31 gennaio, 2006
PALERMO 3 - MILAN 0
(10 PT) Gonzalez, (18 PT) Caracciolo, (4 ST) Gonzalez.
Abbiamo toccato il fondo con Kalac, Simic (Inzaghi dal 7 ST), Nesta, Stam, Kaladze (Serginho dal 18 ST), Cafu, Vogel, Seedorf, Jankulovski (Pirlo dal 17 ST), Kakà, Gilardino.
Adesso basta! Al peggio deve pur essere messa fine. Da mesi vado pronunciando facili sentenze: sono sotto gli occhi di chiunque abbia lucidità e competenza le colpe gravi di un gruppo che ha perso, da Istanbul in poi, ogni contatto con la realtà. Lo spettacolo indecente del Barbera è la quadratura spietata di un cerchio vizioso cui è giunta l'ora di trovare rimedio. Senza indugi. Otto minuti per annullare il vantaggio trovatello dell'andata, meno di venti per farsi cancellare dal campo e dal tabellone di coppa; complessivamente novanta di non-gioco, di non-condizione psicofisica, di non-qualità. Né vergogna, né dignità, né onore. Carlo Ancelotti insiste e persiste: avanti così, senza bisogno di scosse, e "supereremo IL MOMENTO come sempre PARLANDONE". Io dico che avanti così marciamo a passo spedito verso l'ecatombe finale: la prospettiva è perdere tutto. Sono definitivamente disgustato dalla supponenza e dall'ignavia di una dirigenza che, nell'ora della sofferenza, si distingue per l'assordante silenzio - ma porta a passeggio fiaccole olimpiche per le vie del centro, invece di stare dentro lo spogliatoio a respirare ogni palpito della squadra - e di un allenatore affezionato a se stesso e alle proprie idee, che vive da due anni nel ricordo di una notte magica a Manchester. Per il bene della squadra e per salvare non certo (ora mai) la stagione, ma almeno I NOSTRI COLORI dal ridicolo, si cali la maschera dell'ipocrisia aziendalista e ideologica del "bel giuoco" che fu. Bisognava cambiare a maggio dell'anno scorso. Si poteva cambiare a dicembre dell'anno scorso. Si DEVE cambiare ora, questa sera stessa. O non vedremo mai la fine del peggio, a cominciare da domenica all'Olimpico.
Abbiamo toccato il fondo con Kalac, Simic (Inzaghi dal 7 ST), Nesta, Stam, Kaladze (Serginho dal 18 ST), Cafu, Vogel, Seedorf, Jankulovski (Pirlo dal 17 ST), Kakà, Gilardino.
Adesso basta! Al peggio deve pur essere messa fine. Da mesi vado pronunciando facili sentenze: sono sotto gli occhi di chiunque abbia lucidità e competenza le colpe gravi di un gruppo che ha perso, da Istanbul in poi, ogni contatto con la realtà. Lo spettacolo indecente del Barbera è la quadratura spietata di un cerchio vizioso cui è giunta l'ora di trovare rimedio. Senza indugi. Otto minuti per annullare il vantaggio trovatello dell'andata, meno di venti per farsi cancellare dal campo e dal tabellone di coppa; complessivamente novanta di non-gioco, di non-condizione psicofisica, di non-qualità. Né vergogna, né dignità, né onore. Carlo Ancelotti insiste e persiste: avanti così, senza bisogno di scosse, e "supereremo IL MOMENTO come sempre PARLANDONE". Io dico che avanti così marciamo a passo spedito verso l'ecatombe finale: la prospettiva è perdere tutto. Sono definitivamente disgustato dalla supponenza e dall'ignavia di una dirigenza che, nell'ora della sofferenza, si distingue per l'assordante silenzio - ma porta a passeggio fiaccole olimpiche per le vie del centro, invece di stare dentro lo spogliatoio a respirare ogni palpito della squadra - e di un allenatore affezionato a se stesso e alle proprie idee, che vive da due anni nel ricordo di una notte magica a Manchester. Per il bene della squadra e per salvare non certo (ora mai) la stagione, ma almeno I NOSTRI COLORI dal ridicolo, si cali la maschera dell'ipocrisia aziendalista e ideologica del "bel giuoco" che fu. Bisognava cambiare a maggio dell'anno scorso. Si poteva cambiare a dicembre dell'anno scorso. Si DEVE cambiare ora, questa sera stessa. O non vedremo mai la fine del peggio, a cominciare da domenica all'Olimpico.
28 gennaio, 2006
MILAN 1 - SAMPDORIA 1
(12 PT) Shevchenko, (36 PT) Gasbarroni
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho (Jankulovski dal 41 ST), Gattuso (Cafu dal 29 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi (Gilardino dal 20 ST).
Fine della corsa. Crollano anche le mura amiche, non abbiamo più santi protettori. Venti minuti del primo tempo, con il vantaggio su rigore propiziato dal solito Superpippo, e una decina di minuti al centro del secondo, sono poca fatica per meritare più della Samp. Magrado De Santis, che è una jattura e non a caso ci inchioda al secondo pari stagionale. La trama è la solita: il vantaggio, il calo atletico, lo scollamento tattico, il panico difensivo, il gol subito, l'apnea di mezzora, la fiammata nervosa e la resa finale. In tutto ciò, la dirigenza tace e lascia ad Ancelotti il pietoso sermoncino della sera: "Il Milan non ha bisogno di scosse dal proprio allenatore, come sempre valuteremo tutto insieme con serenità e facendo autocritica". Ai tempi di Radice, con la stessa flemma rotolammo in B. L'unico che non fa autocritica è sempre LUI. E la serenità non la conserveremo a lungo, volando in caduta libera dalla seconda posizione... Le strategie tattiche sono da ritenersi acquisite, un po' per ostinazione e un po' perché con una fila di mezze punte in rosa devi pur fare di necessità virtù: la difesa a quattro e il centrocampo a rombo ce li porteremo fino all'ultimo respiro della stagione. E fino alla consunzione psiscofisica di Seedorf, Pirlo, Gattuso e Kakà. Che la rosa sia mal assortita, si intende a chiare lettere allorché gli infortuni creano emergenza: difetto di programmazione. Se si rompe Ambro - muscoli di cristallo non da ieri, vista la media di 25 presenze a stagione - il Sindaco è costretto a giocare tre volte in otto giorni, dal momento che di Vogel (terzo e ultimo incontrista) si son perse le tracce a ottobre. Lo Zionero è un unicum nel suo ruolo e provare ad alternarlo con Sergio o - dio ci scampi - con Jankulovski ha procurato solo inarcamenti del proverbiale sopracciglio reggiano. Si narra che il ceco sia stato strappato alla concorrenza della Juventus con 9 milioni di euri tintinnanti, trascurando il dettaglio che costui è uno specialista della posizione di esterno sinistro nel centrocampo a quattro in linea: batte il cuoio anche di destro, per cui potrebbe (al più) traslocare sulla fascia opposta, ma nella posizione speculare. Non è un difensore e lo si è capito quando difronte ha trovato un Pasqualino Foggia (mica Garrincha). Dell'assortimento di centrali difensivi riciclati sugli esterni ho già ripetuto alla nausea. Simic avrebbe meritato più attenzione (non da oggi, ma negli ultimi due anni), per la continuità e l'affidabilità che ha dimostrato, ma nel suo ruolo naturale è chiuso dai veterani. Insistere mandandolo a destra è comunque il minore dei mali, se la prima scelta in assenza di Cafu è sempre e solo il pachidermico