la notte del Balon d'Or: in una sola parola, incontenibile.
Gli episodi chiave: sette volte "7". Quando al quarto d'ora Kakà stringe i denti e tira il muscolo, temiamo un baro segno del destino. Al contrario, la notte delle favole sta per cominciare, con Seedorf che cattura un pallone a metacampo, alza la testa e lancia una stella filante oltre la mediana: progressione imperiosa di Sheva e colpo letale fra le gambe di Volkan. La nostra manovra più bella è una doppia triangolazione disegnata dal Gila con Simic: anticipo di testa e legno esterno del bomber, sempre più intenso per dedizione e concretezza. A seguire, l'unica conclusione pericolosa degli upmini di Daum: il sinistro teso di Yozgatli solca tutta l'area ma si spegne a lato. Nei cinque minuti finali (più due di recupero) i gialloblu spostano avanti il baricentro, cercando ossessivamente il cross: sono preziose due prese di Nelson, per dare tranquillità al reparto e stemperare i bollenti spiriti. Il capitano si distingue sulle respinte aeree, ma la chiave di volta è un recupero in tackle sulla trequarti offensiva, che stronca una ripartenza mortifera dei padroni di casa. Non basta: incursione finale di Tuncay, che salta tre dei nostri come birilli e penetra a fondo area, parte l'appoggio al centro e ancora Paolino in scivolata sventa in corner. Come in uno spot: mica male per uno che doveva smettere a settembre... e sono 150 presenze di Coppa. Nel secondo tempo andiamo subito in gol con una splendida verticalizzazione di Pirlo per Seedorf, il Gila rifinisce al limite dell'area per Sheva: dribbling secco sull'uomo con l'interno destro e shoot furibondo da fermo con il sinistro, una fiondata nell'angolo basso. Balon d'Or! I calcioni subiti al tallone dolente (due) nel primo tempo, ora non fanno più male. Sulla
risposta di Onder dalla distanza, Didone la toglie dal sette. Sheva vola via da ogni lato: per tre volte è solo davanti a Volkan, che fa miracoli. Al quarto tentativo, parte Sergio sulla sinistra, la mette a giro rasoterra e il piattone di destro è un gioco da ragazzi. Tutto lo stadio è in piedi! Entra Vieri e gioca subito l'assist per il quarto. In totale potevano essere sette le gemme del 7 Rossonero: peccato specie per l'ultimo pallone di Seedorf, che prova a piazzare il destro invece che appoggiare a Sheva, smarcato per la cinquina. Mi si perdonerà... ma questa è ingordigia da Shevalover :-)
La tribuna di Steve: l'altra Istanbul ai piedi del Balon d'Or. Minuto 69: il pubblico del Sokru Saracoglu spegne nel silenzio la pioggia di fischi che aveva riversato sui nostri al kick-off, si alza in piedi e fa scrosciare solo applausi: Andry Shevchenko ha appena appoggiato in gol il suo terzo pallone dopo tre salvataggi di Volkan, generoso e indomabile. Si chiama standing ovation, e non accade tutte le sere su un campo di calcio. Specie nella massima competizione europea. Nessuno poi avrebbe pensato di attenderselo in uno stadio che, solo una settimana prima, era stato teatro di una rissa indecente nello spareggio Turchia-Svizzera per l'accesso ai Mondiali. Accade al Milan. E accade al Balon d'Or, che qui un anno fa ottenne l'incoronazione con una doppietta alla nazionale di casa. A memoria, dubito sia accaduto ad un'altra squadra italiana. Sono certo che non è MAI accaduto alla squadra con le strisce bianconere: in Italia, in Europa o dovunque nel mondo. Accadde invece ai Rossoneri già nel 1993, ed ero presente al Parken di Copenhagen, quella sera gelida di Champions: 0 a 6, coi danesi in delirio per il Diavolo. Certo, un'autentica disdetta per i catastrofisti dei media! Attendevano la nostra ecatombe nella bolgia della fatal Istanbul, erano pronti ad intonare il de profundis per il Milan di Ancelotti. Accade, viceversa, che i nostri Ragazzi qua scrivano una pagina di storia (un'altra), incantando i rivali e lanciando un avvertimento al Continente del calcio. Quattro reti del Balon d'Or, come solo l'immenso Cigno di Utrecht al Goteborg. Passi decisi nell'Olimpo Rossonero, verso il record "irraggiungibile" di Nordhal. E fanno cinquanta reti in Champions (50!), una meno del primatista merengue Raul. Complessivamente, 54 nelle Coppe: segnò di più solo il leggendario Gerd Muller negli Anni Settanta. Questi sono i numeri del 7 Rossonero: history maker. Lunedì prossimo consegnerà - dicono - il SUO Pallone d'Oro all'extraterrestre del Barca. "Giusto così" ha commentato Sheva,"Ronaldinho fa vincere la sua squadra, diverte la gente e gioca sempre col sorriso sulle labbra". Ma il pallone di Fenerbahçe-Milan se lo è portato a casa e lo terrà per sempre: lo ha autografato la terna arbitrale e consegnato nelle mani del "Balon d'Or" in carica. Anche questo accade solo a pochi eletti: tradizione quanto mai british, come è costume nella patria del football e di certi valori sportivi, incomprensibili nel mondo latino e più che mai nel meschino cortile italiota. "Ringrazio la squadra", ha chiuso Sheva, "ma preferirei segnarne uno per quattro partite consecutive, piuttosto che quattro in una partita sola". E gli altri si tengano pure i loro fenomeni e imperatori.
20 novembre, 2005
FIORENTINA 3 - MILAN 1
(10 PT) Toni, (24 PT) Gilardino, (32 ST) Jorgensen, (42 ST) Toni.
Abbiamo giocato con Dida, Stam (Cafu dal 18 ST), Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Rui Costa dal 15 ST), Kakà (Inzaghi dal 29 ST), Shevchenko, Gilardino.
