31 luglio, 2006

LUGLIO 2006: "Shevy" sbarca sul Tamigi

ONESTOPOLI

C'era un volta un petroliere onesto... Per dieci anni ci hanno raccontato questa fiaba incantevole. Nulla da dire, ci ha fatto sorridere. Ha regalato non poche soddisfazioni. Soprattutto sul campo, in ogni angolo d'Italia e in quel poco d'Europa che gli Onesti hanno frequentato. Che Moratti come dirigente non sia il massimo, ora mai lo hanno capito persino gli interisti: si evince, banalmente, dal pallottoliere di milioni che in questi anni ha sperperato per raccogliere, in cambio, solo insulti (dai tifosi della sua squadra) e pernacchie (dal resto del mondo). Ma anche fuori dal campo, in quanto a prodezze manageriali, il petroliere onesto non ha avuto eguali. Lo scorso novembre, ad esempio, pare abbia ceduto in leasing il marchio FC Internazionale alla banca Italease per 160 milioni. Il gruzzoletto necessario a ripianare una perdita di bilancio di 118 milioni (il passivo più pesante di tutta la Serie A) ed evitare l'ennesima ricapitalizzazione. Una volta venduto il blasone, si capisce che resta poco da salvare. Restano solo gli amici. E così il petroliere onesto si è ricordato di un amico di vecchia data, un amico che può dirsi a ragion veduta straordinario. Il Sole 24 Ore racconta, per citare un altro esempio, di un'operazione di cosmesi contabile messa in atto dal petroliere onesto per realizzare una plusvalenza fittizia di 158 milioni di euro. Quando la Covisoc ha chiesto all'Inter di ricapitalizzare per 100 milioni, pena la mancata iscrizione al campionato 2006/2007, Moratti si è presentato dal Commissario Figc che, con un colpo di bacchetta magica, ha cancellato il 60% (secondo altre fonti, addirittura l'80%) di quel debito. Dici Commissario Straordinario e pensi alla farsa dei Tre Saggi e allo scudetto a tavolino: in sostanza, non uno scudetto di stoffa ma di legno.

La trama del romanzo popolare di Calciopoli è arcinota. Ad aprile, le intercettazioni Telecom fanno saltare gli organi federali. La Figc viene commissariata e la massima carica è affidata a Guido Rossi. Rossi ha rivestito il mandato di presidente Telecom ed è amico di vecchia data di Moratti. Non solo. Per quattro anni ha seduto nel CdA neroblu, col petroliere onesto in persona (che è consigliere Telecom), con il vicepresidente Buora (che è amministratore delegato Telecom) e con Tronchetti Provera (che è presidente Telecom). Anni in cui nell'Inter ha giocato - poco, ma questa è un'altra favola moderna tutta morattiana - un uruguayano con passaporto comunitario falsificato. Illecito, sportivo e ordinario, per il quale il dirigente Oriali e il giocatore Recoba hanno patteggiato una pena di sei mesi di reclusione. Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport (Gruppo editoriale RCS, partecipato fra gli altri da Pirelli ovvero, di nuovo, da Tronchetti Provera) iniziano un tam-tam mediatico finalizzato a diffondere nel paese un sentimento collettivo, che infine si fa Opinione Pubblica: lo scudetto vada agli Onesti! La Federazione emette le sentenze di condanna e riscrive la graduatoria dell'ultimo campionato (che peraltro non è oggetto di indagine giudiziaria): «Abbiamo cercato di interpretare un sentimento collettivo, abbiamo ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla lunghezza d'onda», riconoscerà il giudice della corte Mario Serio. «Nella calura dell'estate italiana spira il venticello del buon senso...», chioserà trionfalmente il candido Cannavò. L'epilogo di fine mese è tristemente noto. Mi pare che non sia necessario chiamare il Tenente Colombo per accorgersi che i tasselli del puzzle sono tutti sul tavolo: il quadro che ne emerge ha già i contorni del crimine perfetto. Mancherebbe solo una prova: chi commissionò le intercettazioni telefoniche a Telecom?

