31 dicembre, 2005

DICEMBRE 2005: Sheva è Capitano!

22 dicembre, 2005

LIVORNO 0 - MILAN 3

(23 PT) Gilardino, (15 ST) Gilardino, (26 ST) Shevchenko.

Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Kaladze, Serginho, Kakà (Jankulovski dal 41 ST), Gattuso, Pirlo, Seedorf (Ambrosini dal 33 ST), Gilardino (Rui Costa dal 39 ST), Shevchenko.

Il tema tattico: la buona difesa comincia a centrocampo. Inizio ad alta tensione, con ritmo concitato e un'infinità di contrasti. Pochi falli, peraltro: Trefoloni può governare senza doversi assumere responsabilità sproporzionate. In area di rigore si arriva raramente, la manovra prevale fra le due trequarti: la mediana è affollata da cinque maglie amaranto, Carlone risponde portando Kakà sulla linea di Seedorf, in una sorta di 4-4-2 che vede Pirlo e Gattuso comunque arretrati a copertura dei centrali di difesa: la coppia inedita è Nesta-Kaladze, con terzo gettone consecutivo del georgiano restituito al ruolo e alla causa. Si capisce da subito che la corsia di sinistra produrrà emozioni: Sergio ha la gamba delle serate migliori, quando scende palla al piede è come il vento che scuote e travolge. Lo Zionero si allunga a elastico fra difesa e attacco, inesauribile in contrasto come in impostazione: se gira così, c'è solo da attendere... inoltre, il Bambino si sposta di frequente da destra a sinistra al centro, togliendo ogni riferimento ai suoi persecutori. L'esito è una gara straordinaria per intensità, equilibrata in un gioco di alternanze d'iniziativa, fino al colpo del Gila che raffredda i bollori livornesi. Il tema tattico del secondo tempo è un invito a nozze per i ragazzi: Donadoni alza troppo il baricentro per cercare il pareggio e apre praterie nelle quali Sheva s'incunea a ripetizione, ben supportato da Clarence: al terzo tentativo di rimessa arriva il doppio-Gila. Questa volta non c'è calo di attenzione, ma lucida chirurgia nel pressing di un Sindaco di nuovo gigantesco. Linee compatte dietro (come sempre con Simic) e gestione sapiente del possesso, con il perfetto dosaggio dei ritmi: lento, accelerato, poi lento ancora. Chiudiamo il conto senza nulla concedere fino al 90'.

Gli episodi chiave: il timido Gila parla con i gol. Il Livorno costruisce le uniche due situazioni degne di memoria sulla parità a zero: Dida ha puntati addosso fin troppi occhi maligni, se è vero che forza un'uscita e/o va fuori tempo su cross dalla fascia di Lazetic (ma confonde il bisonte rosso, Lucarelli), poi non trattiene un destro in mischia che potrebbe diventare tap-in letale stile derby (anticipo di riflesso su Passoni con la punta del piede). Troviamo al Picchi un altro zelante sbandieratore: ferma prima il Gila e poi Sheva, che partono sicuramente in linea con l'avversario: situazioni nitide per il gol. Quando il pallone viaggia in verticale, a filo d'erba e con tocchi di prima, la griffe è indiscutibilmente Milan. Se poi questo accade nella corsia centrale del campo, il prodotto è a volte un gol da antologia: come già contro il Messina, Pirlo imposta su Kakà, tocco di prima per Sheva, controllo a seguire (destro-sinistro) in slalom sul raddoppio di marcatura e appoggio incrociato al limite dell'area per il Gila, che scatta in linea con l'ultimo difensore e punisce con una rasoiata di destro. Dopo 10' dal riposo, Seedorf vola sulla sinistra e pennella al centro ancora per il bombardiere biellese: torsione di testa e salvataggio disperato con la coscia di Colucci, la palla sbatte sul palo interno ma rimbalza incredibilmente in campo! I ragazzi hanno voglia. Sergio esce in anticipo furibondo sulla metacampo, poi galoppa in profondità a dettare il triangolo, ma Sheva marcia verso il centro e attende l'inserimento di Clarence al limite: tocco di prima dell'olandese e sempre il Gila chiude la geometria col piattone del raddoppio. Manuale del contropiede! Il k.o. arriva per una scivolata di Vargas di nuovo su Sergio, imprendibile a sinistra: il difensore (ammonito) protesta la simulazione. L'intenzione del contrasto c'è tutta, il contatto non so, ma il danno arrecato è evidente. Pennellata di Pirlo per il Balond'Or e... OH BELLA, CIAO!