Il tema tattico: l'Undici dei Sogni vs l'undici dei viola. Carlo Ancelotti è fermo all'Ottomaggio, è il suo giorno della marmotta. Ha undici nomi in testa: sono i più forti e sono i più belli. Toccano il pallone di fino e quando girano all'unisono, i virtuosismi diventano sinfonia. Eccoli allineati, come un mazzetto di figurine Panini. Da Dida a Gila: sono tutti in campo, non occorre pretattica. Fatta salva la fisiologica alternanza Stam-Cafu nel ruolo di laterale destro, quindici giorni fa lui li aveva immaginati così. E poco conta che le Nazionali gli abbiano restituito, come di norma, sacchi vuoti di energie fisiche e nervose. Pirlo torna fantasma impalpabile, il Sindaco non ringhia ma grufola sulla mediana: e con ciò ne avremmo abbastanza per dire che il centrocampo è viola, laddove l'ottimo e onesto Prandelli aggiunge un uomo (il talentino atalantino Montolivo) per rinunciare a una punta. Stesso tema tattico di Genova (là fu Zauli per Flachi) e analogo esito. Da subito, la trequarti è terra di conquista: subiamo due ripartenze a freddo, col settore di destra pericolosamente aperto (Jappone è fuori giri): rimedia la coppia d'assi al centro. Dieci minuti e siamo in corto circuito sul primo calcio da fermo. Senza spinta sulle fasce (a sinistra Sergio ha poca gamba, dall'altro lato non se ne parla nemmeno), la manovra è retta ora e sempre dallo Zionero: ma porta i guanti neri, segno che è infastidito dal clima. Non pervenuto Kakà, le uniche note liete vengono dalla linea d'offesa: rientra Sheva dopo giorni trentuno, e fa splendida coppia con il Gila più concreto della stagione. In sofferenza il Balon d'Or (forzato da subito a 90 minuti ingiustificabili), l'alchimia tecnica e tattica della nuova coppia è esplosiva, almeno in prospettiva: i due highlight della domenica li confezionano loro in finissimo fraseggio, uno per tempo e senza fortuna nella conclusione. Il Gila punisce, però, sul primo e ultimo tocco magico di Sergio. Ne mette due ma, come contro Udine, gliene cancellano uno (pesante): farebbero 10 in dieci turni... e ho già detto in passato. Con ciò, mettiamo la Fiorentina in soggezione per almeno un'ora: raccolta in trenta metri, a difendere. Ma ci puniscono (come a Marassi) gli episodi: subiamo tre tiri nello specchio e tre gol (là furono due e due gol). I colpi mortali li inferisce, peraltro, la coppia arbitrale: in quel momento, come altrove, invece di ruggire mugoliamo e dalla panchina arriva un harakiri, con Seedorf ereticamente escluso per Rui Costa. Imbarazzante il quarto d'ora finale a tre punte, di cui non ricordo precedenti su questa sponda del Naviglio...
Gli episodi chiave: odore acre di Juventinove... 45 minuti per eliminare dal campo il Bambino d'Oro: questa volta non occorre un mastino alla Poulsen o alla Simons, basta un anonimo Rodomonti da Roma. Scientifica la sequenza degli interventi nella prima mezzora. Su una copertura difensiva, palleggio e carambola fortuita sul braccio: punizione e gol. Sulla fascia, contrasto a spallate con Brocchi: fallo e cartellino giallo da urlo. Infine, fuga (l'unica) nella corsia centrale con intervento in scivolata subìto da tergo, caduta e fischio contro per fallo di mano! Un'apoteosi, suggellata da una spinta sulla schiena del Gila al limite dell'area: tutto regolare, nel finale in crescendo rossonero che poteva cambiare il corso della gara. Dopo l'intervallo, il fischietto cede le redini dell'incontro allo sbandieratore di linea, che fissa il risultato finale. In area viola, Sheva gioca di tacco con spalle alla porta: Brocchi si adagia all'indietro e con il braccio aperto intercetta il pallone a terra. Copelli ha la prospettiva migliore, da pochi metri, ma non segnala a Rodomonti (verosimilmente coperto dalla mischia). Segnala, di converso - e questo è il capolavoro della giornata - un fallo del Gila sul volo d'angelo spettacolare che inchioderebbe il pari a due. Per onore di cronaca: Dainelli tiene a distanza il nostro con il braccio destro teso, Gilardino con il sinistro si divincola e scivola, perdendo l'appoggio: qui si regge alla spalla del difensore (che cade su se stesso) e coglie lo slancio per il tuffo vincente. Non fossero stati tollerati contatti analoghi del corazziere Toni sul capitano, se ne potrebbe anche parlare... infatti Rodomonti aveva convalidato, né avevano protestato difensori e portiere. Coerenza zero. Si riprende e Toni mette il 3 a 1 finale, come si conviene. Prova della malafede arbitrale è l'episodio in area Milan nei minuti successivi: mani solare di Nesta, la giacchetta nera a cinque metri lascia proseguire. Ciò detto dei gol che ci hanno impedito di realizzare. Dei gol subiti (i due rilevanti) va rimarcata un'amnesia imperdonabile sul primo: se marchiamo a zona i calci da fermo, Toni lo deve prendere Sergio e non Paolo. Non è un difensore, e lo conferma al secondo 32 della ripresa: scivola Rino in interdizione sulla trequarti, parte un cross senza pretese a centro area, scivola Nesta sul piede d'appoggio in rinvio: la palla sfiora il tacco e fila sul piede di Jorgensen (posizione dubbia?) che fredda Dida, in splendida solitudine. Domenica no. E lo conferma lo stiramento di Cafu, a tempo scaduto: con Stam squalificato, si andrà a Istanbul con la destra scoperta.
La tribuna di Steve: il sofferto silenzio dei parvenu. "Questo non è più calcio... mi dispiace per chi crede ancora che il calcio sia una cosa seria: la logica è che dovevamo perdere il campionato". Gianni Rivera, 12 marzo 1972. Parlavamo così trent'anni fa, perché la storia del pallone in Italia non è mai stata diversa da oggi. Non si vince il tricolore nelle annate
in cui Piazza Crimea esprime una squadra competitiva. Dura Lex. Un anno fa, di questi stessi tempi, la medesima sceneggiatura: Juve in calo, Milan in crescita. Ad un turno dallo scontro diretto, occorreva salvaguardare il divario di 4 punti: e fu il capolavoro di Pieri a Bologna. A Torino, la direzione epocale di Bertini. Più avanti vennero Olimpico e Bentegodi sul fronte bianconero; per noi venne Bologna (a San Siro), poi Siena e il tripudio di maggio, entrambi griffati Collina. Quast'anno ho parlato in tempi non sospetti, ovvero dopo una tripla e una cinquina. Implacabile, la Legge. Avvicinarsi pericolosamente alla capolista equivale a incappare in quelle sfortunate sviste arbitrali... Oggi come trent'anni fa sul campo di Cagliari. Sabato all'Olimpico occorreva un lavoretto pulito, come per Roma-Juve della passata edizione: nulla di così clamoroso, è stato sufficiente chiudere gli occhi su una cintura di Cannavaro a Montella (sullo 0-0) e lasciare correre il fenomeno slavosvedese a gomiti alti (toh) per chiudere il conto. Il resto del copione lo recitano avversari mediocri o compiacenti e scribacchini o strilloni zelanti. Così accade di leggere di un Milan "schiantato" dalla Fiorentina e di un Toni "stratosferico": per inciso, ne ha viste due in 90 minuti, azzerato per il resto da Nesta&Maldini. Bravo a toccarle di testa, ma per decenza non sfiorate il Gila! Inghiottiamo fiele, siamo avvezzi: questo è il calcio da divulgazione per il pubblico bue del brogiess' de lluneddì. Ma c'è un limite alla sopportazione. Che la Televisione di Stato incoroni Copelli come un collaboratore "di personalità" per le iniziative che ha preso e non preso è un po' oltre il buon gusto. Oggi come trent'anni fa, quando su Mamma(santissima) Rai la domenica sportiva era quella che decideva di raccontare Carlo Sassi. Ai tempi avevamo un capitano di classe e carisma: il Gianni ci metteva faccia, opere (d'arte) e parole. E portava a casa quattro mesi di squalifica, se necessario: stagioni concluse a marzo, con buona pace di Barbaresco e Michelotti. Perciò lo chiamavamo "la Bandiera Rossonera". Oggi abbiamo solo omissioni, parole garbate del nostro capitano tumefatto ed il solito "sofferto silenzio" della dirigenza: mi obbliga la mia posizione di Presidente di Lega... oh, so politically correct. Congratulazioni Galliani. Resti ben saldo alla sua Poltrona, seduto al convivio dei Grandi, e si compiaccia della sua scalata al Potere. Arrossisca anche, quando arrivano schiaffi in volto, ma poi taccia e raccolga le briciole. Se ne lascia la Vecchia Signora.