Riporto un articolo di Giuseppe Davanzo, pubblicato lo scorso mese di maggio su Repubblica. Oggetto è l'indagine della Procura di Milano in merito alle attività del detective privato fiorentino Emanuele Cipriani e della sua società Polis d'Istinto, per conto di Telecom.

Per quanto racconta Cipriani ai magistrati, nei file illegali della Polis d'Istinto ci sono alcuni dossier raccolti, su input dell'Inter di Massimo Moratti e ordine di Marco Tronchetti Provera, contro l'arbitro Massimo De Santis, il direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani, il direttore sportivo del Catanzaro Luigi Pavarese. La scoperta ha amareggiato (e irritato) molto la Procura di Milano. Ai pubblici ministeri, tre anni fa, è stata segnalata la confessione che l'arbitro Danilo Nucini affida in privato al presidente dell'Inter, Giacinto Facchetti. La giacca nera racconta il metodo Moggi; le pratiche occulte utilizzate per aggiustare i risultati prima della partita; le modalità e i luoghi degli incontri clandestini del direttore della Juve con gli arbitri addomesticati. Addirittura indica i numeri di telefono coperti utilizzati dalla banda per comunicare in sicurezza. Facchetti invita Nucini a incontrare i magistrati. L'arbitro non ne vuole sapere, non se la sente di strappare il velo. Il presidente dell'Inter insiste. Pena un po'. Alla fine, la spunta. Nucini va in procura, ma è un buco nell'acqua. L'arbitro non conferma le sue accuse. Tocca ora a Facchetti. Se la sente di diventare attore della denuncia riferendo ai magistrati le rivelazioni di Nucini, peraltro registrate dal presidente dell'Inter? Facchetti affida la decisione al patron della squadra, Massimo Moratti. Che esclude la testimonianza per non compromettere il presidente del club. La storia sembra morta lì. Invece continua per vie oblique (da qui l'irritazione della procura che si sente oggi utilizzata e gabbata dall'Inter). Il club neroazzurro si rivolge alla rete spionistica di Telecom, alla Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani, per venire a capo della presunta corruzione di Massimo De Santis, indicato da Nucini come uno dei protagonisti dei trucchi. Il Corriere della Sera ha già svelato la nota di accompagnamento dell'indagine spionistica: «Con il presente report siamo a riportare quanto emerso dall'attività di intelligence attualmente in corso a carico di Massimo De Santis e della di lui coniuge, sviluppata al fine di individuare eventuali incongruità in particolare dal punto di vista finanziario e patrimoniale a carico del soggetto di interesse».

Solo per gli annali: nel 1927, lo scudetto fu revocato al Torino per illecito sportivo e non assegnato al secondo classificato, il Bologna, per il fatto che il Presidente Federale - il bolognese Arpinati, eletto nel frattempo - non volle dare adito a sospetti di favoritismo.
Altri tempi. E lo chiamano lo Scudetto degli Onesti...

26 luglio, 2006

IL CALCIO E' MORTO

[Figc.it] Roma, 26 luglio 2006 - La FIGC ha ricevuto in data 24 luglio 2006 il parere consultivo della Commissione composta da Gerhard Aigner, Massimo Coccia e Roberto Pardolesi sul quesito riguardante l'assegnazione del titolo di Campione d'Italia in caso di modifica della classifica finale del campionato. La Commissione ha concluso che, in caso di mera revoca del titolo di Campione d'Italia senza modificazioni di classifica, il titolo rimane necessariamente vacante. Diversamente, in caso di sanzioni che comportano modificazioni di classifica (come penalizzazioni di punti o retrocessione all'ultimo posto), l'art. 49 delle NOIF prevede l'automatica acquisizione del titolo di campione d'Italia per la squadra che risulta prima classificata, tenuto conto delle sanzioni. Gli organi federali possono tuttavia intervenire con un apposito provvedimento di non assegnazione quando ricorrono motivi di ragionevolezza e di etica sportiva, ad esempio quanto ci si renda conto che le irregolarità sono state di numero e portata tale da falsare l'intero campionato ovvero che anche squadre non sanzionate hanno tenuto comportamenti poco limpidi. Il Commissario straordinario ha ritenuto di attenersi alle conclusioni del parere e che non ricorrono motivi per l'adozione di provvedimenti di non assegnazione del titolo di Campione d'Italia per il Campionato 2005/2006 alla squadra prima classificata all'esito dei giudizi disciplinari. Rimane vacante il titolo di Campione d'Italia 2004/2005.

