30 settembre, 2006
29 settembre, 2006
HAPPY BIRTHDAY
«A noi Sheva manca ma sono sicuro che a lui manchi il Milan e tanto, tantissimo. Mi spiace vederlo giocare come sta facendo al Chelsea: si vede che non riesce a esprimersi, che non si è integrato. Sembra che non c'entri nulla con il gioco del Chelsea». Parole e musica di Kakhaber Kaladze: un amico. Curioso che, appena tre giorni fa, il grillo parlante di Milanello - Franco Ordine su Il Giornale - abbia avvertito l'urgenza di specificare l'esatto contrario, in apertura del pezzo post Champions. Ovvero fuori contesto. Il secondo 0 a 0 consecutivo di una stagione in cui andare in gol è diventato il problema più macroscopico (per una squadra che l'anno passato ne aveva segnati 85), evidentemente ha risolleticato qualche recente prurito. Vuoi vedere che quel nuovo "7 rossonero" è un brasiliano però... non è il fenomeno che Ancelotti, Galliani e i media istituzionali avevano tentato di propagandare? Certo è che la riconoscenza non appartiene a questo mondo, figurarsi al piccolo pianeta del calcio. E comunque, buon trentesimo compleanno al Balon d'Or!
Post Scriptum: ma il Presidente... esiste?
Post Scriptum: ma il Presidente... esiste?
25 settembre, 2006
SILENZIO! MORATTI TI ASCOLTA...
Nel 2002 la società nerazzurra si rivolse a un investigatore legato a Telecom per far pedinare l'ex arbitro De Santis. L'ufficio indagini aprirà un fascicolo: il club potrebbe essere accusato di slealtà sportiva.
[Gazzetta.it] Roma, 25 settembre 2006 - «Ipotesi di violazione dell'articolo 1 del codice di giustizia sportiva»: con questa intestazione questa mattina un fascicolo sarà aperto dall'Ufficio indagini della Federcalcio sulla vicenda Inter-De Santis-Vieri. In attesa di conoscere le decisioni di Francesco Saverio Borrelli, il suo ufficio continua a lavorare. Toccherà a Carlo Loli Piccolomini o a Marco Squicquero richiedere alla Procura di Milano gli atti relativi alla parte del filone Telecom che riguarda il mondo sportivo.
I FATTI. Nel 2002 l'arbitro Danilo Nucini ha un colloquio con Giacinto Facchetti e gli racconta di alcuni strani rapporti tra Luciano Moggi, l'arbitro Massimo De Santis e i dirigenti sportivi Mariano Fabiani e Luigi Pavarese. Facchetti chiede a Nucini di riferire i fatti alla Procura di Milano (visto che lo stesso aveva perplessità a rivolgersi alla giustizia sportiva), ma non fu fatto nulla. Allora l'Inter, a quanto poi è emerso dalle indagini della magistratura, si rivolse alla Polis d'Istinto, l'agenzia investigativa di Emanuele Cipriani (legato al responsabile del Cnag della Telecom, Giuliano Tavaroli) per far pedinare De Santis. Da quel momento fu aperto un dossier dal significativo nome in codice: operazione ladroni.
I CONTROLLI. Sarebbero, però, anche stati intercettati i telefoni di De Santis e della moglie. Gli stessi furono anche seguìti, fotografati, furono fatte indagini patrimoniali e sui conti correnti. Alla fine il dossier si chiude dicendo che «non furono trovate anomalie nel tenore di vita del soggetto». Contemporaneamente furono intercettate le telefonate di Bobo Vieri e l'attaccante fu anche pedinato, ma soltanto nell'ambito di un controllo della società sul calciatore. Del mondo sportivo erano intercettati anche Franco Carraro e il presidente di Capitalia Cesare Geronzi.
INTERCETTAZIONI ILLEGALI. A seguito del decreto legge del Governo sulle intercettazioni illegali, è tornata d'attualità la vicenda. Perché fu commissionata una inchiesta da parte di un'agenzia investigativa e non fu fatto né un esposto alla magistratura, né una denuncia all'Ufficio indagini? Il voluminoso materiale raccolto sull'arbitro, oltre che valutare il suo tenore di vita, a cosa mirava? E le foto? Le stesse domande potrebbero valere anche per Vieri. Inoltre se i contatti denunciati erano con Moggi, Fabiani e Pavarese, ci sono state intercettazioni anche nei loro confronti? Sono queste le domande che gli 007 federali porranno ai dirigenti interisti.
LE PROCURE. L'argomento interessa, intanto, anche la Procura di Napoli che nel 2004 proprio a Tavaroli si rivolse per comunicare le intercettazioni delle utenze di Moggi, Bergamo, Pairetto. Sì, proprio a Tavaroli che era a capo del Cnag, il centro nazionale autorizzazioni giudiziarie della Telecom, che quindi venne a conoscenza dell'indagine che i magistrati Beatrice e Narducci stavano conducendo proprio sulle stesse persone. Una coincidenza, chiaramente, ma che alla luce degli ultimi sviluppi diventa inquietante: Tavaroli ha detto ai pm che lui riferiva tutto a Carlo Buora, amministratore delegato Telecom e vice presidente dell'Inter.
A quanto pare il cerchio di Onestopoli si stringe. Inevitabile da che, venerdì scorso, Paolo Colonnello su La Stampa ha sputato il rospo.
Se lo spionaggio di massa organizzato dalla premiata ditta Tavaroli & Cipriani ai danni di dipendenti, fornitori, rivenditori, gommisti, manager e scalatori, non poteva avere altro committente che la Telecom e la Pirelli di Tronchetti Provera, il dossieraggio su uomini politici, imprenditori, finanzieri, personaggi dello spettacolo, calciatori, giornalisti e magistrati, a chi poteva davvero interessare? Certo, in questo gioco di specchi, dove sull'arbitro De Santis o quello sul giocatore Bobo Vieri che vengono probabilmente commissionati dall'Inter, visto che la ricevuta di un pagamento intestata a F.C. Internazionale Milano, è stata ritrovata dagli inquirenti presso la sede inglese della Worldwide Consultant Security, una delle scatole vuote estere messe in piedi da Emanuele Cipriani per ricevere con discrezione il denaro dai suoi importanti clienti.