Stam. In compenso Kaladze, che sull'estrema sinistra è spaesato e inaffidabile, ad agosto risultava da rottamare al Chelsea e a dicembre è diventato "erede naturale" di Costacurta... Quando una squadra annaspa nel marasma tattico e mentale, il primo passo certo verso la terra ferma è quello di restituire ogni uomo alla propria posizione naturale. Se Babbo Natale avesse portato in dono una panchina nuova con sopra - per dirne una che ha già detto bene in situazioni analoghe - Cesarone Maldini, suppongo che a partire dalla cruciale trasferta di Roma sarebbe cambiato qualcosa: a due mesi dal Bayern. Viceversa, ci illuderemo di poter continuare a sopravvivere dei colpi d'istinto, di classe e di cuore dei nostri grandi rifinitori e finalizzatori d'attacco. Anche quando versano in condizioni pietose, vedi Sheva da un mese. Dei gol di Pippo, fatti o procurati, ho romanzato a sufficienza. Rui Costa ha pur dimostrato di avere gamba e voglia quali raramente si erano viste negli ultimi due anni: continuo a non prediligere il suo calcio da "10" vecchia maniera, insistente sino a diventare cervellotico nella ricerca del tocco in profondità; ma gestire il gruppo con duttilità e intelligenza significa ridisegnare, ogni tre giorni, l'assetto tattico in funzione della condizione atletica e mentale di tutti gli uomini della rosa. I Milan di Ancelotti, viceversa, sono da sempre uguali a se stessi: contano 11-12 titolari predestinati, più 4-5 sostituti fissi. A prescindere da ogni fattore, avversario incluso. Se l'avversario modifica il tema, restiamo uguali a noi stessi perché la partita "l'avevamo preparata così". Questa è la pericolosa via di non ritorno verso la demotivazione e lo scoramento: dei titolari, che anche su una gamba sanno di non rischiare il posto; e dei sostituti, che anche al top della condizione sanno di non avere chance (se non per disgrazie altrui, di indisponibilità o squalifica). Chi pagherà a giugno? Di certo, il nostro Milan.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho (Jankulovski dal 41 ST), Gattuso (Cafu dal 29 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi (Gilardino dal 20 ST).
Fine della corsa. Crollano anche le mura amiche, non abbiamo più santi protettori. Venti minuti del primo tempo, con il vantaggio su rigore propiziato dal solito Superpippo, e una decina di minuti al centro del secondo, sono poca fatica per meritare più della Samp. Magrado De Santis, che è una jattura e non a caso ci inchioda al secondo pari stagionale. La trama è la solita: il vantaggio, il calo atletico, lo scollamento tattico, il panico difensivo, il gol subito, l'apnea di mezzora, la fiammata nervosa e la resa finale. In tutto ciò, la dirigenza tace e lascia ad Ancelotti il pietoso sermoncino della sera: "Il Milan non ha bisogno di scosse dal proprio allenatore, come sempre valuteremo tutto insieme con serenità e facendo autocritica". Ai tempi di Radice, con la stessa flemma rotolammo in B. L'unico che non fa autocritica è sempre LUI. E la serenità non la conserveremo a lungo, volando in caduta libera dalla seconda posizione... Le strategie tattiche sono da ritenersi acquisite, un po' per ostinazione e un po' perché con una fila di mezze punte in rosa devi pur fare di necessità virtù: la difesa a quattro e il centrocampo a rombo ce li porteremo fino all'ultimo respiro della stagione. E fino alla consunzione psiscofisica di Seedorf, Pirlo, Gattuso e Kakà. Che la rosa sia mal assortita, si intende a chiare lettere allorché gli infortuni creano emergenza: difetto di programmazione. Se si rompe Ambro - muscoli di cristallo non da ieri, vista la media di 25 presenze a stagione - il Sindaco è costretto a giocare tre volte in otto giorni, dal momento che di Vogel (terzo e ultimo incontrista) si son perse le tracce a ottobre. Lo Zionero è un unicum nel suo ruolo e provare ad alternarlo con Sergio o - dio ci scampi - con Jankulovski ha procurato solo inarcamenti del proverbiale sopracciglio reggiano. Si narra che il ceco sia stato strappato alla concorrenza della Juventus con 9 milioni di euri tintinnanti, trascurando il dettaglio che costui è uno specialista della posizione di esterno sinistro nel centrocampo a quattro in linea: batte il cuoio anche di destro, per cui potrebbe (al più) traslocare sulla fascia opposta, ma nella posizione speculare. Non è un difensore e lo si è capito quando difronte ha trovato un Pasqualino Foggia (mica Garrincha). Dell'assortimento di centrali difensivi riciclati sugli esterni ho già ripetuto alla nausea. Simic avrebbe meritato più attenzione (non da oggi, ma negli ultimi due anni), per la continuità e l'affidabilità che ha dimostrato, ma nel suo ruolo naturale è chiuso dai veterani. Insistere mandandolo a destra è comunque il minore dei mali, se la prima scelta in assenza di Cafu è sempre e solo il pachidermico Stam. In compenso Kaladze, che sull'estrema sinistra è spaesato e inaffidabile, ad agosto risultava da rottamare al Chelsea e a dicembre è diventato "erede naturale" di Costacurta... Quando una squadra annaspa nel marasma tattico e mentale, il primo passo certo verso la terra ferma è quello di restituire ogni uomo alla propria posizione naturale. Se Babbo Natale avesse portato in dono una panchina nuova con sopra - per dirne una che ha già detto bene in situazioni analoghe - Cesarone Maldini, suppongo che a partire dalla cruciale trasferta di Roma sarebbe cambiato qualcosa: a due mesi dal Bayern. Viceversa, ci illuderemo di poter continuare a sopravvivere dei colpi d'istinto, di classe e di cuore dei nostri grandi rifinitori e finalizzatori d'attacco. Anche quando versano in condizioni pietose, vedi Sheva da un mese. Dei gol di Pippo, fatti o procurati, ho romanzato a sufficienza. Rui Costa ha pur dimostrato di avere gamba e voglia quali raramente si erano viste negli ultimi due anni: continuo a non prediligere il suo calcio da "10" vecchia maniera, insistente sino a diventare cervellotico nella ricerca del tocco in profondità; ma gestire il gruppo con duttilità e intelligenza significa ridisegnare, ogni tre giorni, l'assetto tattico in funzione della condizione atletica e mentale di tutti gli uomini della rosa. I Milan di Ancelotti, viceversa, sono da sempre uguali a se stessi: contano 11-12 titolari predestinati, più 4-5 sostituti fissi. A prescindere da ogni fattore, avversario incluso. Se l'avversario modifica il tema, restiamo uguali a noi stessi perché la partita "l'avevamo preparata così". Questa è la pericolosa via di non ritorno verso la demotivazione e lo scoramento: dei titolari, che anche su una gamba sanno di non rischiare il posto; e dei sostituti, che anche al top della condizione sanno di non avere chance (se non per disgrazie altrui, di indisponibilità o squalifica). Chi pagherà a giugno? Di certo, il nostro Milan.
