30 ottobre, 2007

C'È SOLO UN CAPITANO (segue)

http://buttha.eu/blog«Ci chiediamo cosa non funziona: se ciascuno di noi facesse quel che sa, le vittorie arriverebbero. Ci vuole una voglia matta di tirarsi fuori, le motivazioni non sono un problema perché è troppo bello vincere. Il punto è un altro: per vincere non conta aver conquistato due Champions o una coppa del Mondo, ma conta quello che fai in settimana. Se giochiamo da squadra, e in questo momento non lo stiamo facendo, torneremo il Milan di una volta». Come sempre, in Rino veritas.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

BOBAN: PATO NON BASTERA', MILAN DA RIFARE IN TUTTI I REPARTI

30/10/2007 - Berlusconi ha Detto: «Ho discusso con Ancelotti sulla preparazione, I giocatori sono sovrallenati»

Zvonimir Boban, Berlusconi non è preoccupato, lei?
«Due anni fa scrissi sulla “rosea”: a questo Milan manca Berlusconi. Ho notato che mi è venuto dietro persino Sacchi. Confermo: da quando si è messo in politica, il presidente parla con Galliani, va ogni tanto allo stadio, ma non controlla più tutto come una volta. Al suo posto, un po’ preoccupato lo sarei».

Perché?
«Perché il Milan - e, dunque, Berlusconi - ha cambiato filosofia. Non più “primi e sempre”, ma “la Champions e poi il resto”. Una bella differenza. Perché l’età media è alta e non si può pretendere che il nucleo storico faccia sempre miracoli. Perché dalle seconde linee Ancelotti non pesca più i jolly che possono cambiare le partite se non, addirittura, la stagione. Penso a un Tomasson o a un Massaro. L’Inter ha Cruz, la Juve Iaquinta, la Roma Vucinic, uno che se lo metti al centro, nel suo ruolo, fa sfracelli. Questo Milan, nessuno».

I tifosi brontolano.
«Li capisco. A forza di sentirsi dire che conta solo, o soprattutto, l’Europa, credono che la squadra finisca inconsciamente per snobbare il campionato. E dal momento che i prezzi delle partite non sono da allenamento alla Champions, si regolano di conseguenza».

Il gioco è di una lentezza esasperante.
«La domenica, non il mercoledì sera. Il simbolo del Milan attuale è Seedorf: enorme in coppa, piccolo con gli Empoli di turno. Paradossalmente, giocava peggio il Milan della scorsa stagione. La prima ora di Palermo resta un capolavoro».

Ronaldo?
«Quando lo presero, fui uno dei pochi a non salire sul suo carro. Per Ronaldo ho delirato. Ma per il Ronaldo vero, non l’ultimo. Infortuni, stile di vita: non puoi cambiare abitudini da un giorno all’altro. Bastava pensarci».

Emerson?
«Il problema non è lui. È il modulo. Emerson, io lo vedo nel 4-4-2, non nel rombo, dove il perno di tutto, e di tutti, sarà sempre Pirlo».

Voce di popolo: il Milan è Kakà-dipendente.
«Confermo. Se non al cento per cento, al novanta».

Il Real Madrid si sarebbe messo il cuore in pace.
«La cosa mi puzza. Kakà è il turbo di Ancelotti ma dalle dichiarazioni che fa, non così drastiche come vorrei, lascia sempre una porticina aperta...».

Paolo Maldini, 39 anni, la bandiera: cosa significa il fatto che sia ancora titolare, o quasi?
«Io lasciai il Milan a 32 anni. Diverso il caso di Paolo. Ne abbiamo parlato spesso. Lui “è” il Milan, ed è innamorato pazzo del suo lavoro. Sa cosa rischia, a sfidare l’età, ma non vuole sentire ragioni. Lo ammiro. Anche se nei suoi panni avrei chiuso in bellezza, a tempo debito».

Pato?
«Non lo conosco».

Basterà per riaccendere il motore?
«Ne dubito fortemente. Se davvero vuole tornare a essere competitivo su entrambi i fronti, il Milan ha bisogno, almeno, di un grande acquisto per reparto. E sottolineo grande».

Anche in porta?
«Premesso che si vince e si perde in undici, sì, il Milan ha pure il problema del portiere. Inutile fingere. Ho cantato le imprese di Dida, ma ormai sono troppi gli indizi. Di fronte a un episodio, puoi chiudere un occhio; davanti a una serie di episodi, no».

Dotta analisi, Boban. Resta il solito «se»: e «se» il Milan torna dal Giappone vincitore e a primavera conquista l’ennesima Champions?
«Non è da escludere. Per questo, noi critici ci teniamo sempre un aggettivo o un condizionale di scorta. Non si sa mai. Ricorda “il bello di notte” che Agnelli dedicò a Boniek? Oggi, l’Avvocato l’avrebbe riservato al Milan».

Tirando le somme?
«I fatti, per ora, danno ragione alla politica del contenimento. Nonostante tutto, sono arrivati uno scudetto (2004) e due Champions (2003, 2007), oltre alla finale di Istanbul. Ogni anno cha passa, però, diventa un invito a nozze per la legge dei grandi numeri. Non si tratta di essere gufi. Si tratta di essere realisti. Dieci punti in nove partite, le streghe di Glasgow: fatti, non parole».

da: www.lastampa.it

Anonimo ha detto...

