(23 PT) Adriano su rigore, (38 PT) Shevchenko su rigore, (14 ST) Martins, (38 ST) Stam, (47 ST) Adriano.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta (Simic dall'8 ST), Kaladze, Serginho, Gattuso (Jankulovski dal 25 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Gilardino (Vieri dal 29 ST).
Il tema tattico: sangue a arena a San Siro. Il Derby della Madonnina numero 263 è giocato in fotocopia agli euroderby di aprile. Mancini conferma la tendenza ad impostare una tattica ostruzionistica, mirata ad impedire ai nostri di fare il proprio gioco, prima di occuparsi che i suoi facciano il loro: esplicita ammissione di limitata capacità di gioco. Aggravata da atteggiamenti intimidatori in perfetto stile sudaca, con l'esito inequivocabile di uno zigomo aperto a Kaladze da Martins, una testata chirurgica in mischia a Sheva (superfluo specificare il bersaglio) e un labbro spaccato al Gila da Samuel. Mancava psico-Materazzi, ma abbiamo trovato sostituti all'altezza. Aggiungo (e mi ripeto) che tutto il mondo ha imparato la lezione del boia danese Poulsen: quando l'arbitro non vede, il tatuato Guevara-Veron carica a cranio basso Kakà; incornicia il quadro edificante Lulù Cambiasso che, simulandosi paciere, punta i gomiti al collo del Bambino. Ciò premesso per significare che soccombiamo ancora una volta alle provocazioni, perdendo il filo del gioco. Difesa falcidiata da assenze e ottusità ancelottiane: il capitano c.v.d. è fuori, ma lo è anche il Professore. Nell'emergenza (e solo allora) molti tasselli tornano al proprio posto: ecco dunque Kaladze comparire magicamente nel ruolo naturale, ovvero al centro della difesa di fianco a Nesta. Sandrone gioca febbricitante e cede all'inizio del secondo tempo: entra Simic, ma per compensare il buon senso viene dirottato a destra, con Jaap spostato in mezzo. Per il resto, si conferma la condizione di forma scadente: Sergio è scarico e non spinge, il centrocampo funziona a corrente alterna ed isola nuovamente la linea d'attacco, dove Sheva è ancora ombra di se stesso (quella fascia non porta bene?) e Gila di nuovo sacrificato in un lavoro sporco di gomiti e polvere. Kakà fa la cerniera una volta nel primo e due nel secondo tempo, quando ha più gamba e si nota, perché lascia indietro avversari e compagni. Inspiegabile, in una gara ad alta tensione, l'ennesima rinuncia a Pippo; mentre l'inserimento di Vieri nel quarto finale ha soritito giusto lazzi e sberleffi... In sintesi, derby di sostanziale equilibrio con lieve prevalenza rossonera nella ripresa, ma zero tiri nello specchio per parte: gara da risolvere, per definizione, sui calci da fermo (cinque su cinque reti): ci ha pensato Messina.
Gli episodi chiave: 14 volte Sheva, quando vede sporco. A memoria non si ricorda da un trentennio analoga sequenza di "sviste" così vistose: l'equilibrio iniziale viene spostato da un calcio di rigore che fa arrossire. Martins carica Nesta sulla schiena, il nostro (che è in anticipo) cade in area e fra petto e braccio (ascella) soffoca il pallone: rigore e ammonizione scientifica, salta la prossima! Chiara l'irregolarità dell'attaccante ma, a prescindere, l'episodio pesa un decimo (per volontarietà e punto d'impatto) di quanto visto a Firenze con Brocchi. Il fischietto sa di averla combinata grossa, se è vero che dopo appena 15' punisce con penalty (14 volte Sheva della Madonnina!) un colpo di testa di Cambiasso in barriera che manda il pallone a carambolare sulla mano di Stankovic: lo slavo ha lil braccio innaturalmente piegato verso l'alto e, a norma di regolamento, viene fermato; ma sullo 0-0 Messina avrebbe chiuso entrambi gli occhi. Li chiude per certo sui quattro episodi di guerriglia descritti sopra, nel caso Veron-Kakà-Cambiasso addirittura gira le spalle per non vedere: Ponzio Pilato da Bergamo. Il nuovo equilibrio viene rotto da un altro numero d'arte varia: Kala da tergo è in anticipo pulito su Adriano, il brasiliano perde l'appoggio sul contatto e va a sfondare su Stam: di nuovo, calcio da fermo e cartellino giallo per proteste! Dida commette qui un errore amatoriale in respinta, lasciando la palla nell'area piccola per il tap-in di Martins invece che accompagnarla a fondo campo. Difesa di belle statuine e conseguenti capriole nigeriane. Ma il peggio deve venire: a tempo scaduto, Cruz parte probabilmente in offside, e altrettanto probabilmente ciabatta da solo il pallone oltre la linea: per Messina è un corner da battere, Adriano sale indisturbato a centro area e punisce. Ci va Vieri e in ritardo (dal che deduco che siamo tornati a zona): inammissibile. Dispiace perché la prodezza di Stam (ascensore rugbystico, proprio sul centravanti nemico) valeva da sola il punto del pari. Regaliamo così un derby ai bisognosi, dopo dieci atti infiniti di godimento: passa tutto subito, è solo vanagloria neroblu.