25 gennaio, 2006
MILAN 1 - PALERMO 0
(41 ST) Gilardino.
Abbiamo giocato con Kalac, Simic, Nesta, Costacurta, Kaladze (Serginho dal 17 ST), Gattuso (Pirlo dall'1 ST), Vogel, Jankulovski, Rui Costa (Kakà dal 27 ST), Gilardino, Amoroso.
Un quarto d'ora verdeoro. Basta e avanza per portare a Palermo il vantaggio minimo nell'andata dei quarti di Coppa Italia. Uno si domanderebbe quale punizione più efferata possa esistere se non far compagnia a duemila anime Rossonere sparpagliate a -3 gradi centigradi sui gradoni di San Siro, per l'ennesima notturna casalinga della stagione. Bene, la risposta è davanti ai teleschermi di Mamma RAI che dissotterra per l'occasione Carlo Nesti da Torino e il garrulo Mazzola. Non c'è fine al peggio: il grigio lacché del fu Avvocato spende (fra le varie) un "Costacurta" per "Rui Costa" e passi il gioco dislessico di parole... ma vedere Kaladze andare in gol per Gilardino pare troppo, in considerazione del fatto che il georgiano era comodo in panca da una mezzora! Marchio di fabbrica indelebile. Meglio fermarsi qui e non guardare oltre, in campo, dove Kalac prova ad emulare il miglior Abbiati di questa competizione (memorabili griffe d'autore su un Lazio-Milan 4-0 che valse l'esclusione), Vogel e Jankulovski gareggiano a chi possiede minor tecnica indivduale e personalità, Marcio Amoroso dice tutto già dal nome di battesimo: decomposto, impresentabile. Una menzione d'onore va spesa, viceversa, per il Professore: a questi ritmi da dopolavoro, potrebbe giocare a testa alta e con la fascia di capitano fino a cinquant'anni. Nell'ultimo quarto, Carlone nostro indovina (forse per la legge dei grandi numeri) LA MOSSA, sovrapponendo Sergio e Kakà di spinta sulla fascia sinistra. Il Gila c'è, quando deve: teniamocelo stretto, perché al momento si vede poco di più.
Abbiamo giocato con Kalac, Simic, Nesta, Costacurta, Kaladze (Serginho dal 17 ST), Gattuso (Pirlo dall'1 ST), Vogel, Jankulovski, Rui Costa (Kakà dal 27 ST), Gilardino, Amoroso.
Un quarto d'ora verdeoro. Basta e avanza per portare a Palermo il vantaggio minimo nell'andata dei quarti di Coppa Italia. Uno si domanderebbe quale punizione più efferata possa esistere se non far compagnia a duemila anime Rossonere sparpagliate a -3 gradi centigradi sui gradoni di San Siro, per l'ennesima notturna casalinga della stagione. Bene, la risposta è davanti ai teleschermi di Mamma RAI che dissotterra per l'occasione Carlo Nesti da Torino e il garrulo Mazzola. Non c'è fine al peggio: il grigio lacché del fu Avvocato spende (fra le varie) un "Costacurta" per "Rui Costa" e passi il gioco dislessico di parole... ma vedere Kaladze andare in gol per Gilardino pare troppo, in considerazione del fatto che il georgiano era comodo in panca da una mezzora! Marchio di fabbrica indelebile. Meglio fermarsi qui e non guardare oltre, in campo, dove Kalac prova ad emulare il miglior Abbiati di questa competizione (memorabili griffe d'autore su un Lazio-Milan 4-0 che valse l'esclusione), Vogel e Jankulovski gareggiano a chi possiede minor tecnica indivduale e personalità, Marcio Amoroso dice tutto già dal nome di battesimo: decomposto, impresentabile. Una menzione d'onore va spesa, viceversa, per il Professore: a questi ritmi da dopolavoro, potrebbe giocare a testa alta e con la fascia di capitano fino a cinquant'anni. Nell'ultimo quarto, Carlone nostro indovina (forse per la legge dei grandi numeri) LA MOSSA, sovrapponendo Sergio e Kakà di spinta sulla fascia sinistra. Il Gila c'è, quando deve: teniamocelo stretto, perché al momento si vede poco di più.
22 gennaio, 2006
SIENA 0 - MILAN 3
(12 PT) Kakà, (24 ST) Shevchenko, (39 ST) Kakà.
Abbiamo giocato con Dida, Stam (Simic dal 25 PT), Nesta, Kaladze, Serginho, Pirlo, Gattuso, Seedorf, Kakà (Jankulovski dal 41 ST), Inzaghi (Gilardino dal 31 ST), Shevchenko.
Su la testa, vecchio Diavolo! Quando vediamo bianconero, torniamo a essere SQUADRA. Sarà una coincidenza, ma per la prima volta nella stagione (forse nell'anno solare) Ancelotti e Galliani avevano favellato con misura e buon senso: l'obiettivo è confermare "i piccoli miglioramenti" mostrati domenica a San Siro e, soprattutto, "tenere la bocca chiusa e pensare a far punti". Coerentemente, i ragazzi scendono in campo e mostrano da subito l'approccio mentale dei momenti migliori. Avversari chiusi nella propria trequarti e una gragnuola di corner (6 nei primi 10 minuti) che stanno a significare una cosa sola: abbiamo mirato da subito il bersaglio grosso. Sblocchiamo presto con Kakà, al primo centro in trasferta, e crolla anche l'ultimo vaniloquio del foglio rosa: il Bambino non ha più paura quando è lontano da casa. Anzi, a scanso d'equivoci ne infila un paio: apre e chiude le danze. Sia bene inteso: come già l'Ascoli, questo è un antagonista rabberciato per le pesanti assenze. Però più motivato. E tuttavia, l'episodio chiave è a una manciata di secondi dal fischio d'inizio del secondo tempo: Kaladze rinvia un cross dalla fascia alla georgiana, ovvero col tacco sui piedi di Chiesa, e il nostro implacabile cecchino scarica il pallone della parità sulla base del legno. Allora avremmo raccontato di un altro Milan, il solito... In altri termini, sarà opportuno azzardare pochi paragoni con lo 0 a 3 di Livorno - assai più consistente per la geometria dell'assetto e l'intensità della prestazione nei novanta minuti - e indagare i motivi del calo di tensione (cronico) prima e dopo l'intervallo. La squadra, per una buona mezzora, si allunga a dismisura e perde il proverbiale equilibrio fra i reparti, concedendo al Siena il tema tattico ideale per rientrare. La trattenuta sporca dell'ottimo Mirante , sul cross tagliato dal sinistro letale di Sergio, a metà della ripresa trova un Balon d'Or reattivo per chiudere i giochi. Quasi un fulmine a ciel sereno, se è vero che Sheva appare di nuovo fiacco e svogliato, quasi appesantito nelle movenze e sincopato nei riflessi. Il gol del raddoppio bruciato nel primo tempo dall'area piccola (mezza rovesciata, dopo la deviazione di un difensore su calcio piazzato) fa collezione con gli altri tocchi sotto misura inverosimilmente falliti ad Ascoli e a Verona: giusto per dire di cinque punti lasciati sul campo. Che non sia un'altra Sindrome di Dudek. Ma siccome il calcio non è una scienza esatta, contemporaneamente il 7 Rossonero diventa il terzo marcatore di sempre nella storia del Diavolo: 162 volte in gol! Luci e ombre, insomma, come accade nei giorni della convalescenza. Dobbiamo ripartire dal sacro fuoco del Santo piacentino, dalla vena ritrovata di Dida (scende, decisivo, con la mano aperta ancora su Chiesa, cinque minuti dopo il vantaggio), dalla furia agonistica del Sindaco e dall'eminenza grigia dello Zionero Clarence. E dobbiamo attendere il miglior Pirlo, con i rientri del capitano e magari di Cafu. Se riusciremo a fare quadrato intorno ai nostri pilastri, potremo guardare con fiducia alla fase finale della stagione: superfluo porsi obiettivi, in questo momento vale solo la politica dei piccoli passi.