Memorabile il commento dell'intercettato De Santis al TG5.
«Inizialmente, quando abbiamo saputo di questa operazione messa in atto da Moratti - perché dalle parole di Moratti abbiamo saputo questo, e quindi di conseguenza da Pirelli e da questo investigatore Cipriani - siamo rimasti veramente schifati da questa situazione. Soprattutto perché tutto questo avveniva da parte di persone che in tutto questo frangente si sono sempre proclamate innocenti ed estranee a qualsiasi cosa proprio perché non figuravano nelle intercettazioni telefoniche. A questo punto io penso che forse l'unica cosa è che l'Inter faccia un campionato da sola, giochi da sola, almeno vincerà tutte le partite senza che nessun arbitro la possa danneggiare. Io penso che le partite vanno vinte sul campo».
Non resta che attendere per vedere in che modo ne usciranno gli Onesti e quale fine farà il loro scudetto di legno, ora che lo straordinario Commissario Telecom è tornato alla casa madre.
[Gazzetta.it] Roma, 25 settembre 2006 - «Ipotesi di violazione dell'articolo 1 del codice di giustizia sportiva»: con questa intestazione questa mattina un fascicolo sarà aperto dall'Ufficio indagini della Federcalcio sulla vicenda Inter-De Santis-Vieri. In attesa di conoscere le decisioni di Francesco Saverio Borrelli, il suo ufficio continua a lavorare. Toccherà a Carlo Loli Piccolomini o a Marco Squicquero richiedere alla Procura di Milano gli atti relativi alla parte del filone Telecom che riguarda il mondo sportivo.
I FATTI. Nel 2002 l'arbitro Danilo Nucini ha un colloquio con Giacinto Facchetti e gli racconta di alcuni strani rapporti tra Luciano Moggi, l'arbitro Massimo De Santis e i dirigenti sportivi Mariano Fabiani e Luigi Pavarese. Facchetti chiede a Nucini di riferire i fatti alla Procura di Milano (visto che lo stesso aveva perplessità a rivolgersi alla giustizia sportiva), ma non fu fatto nulla. Allora l'Inter, a quanto poi è emerso dalle indagini della magistratura, si rivolse alla Polis d'Istinto, l'agenzia investigativa di Emanuele Cipriani (legato al responsabile del Cnag della Telecom, Giuliano Tavaroli) per far pedinare De Santis. Da quel momento fu aperto un dossier dal significativo nome in codice: operazione ladroni.
I CONTROLLI. Sarebbero, però, anche stati intercettati i telefoni di De Santis e della moglie. Gli stessi furono anche seguìti, fotografati, furono fatte indagini patrimoniali e sui conti correnti. Alla fine il dossier si chiude dicendo che «non furono trovate anomalie nel tenore di vita del soggetto». Contemporaneamente furono intercettate le telefonate di Bobo Vieri e l'attaccante fu anche pedinato, ma soltanto nell'ambito di un controllo della società sul calciatore. Del mondo sportivo erano intercettati anche Franco Carraro e il presidente di Capitalia Cesare Geronzi.
INTERCETTAZIONI ILLEGALI. A seguito del decreto legge del Governo sulle intercettazioni illegali, è tornata d'attualità la vicenda. Perché fu commissionata una inchiesta da parte di un'agenzia investigativa e non fu fatto né un esposto alla magistratura, né una denuncia all'Ufficio indagini? Il voluminoso materiale raccolto sull'arbitro, oltre che valutare il suo tenore di vita, a cosa mirava? E le foto? Le stesse domande potrebbero valere anche per Vieri. Inoltre se i contatti denunciati erano con Moggi, Fabiani e Pavarese, ci sono state intercettazioni anche nei loro confronti? Sono queste le domande che gli 007 federali porranno ai dirigenti interisti.
LE PROCURE. L'argomento interessa, intanto, anche la Procura di Napoli che nel 2004 proprio a Tavaroli si rivolse per comunicare le intercettazioni delle utenze di Moggi, Bergamo, Pairetto. Sì, proprio a Tavaroli che era a capo del Cnag, il centro nazionale autorizzazioni giudiziarie della Telecom, che quindi venne a conoscenza dell'indagine che i magistrati Beatrice e Narducci stavano conducendo proprio sulle stesse persone. Una coincidenza, chiaramente, ma che alla luce degli ultimi sviluppi diventa inquietante: Tavaroli ha detto ai pm che lui riferiva tutto a Carlo Buora, amministratore delegato Telecom e vice presidente dell'Inter.
A quanto pare il cerchio di Onestopoli si stringe. Inevitabile da che, venerdì scorso, Paolo Colonnello su La Stampa ha sputato il rospo.
Se lo spionaggio di massa organizzato dalla premiata ditta Tavaroli & Cipriani ai danni di dipendenti, fornitori, rivenditori, gommisti, manager e scalatori, non poteva avere altro committente che la Telecom e la Pirelli di Tronchetti Provera, il dossieraggio su uomini politici, imprenditori, finanzieri, personaggi dello spettacolo, calciatori, giornalisti e magistrati, a chi poteva davvero interessare? Certo, in questo gioco di specchi, dove sull'arbitro De Santis o quello sul giocatore Bobo Vieri che vengono probabilmente commissionati dall'Inter, visto che la ricevuta di un pagamento intestata a F.C. Internazionale Milano, è stata ritrovata dagli inquirenti presso la sede inglese della Worldwide Consultant Security, una delle scatole vuote estere messe in piedi da Emanuele Cipriani per ricevere con discrezione il denaro dai suoi importanti clienti.
Memorabile il commento dell'intercettato De Santis al TG5.
«Inizialmente, quando abbiamo saputo di questa operazione messa in atto da Moratti - perché dalle parole di Moratti abbiamo saputo questo, e quindi di conseguenza da Pirelli e da questo investigatore Cipriani - siamo rimasti veramente schifati da questa situazione. Soprattutto perché tutto questo avveniva da parte di persone che in tutto questo frangente si sono sempre proclamate innocenti ed estranee a qualsiasi cosa proprio perché non figuravano nelle intercettazioni telefoniche. A questo punto io penso che forse l'unica cosa è che l'Inter faccia un campionato da sola, giochi da sola, almeno vincerà tutte le partite senza che nessun arbitro la possa danneggiare. Io penso che le partite vanno vinte sul campo».