La farsa di Onestopoli giunge, con ciò, al suo atto finale. Non resta che lasciare l'estremo commento a una penna neroblu, Michele Serra di Repubblica (avessi detto Il Giornale o Libero): «Moratti non può ignorare che questo scudetto virtuale è pura carta bollata in un mare già illeggibile di scartoffie, intercettazioni, sentenze già monche. Che è parte integrante del collasso morale del gioco del calcio. Fa ancora in tempo a rifiutarlo, rimandando un concetto impegnativo come "vittoria" a tempi migliori. Noi tifosi gliene saremmo eternamente grati».

10 luglio, 2006

PIZZA E MANDOLINO

Cala (e finalmente!) il sipario sulla stagione più vergognosa dell'ultimo ventennio di calcio italiano. Nella bolgia del Circo Massimo, S.p.q.r. in delirio acclama i miserabili Campioni del Mondo. Panem et circenses, come ai tempi dei loro nonni coi cristiani. Un mese fa a Fiumicino li rincorrevano coi bastoni, oggi li inseguono col tricolore tatuato sulle guance o sulle natiche. Tricolori appesi a tutti i balconi, da nord a sud, rigorosamente capovolti (col rosso a sinistra e il verde a destra) o addirittura stesi in orizzontale, che neanche i magiari il 20 agosto a Budapest. Le bieche cospirazioni di EpoCannavaro alle spalle del povero Brindellone, le puntate clandestine a sei zeri di Buffon e Iaquinta, le convocazioni raccomandate a Mister GeaLippi dai vari figli di papà: tutti i peccati sono rimessi e condonati nel grande giubileo romano... solo anime linde, i nostri eroi di Berlino. Il Belpaese! Dai verdetti del popolo a quelli del senato pallonaro il passo è breve. Prepariamoci quindi ad assistere all'inesorabile smantellamento del castello accusatorio costruito con fervore giustizialista dal paladino di Piedi Puliti, il "poliziotto" Borrelli. Sarà un altro storico insabbiamento, come ai bei tempi di De Biase con la Juventus nel 1980 e con l'Inter nel 1983. Dalla nostra sponda del Naviglio, nel contempo, non possiamo che osservare come certuni ectoplasmi rossoneri, che per l'intera stagione o quasi hanno tirato sistematicamente indietro la gambetta, in Germania siano miracolosamente tornati in vita: mi riferisco, in particolare, a Pirlo e ai brasiliani. Il retrogusto è sempre più amarognolo, e finisce per prevalere sull'insipido generalizzato di un Mondiale poverello di spunti tecnici e di emozioni. Sospetto che di questo trionfo iridato, ai posteri sarà consegnata poco più che la memoria della testata di Monsieur Zizou a PsicoMaterazzi. Gli antenati Azzurri del Calcioscommesse, nel 1982, avevano saputo fare ben altro, guadagnandosi di diritto una pagina d'immortalità. A noi resta la soddisfazione (esigua, oltre che personale e non condivisa dalla massa) di aver visto il nostro secondo marcatore di sempre portare, da capitano, i suoi connazionali fino ai Quarti di Finale.