No, questo non è più calcio. Questo non è più Milan. Quelle non sono più le nostre Bandiere.
Abbiamo giocato con Dida, Stam (Cafu dal 18 ST), Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Rui Costa dal 15 ST), Kakà (Inzaghi dal 29 ST), Shevchenko, Gilardino.
Il tema tattico: l'Undici dei Sogni vs l'undici dei viola. Carlo Ancelotti è fermo all'Ottomaggio, è il suo giorno della marmotta. Ha undici nomi in testa: sono i più forti e sono i più belli. Toccano il pallone di fino e quando girano all'unisono, i virtuosismi diventano sinfonia. Eccoli allineati, come un mazzetto di figurine Panini. Da Dida a Gila: sono tutti in campo, non occorre pretattica. Fatta salva la fisiologica alternanza Stam-Cafu nel ruolo di laterale destro, quindici giorni fa lui li aveva immaginati così. E poco conta che le Nazionali gli abbiano restituito, come di norma, sacchi vuoti di energie fisiche e nervose. Pirlo torna fantasma impalpabile, il Sindaco non ringhia ma grufola sulla mediana: e con ciò ne avremmo abbastanza per dire che il centrocampo è viola, laddove l'ottimo e onesto Prandelli aggiunge un uomo (il talentino atalantino Montolivo) per rinunciare a una punta. Stesso tema tattico di Genova (là fu Zauli per Flachi) e analogo esito. Da subito, la trequarti è terra di conquista: subiamo due ripartenze a freddo, col settore di destra pericolosamente aperto (Jappone è fuori giri): rimedia la coppia d'assi al centro. Dieci minuti e siamo in corto circuito sul primo calcio da fermo. Senza spinta sulle fasce (a sinistra Sergio ha poca gamba, dall'altro lato non se ne parla nemmeno), la manovra è retta ora e sempre dallo Zionero: ma porta i guanti neri, segno che è infastidito dal clima. Non pervenuto Kakà, le uniche note liete vengono dalla linea d'offesa: rientra Sheva dopo giorni trentuno, e fa splendida coppia con il Gila più concreto della stagione. In sofferenza il Balon d'Or (forzato da subito a 90 minuti ingiustificabili), l'alchimia tecnica e tattica della nuova coppia è esplosiva, almeno in prospettiva: i due highlight della domenica li confezionano loro in finissimo fraseggio, uno per tempo e senza fortuna nella conclusione. Il Gila punisce, però, sul primo e ultimo tocco magico di Sergio. Ne mette due ma, come contro Udine, gliene cancellano uno (pesante): farebbero 10 in dieci turni... e ho già detto in passato. Con ciò, mettiamo la Fiorentina in soggezione per almeno un'ora: raccolta in trenta metri, a difendere. Ma ci puniscono (come a Marassi) gli episodi: subiamo tre tiri nello specchio e tre gol (là furono due e due gol). I colpi mortali li inferisce, peraltro, la coppia arbitrale: in quel momento, come altrove, invece di ruggire mugoliamo e dalla panchina arriva un harakiri, con Seedorf ereticamente escluso per Rui Costa. Imbarazzante il quarto d'ora finale a tre punte, di cui non ricordo precedenti su questa sponda del Naviglio...
Gli episodi chiave: odore acre di Juventinove... 45 minuti per eliminare dal campo il Bambino d'Oro: questa volta non occorre un mastino alla Poulsen o alla Simons, basta un anonimo Rodomonti da Roma. Scientifica la sequenza degli interventi nella prima mezzora. Su una copertura difensiva, palleggio e carambola fortuita sul braccio: punizione e gol. Sulla fascia, contrasto a spallate con Brocchi: fallo e cartellino giallo da urlo. Infine, fuga (l'unica) nella corsia centrale con intervento in scivolata subìto da tergo, caduta e fischio contro per fallo di mano! Un'apoteosi, suggellata da una spinta sulla schiena del Gila al limite dell'area: tutto regolare, nel finale in crescendo rossonero che poteva cambiare il corso della gara. Dopo l'intervallo, il fischietto cede le redini dell'incontro allo sbandieratore di linea, che fissa il risultato finale. In area viola, Sheva gioca di tacco con spalle alla porta: Brocchi si adagia all'indietro e con il braccio aperto intercetta il pallone a terra. Copelli ha la prospettiva migliore, da pochi metri, ma non segnala a Rodomonti (verosimilmente coperto dalla mischia). Segnala, di converso - e questo è il capolavoro della giornata - un fallo del Gila sul volo d'angelo spettacolare che inchioderebbe il pari a due. Per onore di cronaca: Dainelli tiene a distanza il nostro con il braccio destro teso, Gilardino con il sinistro si divincola e scivola, perdendo l'appoggio: qui si regge alla spalla del difensore (che cade su se stesso) e coglie lo slancio per il tuffo vincente. Non fossero stati tollerati contatti analoghi del corazziere Toni sul capitano, se ne potrebbe anche parlare... infatti Rodomonti aveva convalidato, né avevano protestato difensori e portiere. Coerenza zero. Si riprende e Toni mette il 3 a 1 finale, come si conviene. Prova della malafede arbitrale è l'episodio in area Milan nei minuti successivi: mani solare di Nesta, la giacchetta nera a cinque metri lascia proseguire. Ciò detto dei gol che ci hanno impedito di realizzare. Dei gol subiti (i due rilevanti) va rimarcata un'amnesia imperdonabile sul primo: se marchiamo a zona i calci da fermo, Toni lo deve prendere Sergio e non Paolo. Non è un difensore, e lo conferma al secondo 32 della ripresa: scivola Rino in interdizione sulla trequarti, parte un cross senza pretese a centro area, scivola Nesta sul piede d'appoggio in rinvio: la palla sfiora il tacco e fila sul piede di Jorgensen (posizione dubbia?) che fredda Dida, in splendida solitudine. Domenica no. E lo conferma lo stiramento di Cafu, a tempo scaduto: con Stam squalificato, si andrà a Istanbul con la destra scoperta.