Non resta che attendere per vedere in che modo ne usciranno gli Onesti e quale fine farà il loro scudetto di legno, ora che lo straordinario Commissario Telecom è tornato alla casa madre.
23 settembre, 2006
CALCIO O FOOTBALL
Il dilemma del sabato pomeriggio è il seguente: ingrassare con il calcio di cadetteria o rifarsi il palato con il football di Premiership? Mi accontento di leggere il nome del fischietto a Torino. Per Juventus-Modena, hanno designato Tiziano Pieri: affari di famiglia. No grazie, cambio canale. C'è il derby di Londra, c'è il Balon d'Or in campo. C'è tutta un'altra poesia.
Questa è una partita di simboli: SW6. South West Six. Codice di avviamento postale. Sud-ovest di Londra. Quartiere di Fulham. La storia nasce qui, dove vivono benestanti signori, dove il Tamigi non si sente ma c'è, dove le luci si accendono presto, dove il tè non è un'opzione, dove derby è una cosa che conoscono bene. Se spedisci una lettera al Fulham Football Club scrivi Stevenage Road, London, SW6. Se la mandi al Chelsea, scrivi Fulham Road, London, SW6. In mezzo ci sono ottocento metri e non uno di più. Svolti un angolo, poi sempre dritto. Sei arrivato. Stesse case, stesse scuole, stessi giardini pubblici, stesse uscite della metropolitana. Due stadi: Craven Cottage e Stamford Bridge. Londra è una città che nel calcio non si stupisce di niente: con tredici squadre professionistiche, con milioni di tifosi, ha una serie infinita di partite tutte sue. Di incroci, di destini, di fan mischiati, di magliette che si sovrappongono, di sfide tribali che si ripetono. Allora si eccita e si sgonfia, si rieccita e poi si adatta. (...) Chi sta a Londra e non è accecato dal tifo sa che in fondo esistono solo due squadre e sono quelle vicine di casa, quelle con lo stesso codice di avviamento postale. Peggio per Nick Hornby e per tutti i suoi sodali che spingono l'Arsenal oltre il muro dell'anonimato. Anche questa non è una questione di scudetti e letteratura, né di sponsor miliardari o tifosi vip. E' così perché, nel paese dove il football è nato, si trova ancora qualcosa di incomprensibile: appartiene all'inconscio, al mito, alla leggenda. Alle famiglie: uno è tifoso del Chelsea o del Fulham non per appartenenza geografica, religiosa o sociale. Non è possibile. La squadra la sceglie il destino. In una casa si sta da una parte, in quella accanto si sta dall'altra. Il rivale non è nemico diverso, è avversario perché è uguale. E' una differenza enorme, è il letto di un fiume come il Tamigi dove scorre passione. Colori e sapori. E' come se ci fosse una sacca e dentro quella sacca una magia che va oltre lo spettacolo da vendere alle telecamere. Non serve il goal, va bene anche il lancio lungo con la spizzata di testa e chi s'è visto s'è visto. Lo show è un altro: quello che vive dentro la testa. L'onore, l'orgoglio, lo spirito di appartenenza, la sfida al vicino che vedi passare tutti i giorni, al parente che ha sbagliato sponda. Allora possono vincere quello che vogliono, i Gunners. Possono anche diventare un libro divertente e un film carino. Non sarà mai abbastanza. Così leggi e senti dire: «Chi sta fuori pensa che Londra sia una megalopoli piena di stadi da leggenda e di squadre di calcio irriducibili. Ma chi sta a Londra in testa ha il Chelsea e il Fulham. L'Arsenal sta a Londra come il Monza sta a Milano».
(Beppe di Corrado, su Il Foglio Quotidiano di sabato 23 settembre 2006).
Per la cronaca, l'ha svangata il Chelsea di Abramovich sul Fulham di Al Fayed. "Shevy" cerca ancora la migliore condizione e l'ha vista poco. Quando si smarca, non gliela danno. E' tutto un'altro sistema di gioco. Fatto di corsa e di atletismo, di dribbling, di cross e di tiri dalla distanza. E' il calcio delle origini. Quello che fa stare i bambini in strada col pallone incollato al piede fino a sera. Quello che noi abbiamo dimenticato come si gioca già molti anni fa.
Questa è una partita di simboli: SW6. South West Six. Codice di avviamento postale. Sud-ovest di Londra. Quartiere di Fulham. La storia nasce qui, dove vivono benestanti signori, dove il Tamigi non si sente ma c'è, dove le luci si accendono presto, dove il tè non è un'opzione, dove derby è una cosa che conoscono bene. Se spedisci una lettera al Fulham Football Club scrivi Stevenage Road, London, SW6. Se la mandi al Chelsea, scrivi Fulham Road, London, SW6. In mezzo ci sono ottocento metri e non uno di più. Svolti un angolo, poi sempre dritto. Sei arrivato. Stesse case, stesse scuole, stessi giardini pubblici, stesse uscite della metropolitana. Due stadi: Craven Cottage e Stamford Bridge. Londra è una città che nel calcio non si stupisce di niente: con tredici squadre professionistiche, con milioni di tifosi, ha una serie infinita di partite tutte sue. Di incroci, di destini, di fan mischiati, di magliette che si sovrappongono, di sfide tribali che si ripetono. Allora si eccita e si sgonfia, si rieccita e poi si adatta. (...) Chi sta a Londra e non è accecato dal tifo sa che in fondo esistono solo due squadre e sono quelle vicine di casa, quelle con lo stesso codice di avviamento postale. Peggio per Nick Hornby e per tutti i suoi sodali che spingono l'Arsenal oltre il muro dell'anonimato. Anche questa non è una questione di scudetti e letteratura, né di sponsor miliardari o tifosi vip. E' così perché, nel paese dove il football è nato, si trova ancora qualcosa di incomprensibile: appartiene all'inconscio, al mito, alla leggenda. Alle famiglie: uno è tifoso del Chelsea o del Fulham non per appartenenza geografica, religiosa o sociale. Non è possibile. La squadra la sceglie il destino. In una casa si sta da una parte, in quella accanto si sta dall'altra. Il rivale non è nemico diverso, è avversario perché è uguale. E' una differenza enorme, è il letto di un fiume come il Tamigi dove scorre passione. Colori e sapori. E' come se ci fosse una sacca e dentro quella sacca una magia che va oltre lo spettacolo da vendere alle telecamere. Non serve il goal, va bene anche il lancio lungo con la spizzata di testa e chi s'è visto s'è visto. Lo show è un altro: quello che vive dentro la testa. L'onore, l'orgoglio, lo spirito di appartenenza, la sfida al vicino che vedi passare tutti i giorni, al parente che ha sbagliato sponda. Allora possono vincere quello che vogliono, i Gunners. Possono anche diventare un libro divertente e un film carino. Non sarà mai abbastanza. Così leggi e senti dire: «Chi sta fuori pensa che Londra sia una megalopoli piena di stadi da leggenda e di squadre di calcio irriducibili. Ma chi sta a Londra in testa ha il Chelsea e il Fulham. L'Arsenal sta a Londra come il Monza sta a Milano».