I mali sono nudi per terra. Chi è onesto li vede e li chiama per nome. Piuttosto la dichiarazione di Ivan il guerriero è inquietante perchè rivela che il malessere ormai è nello spogliatoio e questo è un male devastante che si può risolvere solo con il cambio dell'allenatore.
Danielone

TheSteve ha detto...

Conoscendo l'onestà inetellettuale di Ringhio, le sue parole pesano (sempre) come um macigno, non solo all'indirizzo della squadra ma (in questo caso) anche a se stesso. Non so se sia per colpa dei duecentotrenta spot televisivi che lo tengono impegnato (7-8 ore per 30 secondi di girato, ipse dixit) quando dovrebbe piuttosto dedicarsi al recupero fisico... come del resto ha dato ad intendere anche il padrone del vapore. In qualsiasi caso, ci sono tutti i connotati di una di quelle stagioni da fine impero, nelle quali tutti - anche gli uomini simbolo come il nostro unico e vero Capitano - cedono prima un millimetro, poi un centimetro e alla fine un metro. La politica del no-turnover sta sfiancando i sempreverdi di Ancelotti, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Le parole di Boban, qua sopra, sono oro colato. Curioso che non abbiano avuto il consueto riverbero mediatico che si accorda di rito ai grandi ex della real casa... Ora mai senza nemmeno più l'alibi della preparazione smorzata di un anno fa. La penalità quest'anno ce la siamo dati da soli, senza bisogno di scomodare i soliti poteri occulti.

Anonimo ha detto...

BIGLIETTO OMAGGIO PER LA CHAMPIONS
di Stefano Olivari
30.10.2007

Una volta tanto parliamo di calcio, per dire che ad attaccanti invertiti il Milan avrebbe probabilmente battuto la Roma, al di là del fatto che i giallorossi abbiano dominato tatticamente la partita. Non perché Vucinic abbia segnato e Gilardino no, ma perché il montenegrino (che nella sua nazionale viaggia a medie gol da Gerd Muller o da Puskas, pur non essendo un bomber in senso stretto) quando un compagno sta per alzare la testa e fare l’ultimo passaggio si sa muovere come pochi si muovono in Italia. Evitando il fuorigioco e controllando il pallone senza frenesia, a costo di sentirsi dire che non ha rabbia (sarà perché con il copricollo ricorda vagamente il suo presidente federale Savicevic). E se il passaggio venisse dai piedi di Pirlo e Seedorf, con tutto il rispetto per Perrotta…

Questa premessa da bar ci serviva per dire che, al di là dei mediaservi in servizio un po’ ovunque (le tivù locali lombarde ne offrono un campionario mirabile) e pronti a giustificare l’operato di Galliani contro ogni evidenza, la situazione rossonera è tutt’altro che drammatica. Almeno non fino al punto da rendere credibile qualsiasi bufala di calciomercato, dove Cannavaro vale Zapata piuttosto di Ivanovic o Barzagli, e Drogba risulta avere le stesse caratteristiche tecniche di Di Natale. In fin dei conti basta essere in undici veri per vincere Champions e Mondiale, mentre per quanto riguarda il campionato non è fantacalcio pensare in 29 giornate di recuperare 7 punti ad una Fiorentina che sta facendo il suo, piuttosto che ad una Juventus che di nervi la posizione la può anche tenere. Se il Milan avesse preso il trentenne Toni invece di Pato saremmo qui tutti a dire che la squadra non ha futuro, non programma, eccetera, mentre in realtà gli errori sono stati fatti nei mercati precedenti non creando una classe media di livello superiore a quello dei Brocchi e dei vari ‘Nestore ultima corsa’ tipo Favalli-35 anni (forse una delle rare volte in cui Berlusconi ha dato ascolto a Fini, fra l'altro testimone di nozze del terzino), Serginho-36 e Simic-32, tutta gente che forte è stata davvero, per non parlare di Ba-34 il cui ritorno ha spiegazioni meno tecniche anche dei calzini di Costantino Rozzi o del sale di Anconetani. Al di là di una certa retorica non è vero che il mitico ‘gruppo’ ha sempre ragione, perché Emerson sceso di cilindrata non lo avrebbe ingaggiato nemmeno un osservatore pagato dagli avversari, ed anche uno Shevchenko a scartamento ridotto avrebbe messo in condizioni tutti di giocare meglio sia l’anno scorso che a maggior ragione adesso.

La morale è che bastano quattro grandi stagioni di mercato (dal 2000 al 2003: Dida, Kaladze, Inzaghi, Pirlo, Seedorf, Kakà) per creare un grande ciclo, mentre non ne bastano quattro disastrose (con vari distinguo: perché Oliveira non lo voleva nessuno mentre Gilardino lo volevano tutti) per distruggerlo. La morale bis è che la Champions conta più del campionato, non solo sotto il profilo del prestigio, ma si sarebbe dovuto dirlo già in estate anche ai 42mila e rotti che come puro atto di fede si sono abbonati alle partite della domenica: perché i giornalisti le sparano grosse, ma i listoni di fenomeni da cui sarebbe inevitabilmente uscito un acquisto li aveva fatti l'amministratore delegato, fra un workshop e l'altro. Insomma, non sarebbe una cattiva mossa di marketing, per non definirlo correttezza, regalare agli abbonati di campionato un biglietto omaggio per gli ottavi di Champions. Fuori dalla schiavitù dell'ultima impressione, rimane il fatto che il miglior Galliani è sempre quello del Milan. Come ben sanno i tifosi dell’Olimpia e della Lega...

da: www.settimanasportiva.it