La tribuna di Steve: il sofferto silenzio dei parvenu. "Questo non è più calcio... mi dispiace per chi crede ancora che il calcio sia una cosa seria: la logica è che dovevamo perdere il campionato". Gianni Rivera, 12 marzo 1972. Parlavamo così trent'anni fa, perché la storia del pallone in Italia non è mai stata diversa da oggi. Non si vince il tricolore nelle annate
in cui Piazza Crimea esprime una squadra competitiva. Dura Lex. Un anno fa, di questi stessi tempi, la medesima sceneggiatura: Juve in calo, Milan in crescita. Ad un turno dallo scontro diretto, occorreva salvaguardare il divario di 4 punti: e fu il capolavoro di Pieri a Bologna. A Torino, la direzione epocale di Bertini. Più avanti vennero Olimpico e Bentegodi sul fronte bianconero; per noi venne Bologna (a San Siro), poi Siena e il tripudio di maggio, entrambi griffati Collina. Quast'anno ho parlato in tempi non sospetti, ovvero dopo una tripla e una cinquina. Implacabile, la Legge. Avvicinarsi pericolosamente alla capolista equivale a incappare in quelle sfortunate sviste arbitrali... Oggi come trent'anni fa sul campo di Cagliari. Sabato all'Olimpico occorreva un lavoretto pulito, come per Roma-Juve della passata edizione: nulla di così clamoroso, è stato sufficiente chiudere gli occhi su una cintura di Cannavaro a Montella (sullo 0-0) e lasciare correre il fenomeno slavosvedese a gomiti alti (toh) per chiudere il conto. Il resto del copione lo recitano avversari mediocri o compiacenti e scribacchini o strilloni zelanti. Così accade di leggere di un Milan "schiantato" dalla Fiorentina e di un Toni "stratosferico": per inciso, ne ha viste due in 90 minuti, azzerato per il resto da Nesta&Maldini. Bravo a toccarle di testa, ma per decenza non sfiorate il Gila! Inghiottiamo fiele, siamo avvezzi: questo è il calcio da divulgazione per il pubblico bue del brogiess' de lluneddì. Ma c'è un limite alla sopportazione. Che la Televisione di Stato incoroni Copelli come un collaboratore "di personalità" per le iniziative che ha preso e non preso è un po' oltre il buon gusto. Oggi come trent'anni fa, quando su Mamma(santissima) Rai la domenica sportiva era quella che decideva di raccontare Carlo Sassi. Ai tempi avevamo un capitano di classe e carisma: il Gianni ci metteva faccia, opere (d'arte) e parole. E portava a casa quattro mesi di squalifica, se necessario: stagioni concluse a marzo, con buona pace di Barbaresco e Michelotti. Perciò lo chiamavamo "la Bandiera Rossonera". Oggi abbiamo solo omissioni, parole garbate del nostro capitano tumefatto ed il solito "sofferto silenzio" della dirigenza: mi obbliga la mia posizione di Presidente di Lega... oh, so politically correct. Congratulazioni Galliani. Resti ben saldo alla sua Poltrona, seduto al convivio dei Grandi, e si compiaccia della sua scalata al Potere. Arrossisca anche, quando arrivano schiaffi in volto, ma poi taccia e raccolga le briciole. Se ne lascia la Vecchia Signora.
No, questo non è più calcio. Questo non è più Milan. Quelle non sono più le nostre Bandiere.
16 novembre, 2005
HIC SUNT LEONES, 1968-2005
COMUNICATO
"Non abbiamo voluto scrivere un comunicato in merito alla vicenda di Milan-Juve perché in queste occasioni non siamo soliti rispondere con questi mezzi ed anche questa volta non faremo alcuna comunicazione sui fatti, ci limitiamo solo a dire che un'esposizione di parte e di comodo può arrivare a far presupporre anche la più ignobile delle infamie, pur di accreditarsi una posizione di vantaggio, ma un'accusa ha bisogno di riscontri oggettivi e pertinenti, non può essere ambigua od evasiva perché altrimenti è delazione.
Questa storia ha posto in evidenza punti di vista ormai inconciliabili all'interno della nostra curva e dopo avere discusso e riscontrato divergenze incolmabili ed insanabili, siamo giunti all'amara ma orgogliosa decisione di scioglierci e chiudere così la meravigliosa avventura della Fossa dei Leoni.
Non è nostra intenzione utilizzare questo comunicato per difenderci dalle accuse mosseci, perché siamo certi che chi ha avuto l'onore di conoscere o di scontrarsi con la Fossa dei Leoni non può nemmeno immaginare che qualcuno possa essersi reso responsabile di ciò che ci viene addebitato.
Per 37 anni tutti i ragazzi che hanno fatto parte della Fossa dei Leoni hanno condiviso con essa i valori e lo spirito dei fondatori, li hanno portati avanti con passione, con dedizione ed una convinzione ineguagliabile, per tutte le generazioni succedutesi e mantenendo tra esse un filo conduttore senza interruzioni di sorta.
Queste sono state le nostre fortune, le nostre forze e le nostre conquiste e tutti noi anche oggi, in un giorno che mai avremmo immaginato, dobbiamo essere felici, orgogliosi e fieri d'avervi fatto parte, perché oggi finisce la storia della Fossa dei Leoni ma rimangono vivi e saldi dentro ciascuno di noi quei valori e quello spirito che sempre ci hanno contraddistinto".
Grazie a tutti.
Fossa dei Leoni
06 novembre, 2005
MILAN 5 - UDINESE 1
(25 PT) Gilardino, (37 PT) Seedorf, (45 PT) Pirlo, (8 ST) Gilardino, (15 ST) rig. Iaquinta, (32 ST) Kakà.
Abbiamo dato spettacolo con Dida, Cafu, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Jankulovski dal 20 ST), Kakà (Vogel dal 35 ST), Inzaghi (Rui Costa dal 26 ST), Gilardino.