01 luglio, 2006

INTER 1983

Paolo Ziliani, Non si fanno queste cose a cinque minuti dalla fine! (2005).

Un gol che non doveva essere segnato. Una partita che non doveva essere vinta. Un giocatore famoso (Bagni) che i compagni dell'Inter rifiutano di abbracciare. Una rissa negli spogliatoi con pugni, insulti e accuse infamanti. Sullo sfondo, sospetti di scommesse al Totonero fatte da celebrati campioni e andate male. Due giovani giornalisti che annusano lo scandalo, iniziano una paziente inchiesta e arrivano a toccare con mano realtà scabrose: club al degrado, risultati accomodati, giocatori che scommettono, giornalisti corrotti, giudici che indagano, giudici che insabbiano, tribunali che si trasformano in saloon, avvocati disposti a tutto, agguati, intrighi, manovre di Palazzo e addirittura la scoperta di un Giuda che si aggira nella gloriosa redazione del quotidiano «Il Giorno» di Milano. È questa la vera storia del giallo Genoa-Inter: una partita che il club nerazzurro vinse per sbaglio. Una ricostruzione fedele, documentata, certificata, con retroscena inediti vissuti e testimoniati in prima persona da uno dei giornalisti (Paolo Ziliani) che fecero esplodere il caso. Un caso discusso e scottante che per cento giorni tenne banco sui giornali e in televisione grazie al puntiglio e all'ostinazione dei due giovani cronisti e di un «ispettore di campagna» decisi ad avventurarsi nell'intricata giungla del pallone dove la sola regola era - e forse ancora è - non ci sono regole. Una storia vera, emblematica e istruttiva di uno scandalo molto italiano che fece tremare un club glorioso come l'Inter e i piani alti del Palazzo del calcio. Un romanzo-verità, ma anche uno spaccato esemplare di un mondo - quello del calcio e del giornalismo - dove le zone d'ombra spesso hanno il sopravvento. E dove succedono storie inconfessabili. Come questa.

Prefazione, di Rino Tommasi.

Non so quali siano state le motivazioni che hanno spinto Paolo Ziliani a tirar fuori dal cassetto la meticolosa, eccellente eppure osteggiatissima inchiesta che, in compagnia di Claudio Pea, all'epoca suo collega al «Giorno», svolse più di ventuno anni fa.
La circostanza la ricordo bene. Era i127 marzo 1983 e si giocava la venticinquesima giornata di un campionato che fortunatamente era ancora a sedici squadre, il format ideate per il nostro calcio.
L'Inter era in quarta posizione staccata di sei punti dalla Roma, ormai avviata a vincere il secondo scudetto della sua storia, e giocava a «Marassi» contro il Genoa che era impegnato, come spesso gli capitava, nella lotta per evitare la retrocessione, che peraltro avrebbe conosciuto nella stagione successiva.
Per i motivi che leggerete nel libro, fu una partita che si rive-16 ideale per «costruire» un risultato utile per i clienti del Totonero e senza i sospetti che di regola accompagnano le gare delle ultimissime giornate di campionato. Il pareggio andava bene a tutti ma soprattutto a coloro che avevano puntato delle forti somme su quel risultato.
Sul 2 a 2 a cinque minuti dalla fine Salvatore Bagni, fedele al cliché di giocatore in perenne trance agonistica, realizzò invece il gol che avrebbe dato la vittoria all'Inter. Di regola anche in una partita poco importante chi segna un gol decisivo quasi allo scadere del tempo viene sommerso dagli abbracci, non tutti sinceri ma un po' isterici, che fanno parte di un rito.
Nulla di tutto questo. Bagni fu snobbato e insolentito dai compagni, insultato e minacciato dagli avversari. E negli spogliatoi, di 11 a poco, successero cose talmente strane da attirare l'attenzione dei giornalisti prima e far scattare l'inchiesta dell?Ufficio Indagini poi.
Poiché conosco abbastanza bene la storia del pugilato, ho affermato più volte, con una punta di provocazione ma anche con profonda convinzione, che ci sono stati meno incontri truccati in tutta la storia della boxe che in una qualsiasi stagione dei nostri campionati di calcio.
L'episodio di Genova non aveva bisogno di prove ma Ziliani e Pea le trovarono e le raccolsero. Esplose cosi un caso che mise a rumore il mondo del calcio e che tenne banco per 100 giorni: un giallo a regola d'arte che ogni giorno si arricchiva di una pagina scottante, di un retroscena torbido.
Pea e Ziliani si trovarono a fronteggiare, naturalmente, l'omertà degli addetti ai lavori, lo scetticismo dei benpensanti, l'astio di colleghi giornalisti scorretti quando non corrotti, le barriere difensive dei dirigenti del Palazzo convinti che la credibilità del calcio andasse difesa a ogni costo e a dispetto dell?evidenza e della verità.
Ho conosciuto Paolo Ziliani quando abbiamo lavorato insieme nella redazione sportiva di Canale 5 e lo avrei voluto con me quando sono diventato il primo direttore di Telepiù. Purtroppo non accettò, ma questo non ha diminuito la stima che ho sempre avuto per lui. Alla scrupolosa meticolosità, del recto confermata dal racconto di quella lontana inchiesta, Ziliani sa unire anche il raro dono dell'ironia.
Mi auguro che il suo racconto, uno spaccato fedele di che cos'erano ? e ancora sono ? il mondo del calcio e il mondo del giornalismo sportivo, faccia riflettere: perché questi due mondi dipinti spesso come idilliaci sono in realtà, ancor'oggi, ricettacolo di losche manovre, gol fasulli, abbracci finti o abbracci mancati, terreno di conquista di dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori il cui unico scopo e nascondere la verità.