Abbiamo giocato con Dida, Stam (Simic dal 25 PT), Nesta, Kaladze, Serginho, Pirlo, Gattuso, Seedorf, Kakà (Jankulovski dal 41 ST), Inzaghi (Gilardino dal 31 ST), Shevchenko.
Su la testa, vecchio Diavolo! Quando vediamo bianconero, torniamo a essere SQUADRA. Sarà una coincidenza, ma per la prima volta nella stagione (forse nell'anno solare) Ancelotti e Galliani avevano favellato con misura e buon senso: l'obiettivo è confermare "i piccoli miglioramenti" mostrati domenica a San Siro e, soprattutto, "tenere la bocca chiusa e pensare a far punti". Coerentemente, i ragazzi scendono in campo e mostrano da subito l'approccio mentale dei momenti migliori. Avversari chiusi nella propria trequarti e una gragnuola di corner (6 nei primi 10 minuti) che stanno a significare una cosa sola: abbiamo mirato da subito il bersaglio grosso. Sblocchiamo presto con Kakà, al primo centro in trasferta, e crolla anche l'ultimo vaniloquio del foglio rosa: il Bambino non ha più paura quando è lontano da casa. Anzi, a scanso d'equivoci ne infila un paio: apre e chiude le danze. Sia bene inteso: come già l'Ascoli, questo è un antagonista rabberciato per le pesanti assenze. Però più motivato. E tuttavia, l'episodio chiave è a una manciata di secondi dal fischio d'inizio del secondo tempo: Kaladze rinvia un cross dalla fascia alla georgiana, ovvero col tacco sui piedi di Chiesa, e il nostro implacabile cecchino scarica il pallone della parità sulla base del legno. Allora avremmo raccontato di un altro Milan, il solito... In altri termini, sarà opportuno azzardare pochi paragoni con lo 0 a 3 di Livorno - assai più consistente per la geometria dell'assetto e l'intensità della prestazione nei novanta minuti - e indagare i motivi del calo di tensione (cronico) prima e dopo l'intervallo. La squadra, per una buona mezzora, si allunga a dismisura e perde il proverbiale equilibrio fra i reparti, concedendo al Siena il tema tattico ideale per rientrare. La trattenuta sporca dell'ottimo Mirante , sul cross tagliato dal sinistro letale di Sergio, a metà della ripresa trova un Balon d'Or reattivo per chiudere i giochi. Quasi un fulmine a ciel sereno, se è vero che Sheva appare di nuovo fiacco e svogliato, quasi appesantito nelle movenze e sincopato nei riflessi. Il gol del raddoppio bruciato nel primo tempo dall'area piccola (mezza rovesciata, dopo la deviazione di un difensore su calcio piazzato) fa collezione con gli altri tocchi sotto misura inverosimilmente falliti ad Ascoli e a Verona: giusto per dire di cinque punti lasciati sul campo. Che non sia un'altra Sindrome di Dudek. Ma siccome il calcio non è una scienza esatta, contemporaneamente il 7 Rossonero diventa il terzo marcatore di sempre nella storia del Diavolo: 162 volte in gol! Luci e ombre, insomma, come accade nei giorni della convalescenza. Dobbiamo ripartire dal sacro fuoco del Santo piacentino, dalla vena ritrovata di Dida (scende, decisivo, con la mano aperta ancora su Chiesa, cinque minuti dopo il vantaggio), dalla furia agonistica del Sindaco e dall'eminenza grigia dello Zionero Clarence. E dobbiamo attendere il miglior Pirlo, con i rientri del capitano e magari di Cafu. Se riusciremo a fare quadrato intorno ai nostri pilastri, potremo guardare con fiducia alla fase finale della stagione: superfluo porsi obiettivi, in questo momento vale solo la politica dei piccoli passi.
18 gennaio, 2006
MILAN 1 - ASCOLI 0
(4 PT) Inzaghi.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Stam, Nesta, Jankulovski (Serginho dal 36 ST), Ambrosini (Gattuso dal 42 PT), Pirlo, Seedorf (Kakà dal 19 ST), Rui Costa, Gilardino, Inzaghi.
Un brodino per Ancelotti. L'Ascoli infrasettimanale è lo sparring partner pefetto per il grande malato rossonero. Squalifiche e turnover - domenica andranno a giocarsi uno scontro diretto in bassa classifica - producono un 4-4-2 marchigiano, diligente ma arrendevole. Di meglio non di poteva sperare, dopo il tracollo al Colosseo e la perdita delle ultime certezze. Giro di boa del campionato. I ragazzi si sono parlati, da uomini, martedì sera: lontano da orecchie indiscrete, incluse quelle del tecnico. Era il caso, dal momento che abbiamo cessato di essere "squadra" nell'intorno della sconfitta di Firenze, la prima stagionale: sintomo di fragilità costitzionale, se è vero che di lì in avanti siamo caduti ben quattro volte. Sempre lontano dalle mura AMICHE e non certo sotto i colpi di chissà quali armate. Con candore, Riccardino uscendo dall'Olimpico aveva confessato: fuori da San Siro abbiamo paura. La chiameranno Sindrome di Istanbul, e forse non senza ragioni. Fa comunque specie, perché tolti i 23 anni suoi e del Gila, tutt'intorno vedo solo volti segnati da battaglie decennali e non pochi trionfi, più che clamorose disfatte. Continuo a ritenere che il difetto stia nel manico: la fisionomia morale, prima ancora che tecnica, di un gruppo è plasmata sempre e solo dalla guida in panchina. Altrimenti farebbe lo stesso chiamarsi Sacchi o Maifredi. Sorrido, mestamente, al pensiero della sfuriata di Ancelotti dopo il 4 a 3 contro il Parma... Il buon Carlone - che solo a scriverlo mi fa pensare al "buon cazzone" di Piero Chiara - quando alza la voce lo farà coi toni paciosi di uno zio brizzolato. Con ciò dico che i ragazzi, o ne escono da soli - come ai tempi di un altro romagnolo malinconico di nome Zac (e fu tricolore, con rimonta di 7 punti in sette giornate) - o non ne usciranno affatto. Per il momento, sopravviviamo sui colpi d'istinto, di classe e di cuore dei nostri mostri sacri. Il gol di Pippo dopo minuti quattro è un inno alla vita, morte, resurrezione e miracoli del Santo piacentino. Terzo gol da tre punti (dopo Palermo e Lecce) e terzo schiaffo a chi, ostinatamente, gli infligge i 7 minuti finali di qualsiasi sfida di cartello: quando sta bene come adesso (sessanta metri in progressione sulla bracciata di Dida, come Giorgione ai tempi di Sebarossi), rinunciare al suo modo di stare in campo e di tenere sotto pressione costante le retroguardie nemiche è puro e semplice masochismo: anche se l'alternativa è "lasciare fuori Sheva o Gilardino" e specie quando i due non sono al top della forma... come adesso. Per inciso, i gol di Pippo erano due: un nuovo (Saglietti) zelante sbandieratore ferma il Gila per offiside non esistente. E tuttavia, il Gila esce snaturato nel ruolo di seconda punta, perché deve giocare di sponda, spalle alla porta, invece che girarsi e mirare il bersaglio grosso. Peraltro, fa coppia con il suo alterego per la quarta volta (dopo Palermo, Juventus e Udinese) e cogliamo la quarta vittoria. La decima in casa, non senza i tremori di rito quando arriva il calo fisico e mentale nella parte finale (come già contro Lecce e Parma). Di nuovo, fragilità. Falliamo troppe occasioni per chiudere il conto a causa della concitazione, che è sintomo di insicurezza - osserva, finemente, il miglior Rui Costa dell'anno solare. Nell'intervallo, Giampaolo & Silva (mica Gianni & Pinotto) ridisegnano l'assetto, e i bianconeri (mica quelli veri) riescono a mettere in ambasce squadra e pubblico: il tutto senza mai arrivare al tiro nello specchio della porta, se non su un calcio piazzato... In assenza di prospettive migliori, non resta che continuare a crederci. Ciecamente.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Stam, Nesta, Jankulovski (Serginho dal 36 ST), Ambrosini (Gattuso dal 42 PT), Pirlo, Seedorf (Kakà dal 19 ST), Rui Costa, Gilardino, Inzaghi.