Il tema tattico: la sinfonia del Diavolo. Dopo il trionfo di sabato e il passo falso di martedì, c'è tanta voglia di Milan a San Siro. E il Milan ha voglia di rispondere sul campo per confermare il trend di crescita. Lo si vede da subito, perché partiamo all'assalto. Dieci undicesimi sono quelli anti-Juve, salvo Cafu rientrante per Stam (ancora un risentimento muscolare, dopo le due battaglie in quattro giorni). Nei primi minuti, cross da sinistra e controcross da destra (pennellato da Rino) danno un assaggio di quella che sarà la domenica ad alta tensione di Pippo: sale come lui sa fare, in anticipo secco sulla coppia centrale, e la disegna a filo del palo. Cresce il ritmo, sebbene i friulani coprano con ordine gli spazi e l'antico Sensini si muova con la maestria di un Professore di nostra conoscenza. Ma i tempi sono maturi per l'esplosione definitiva dell'alter-ego di Pippo, Supergila. Mi piace insistere sul passaggio ideale di consegne che io vedo ad ogni turno sul campo fra il passato/presente che è Inzaghi e il presente/futuro che è Gilardino: nessuno come loro sa muoversi negli ultimi 10-15 metri, specie con le spalle alla porta; più fisico il biellese, più agile il piacentino, ma entrambi con il fiuto letale del cobra. E la pioggia battente è la cornice ideale per una gara giocata con biglie veloci sull'erba bagnata, che esalta le doti di palleggio basso dei nostri fini dicitori di centrocampo e le finalizzazioni fulminanti della Supercoppia d'attacco. Primo e secondo centro a San Siro per il grande flop del calciomercato (e son 7 in 9 presenze): cade anche l'ultimo argomento utile per i vaniloqui in rosa. Di lì in avanti è una sinfonia in crescendo. Tocchi magistrali di prima per uscire in alleggerimento dalla fase difensiva, e di prima un grande Pirlo distribuisce lanci sempre in verticale. Tutta l'orchestra dà il meglio di sè, e il risultato corale è un calcio che riempie gli occhi e il cuore del Popolo Rossonero, come non accadeva da un Milan-Samp nell'anno dell'ultimo tricolore. Dietro abbiamo un'altra coppia monumentale: il capitano è costante nel rendimento d'eccellenza e Sandronesta addirittura disarmante per la naturalezza con la quale azzera ogni pericolo. Ma la palma del migliore in campo va all'amato Sergio che, nella posizione notoriamente a lui meno gradita, riesce a conciliare in una sintesi sublime la concretezza del mastino di difesa (almeno tre chiusure poderose, incluso un anticipo di tacco sull'uomo) con progressioni incontenibili in ripartenza, assist e bordate che procurano gol. Quando i ragazzi girano così, chapeau anche a Carlone (quarto anniversario sulla panca del Diavolo, quinto allenatore di sempre per numero di presenze). E pensare che non c'è Sheva...
Gli episodi chiave: decide la Supercoppia. In tre minuti il Gila ne mette due: la prima gliela tolgono per offside (grande però il controllo di sinistro e la rasoiata di destro), il secondo è già griffe d'autore. Pippo punta Sensini sulla fascia e gioca teso al centro: Gila ha le spalle alla porta, Felipe sul collo. Accarezza con l'interno del piede sinistro per spostarla sul destro, piede perno e stilettata sotto la schiena del portiere: magistrale! Dopo il vantaggio perdiamo terreno, cedendo almeno venti metri all'Udinese, che alza il baricentro. Fondamentale un'uscita in pressing del Sindaco su Di Natale. Quel possesso recuperato a centrocampo, in un momento di crescita degli ospiti, passerà inosservato ma cambia la storia della domenica, se è vero che sulla rimessa laterale costruiamo la prima azione da cineteca della partita e il secondo gol. Seedorf dalla trequarti verticalizza su Kakà, spalle alla porta: il colpo di tacco a seguire è per Pippo, che fa a sportellate con Sensini al limite dell'area, nasconde il pallone sul raddoppio e attende il tempo del rientro dello Zionero: controllo a seguire e fiondata dal limite verso l'angolino basso. Una meraviglia, e sono due assist di Pippo! Alla fine del tempo, Pieri giudica fallosa una scivolata da tergo di Pinzi su Kakà (dal vivo non sembrava): va Pirlo e come otto giorni fa non perdona allo scadere. Gara virtualmente chiusa, anche se dopo il riposo appare evidente che i ragazzi hanno ancora tanta voglia. Fioccano le occasioni di rimessa, ma spesso le leggiamo male con Kakà. Legge benissimo, viceversa, Riccardino una nuova verticalizzazione per Clarence che dà palla col contagiri verso il fondocampo a Sergio: allungo, e dalla linea parte il colpo di biliardo per il doppio Gila. A questo punto, Pieri trova il modo di ricordare al mondo che oltre ad essere un arbitro mediocre è anche un arbitro disonesto: prima inventa un rigore per Iaquinta (Rino pizzica il pallone in chiaro anticipo), poi ne nega uno evidente ancora a Iaquinta (tirato giù da Nesta) e per compensare ne nega uno anche a Kakà (schienato da Bertotto). Poco conta, c'è ancora tempo per una cavalcata indomabile di Sergio: parte dalla mediana e... uno-due uomini saltati come birilli, finta l'appoggio al centro ma cambia passo e direzione... tre-quattro e si allarga per il sinistro di potenza: smanaccia Paoletti, ma Kakà è in posizione per il tap-in. Cinquina.
La tribuna di Steve: numeri di crescita. Dopo Bertini, ecco Pieri. Il designatore arbitrale ci propone in sequenza due protagonisti assoluti dello Juventotto 2005. Segnali forti dal Palazzo, quando il calendario diventa più fitto e insidioso. Con ciò, per un'ora siamo al comando della graduatoria (sul nostro 4-0, sblocca la Juve contro il Livorno). Un bianconero vale l'altro e merita la legge dell'uno-due-tre in 45 minuti. Peraltro, splendido test psicologico trovarsi di nuovo al riposo con il triplo vantaggio. Soprattutto contro un'Udinese che mercoledì in Champions ne aveva rimontati tre (in sei minuti...) al Werder Bremen: l'esito è noto e fa il paio con quello di sabato. Fil"otto" di vittorie dunque: eguagliamo il record di febbraio-marzo di quest'anno. Segniamo però 7 gol in più e tre/quarti del bottino nel primo tempo: l'anno scorso accadeva l'inverso. Inoltre, vinciamo per la prima volta con più di due gol di scarto. Potremmo dilagare, ma il Bambino d'Oro brucia un assist (in area) del Gila e un suo colpo di tacco smarcante. Lo perdoniamo (anche se sull'errore arriva l'azione del rigore per gli ospiti) perché a fine gara dichiara, con il suo sorriso ampioo: "Ancelotti sa che ogni tanto devo fare qualche fantasia...". Sublime. Più in generale, però, ho la sensazione che continuiamo a non avere schemi nelle situazioni di superiorità numerica: è un peccato, perché anche contro la Juve nel secondo tempo poteva terminare in goleada. Ma mi rendo conto che dirlo oggi è come cercare il pelo nell'uovo. Chiudiamo il ciclo con l'ultima sosta autunnale, ed è un peccato perché siamo in netta crescita.