(Beppe di Corrado, su Il Foglio Quotidiano di sabato 23 settembre 2006).
Per la cronaca, l'ha svangata il Chelsea di Abramovich sul Fulham di Al Fayed. "Shevy" cerca ancora la migliore condizione e l'ha vista poco. Quando si smarca, non gliela danno. E' tutto un'altro sistema di gioco. Fatto di corsa e di atletismo, di dribbling, di cross e di tiri dalla distanza. E' il calcio delle origini. Quello che fa stare i bambini in strada col pallone incollato al piede fino a sera. Quello che noi abbiamo dimenticato come si gioca già molti anni fa.
22 settembre, 2006
IL PETROLIERE ONESTO
I Moratti producono elettricità a partire dagli scarti della lavorazione del petrolio. Per legge sono una fonte rinnovabile di energia, che lo Stato sovvenziona con i nostri soldi. Ecco come trasformare un rifiuto speciale in un ottimo affare.
[AltraEconomia.it] I soldi per comprare i giocatori dell'Inter Massimo Moratti li prende da qui, da questo piccolo paese sulle coste sarde. Ma non sentitevi esclusi: anche voi contribuite a investire sulla squadra. Ogni volta che pagate la bolletta della luce. Sarroch è in provincia di Cagliari. Vi sorge lo stabilimento di raffinazione della Saras, la società di famiglia dei petrolieri Moratti, fondata nel 1962 da papà Angelo (già presidente dell'Inter). Dal satellite si vede che l'impianto è di gran lunga più vasto dell'agglomerato urbano. È sulla costa, per permettere l'attracco delle petroliere: un quarto del petrolio trasportato via nave nel mondo passa di qua, dal mare della Sardegna. È la più grande raffineria di petrolio del Mediterraneo per capacità produttiva: 15 milioni di tonnellate l'anno di petrolio grezzo trattato, che per la maggior parte viene da Libia e Mare del Nord. Tra i clienti Shell, Repsol, Total, Eni, Q8, Tamoil.
I conti di Saras sono ottimi: 5,5 miliardi di euro di ricavi nel 2005, un bel più 48% rispetto al 2004, e utili per 332 milioni (ancora: più 47% sul 2004). E nei primi mesi del 2006 le cose marciano anche meglio, con risultati netti che raddoppiano rispetto allo stesso periodo del 2005. Saras dà lavoro a 1.600 persone. Ma il vero gioiello dell'azienda sta nell'angolo sudorientale dell'impianto: è la centrale elettrica Sarlux. La Sarlux è una società posseduta al 100% da Saras. La centrale produce energia elettrica bruciando gli scarti di lavorazione che la Saras produce raffinando il petrolio. Questo scarto si chiama tar, detto anche "olio combustibile pesante", una pece semi solida che potrebbe essere utilizzata per fare bitume, e che per essere bruciata viene gassificata e irrorata di ossigeno. È un combustibile altamente inquinante, molto più del metano di solito utilizzato nelle centrali elettriche. L'impianto brucia 150 tonnellate di tar l'ora. Oltre a CO2, ossidi di azoto ed emissioni varie, a fine anno la combustione lascia in dote 1.400 tonnellate di scarti tra zolfo e concentrati di metalli, come il vanadio e il nichel.
L'energia prodotta dalla centrale Sarlux viene tutta comprata da un ente pubblico, il Gestore del sistema elettrico (Grtn), che la paga il doppio di quanto varrebbe sul mercato. Questo accade perché per la legge italiana l'impianto Sarlux è un impianto "assimilato" alle fonti rinnovabili, e per tanto va incentivato come queste ultime. Come sia possibile che una centrale che brucia scarti della lavorazione del petrolio sia pagata come fosse un impianto a energia solare lo dobbiamo al famigerato provvedimento Cip6 (comitato interministeriale prezzi) del 1992. All'epoca il governo decise di agevolare la costruzione di impianti rinnovabili garantendo di comperare (attraverso Enel) elettricità a un prezzo più alto, il doppio e in alcuni casi il triplo, e destinando alla collettività, attraverso le bollette, l'onere del sostentamento dell'energia pulita. Ma poi allargò questa opportunità anche a un numero limitato di altre centrali che utilizzavano fonti che definì "assimilate"e che di rinnovabile non avevano nulla: per la precisione gas, carbone, tar, rifiuti.
Da allora gli italiani pagano anche il 10% in più in bolletta pensando di contribuire alla diffusione di energia pulita. Invece l'0% di quei contributi finisce a impianti come quello dei Moratti. Per il 2005 parliamo di un totale di oltre 3,1 miliardi di euro (erano 2,3 miliardi nel 2004). Oggi il meccanismo Cip6 è stato superato da quello dei certificati verdi nato nel 1999, che non prevede fonti "assimilate", ma le convenzioni stipulate nel passato sono ancora per la maggior parte attive. Sarlux non è l'unica a trarre vantaggio da questa situazione. L'elenco dei beneficiari non è pubblico, ma sappiamo che metà della torta Cip6 finisce a Edison, che appartiene ai francesi della Edf. Anche altri petrolieri, come i Garrone di Erg o i Brachetti Peretti di Api godono delle incentivazioni con impianti simili, che producono cioè elettricità bruciando scarti della lavorazione del petrolio.