Un brodino per Ancelotti. L'Ascoli infrasettimanale è lo sparring partner pefetto per il grande malato rossonero. Squalifiche e turnover - domenica andranno a giocarsi uno scontro diretto in bassa classifica - producono un 4-4-2 marchigiano, diligente ma arrendevole. Di meglio non di poteva sperare, dopo il tracollo al Colosseo e la perdita delle ultime certezze. Giro di boa del campionato. I ragazzi si sono parlati, da uomini, martedì sera: lontano da orecchie indiscrete, incluse quelle del tecnico. Era il caso, dal momento che abbiamo cessato di essere "squadra" nell'intorno della sconfitta di Firenze, la prima stagionale: sintomo di fragilità costitzionale, se è vero che di lì in avanti siamo caduti ben quattro volte. Sempre lontano dalle mura AMICHE e non certo sotto i colpi di chissà quali armate. Con candore, Riccardino uscendo dall'Olimpico aveva confessato: fuori da San Siro abbiamo paura. La chiameranno Sindrome di Istanbul, e forse non senza ragioni. Fa comunque specie, perché tolti i 23 anni suoi e del Gila, tutt'intorno vedo solo volti segnati da battaglie decennali e non pochi trionfi, più che clamorose disfatte. Continuo a ritenere che il difetto stia nel manico: la fisionomia morale, prima ancora che tecnica, di un gruppo è plasmata sempre e solo dalla guida in panchina. Altrimenti farebbe lo stesso chiamarsi Sacchi o Maifredi. Sorrido, mestamente, al pensiero della sfuriata di Ancelotti dopo il 4 a 3 contro il Parma... Il buon Carlone - che solo a scriverlo mi fa pensare al "buon cazzone" di Piero Chiara - quando alza la voce lo farà coi toni paciosi di uno zio brizzolato. Con ciò dico che i ragazzi, o ne escono da soli - come ai tempi di un altro romagnolo malinconico di nome Zac (e fu tricolore, con rimonta di 7 punti in sette giornate) - o non ne usciranno affatto. Per il momento, sopravviviamo sui colpi d'istinto, di classe e di cuore dei nostri mostri sacri. Il gol di Pippo dopo minuti quattro è un inno alla vita, morte, resurrezione e miracoli del Santo piacentino. Terzo gol da tre punti (dopo Palermo e Lecce) e terzo schiaffo a chi, ostinatamente, gli infligge i 7 minuti finali di qualsiasi sfida di cartello: quando sta bene come adesso (sessanta metri in progressione sulla bracciata di Dida, come Giorgione ai tempi di Sebarossi), rinunciare al suo modo di stare in campo e di tenere sotto pressione costante le retroguardie nemiche è puro e semplice masochismo: anche se l'alternativa è "lasciare fuori Sheva o Gilardino" e specie quando i due non sono al top della forma... come adesso. Per inciso, i gol di Pippo erano due: un nuovo (Saglietti) zelante sbandieratore ferma il Gila per offiside non esistente. E tuttavia, il Gila esce snaturato nel ruolo di seconda punta, perché deve giocare di sponda, spalle alla porta, invece che girarsi e mirare il bersaglio grosso. Peraltro, fa coppia con il suo alterego per la quarta volta (dopo Palermo, Juventus e Udinese) e cogliamo la quarta vittoria. La decima in casa, non senza i tremori di rito quando arriva il calo fisico e mentale nella parte finale (come già contro Lecce e Parma). Di nuovo, fragilità. Falliamo troppe occasioni per chiudere il conto a causa della concitazione, che è sintomo di insicurezza - osserva, finemente, il miglior Rui Costa dell'anno solare. Nell'intervallo, Giampaolo & Silva (mica Gianni & Pinotto) ridisegnano l'assetto, e i bianconeri (mica quelli veri) riescono a mettere in ambasce squadra e pubblico: il tutto senza mai arrivare al tiro nello specchio della porta, se non su un calcio piazzato... In assenza di prospettive migliori, non resta che continuare a crederci. Ciecamente.
15 gennaio, 2006
ROMA 1 - MILAN 0
(36 ST) Mancini.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho, Kakà, Gattuso (Ambrosini dal 20 ST ), Pirlo (Rui Costa dal 34 ST), Seedorf, Shevchenko, Gilardino (Inzaghi dal 37 ST).