JUVENTUS 1980

Carlo Petrini, Nel fango del dio pallone (2000).

Domenica 13 gennaio 1980 si doveva giocare Bologna-Juventus. I bianconeri erano in una situazione disastrosa: erano reduci da tre sconfitte consecutive e in classifica stavano scivolando in zona retrocessione. Il giovedì prima della partita il direttore sportivo del Bologna, Riccardo Sogliano, alla fine dell'allenamento ci radunò tutti nello spogliatoio - titolari e riserve - e ci disse: «Ci siamo messi d'accordo con la Juve per pareggiare la partita di domenica. E' chiaro per tutti?». Nessuno di noi giocatori ebbe niente da obiettare, cosi Sogliano se ne andò tutto soddisfatto: un favore del genere alla Juve poteva tornare molto comodo al Bologna, nel futuro... A quel punto parlò il nostro allenatore Perani, che ci propose di scommettere sul risultato di quella partita. Solo due giocatori si tirarono indietro, Renato Sali e Franco Castronaro: loro non vlevano partecipare a scommesse. Discutemmo con Perani la somma da puntare e si decise per 50 milioni. Mentre stavo lasciando lo spogliatoio per andare a telefonare la puntata a Cruciani, l'allenatore mi prese da parte e mi disse di aggiungere alla scommessa altri 5 milioni a nome suo, suoi personali. Dovetti telefonare a Cruciani varie volte: era dubbioso, non si fidava. Infatti mi disse che ultimamente aveva preso più di una fregatura: certi giocatori gli avevano promesso risultati che in campo non erano stati mantenuti, così lui ci aveva rimesso un mucchio di soldi. Si convinse solo quando gli dissi che gli accordi per il pareggio non li avevamo presi noi giocatori , ma i dirigenti delle due società. La prova di quello che dicevo, Cruciani la trovò nella Gazzetta dello Sport della domenica mattina: «Alla Juve basta un pareggio» dichiarava l'allenatore juventino Trapattoni.
Anche per noi giocatori era una garanzia il fatto che il pareggio fosse stato combinato dalle due dirigenze. Infatti nelle ore che precedettero la partita, cercammo altre strade per scommettere ancora e vincere più soldi. Colomba telefonò al suo amico Chiodi (un ex del Bologna passato al Milan) a Milanello, e gli chiese di scommettere per noi sulla piazza di Milano il pareggio di Bologna-Juve. Ricordo come fosse ieri, allo stadio Comunale imbiancato dalla neve caduta nella notte, i minuti che precedettero l'ingresso in campo. Io ero destinato alla panchina, quando uscii dagli spogliatoi incrociai Trapattoni. Gli raccomandai il rispetto dell'accordo, e lui mi disse che potevamo stare tranquilli, che non c'era nessun problema. Con Trapattoni avevo giocato nel Milan e nel Varese, sapevo che era una persona seria. I miei compagni , nel sottopassaggio prima di entrare sul terreno di gioco, fecero lo stesso con alcuni giocatori juventini (che quel giorno erano: Zoff, Cuccureddu, Cabrini, Gentile, Brio, Scirea, Causio, Prandelli, Tavola, Bettega, Merocchino). Gli dissero che avevamo scommesso sul pari, uno di loro rispose: «Noi oggi non abbiamo scommesso, il colpo l'abbiamo fatto già due domeniche fa con l'Ascoli».