Ma l'impianto dei Moratti ha qualche particolarità interessante: la prima, è che è uno dei più grandi, con i suoi 575 megawatt di potenza e 4 miliardi di kilowattora prodotti l'anno. La seconda particolarità è che è tra gli ultimi ad aver avuto accesso agli incentivi, visto che la convenzione è partita l'8 gennaio 2001. Tra l'altro la convenzione di Sarlux dura 20 anni, cinque in più rispetto a quanto stabilito dal provvedimento Cip6. Stando alle analisi della società, il prestito di oltre un miliardo di euro stipulato nel 1996 con Banca Intesa e Banca Europea per gli investimenti per costruire l'impianto dovrebbe essere ammortizzato entro il 2011. Poi saranno dieci anni di guadagno netto. Un paradosso ulteriore è che più cresce il prezzo del petrolio, lo stesso che i Moratti vendono pochi metri più in là, maggiore è il contributo che lo Stato riconosce all'impianto Sarlux in quanto fonte "assimilata" alle rinnovabili. Sarlux è strategica per i Moratti, tanto che anche nella fase di approvvigionamento del petrolio grezzo si tiene conto delle esigenze della centrale. È vero, rispetto al fatturato del gruppo i ricavi equivalgono solo a un decimo, ma gli utili di Saras sono per oltre il 36% riconducibili alla centrale elettrica (122 milioni di euro su 332). Senza gli incentivi produrre elettricità costerebbe moltissimo, molto più di quanto si guadagnerebbe vendendola (solo per l'ossigeno impiegato per la combustione Sarlux spende 50 milioni di euro l'anno). E se non vengono bruciati, gli scarti di lavorazione si tramutano, da fonte di guadagno, in un costo, perché sono rifiuti speciali e vanno smaltiti adeguatamente.
A maggio Massimo e Gian Marco Moratti, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Saras, hanno messo in vendita le azioni della società che detenevano a titolo personale, facendo sbarcare l'azienda in Borsa. Oggi il 40% di Saras è in mano al mercato. I fratelli avranno comunque il controllo dell'azienda attraverso la finanziaria di famiglia Angelo Moratti s.a.p.a., che mantiene il 60% delle azioni. La vendita di azioni ha fruttato ai fratelli poco meno di un miliardo di euro ciascuno. Immaginiamo che parte di questi soldi verranno investiti su qualche buon giocatore. Le azioni, vendute a 6 euro l'una, per lotti minimi di 600 azioni, sono andate a ruba. Il giorno dopo il debutto a piazza Affari, però, il titolo è crollato del 10%. A fine luglio chi ha investito in Saras perdeva il 20% (un'azione era quotata 4,8 euro). Per gli 80 mila investitori che hanno creduto in Saras non resta che sperare nel campionato.
[AltraEconomia.it] I soldi per comprare i giocatori dell'Inter Massimo Moratti li prende da qui, da questo piccolo paese sulle coste sarde. Ma non sentitevi esclusi: anche voi contribuite a investire sulla squadra. Ogni volta che pagate la bolletta della luce. Sarroch è in provincia di Cagliari. Vi sorge lo stabilimento di raffinazione della Saras, la società di famiglia dei petrolieri Moratti, fondata nel 1962 da papà Angelo (già presidente dell'Inter). Dal satellite si vede che l'impianto è di gran lunga più vasto dell'agglomerato urbano. È sulla costa, per permettere l'attracco delle petroliere: un quarto del petrolio trasportato via nave nel mondo passa di qua, dal mare della Sardegna. È la più grande raffineria di petrolio del Mediterraneo per capacità produttiva: 15 milioni di tonnellate l'anno di petrolio grezzo trattato, che per la maggior parte viene da Libia e Mare del Nord. Tra i clienti Shell, Repsol, Total, Eni, Q8, Tamoil.
I conti di Saras sono ottimi: 5,5 miliardi di euro di ricavi nel 2005, un bel più 48% rispetto al 2004, e utili per 332 milioni (ancora: più 47% sul 2004). E nei primi mesi del 2006 le cose marciano anche meglio, con risultati netti che raddoppiano rispetto allo stesso periodo del 2005. Saras dà lavoro a 1.600 persone. Ma il vero gioiello dell'azienda sta nell'angolo sudorientale dell'impianto: è la centrale elettrica Sarlux. La Sarlux è una società posseduta al 100% da Saras. La centrale produce energia elettrica bruciando gli scarti di lavorazione che la Saras produce raffinando il petrolio. Questo scarto si chiama tar, detto anche "olio combustibile pesante", una pece semi solida che potrebbe essere utilizzata per fare bitume, e che per essere bruciata viene gassificata e irrorata di ossigeno. È un combustibile altamente inquinante, molto più del metano di solito utilizzato nelle centrali elettriche. L'impianto brucia 150 tonnellate di tar l'ora. Oltre a CO2, ossidi di azoto ed emissioni varie, a fine anno la combustione lascia in dote 1.400 tonnellate di scarti tra zolfo e concentrati di metalli, come il vanadio e il nichel.
L'energia prodotta dalla centrale Sarlux viene tutta comprata da un ente pubblico, il Gestore del sistema elettrico (Grtn), che la paga il doppio di quanto varrebbe sul mercato. Questo accade perché per la legge italiana l'impianto Sarlux è un impianto "assimilato" alle fonti rinnovabili, e per tanto va incentivato come queste ultime. Come sia possibile che una centrale che brucia scarti della lavorazione del petrolio sia pagata come fosse un impianto a energia solare lo dobbiamo al famigerato provvedimento Cip6 (comitato interministeriale prezzi) del 1992. All'epoca il governo decise di agevolare la costruzione di impianti rinnovabili garantendo di comperare (attraverso Enel) elettricità a un prezzo più alto, il doppio e in alcuni casi il triplo, e destinando alla collettività, attraverso le bollette, l'onere del sostentamento dell'energia pulita. Ma poi allargò questa opportunità anche a un numero limitato di altre centrali che utilizzavano fonti che definì "assimilate"e che di rinnovabile non avevano nulla: per la precisione gas, carbone, tar, rifiuti.