Abbiamo dato spettacolo con Dida, Cafu, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Jankulovski dal 20 ST), Kakà (Vogel dal 35 ST), Inzaghi (Rui Costa dal 26 ST), Gilardino.
Il tema tattico: la sinfonia del Diavolo. Dopo il trionfo di sabato e il passo falso di martedì, c'è tanta voglia di Milan a San Siro. E il Milan ha voglia di rispondere sul campo per confermare il trend di crescita. Lo si vede da subito, perché partiamo all'assalto. Dieci undicesimi sono quelli anti-Juve, salvo Cafu rientrante per Stam (ancora un risentimento muscolare, dopo le due battaglie in quattro giorni). Nei primi minuti, cross da sinistra e controcross da destra (pennellato da Rino) danno un assaggio di quella che sarà la domenica ad alta tensione di Pippo: sale come lui sa fare, in anticipo secco sulla coppia centrale, e la disegna a filo del palo. Cresce il ritmo, sebbene i friulani coprano con ordine gli spazi e l'antico Sensini si muova con la maestria di un Professore di nostra conoscenza. Ma i tempi sono maturi per l'esplosione definitiva dell'alter-ego di Pippo, Supergila. Mi piace insistere sul passaggio ideale di consegne che io vedo ad ogni turno sul campo fra il passato/presente che è Inzaghi e il presente/futuro che è Gilardino: nessuno come loro sa muoversi negli ultimi 10-15 metri, specie con le spalle alla porta; più fisico il biellese, più agile il piacentino, ma entrambi con il fiuto letale del cobra. E la pioggia battente è la cornice ideale per una gara giocata con biglie veloci sull'erba bagnata, che esalta le doti di palleggio basso dei nostri fini dicitori di centrocampo e le finalizzazioni fulminanti della Supercoppia d'attacco. Primo e secondo centro a San Siro per il grande flop del calciomercato (e son 7 in 9 presenze): cade anche l'ultimo argomento utile per i vaniloqui in rosa. Di lì in avanti è una sinfonia in crescendo. Tocchi magistrali di prima per uscire in alleggerimento dalla fase difensiva, e di prima un grande Pirlo distribuisce lanci sempre in verticale. Tutta l'orchestra dà il meglio di sè, e il risultato corale è un calcio che riempie gli occhi e il cuore del Popolo Rossonero, come non accadeva da un Milan-Samp nell'anno dell'ultimo tricolore. Dietro abbiamo un'altra coppia monumentale: il capitano è costante nel rendimento d'eccellenza e Sandronesta addirittura disarmante per la naturalezza con la quale azzera ogni pericolo. Ma la palma del migliore in campo va all'amato Sergio che, nella posizione notoriamente a lui meno gradita, riesce a conciliare in una sintesi sublime la concretezza del mastino di difesa (almeno tre chiusure poderose, incluso un anticipo di tacco sull'uomo) con progressioni incontenibili in ripartenza, assist e bordate che procurano gol. Quando i ragazzi girano così, chapeau anche a Carlone (quarto anniversario sulla panca del Diavolo, quinto allenatore di sempre per numero di presenze). E pensare che non c'è Sheva...
Gli episodi chiave: decide la Supercoppia. In tre minuti il Gila ne mette due: la prima gliela tolgono per offside (grande però il controllo di sinistro e la rasoiata di destro), il secondo è già griffe d'autore. Pippo punta Sensini sulla fascia e gioca teso al centro: Gila ha le spalle alla porta, Felipe sul collo. Accarezza con l'interno del piede sinistro per spostarla sul destro, piede perno e stilettata sotto la schiena del portiere: magistrale! Dopo il vantaggio perdiamo terreno, cedendo almeno venti metri all'Udinese, che alza il baricentro. Fondamentale un'uscita in pressing del Sindaco su Di Natale. Quel possesso recuperato a centrocampo, in un momento di crescita degli ospiti, passerà inosservato ma cambia la storia della domenica, se è vero che sulla rimessa laterale costruiamo la prima azione da cineteca della partita e il secondo gol. Seedorf dalla trequarti verticalizza su Kakà, spalle alla porta: il colpo di tacco a seguire è per Pippo, che fa a sportellate con Sensini al limite dell'area, nasconde il pallone sul raddoppio e attende il tempo del rientro dello Zionero: controllo a seguire e fiondata dal limite verso l'angolino basso. Una meraviglia, e sono due assist di Pippo! Alla fine del tempo, Pieri giudica fallosa una scivolata da tergo di Pinzi su Kakà (dal vivo non sembrava): va Pirlo e come otto giorni fa non perdona allo scadere. Gara virtualmente chiusa, anche se dopo il riposo appare evidente che i ragazzi hanno ancora tanta voglia. Fioccano le occasioni di rimessa, ma spesso le leggiamo male con Kakà. Legge benissimo, viceversa, Riccardino una nuova verticalizzazione per Clarence che dà palla col contagiri verso il fondocampo a Sergio: allungo, e dalla linea parte il colpo di biliardo per il doppio Gila. A questo punto, Pieri trova il modo di ricordare al mondo che oltre ad essere un arbitro mediocre è anche un arbitro disonesto: prima inventa un rigore per Iaquinta (Rino pizzica il pallone in chiaro anticipo), poi ne nega uno evidente ancora a Iaquinta (tirato giù da Nesta) e per compensare ne nega uno anche a Kakà (schienato da Bertotto). Poco conta, c'è ancora tempo per una cavalcata indomabile di Sergio: parte dalla mediana e... uno-due uomini saltati come birilli, finta l'appoggio al centro ma cambia passo e direzione... tre-quattro e si allarga per il sinistro di potenza: smanaccia Paoletti, ma Kakà è in posizione per il tap-in. Cinquina.