Quando si concordavano i pareggi si puntava allo 0 a 0, proprio per evitare di trovarci in situazioni imbarazzanti o che il controllo del risultato potesse sfuggire di mano. Fu cosi anche per il primo tempo di quella partita combinata: il nostro primo tiro nella porta juventina lo facemmo al 35° minuto, e la Juve non fece niente di meglio. Il pubblico cominciò a protestare, sembrava una commedia più che una partita di calcio: alla fine del primo tempo arrivarono in campo fischi e palle di neve. Nella ripresa il nostro portiere Zinetti , totalmente deconcentrato, ne combinò una grossa: al 10° minuto, su un innocuo tiro da lontano di Causio, si impaperò e il pallone gli scivolò nella rete. In campo l'imbarazzo fu generale. Causio, più dispiaciuto che contento per il gol, si avvicinò alla panchina e discusse con Trapattoni. Perani, preoccupato, mi fece entrare in campo. Nel giro di pochi minuti cominciammo a sospettare che alcuni giocatori della Juve non volessero più rispettare l'accordo, e che ormai - già che c'erano - puntassero a vincere la partita. La tensione in campo divenne alta, noi insultavamo gli juventini, che tacevano imbarazzati. A un certo punto Bettega ci disse «Calmatevi, la responsabilità di farvi fare gol me la prendo io». Meno di un quarto d'ora dopo la situazione venne risolta dagli stessi bianconeri: su calcio d'angolo di Dossena, Brio ci regalò una bella autorete. Tutti a posto, tutti conntenti. Tutti meno il pubblico, che a fine garà ci saltò con bordate di fischi e con una pioggia di palle di neve.
L'indomani, leggendo sui giornali la cronaca della partita, ce la ridemmo di gusto. Il Resto del Carlino scriveva: «Le due squadre erano così amiche che i bianconeri non hanno nemmeno protestato per un mani in area di Albinelli su tiro di Bettega... Qualcuno sussurra che le due squadre si sono messe d'accordo». E la Gazzetta dello Sport: «Sembrava che il Bologna collaborasse alla soluzione della crisi juventina... E' un pareggio che sembra tacitamente concordato. Piuttosto strano il comportamento di Causio subito dopo il gol, la sua esultanza è stata freddina».