Da allora gli italiani pagano anche il 10% in più in bolletta pensando di contribuire alla diffusione di energia pulita. Invece l'0% di quei contributi finisce a impianti come quello dei Moratti. Per il 2005 parliamo di un totale di oltre 3,1 miliardi di euro (erano 2,3 miliardi nel 2004). Oggi il meccanismo Cip6 è stato superato da quello dei certificati verdi nato nel 1999, che non prevede fonti "assimilate", ma le convenzioni stipulate nel passato sono ancora per la maggior parte attive. Sarlux non è l'unica a trarre vantaggio da questa situazione. L'elenco dei beneficiari non è pubblico, ma sappiamo che metà della torta Cip6 finisce a Edison, che appartiene ai francesi della Edf. Anche altri petrolieri, come i Garrone di Erg o i Brachetti Peretti di Api godono delle incentivazioni con impianti simili, che producono cioè elettricità bruciando scarti della lavorazione del petrolio.
Ma l'impianto dei Moratti ha qualche particolarità interessante: la prima, è che è uno dei più grandi, con i suoi 575 megawatt di potenza e 4 miliardi di kilowattora prodotti l'anno. La seconda particolarità è che è tra gli ultimi ad aver avuto accesso agli incentivi, visto che la convenzione è partita l'8 gennaio 2001. Tra l'altro la convenzione di Sarlux dura 20 anni, cinque in più rispetto a quanto stabilito dal provvedimento Cip6. Stando alle analisi della società, il prestito di oltre un miliardo di euro stipulato nel 1996 con Banca Intesa e Banca Europea per gli investimenti per costruire l'impianto dovrebbe essere ammortizzato entro il 2011. Poi saranno dieci anni di guadagno netto. Un paradosso ulteriore è che più cresce il prezzo del petrolio, lo stesso che i Moratti vendono pochi metri più in là, maggiore è il contributo che lo Stato riconosce all'impianto Sarlux in quanto fonte "assimilata" alle rinnovabili. Sarlux è strategica per i Moratti, tanto che anche nella fase di approvvigionamento del petrolio grezzo si tiene conto delle esigenze della centrale. È vero, rispetto al fatturato del gruppo i ricavi equivalgono solo a un decimo, ma gli utili di Saras sono per oltre il 36% riconducibili alla centrale elettrica (122 milioni di euro su 332). Senza gli incentivi produrre elettricità costerebbe moltissimo, molto più di quanto si guadagnerebbe vendendola (solo per l'ossigeno impiegato per la combustione Sarlux spende 50 milioni di euro l'anno). E se non vengono bruciati, gli scarti di lavorazione si tramutano, da fonte di guadagno, in un costo, perché sono rifiuti speciali e vanno smaltiti adeguatamente.
A maggio Massimo e Gian Marco Moratti, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Saras, hanno messo in vendita le azioni della società che detenevano a titolo personale, facendo sbarcare l'azienda in Borsa. Oggi il 40% di Saras è in mano al mercato. I fratelli avranno comunque il controllo dell'azienda attraverso la finanziaria di famiglia Angelo Moratti s.a.p.a., che mantiene il 60% delle azioni. La vendita di azioni ha fruttato ai fratelli poco meno di un miliardo di euro ciascuno. Immaginiamo che parte di questi soldi verranno investiti su qualche buon giocatore. Le azioni, vendute a 6 euro l'una, per lotti minimi di 600 azioni, sono andate a ruba. Il giorno dopo il debutto a piazza Affari, però, il titolo è crollato del 10%. A fine luglio chi ha investito in Saras perdeva il 20% (un'azione era quotata 4,8 euro). Per gli 80 mila investitori che hanno creduto in Saras non resta che sperare nel campionato.
13 settembre, 2006
SOLO EUROPA
L'urlo di Pippo sotto i riflettori riconcilia con il calcio. Effetto notte. Questa è la nostra platea. Un po' sguarnita, perché molti hanno capito: 31.836 spettatori paganti per un esordio in Champions League non sono numeri da Milan. Al di là della propaganda bulgara del canale tematico e del sito ufficiale sui "settantamila al turno preliminare"... con i tagliandi d'ingresso al prezzo politico di 10 euri. Ce n'eravamo accorti lo scorso dicembre contro lo Schalke: crocevia della stagione, dentro o fuori l'Europa. A San Siro eravamo in quarantatremila: mezzo stadio.
Lasciamo alle spalle una stagione estenuante. Dopo l'ecatombe di Istanbul, abbiamo mandato giù tanto amaro. Troppo. Lo sgarbo insopportabile di Vieri in rossonero. La proverbiale ottusità di Ancelotti. I flirt con i boia Poulsen e Materazzi. Un altro tricolore buttato a Lecce. L'ambiguo, insopportabile addio del Balon d'Or. I "no grazie" di Henry e di Eto'o. Il ristoratore di Lodi e il Sistema Milan di Borrelli. L'assalto mediatico ai nostri colori. Il silenzio (assenso) della società. Quaranta giorni di B con penalizzazione (di 3 punti, sic!). I Tre Saggi e lo Scudetto degli Onesti. Il Comitato Etico e l'ammissione alla Champions sotto vigilanza Uefa. Gli obiettivi primari di mercato (Crespo e Ibrahimovic? dio ce ne scampi...) sfilati sotto al naso dai Perdenti vincitori. Le tentazioni incoffessabili di Pirlo e Kakà (prima della sentenza definitiva) e le smentite poco verosimili del club. La diffida ufficiale al Real Madrid e le successive avances private a Ronaldo (sicché non è bastato Vieri). I viaggi in Spagna di Galliani, inibito sotto mentite spoglie come accompagnatore di Braida. La proprietà che si defila. L'asta al rialzo per tale Ricardo Oliveira e il fantamercato sui fratellini o i fratellastri di Ronaldinho... E Marcio Amoroso.
Il Popolo Rossonero presenta il conto: in Serie A quest'anno 35.000 abbonati, contro i 53.000 dell'anno passato.