E all'Olimpico cascò l'asino... Due anni dopo la vittoriosa campagna romana, che diede il la alla rimonta tricolore sui giallorossi di Capello, il Diavolo perde tre punti e forse per sempre se stesso. Cabale e ricorsi statistici sono buoni giusto per i peana del canale tematico. Sul campo, abbiamo giocato da Milan non più di venti minuti del primo tempo e qualcosa meno del secondo. Ancelotti subisce (l'ennesima) lezione tattica da Spalletti, che gioca senza punte di ruolo ma occupa il centrocampo con dedizione e schemi mortiferi in ripartenza: i contropiede orchestrati da Totti, con tocchi stretti di prima e ariose sovrapposizioni laterali, sono da manuale del calcio. Peraltro, l'episodio chiave della partita cade al minuto 26, allorché il glabro fiorentino intuisce la mossa Mancini. Poco conta che il colpo del k.o. sia (dieci minuti più tardi) una deviazione fortuita della coscia di Stam: sulla nostra sponda del Naviglio, quando deve piovere finisce che nevica. Ma con cinque pareggi in luogo di cinque sconfitte, saremmo qua a raccontare un campionato diverso. Una serata di vena storta può toccare anche all'attacco delle meraviglie: non accadeva dallo storico Ottomaggio. In cinque minuti, a metà della ripresa, bruciamo i due appuntamenti buoni con il destino: recupero feroce di Cufrè su Sheva, smarcato in area piccola dal faro Seedorf, e contropiede letto malissimo da Kakà: a testa bassa sulla fascia, con il Balon d'Or smarcato al centro. Il dato rilevante è che le partite si possono cambiare in corsa ed è preferibile farlo prima della mezzora del secondo tempo. Carlone dice che no: "mettere un uomo dieci minuti prima o dopo è esattamente la stessa cosa" e le sue sostituzioni "non sono state tardive". Per questo motivo scrivo (da settembre) che non abbiamo futuro. La gara di Roma è la sintesi e il paradigma di tutta una stagione: presunzione di essere i più forti e di poter risolvere in qualsiasi momento la partita; supponenza di riuscire ad accendere e spegnere a comando la concentrazione, ovvero l'intensità mentale che fa la differenza sul risultato finale; pervicacia nel replicare sempre i medesimi errori di assetto e nel ritenere di poterli comunque correggere negli ultimi minuti di gioco... ecco il nostro piccolo grande Milan 2005-2006. Riponiamo illusioni e ipocrisie! E bando anche agli editti presidenziali sulla filosofia del calcio offensivo e la predestinazione del "bel gioco": cadere prigionieri della nostalgia dovrebbe restare prerogativa dei nostri concittadini tristi. Oggi i numeri parlano per la storia: nel ventennio berlusconiano, solo in un'occasione avevamo raccolto più di cinque sconfitte nei primi 19 turni: correva la stagione 1996-1997 e chiudemmo il campionato in undicesima posizione... Il dato eclatante dei nove (su nove) successi casalinghi va interpretato in toni poco trionfalistici, se è vero che Juventus, Inter e addirittura Fiorentina hanno fatto altrettanto: è solo uno dei tanti indicatori del livellamento in basso prodotto dalla formula a 20 squadre. Torno a ripetermi. La stagione è stata buttata - e scientemente - perché è stato fallito prima di tutto l'impianto tecnico. Bisogna ricominciare da qui, dando ORA (e comunque con sei mesi di ritardo) una scossa al gruppo. Soluzione certo dolorosa e per nulla in linea con gli stili della Casa, ma necessaria se vogliamo almeno provare a partire per Parigi e dare un senso ai prossimi cinque mesi della stagione. Un esempio? Abbiamo bisogno di laterali di difesa come dell'ossigeno, ma a gennaio l'unica urgenza avvertita è stata rimpiazzare una vecchia gloria dell'attacco con un'altra (Marcio Amoroso era buono cinque anni fa). A giugno ci sarà da rifondare.
Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho, Kakà, Gattuso (Ambrosini dal 20 ST ), Pirlo (Rui Costa dal 34 ST), Seedorf, Shevchenko, Gilardino (Inzaghi dal 37 ST).
E all'Olimpico cascò l'asino... Due anni dopo la vittoriosa campagna romana, che diede il la alla rimonta tricolore sui giallorossi di Capello, il Diavolo perde tre punti e forse per sempre se stesso. Cabale e ricorsi statistici sono buoni giusto per i peana del canale tematico. Sul campo, abbiamo giocato da Milan non più di venti minuti del primo tempo e qualcosa meno del secondo. Ancelotti subisce (l'ennesima) lezione tattica da Spalletti, che gioca senza punte di ruolo ma occupa il centrocampo con dedizione e schemi mortiferi in ripartenza: i contropiede orchestrati da Totti, con tocchi stretti di prima e ariose sovrapposizioni laterali, sono da manuale del calcio. Peraltro, l'episodio chiave della partita cade al minuto 26, allorché il glabro fiorentino intuisce la mossa Mancini. Poco conta che il colpo del k.o. sia (dieci minuti più tardi) una deviazione fortuita della coscia di Stam: sulla nostra sponda del Naviglio, quando deve piovere finisce che nevica. Ma con cinque pareggi in luogo di cinque sconfitte, saremmo qua a raccontare un campionato diverso. Una serata di vena storta può toccare anche all'attacco delle meraviglie: non accadeva dallo storico Ottomaggio. In cinque minuti, a metà della ripresa, bruciamo i due appuntamenti buoni con il destino: recupero feroce di Cufrè su Sheva, smarcato in area piccola dal faro Seedorf, e contropiede letto malissimo da Kakà: a testa bassa sulla fascia, con il Balon d'Or smarcato al centro. Il dato rilevante è che le partite si possono cambiare in corsa ed è preferibile farlo prima della mezzora del secondo tempo. Carlone dice che no: "mettere un uomo dieci minuti prima o dopo è esattamente la stessa cosa" e le sue sostituzioni "non sono state tardive". Per questo motivo scrivo (da settembre) che non abbiamo futuro. La gara di Roma è la sintesi e il paradigma di tutta una stagione: presunzione di essere i più forti e di poter risolvere in qualsiasi momento la partita; supponenza di riuscire ad accendere e spegnere a comando la concentrazione, ovvero l'intensità mentale che fa la differenza sul risultato finale; pervicacia nel replicare sempre i medesimi errori di assetto e nel ritenere di poterli comunque correggere negli ultimi minuti di gioco... ecco il nostro piccolo grande Milan 2005-2006. Riponiamo illusioni e ipocrisie! E bando anche agli editti presidenziali sulla filosofia del calcio offensivo e la predestinazione del "bel gioco": cadere prigionieri della nostalgia dovrebbe restare prerogativa dei nostri concittadini tristi. Oggi i numeri parlano per la storia: nel ventennio berlusconiano, solo in un'occasione avevamo raccolto più di cinque sconfitte nei primi 19 turni: correva la stagione 1996-1997 e chiudemmo il campionato in undicesima posizione... Il dato eclatante dei nove (su nove) successi casalinghi va interpretato in toni poco trionfalistici, se è vero che Juventus, Inter e addirittura Fiorentina hanno fatto altrettanto: è solo uno dei tanti indicatori del livellamento in basso prodotto dalla formula a 20 squadre. Torno a ripetermi. La stagione è stata buttata - e scientemente - perché è stato fallito prima di tutto l'impianto tecnico. Bisogna ricominciare da qui, dando ORA (e comunque con sei mesi di ritardo) una scossa al gruppo. Soluzione certo dolorosa e per nulla in linea con gli stili della Casa, ma necessaria se vogliamo almeno provare a partire per Parigi e dare un senso ai prossimi cinque mesi della stagione. Un esempio? Abbiamo bisogno di laterali di difesa come dell'ossigeno, ma a gennaio l'unica urgenza avvertita è stata rimpiazzare una vecchia gloria dell'attacco con un'altra (Marcio Amoroso era buono cinque anni fa). A giugno ci sarà da rifondare.
11 gennaio, 2006
BRESCIA 3 - MILAN 4
(15 PT) Seedorf, (31 PT) Inzaghi, (38 PT) Del Nero, (3 ST) Rui Costa, (15 ST) Di Biagio su rigore, (26 ST) Hamsik, (43 st) Rui Costa su rigore.