La tribuna di Steve: numeri di crescita. Dopo Bertini, ecco Pieri. Il designatore arbitrale ci propone in sequenza due protagonisti assoluti dello Juventotto 2005. Segnali forti dal Palazzo, quando il calendario diventa più fitto e insidioso. Con ciò, per un'ora siamo al comando della graduatoria (sul nostro 4-0, sblocca la Juve contro il Livorno). Un bianconero vale l'altro e merita la legge dell'uno-due-tre in 45 minuti. Peraltro, splendido test psicologico trovarsi di nuovo al riposo con il triplo vantaggio. Soprattutto contro un'Udinese che mercoledì in Champions ne aveva rimontati tre (in sei minuti...) al Werder Bremen: l'esito è noto e fa il paio con quello di sabato. Fil"otto" di vittorie dunque: eguagliamo il record di febbraio-marzo di quest'anno. Segniamo però 7 gol in più e tre/quarti del bottino nel primo tempo: l'anno scorso accadeva l'inverso. Inoltre, vinciamo per la prima volta con più di due gol di scarto. Potremmo dilagare, ma il Bambino d'Oro brucia un assist (in area) del Gila e un suo colpo di tacco smarcante. Lo perdoniamo (anche se sull'errore arriva l'azione del rigore per gli ospiti) perché a fine gara dichiara, con il suo sorriso ampioo: "Ancelotti sa che ogni tanto devo fare qualche fantasia...". Sublime. Più in generale, però, ho la sensazione che continuiamo a non avere schemi nelle situazioni di superiorità numerica: è un peccato, perché anche contro la Juve nel secondo tempo poteva terminare in goleada. Ma mi rendo conto che dirlo oggi è come cercare il pelo nell'uovo. Chiudiamo il ciclo con l'ultima sosta autunnale, ed è un peccato perché siamo in netta crescita.
01 novembre, 2005
PSV 1 - MILAN 0
(11 PT) Farfan.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Maldini, Nesta, Kaladze (Serginho dal 1 ST), Seedorf, Pirlo, Gattuso (Jankulovski dal 1 ST), Kakà, Vieri, Gilardino (Shevchenko dal 28 ST).
Il tema tattico: Hiddink bestia nera. La vecchia volpe olandese ne sa una più del Diavolo, è il caso di dire. Sicuramente una più di Carlone, che nell'arco dei 180 minuti ha dato prova di capire poco di questo PSV: un punto e zero gol! Emblematico che abbia cambiato due uomini nell'intervallo: un inedito che vale come ammissione di colpa. Abbiamo sofferto oltre modo le marcature a uomo (Kakà azzerato da Simons, tanto all'andata quanto al ritorno) e la velocità impressionante dei due laterali (per referenze rivolgersi a Stam, che ha trovato poco l'americano Beasley e soprattutto ha trovato i due gialli di Poll). A leggere i nomi dei biancorossi (dieci illustri sconosciuti, a parte il capitano Cocu), si intende come l'organizzazione di gioco, più che il talento individuale (oggettivamente scarso), abbia fatto la differenza in campo. Da parte nostra, ci attendevamo una prova di intensità pari a quella di sabato contro la Goeba. In altre parole, si sperava in una conferma. Viceversa, l'unica conferma è stato lo schieramento di partenza, per nove undicesimi. Folle attendersi che il medesimo centrocampo potesse replicare una prestazione atletica e nervosa eclatante dopo appena tre giorni. Con ciò, Ancelotti conferma anche di non avere imparato la lezione dell'8 maggio: allora schierò nella finale tricolore gli stessi uomini di coppa, quattro giorni dopo la battaglia di Eindhoven, con ciò neutralizzando l'unico vantaggio che avevamo su Capello: la rosa più ampia. Errare humanum est, perseverare...
Gli episodi chiave: decidono gli errori. Partiamo bene, tutto sommato. Dopo due-minuti-due, il Sindaco mette Vieri solo al limite dell'area olandese: ciabattata indecorosa fra le braccia di Gomes, quando c'erano spazio e tempo per il controllo e tiro. Ma il disegno tattico di Ancelotti crolla troppo presto, a causa di un tocco maldestro di Kaladze. La sensazione è che vada sul pallone indeciso se rinviare o appoggiare all'indietro. Probabilmente stacca anche male e non trova la spinta necessaria per il colpo di testa. Ne esce una mezza carezza che mette il pallone a due metri da Farfan: bravo il peruviano a crederci e fortunato sul tiro di destro. Una botta carica di effetto, che indovina la base del primo palo e schizza infondo al sacco. Vero che Dida non chiude del tutto lo specchio, ma 99 volte su 100 quel rimbalzo torna in campo. Aggiungo che la distanza è irrisoria in proporzione alla velocità del pallone, togliendo a Nelson il tempo di reazione: responsabilità minima, quindi, rispetto a quella del nostro triste georgiano. Determinante poi il fattore Poll: dirige all'inglese con i padroni di casa e all'italiana con noi. Il giallo prematuro a Rino (intervento deciso, ma pur sempre primo fallo) è un segnale forte e chiaro, che condiziona la gara del nostro centrocampo e costringe Ancelotti a un cambio imprevisto: per evitare danni. Ma i danni Poll li fa ugualmente, su Stam: eresia il primo giallo, con intervento (di nuovo) deciso ma pulito in tackle. Una sanzione che produce i suoi effetti devastanti nel secondo tempo, quando restiamo in dieci nel quarto d'ora finale: cioè, nel momento chiave dell'assalto per il pareggio. Anche in questo caso, episodio poco fortunato: Jappone va gambe all'aria sulla fascia (la stessa fascia sulla quale siamo scivolati un po' troppo spesso) ed è costretto a strattonare il furetto Baisley, che andava in porta. Sorprende che il PSV finisca la gara senza cartellini, quando un intervento per tempo era da ammonizione chiara. Due pesi e due misure. Nel finale, il cuor di leone inglese non se la sente di deludere la bolgia della Philips Arena con un calcio di rigore: sacrosanto, per la spinta di Lamey su Sergio a fondo area.
La tribuna di Steve: il destino ancora a Istanbul. Che il capitano avesse pescato dall'urna di Nyon bussolotti incandescenti si era capito subito, ma forse nessuno si aspettava un girone così livellato. Il pari in Germania ci poteva stare, quello a San Siro con gli olandesi ovviamente no. Nel doppio confronto abbiamo prevalso per numero di palle gol create (e distrutte). Ad aprile-maggio era andata esattamente all'inverso: direi che abbiamo estinto il nostro debito con la Philips. La probabilità concreta di uscire dai giochi esiste: per rimpicciolirla, occorrerà un grande Milan nelle ultime due giornate. Più dinamico sul campo e più concreto sotto porta (Vieri è oggettivamente impresentabile e abbiamo pagato cara l'assenza del Balon d'Or: quando entra, al primo calcio piazzato centra il sette... miracolo di Gomes). Il clima Champions, come già a Gelsenkirchen, evidentemente incide sulle prestazioni nostre come dei padroni di casa, ma anche degli arbitri. Solo un antipasto, temo, di quanto troveremo a Istanbul contro un Fenerbahce in piena corsa per la qualificazione. Non siamo Capello e non siamo Mancini, lo stile Milan non contempla piagnistei. Auspichiamo però una direzione di gara equa quando si decideranno le sorti. Dice Sheva: "E' un bene tornare a giocare proprio lì una partita importante. Dobbiamo vincere. Se il Milan vincerà forse finalmente finiranno le voci sulla maledizione di Istanbul". O vittoria o morte, dunque. Ben sapendo che basterebbe un pareggio, a condizione di battere poi i tedeschi a San Siro. Tuttavia, conclude: "A questo punto, se non vinceremo le prossime due partite sarebbe anche giusto essere eliminati". Altra cultura sportiva.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Maldini, Nesta, Kaladze (Serginho dal 1 ST), Seedorf, Pirlo, Gattuso (Jankulovski dal 1 ST), Kakà, Vieri, Gilardino (Shevchenko dal 28 ST).