Ma questa è la nostra platea. Dal 1963 a Wembley, quando abbiamo alzato per primi la coppa con le orecchie. E da vent'anni a questa parte, con sette finali conquistate sul campo. Altro che "il danno causato all'immagine del calcio europeo": diciamolo pure, senza falsi pudori, che Monsieur Platini ci ha provato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa... Ma siamo qua, dove dobbiamo essere. Dove la Signora Omicidi e i Perdenti Onesti hanno sempre raccolto briciole e sberleffi. E verrebbe voglia di assecondare la provocazione di chi chiede di vedere il Diavolo solo in Europa. Fuori, una volta per tutte, da questo maleodorante cortile tricolore.
Lasciamo alle spalle una stagione estenuante. Dopo l'ecatombe di Istanbul, abbiamo mandato giù tanto amaro. Troppo. Lo sgarbo insopportabile di Vieri in rossonero. La proverbiale ottusità di Ancelotti. I flirt con i boia Poulsen e Materazzi. Un altro tricolore buttato a Lecce. L'ambiguo, insopportabile addio del Balon d'Or. I "no grazie" di Henry e di Eto'o. Il ristoratore di Lodi e il Sistema Milan di Borrelli. L'assalto mediatico ai nostri colori. Il silenzio (assenso) della società. Quaranta giorni di B con penalizzazione (di 3 punti, sic!). I Tre Saggi e lo Scudetto degli Onesti. Il Comitato Etico e l'ammissione alla Champions sotto vigilanza Uefa. Gli obiettivi primari di mercato (Crespo e Ibrahimovic? dio ce ne scampi...) sfilati sotto al naso dai Perdenti vincitori. Le tentazioni incoffessabili di Pirlo e Kakà (prima della sentenza definitiva) e le smentite poco verosimili del club. La diffida ufficiale al Real Madrid e le successive avances private a Ronaldo (sicché non è bastato Vieri). I viaggi in Spagna di Galliani, inibito sotto mentite spoglie come accompagnatore di Braida. La proprietà che si defila. L'asta al rialzo per tale Ricardo Oliveira e il fantamercato sui fratellini o i fratellastri di Ronaldinho... E Marcio Amoroso.
Il Popolo Rossonero presenta il conto: in Serie A quest'anno 35.000 abbonati, contro i 53.000 dell'anno passato.
Ma questa è la nostra platea. Dal 1963 a Wembley, quando abbiamo alzato per primi la coppa con le orecchie. E da vent'anni a questa parte, con sette finali conquistate sul campo. Altro che "il danno causato all'immagine del calcio europeo": diciamolo pure, senza falsi pudori, che Monsieur Platini ci ha provato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa... Ma siamo qua, dove dobbiamo essere. Dove la Signora Omicidi e i Perdenti Onesti hanno sempre raccolto briciole e sberleffi. E verrebbe voglia di assecondare la provocazione di chi chiede di vedere il Diavolo solo in Europa. Fuori, una volta per tutte, da questo maleodorante cortile tricolore.
09 settembre, 2006
RICCHIUTI E MAZZIATI
SERIE B TIM 2006-2007
Prima Giornata, sabato 9 settembre 2006
Stadio Romeo Neri di Rimini
RIMINI-JUVENTUS 1-1
RETI: 15 s.t. Paro, 29 s.t. Ricchiuti.
RIMINI: Handanovic; Vitiello, Milone, Peccarisi, Regonesi; Barusso, Cristiano; Pagano (21 s.t. Baccin), Ricchiuti, Jeda (33 s.t. Tasso); Matri (30 s.t. Moscardelli).
A disposizione: Pugliesi, Bravo, Digao, Valiani.
Allenatore: Acori.
JUVENTUS: Buffon, Birindelli, Kovac, Boumsong, Chiellini; Marchionni (33 s.t. Camoranesi), Giannichedda (18 Bojinov), Paro, Nedved; Del Piero (40 s.t. Palladino), Zalayeta.
A disposizione: Mirante, Balzaretti, Marchisio, Guzman.
Allenatore: Deschamps.
ARBITRO: Saccani di Mantova.
ASSISTENTI: Battaglia, Cariolato.
QUARTO ARBITRO: Ruini.
AMMONITI: 26 p.t. Giannichedda, 30 p.t. Crisitano, 40 p.t. Barusso, 23 s.t. Cristiano, 40 s.t. Birindelli, 46 s.t. Paro, 50 Zalayeta.
ESPULSI: 23 s.t. Cristiano per doppia ammonizione.
Prima Giornata, sabato 9 settembre 2006
Stadio Romeo Neri di Rimini
RIMINI-JUVENTUS 1-1
RETI: 15 s.t. Paro, 29 s.t. Ricchiuti.
RIMINI: Handanovic; Vitiello, Milone, Peccarisi, Regonesi; Barusso, Cristiano; Pagano (21 s.t. Baccin), Ricchiuti, Jeda (33 s.t. Tasso); Matri (30 s.t. Moscardelli).
A disposizione: Pugliesi, Bravo, Digao, Valiani.
Allenatore: Acori.
JUVENTUS: Buffon, Birindelli, Kovac, Boumsong, Chiellini; Marchionni (33 s.t. Camoranesi), Giannichedda (18 Bojinov), Paro, Nedved; Del Piero (40 s.t. Palladino), Zalayeta.
A disposizione: Mirante, Balzaretti, Marchisio, Guzman.
Allenatore: Deschamps.
ARBITRO: Saccani di Mantova.
ASSISTENTI: Battaglia, Cariolato.
QUARTO ARBITRO: Ruini.
AMMONITI: 26 p.t. Giannichedda, 30 p.t. Crisitano, 40 p.t. Barusso, 23 s.t. Cristiano, 40 s.t. Birindelli, 46 s.t. Paro, 50 Zalayeta.
ESPULSI: 23 s.t. Cristiano per doppia ammonizione.
06 settembre, 2006
LA GRANDE INTER
Pasticca nerazzurra
[Espresso.it] Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora. Colloquio con Ferruccio Mazzola.
Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l'altro, in un'aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell'Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce - e sotto giuramento - la verità su quella Grande Inter che negli anni '60 vinse in Italia e nel mondo.
«Non l'ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto», dice Ferruccio.