La tribuna di Steve: con Messina, mission completed. L'anello si chiude. Il mese chiave della stagione bianconera si risolve con un parziale di 9 a 0 sull'unica antagonista credibile. Riassumo che abbiamo patito, in rapida sequenza, le designazioni di Bertini (scontro diretto), Rodomonti (con Copelli a Firenze), Pieri (con Farina a Verona) e infine Messina (brillante protagonista di Fiorentina-Juventus una settimana fa). L'effetto collaterale, purtroppo, è anche la rimonta di viola (4 punti) e neroblu (9 punti). Juventinove in cassaforte, dunque: non resterà che alimentare, da qui a primavera, qualche butade giornalistica sulle rimonte possibili dei manciniani (apre le danze proprio oggi, ca va sans dir, il foglio rosa). Milan fuori dai giochi: è ufficiale, e se lo dice Berlusconi c'è da credergli: essere a -8 o a -11 fa davvero poca differenza. Abbiamo vista lunga e troppi campionati alle spalle per dover fingere di non riconoscere fra le righe i segnali inequivocabili dell'esito già scritto. Don Fabio cucirà la terza stella d'oro (e chi altri?) nel 2007, poi potrà subentrare a Lippi per chiudere con la Nazionale italiota. Nel quadro squallido, spicca l'assordante silenzio, e più in generale l'assenza, della voce ufficiale della nostra dirigenza. Galliani concede, postumo, solo un sunto bisunto di comunicazione in format istituzionale ai microfoni di casa: il tecnico è inamovibile, i progetti sono condivisi, i nostri giocatori sono i migliori in circolazione, con gli arbitri abbiamo avuto solo sfortuna. Il mercato? Nessuna premura, a gennaio resteremo fermi perché di 120 difensori che teniamo sotto osservazione (sic), nessuno è più bravo di quelli che abbiamo. E della grinta (che a noi è MANCATA dopo il 2-2) non sappiamo che farcene, perché 17 anni sono lì a dimostrare come si vince: in Italia e in Europa. Il retrogusto amaro è quello di una società che si sta attorcigliando lentamente ma inesorabilmente su se stessa, una volta privata del faro spirituale. Tatticamente, siamo nondimeno involuti: il nostro calcio è risaputo, ogni contromisura è ormai stata adottata da chiunque. Ancelotti non applica il turnover se non per necessità oggettiva (indisponibilità per infortunio o squalifica), non mai per scelta: giocano i soliti noti. Ma ciò che è peggio, i Primi Undici sembrano sempre meno una squadra e sempre più undici belle individualità. Questo spiega, a mio modo di vedere, i cali di tensione dei singoli che producono danni collettivi non rimediabili. Ho detto a inizio stagione, l'ora delle decisioni irrevocabili era giunta ad Istanbul. Per romanticismo e/o supponenza si è preferito nascondere la testa nell'erba e buttare la palla avanti di un anno. Peccato, perché a dicembre molto si potrebbe ancora mettere in ordine: a cominciare dalla campagna invernale.
11 dicembre, 2005
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