Abbiamo giocato con Kalac, Simic, Stam (Marzoratti dal 17 ST), Costacurta, Kaladze (Serginho dal 27 ST), Gattuso (Pirlo dal 30 ST), Ambrosini, Jankulovski, Seedorf, Rui Costa, Inzaghi.
Passiamo ai quarti di Coppa Italia, con qualche infamia e qualche lode: leit motiv della stagione. Si era favoleggiato, sul sito ufficiale, di una sfuriatona di Ancelotti dopo la prestazione imbarazzante nel secondo tempo di domenica sera. Pare non accadesse dal marzo del 2002, allorché perdemmo di brutto a Bologna. Se l'esito è quello del Rigamonti, c'è da dormire sonni poco sereni... Contro un avversario di categoria inferiore, sono bastate (di nuovo) poche stille di sudore del solito sublime Clarence a figurare da quasi fenomeni. Ci sono riusciti, come già all'andata, Rui Costa (prima doppia nel quinquennio rossonero, nonché quinta rete complessiva rifilata ai biancoblu) e il sempre intenso e adorato Pippo (250 gol in carriera). Disturba e non poco farsi raggiungere sulla parità a tre dallo stesso avversario. Identico, sinistro finale da pallottolliere di Milan-Parma. Galliani probabilmente ribadirebbe il concetto che, lui, il Milan lo vuole così. E Kaladze replicherà quasi piccato a chi gli fa notare che la difesa subisce ancora troppi gol (da polli): in fin dei conti "ne abbiamo segnati quattro e abbiamo passato il turno!". E' evidente che il virus ha penetrato i tessuti in profondità. Con questa mentalità non si va lontano, tanto meno a Paris. Urge una rifondazione, a cominciare dallo staff tecnico. In seconda battuta, si dovrà ritoccare la rosa. Quest'estate abbiamo preso un paio di granchi epocali: ciclicamente accade. Sospendo il giudizio sullo svizzero (misteriosamente evaporato a ottobre), ma sul ceco mi sento di pronunciare una sentenza definitiva: non ha classe né personalità. Per la cronaca, Vieri andrà a svernare in Côte d'Azur: vien da aggiungere, e chi se ne frega? Vorrei tuttavia tornare a sottolineare che con i 4,5 milioni di euri elargiti alla vecchia gloria neroblu (9 per i due anni, nelle intenzioni ferragostane) avremmo assicurato alla causa - giusto per fare un nome e un cognome - un laterale destro di ruolo come Massimo Oddo, che male non farebbe dacché Cafu ha preso volo e tangente per il Brasile. In quel caso, però, si reputava che la quotazione laziale di 5 milioni fosse spropositata per reimpossessarsi di un virgulto del vivaio. Già, il vivavio: quanto retrò... Sappiamo (semper Galliani dixit) che, al giorno d'oggi, "un grande club non può più permettersi di investire tempo e risorse sui giovani". Meglio investire danari sui campioni maturi e affermati, "per vincere subito". Sarà per ciò che Marzoratti (laterale destro di ruolo) vede il campo solo nell'ultima mezzora anche contro un Brescia che dopo un quarto d'ora è già fuori dalla competizione, mentre a Stam e Gattuso si infliggono rispettivamente 60 e 75 minuti di fatiche superflue (a tre giorni dallo snodo decisivo di Roma). A mio avviso, la morte del calcio.
Abbiamo giocato con Kalac, Simic, Stam (Marzoratti dal 17 ST), Costacurta, Kaladze (Serginho dal 27 ST), Gattuso (Pirlo dal 30 ST), Ambrosini, Jankulovski, Seedorf, Rui Costa, Inzaghi.
Passiamo ai quarti di Coppa Italia, con qualche infamia e qualche lode: leit motiv della stagione. Si era favoleggiato, sul sito ufficiale, di una sfuriatona di Ancelotti dopo la prestazione imbarazzante nel secondo tempo di domenica sera. Pare non accadesse dal marzo del 2002, allorché perdemmo di brutto a Bologna. Se l'esito è quello del Rigamonti, c'è da dormire sonni poco sereni... Contro un avversario di categoria inferiore, sono bastate (di nuovo) poche stille di sudore del solito sublime Clarence a figurare da quasi fenomeni. Ci sono riusciti, come già all'andata, Rui Costa (prima doppia nel quinquennio rossonero, nonché quinta rete complessiva rifilata ai biancoblu) e il sempre intenso e adorato Pippo (250 gol in carriera). Disturba e non poco farsi raggiungere sulla parità a tre dallo stesso avversario. Identico, sinistro finale da pallottolliere di Milan-Parma. Galliani probabilmente ribadirebbe il concetto che, lui, il Milan lo vuole così. E Kaladze replicherà quasi piccato a chi gli fa notare che la difesa subisce ancora troppi gol (da polli): in fin dei conti "ne abbiamo segnati quattro e abbiamo passato il turno!". E' evidente che il virus ha penetrato i tessuti in profondità. Con questa mentalità non si va lontano, tanto meno a Paris. Urge una rifondazione, a cominciare dallo staff tecnico. In seconda battuta, si dovrà ritoccare la rosa. Quest'estate abbiamo preso un paio di granchi epocali: ciclicamente accade. Sospendo il giudizio sullo svizzero (misteriosamente evaporato a ottobre), ma sul ceco mi sento di pronunciare una sentenza definitiva: non ha classe né personalità. Per la cronaca, Vieri andrà a svernare in Côte d'Azur: vien da aggiungere, e chi se ne frega? Vorrei tuttavia tornare a sottolineare che con i 4,5 milioni di euri elargiti alla vecchia gloria neroblu (9 per i due anni, nelle intenzioni ferragostane) avremmo assicurato alla causa - giusto per fare un nome e un cognome - un laterale destro di ruolo come Massimo Oddo, che male non farebbe dacché Cafu ha preso volo e tangente per il Brasile. In quel caso, però, si reputava che la quotazione laziale di 5 milioni fosse spropositata per reimpossessarsi di un virgulto del vivaio. Già, il vivavio: quanto retrò... Sappiamo (semper Galliani dixit) che, al giorno d'oggi, "un grande club non può più permettersi di investire tempo e risorse sui giovani". Meglio investire danari sui campioni maturi e affermati, "per vincere subito". Sarà per ciò che Marzoratti (laterale destro di ruolo) vede il campo solo nell'ultima mezzora anche contro un Brescia che dopo un quarto d'ora è già fuori dalla competizione, mentre a Stam e Gattuso si infliggono rispettivamente 60 e 75 minuti di fatiche superflue (a tre giorni dallo snodo decisivo di Roma). A mio avviso, la morte del calcio.
08 gennaio, 2006
MILAN 4 - PARMA 3
(24 PT) Cannavaro, (27 PT) aut. Cardone, (29 PT) Gilardino, (36 PT) Kakà, (25 ST) Marchionni, (36 ST) Shevchenko, (40 ST) Marchionni.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Kaladze, Serginho (Costacurta dal 42 ST), Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà (Rui Costa dal 27 ST), Shevchenko, Gilardino (Ambrosini dal 29 ST).