A che cosa si riferisce, Mazzola?
«Sono stato in quell'Inter anch'io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l'allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno "il caffè" di Herrera divenne una prassi all'Inter».
Cosa c'era in quelle pasticche?
«Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro...».
Suo fratello?
«Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi...».
A chi si riferisce?
«Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni '90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n'è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all'Inter tra il '55 e il '64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell'Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...».
A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.
«Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel'ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia ("Il terzo incomodo", scritto con Fabrizio Càlzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma».
Perché?
«Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità di presidente dell'Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità».
Ma lei di Facchetti non era amico?
«Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti».
Pensa che dal dibattimento uscirà un'immagine diversa dell'Inter vincente di quegli anni?
«Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all'Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere...».
Ma era solo nell'Inter che ci si dopava in quegli anni?
«Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...».
De Sisti smentisce di essersi dopato.
«"Picchio" in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un'altra...».
E alla Lazio?
«Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno».
Altre squadre?
«Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all'Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel '69?».
Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono - siete - tutti uomini di sessant'anni...
«Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall'Inter, l'hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l'Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n'è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. È con loro che, grazie all'avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un'associazione di vittime del doping nel calcio».
Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario...
«Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così».
E oggi secondo lei il doping c'è ancora?
«Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini...».
I ragazzini?
«Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c'è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto».
[Espresso.it] Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora. Colloquio con Ferruccio Mazzola.
Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l'altro, in un'aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell'Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce - e sotto giuramento - la verità su quella Grande Inter che negli anni '60 vinse in Italia e nel mondo.
«Non l'ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto», dice Ferruccio.
A che cosa si riferisce, Mazzola?
«Sono stato in quell'Inter anch'io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l'allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno "il caffè" di Herrera divenne una prassi all'Inter».
Cosa c'era in quelle pasticche?
«Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro...».
Suo fratello?
«Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi...».
A chi si riferisce?
«Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni '90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n'è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all'Inter tra il '55 e il '64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell'Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...».
A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.
«Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel'ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia ("Il terzo incomodo", scritto con Fabrizio Càlzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma».
Perché?
«Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità di presidente dell'Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità».
Ma lei di Facchetti non era amico?
«Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti».
Pensa che dal dibattimento uscirà un'immagine diversa dell'Inter vincente di quegli anni?
«Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all'Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere...».
Ma era solo nell'Inter che ci si dopava in quegli anni?
«Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...».
De Sisti smentisce di essersi dopato.
«"Picchio" in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un'altra...».
E alla Lazio?
«Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno».
Altre squadre?
«Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all'Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel '69?».
Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono - siete - tutti uomini di sessant'anni...
«Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall'Inter, l'hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l'Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n'è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. È con loro che, grazie all'avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un'associazione di vittime del doping nel calcio».
Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario...
«Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così».
E oggi secondo lei il doping c'è ancora?
«Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini...».
I ragazzini?
«Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c'è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto».
05 settembre, 2006
COSE CHE NON HANNO PREZZO
[Juventus.com] Serie B Tim, 05 set 2006 - Ripartiamo insieme!
Sabato 9 settembre inizia per la Juventus la serie B. Una realtà che ancora non conosciamo, ma dalla quale dobbiamo e vogliamo ripartire con la grinta e l'entusiasmo che ha segnato ogni singola partita della nostra gloriosa storia. Comprendiamo la delusione di voi tifosi, ma è più che mai necessario il vostro supporto: vi conosciamo bene e sappiamo che quello non verrà mai a mancare, perché il vostro amore per la maglia bianconera, come spesso avete gridato, non retrocede. Ora è necessario concentrarsi sul futuro, finalmente sarà il campo a parlare. E lì ogni cosa ritrova la sua giusta dimensione. Troveremo tanti avversari nuovi, ma ugualmente forti e agguerriti. Li affronteremo come sempre: con il massimo rispetto e con la consapevolezza di avere l'enorme responsabilità di meritare, una volta di più, il vostro amore. Ce la metteremo tutta, per voi, insieme a voi!".
Ci hanno provato. Si erano scritti la sentenza per l'illecito "strutturato e reiterato". Avevano patteggiato la Serie B con una "congrua penalizzazione" in punti. Forse speravano che sarebbe arrivata la Zia Marisa a mettere a posto tutte le cose, come già nel 1980. E chissà quante altre volte ancora. Avevano detto: visto? noi siamo cambiati, abbiamo fatto pulizia! Pretendevano l'indulto. E invece, sai che ridere, sono stati presi alla lettera... Volete la B? Let it B!
Ventisei anni di attesa, ma ne valeva la pena. E ora, IMPAZZIRE DI CADETTERIA!
Sabato 9 settembre inizia per la Juventus la serie B. Una realtà che ancora non conosciamo, ma dalla quale dobbiamo e vogliamo ripartire con la grinta e l'entusiasmo che ha segnato ogni singola partita della nostra gloriosa storia. Comprendiamo la delusione di voi tifosi, ma è più che mai necessario il vostro supporto: vi conosciamo bene e sappiamo che quello non verrà mai a mancare, perché il vostro amore per la maglia bianconera, come spesso avete gridato, non retrocede. Ora è necessario concentrarsi sul futuro, finalmente sarà il campo a parlare. E lì ogni cosa ritrova la sua giusta dimensione. Troveremo tanti avversari nuovi, ma ugualmente forti e agguerriti. Li affronteremo come sempre: con il massimo rispetto e con la consapevolezza di avere l'enorme responsabilità di meritare, una volta di più, il vostro amore. Ce la metteremo tutta, per voi, insieme a voi!".
Ci hanno provato. Si erano scritti la sentenza per l'illecito "strutturato e reiterato". Avevano patteggiato la Serie B con una "congrua penalizzazione" in punti. Forse speravano che sarebbe arrivata la Zia Marisa a mettere a posto tutte le cose, come già nel 1980. E chissà quante altre volte ancora. Avevano detto: visto? noi siamo cambiati, abbiamo fatto pulizia! Pretendevano l'indulto. E invece, sai che ridere, sono stati presi alla lettera... Volete la B? Let it B!
Ventisei anni di attesa, ma ne valeva la pena. E ora, IMPAZZIRE DI CADETTERIA!
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