Il tema tattico: Hiddink bestia nera. La vecchia volpe olandese ne sa una più del Diavolo, è il caso di dire. Sicuramente una più di Carlone, che nell'arco dei 180 minuti ha dato prova di capire poco di questo PSV: un punto e zero gol! Emblematico che abbia cambiato due uomini nell'intervallo: un inedito che vale come ammissione di colpa. Abbiamo sofferto oltre modo le marcature a uomo (Kakà azzerato da Simons, tanto all'andata quanto al ritorno) e la velocità impressionante dei due laterali (per referenze rivolgersi a Stam, che ha trovato poco l'americano Beasley e soprattutto ha trovato i due gialli di Poll). A leggere i nomi dei biancorossi (dieci illustri sconosciuti, a parte il capitano Cocu), si intende come l'organizzazione di gioco, più che il talento individuale (oggettivamente scarso), abbia fatto la differenza in campo. Da parte nostra, ci attendevamo una prova di intensità pari a quella di sabato contro la Goeba. In altre parole, si sperava in una conferma. Viceversa, l'unica conferma è stato lo schieramento di partenza, per nove undicesimi. Folle attendersi che il medesimo centrocampo potesse replicare una prestazione atletica e nervosa eclatante dopo appena tre giorni. Con ciò, Ancelotti conferma anche di non avere imparato la lezione dell'8 maggio: allora schierò nella finale tricolore gli stessi uomini di coppa, quattro giorni dopo la battaglia di Eindhoven, con ciò neutralizzando l'unico vantaggio che avevamo su Capello: la rosa più ampia. Errare humanum est, perseverare...
Gli episodi chiave: decidono gli errori. Partiamo bene, tutto sommato. Dopo due-minuti-due, il Sindaco mette Vieri solo al limite dell'area olandese: ciabattata indecorosa fra le braccia di Gomes, quando c'erano spazio e tempo per il controllo e tiro. Ma il disegno tattico di Ancelotti crolla troppo presto, a causa di un tocco maldestro di Kaladze. La sensazione è che vada sul pallone indeciso se rinviare o appoggiare all'indietro. Probabilmente stacca anche male e non trova la spinta necessaria per il colpo di testa. Ne esce una mezza carezza che mette il pallone a due metri da Farfan: bravo il peruviano a crederci e fortunato sul tiro di destro. Una botta carica di effetto, che indovina la base del primo palo e schizza infondo al sacco. Vero che Dida non chiude del tutto lo specchio, ma 99 volte su 100 quel rimbalzo torna in campo. Aggiungo che la distanza è irrisoria in proporzione alla velocità del pallone, togliendo a Nelson il tempo di reazione: responsabilità minima, quindi, rispetto a quella del nostro triste georgiano. Determinante poi il fattore Poll: dirige all'inglese con i padroni di casa e all'italiana con noi. Il giallo prematuro a Rino (intervento deciso, ma pur sempre primo fallo) è un segnale forte e chiaro, che condiziona la gara del nostro centrocampo e costringe Ancelotti a un cambio imprevisto: per evitare danni. Ma i danni Poll li fa ugualmente, su Stam: eresia il primo giallo, con intervento (di nuovo) deciso ma pulito in tackle. Una sanzione che produce i suoi effetti devastanti nel secondo tempo, quando restiamo in dieci nel quarto d'ora finale: cioè, nel momento chiave dell'assalto per il pareggio. Anche in questo caso, episodio poco fortunato: Jappone va gambe all'aria sulla fascia (la stessa fascia sulla quale siamo scivolati un po' troppo spesso) ed è costretto a strattonare il furetto Baisley, che andava in porta. Sorprende che il PSV finisca la gara senza cartellini, quando un intervento per tempo era da ammonizione chiara. Due pesi e due misure. Nel finale, il cuor di leone inglese non se la sente di deludere la bolgia della Philips Arena con un calcio di rigore: sacrosanto, per la spinta di Lamey su Sergio a fondo area.
La tribuna di Steve: il destino ancora a Istanbul. Che il capitano avesse pescato dall'urna di Nyon bussolotti incandescenti si era capito subito, ma forse nessuno si aspettava un girone così livellato. Il pari in Germania ci poteva stare, quello a San Siro con gli olandesi ovviamente no. Nel doppio confronto abbiamo prevalso per numero di palle gol create (e distrutte). Ad aprile-maggio era andata esattamente all'inverso: direi che abbiamo estinto il nostro debito con la Philips. La probabilità concreta di uscire dai giochi esiste: per rimpicciolirla, occorrerà un grande Milan nelle ultime due giornate. Più dinamico sul campo e più concreto sotto porta (Vieri è oggettivamente impresentabile e abbiamo pagato cara l'assenza del Balon d'Or: quando entra, al primo calcio piazzato centra il sette... miracolo di Gomes). Il clima Champions, come già a Gelsenkirchen, evidentemente incide sulle prestazioni nostre come dei padroni di casa, ma anche degli arbitri. Solo un antipasto, temo, di quanto troveremo a Istanbul contro un Fenerbahce in piena corsa per la qualificazione. Non siamo Capello e non siamo Mancini, lo stile Milan non contempla piagnistei. Auspichiamo però una direzione di gara equa quando si decideranno le sorti. Dice Sheva: "E' un bene tornare a giocare proprio lì una partita importante. Dobbiamo vincere. Se il Milan vincerà forse finalmente finiranno le voci sulla maledizione di Istanbul". O vittoria o morte, dunque. Ben sapendo che basterebbe un pareggio, a condizione di battere poi i tedeschi a San Siro. Tuttavia, conclude: "A questo punto, se non vinceremo le prossime due partite sarebbe anche giusto essere eliminati". Altra cultura sportiva.
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