(...) L'ufficio inchieste della Federazione cominciò gli interrogatori. Capimmo che gli inquirenti della giustizia sportiva non erano interessati a sapere tutta la verità dei fatti: avevano fretta di chiudere la faccenda al più presto, volevano solo l'ammissione di qualche nome da dare in pasto all'opinione pubblica. In abase al regolamento federale, non dovevano dimostrare loro la nostra colpevolezza, dovevamo dimostrare noi la nostra innocenza. Ma noi eravamo convinti che bastasse tenere duro e negare tutto, anche noi volevamo che l'inchiesta si chiudesse in fretta. (...) Ai primi di maggio la Figc chiuse la sua inchiesta. Per la partita Bologna?Juventus del 13 gennaio venivo rinviato a giudizio insieme a Savoldi e Colomba, al presidente Fabretti e all'allenatore Perani. Processati anche il presidente della Juve Boniperti e l'allenatore Trapattoni. (...) Il turno di noi del Bologna arrivò il 23 maggio. Mi si avvicinò il presidente juventino Boniperti accompagnato dall'avvocato Chiusano. Disse che voleva parlarmi in disparte. Andammo nell'ufficio box della società bianconera all'interno della Federazione. A quel punto Boniperti mi disse: «Petrini, è nell'interesse di tutti - nostro ma anche suo - che domani Cruciani non venga in aula a testimoniare. Noi rischiamo la retrocessione in Serie B, ma lei rischia la radiazione. Bisogna rintracciare Cruciani e convincerlo a non presentarsi». Poi il presdiente juventino aggiunse: «Gli dica e gli prometta quello che vuole, ma lo convinca a non essere qui... Se lei darà una mano a noi, poi noi daremo una mano a lei». Non la feci tanto lunga, ero talmente solo e disperato che per avere una mano dalla Juve avrei fatto qualunque cosa. «Si sbrighi a trovarlo» concluse Boniperti, «ci sono pochissime ore di tempo. Gli dica pure che ha parlato con noi e gli prometta quello che vuole».

Sabato 24 maggio 1980, il superteste Cruciani non si presentò in aula a testimoniare. Il magistrato sportivo Corrado De Biase, per Bologna-Juventus, chiese l'assoluzione delle due società per mancanza di prove, ma una squalifica di sei mesi per Sogliano, Savoldi e Petrini.

Il Corriere della Sera del giorno successivo: "C'è un nuovo giallo che ha per protagonista Massimo Cruciani, uno dei due accusatori romani, la cui deposizione nella prima parte del processo ha compromesso la posizione di Paolo Rossi, squalificato per tre anni. Risulta che, nella notte tra venerdì e sabato, Cruciani avrebbe pernottato in un albergo del centro di Milano. Cruciani, quindi, sarebbe giunto da Roma a Milano per deporre davanti alla Commissione disciplinare relativamente alle tre partite in discussione, ma avrebbe poi sorprendentemente cambiato idea, decidendo di rientrare a Roma senza presentarsi nell'aula del tribunale calcistico. Aumentano quindi i sospetti su questa defezione dell'amico di Alvaro Trinca, il quale proprio davanti alla Commissione disciplinare ha ironizzato pesantemente sull'assenza di Cruciani". E La Gazzetta dello Sport, sulle richieste di condanna e assoluzione: "Sono richieste tali da lasciare profondamente sconcertato chiunque abbia seguito un po' da vicino questo maledetto e sporco imbroglio... La gente oggi si chiede anzitutto come mai i super-accusatori, i super-scommettitori Cruciani e Trinca, e i loro amici, vengano creduti come l'oracolo per certi episodi e vengano invece disattesi come bugiardoni patentati per certi altri. Ecco, si vorrebbe capire perché Cruciani e i suoi amici sono credibilissimi quando parlano di Paolo Rossi, tanto che basta la loro parola per infliggere a questo calciatore tre anni di squalifica; mentre credibili non lo sono più quando affermano di aver sentito dire da Petrini che la partita Bologna-Juve era stata già combinata per il pareggio.

Lunedì 26 maggio 1980, la sentenza di assoluzione piena per le due società, inclusi i due presidenti, i due allenatori e il direttore sportivo del Bologna, Sogliano. Condanna alla squalifica di 3 mesi per il giocatore Colomba e di 6 mesi per i giocatori Savoldi e Petrini.