Anno nuovo, Milan vecchio. Segnali di stasi: il 2006 inizia nel segno della continuità, nulla evolve. Trovo disperante il fatto che la squadra non impari alcunché dalle lezioni, sanguinose, che ha subito negli ultimi sei mesi. Segnale inequivocabile che manca la capacità, o la volontà, di correggere i propri errori. Ora mai li conosciamo a memoria: non esistono grossi margini d'interpretazione e qui si finisce per diventare ripetititivi... Cambiare i connotati tecnici di un gruppo a metà stagione è difficile, se non impossibile. Possediamo una forza d'urto in attacco che è devastante e fa supporre ai nostri di poter trovare la via del gol pressoché in qualsiasi momento della partita, contro la maggior parte degli avversari. Emblematico, in tal senso, l'andamento della prima uscita dell'anno a San Siro: capovolta nel giro di sei minuti e virtualmente chiusa nei sei successivi. Contro avversari di caratura superiore, non a caso, l'atteggiamento tattico è sempre più prudente, l'intensità mentale (spesso) meno intermittente. Dopo il vantaggio, di norma, cala la tensione nervosa. Si perdono gli equilibri tattici: il centrocampo scopre la difesa. E ad ogni svista fa seguito, puntuale, una punizione. Siamo perennemente a rischio di rimonta. Anche perché "quando stacchi la spina" in corsa, poi diventa dura riallacciare la corrente e ricominciare a marciare: in Rino veritas. Il tema tattico voleva essere, di nuovo, il miracoloso 4-4-2 del Picchi. Ma come già contro il Lecce, abbiamo rischiato la beffa nel secondo tempo. Ancelotti, per non smentirsi, corregge l'assetto sempre con una mezzora di ritardo. Che la squadra potesse calare nella ripresa, tutto sommato, lo si poteva anche intuire, dal momento che il ritiro è stato posticipato di due giorni - premio per la vittoria di Livorno (sic) - e gli allenamenti ammassati in doppie sedute giornaliere nel corso di una settimana... Non sarebbe stato più avveduto coprirsi già dall'intervallo, senza attendere gli sberleffi di Marchionni alle belle statuine di centrocampo e difesa? Seedorf ha giocato in debito (e vistoso) di ossigeno per tutto il secondo tempo, dopo i primi 45 minuti da delirio, mandando a ramengo il redivivo assetto capelliano nella fase difensiva. Pirlo e Kakà, dal canto loro, non garantiscono - non lo hanno mai fatto - 90 minuti di tenuta atletica e mentale assoluta. Contro i bianco-crociati è andata di lusso SOLO per la serata di buona vena di Rui Costa e l'istinto da feroce realizzatore di Sheva: il quarto gol è da antologia, episodio chiave al pari della paperona di Dida nel primo tempo (inspiegabile quanto preoccupante, e significativo l'urlo da capitano del Sindaco dopo il pareggio). Sono161 reti per il 7 Rossonero, che fa ufficialmente il suo ingresso nell'olimpo delle nostre divinità: terzo miglior marcatore di sempre con Altafini, a tre passi da Rivera e dietro solo a Nordhal. In compenso, Galliani è felice. Dice che questo è il Milan che lui vuole vedere. A prescindere dalla marcia trionfale della capolista, che sta giocando un campionato a parte - vien da chiedersi se non sia stato disegnato su misura dal Palazzo - con qualcosa come +13 punti di media inglese, la nostra conformazione (deformazione?) tattica ci rende, in estrema sintesi, non competitivi nell'arco dei 20 turni rimanenti. Avremo forse qualche chance in più da spendere là dove le sorti si concentrano e decidono in due soli round ravvicinati. E tuttavia, Parigi è ancora molto lontana.
Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Kaladze, Serginho (Costacurta dal 42 ST), Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà (Rui Costa dal 27 ST), Shevchenko, Gilardino (Ambrosini dal 29 ST).
Anno nuovo, Milan vecchio. Segnali di stasi: il 2006 inizia nel segno della continuità, nulla evolve. Trovo disperante il fatto che la squadra non impari alcunché dalle lezioni, sanguinose, che ha subito negli ultimi sei mesi. Segnale inequivocabile che manca la capacità, o la volontà, di correggere i propri errori. Ora mai li conosciamo a memoria: non esistono grossi margini d'interpretazione e qui si finisce per diventare ripetititivi... Cambiare i connotati tecnici di un gruppo a metà stagione è difficile, se non impossibile. Possediamo una forza d'urto in attacco che è devastante e fa supporre ai nostri di poter trovare la via del gol pressoché in qualsiasi momento della partita, contro la maggior parte degli avversari. Emblematico, in tal senso, l'andamento della prima uscita dell'anno a San Siro: capovolta nel giro di sei minuti e virtualmente chiusa nei sei successivi. Contro avversari di caratura superiore, non a caso, l'atteggiamento tattico è sempre più prudente, l'intensità mentale (spesso) meno intermittente. Dopo il vantaggio, di norma, cala la tensione nervosa. Si perdono gli equilibri tattici: il centrocampo scopre la difesa. E ad ogni svista fa seguito, puntuale, una punizione. Siamo perennemente a rischio di rimonta. Anche perché "quando stacchi la spina" in corsa, poi diventa dura riallacciare la corrente e ricominciare a marciare: in Rino veritas. Il tema tattico voleva essere, di nuovo, il miracoloso 4-4-2 del Picchi. Ma come già contro il Lecce, abbiamo rischiato la beffa nel secondo tempo. Ancelotti, per non smentirsi, corregge l'assetto sempre con una mezzora di ritardo. Che la squadra potesse calare nella ripresa, tutto sommato, lo si poteva anche intuire, dal momento che il ritiro è stato posticipato di due giorni - premio per la vittoria di Livorno (sic) - e gli allenamenti ammassati in doppie sedute giornaliere nel corso di una settimana... Non sarebbe stato più avveduto coprirsi già dall'intervallo, senza attendere gli sberleffi di Marchionni alle belle statuine di centrocampo e difesa? Seedorf ha giocato in debito (e vistoso) di ossigeno per tutto il secondo tempo, dopo i primi 45 minuti da delirio, mandando a ramengo il redivivo assetto capelliano nella fase difensiva. Pirlo e Kakà, dal canto loro, non garantiscono - non lo hanno mai fatto - 90 minuti di tenuta atletica e mentale assoluta. Contro i bianco-crociati è andata di lusso SOLO per la serata di buona vena di Rui Costa e l'istinto da feroce realizzatore di Sheva: il quarto gol è da antologia, episodio chiave al pari della paperona di Dida nel primo tempo (inspiegabile quanto preoccupante, e significativo l'urlo da capitano del Sindaco dopo il pareggio). Sono161 reti per il 7 Rossonero, che fa ufficialmente il suo ingresso nell'olimpo delle nostre divinità: terzo miglior marcatore di sempre con Altafini, a tre passi da Rivera e dietro solo a Nordhal. In compenso, Galliani è felice. Dice che questo è il Milan che lui vuole vedere. A prescindere dalla marcia trionfale della capolista, che sta giocando un campionato a parte - vien da chiedersi se non sia stato disegnato su misura dal Palazzo - con qualcosa come +13 punti di media inglese, la nostra conformazione (deformazione?) tattica ci rende, in estrema sintesi, non competitivi nell'arco dei 20 turni rimanenti. Avremo forse qualche chance in più da spendere là dove le sorti si concentrano e decidono in due soli round ravvicinati. E tuttavia, Parigi è ancora molto lontana.
Iscriviti a:
Post (Atom)