La tribuna di Steve: la stagione dei "se" e dei "ma". Chiudiamo l'anno - per la prima volta dopo quattro - con il gusto (agro)dolce di una vittoria che vale doppio per il valore morale, ma meno della metà per la classifica. Le posizioni reciproche delle prime restano invariate, solo un tracollo bianconero potrebbe restituire significato alla stagione. Conosciamo i nostri pregi (39 gol realizzati) e i nostri difetti (18 gol subiti): sono strutturali, visto come è stata allestita la rosa. Sappiamo di poter buttare giù chiunque, non esclusa la capolista dei record, o il "terribile" Livorno che arrivava al confronto con 3 reti casalinghe al passivo. Per intenderci, non parliamo di una squadra di fenomeni, se è vero che ne aveva insaccati 5 dall'Inter e 3 a testa da Fiorentina e Juventus. Ma in un campionato di basso profilo come il 2005-06, questa è la quinta forza assoluta. Una prestazione come quella del Picchi, comunque, fa specie se si ripensa al Bentegodi, al Franchi e al Ferraris. Qua abbiamo gestito la gara da squadra di livello, là avevamo perso il filo del discorso e la partita. Inutile piangere sul latte versato. Accontentiamoci di rilevare in panchina un segnale inatteso di elasticità tattica, che lontano da San Siro potrebbe consentirci di correggere un rendimento imbarazzante. Sorprende in positivo anche la condizione atletica, in evidente crescita, di nuovo alle soglie di una sosta. Il mercato natalizio non porterà balocchi, pericolosa supponenza. Godiamoci solo una linea d'attacco da Liga, con il Balon d'Or che macina reti (160) anche giocando a sprazzi e la silenziosa presenza biellese, forse invisibile agli occhi dei più, ma letale quando arriva il momento di decidere il match: terza doppia stagionale, 12 gol in 17 turni di campionato... e ancora a novembre lo chiamavano flop.

18 dicembre, 2005

MILAN 4 - MESSINA 0

(22 PT) Shevchenko, (2 ST) Shevchenko, (38 ST) Pirlo, (40 ST) Gilardino.

Abbiamo giocato con Dida, Simic, Stam, Kaladze, Serginho, Gattuso, Pirlo (Vogel dal 39 ST), Seedorf (Ambrosini dal 31 ST), Kakà, Shevchenko (Vieri dal 18 ST), Gilardino.

Il tema tattico: la condanna del bel gioco. Dice Galliani a fine gara: la gente si rassegni, "questo è il nostro DNA, la rosa è stata pensata e creata per essere così, Berlusconi vuole vedere questo Milan". Siamo vittime della qualità. Un concetto paradossale, perché se è portato alle estreme conseguenze, trasforma l'agonismo in accademica esibizione. Per vincere occorre altro e lo ha insegnato Capello (fra l'altro, proprio sulla panca del Diavolo). La ricerca ostinata della combinazione triangolare al centro, per smarcare l'uomo solo davanti alla porta, alla lunga diventa stucchevole. Ci riusciamo giusto un paio di volte, perché la Serie A non è propriamente la Liga di Ronaldo. In mezzo, Bortolo Mutti ha una fortezza munita di torri: non passa uno spillo. Il nostro centrocampo a baricentro basso non trova né cerca soluzioni alternative: a destra Simic è diligente in copertura (come sempre), ma non spinge più del lecito (non lo ha mai fatto... perché è un centrale), mentre a sinistra Sergio avanza soprattutto nel secondo tempo, quando Seedorf si accentra con l'ingresso di Vieri, che fa la boa e sposta il Gila sulle periferie. Dietro abbiamo la coppia centrale del derby, Stam-Kaladze: pomeriggio di tutta tranquillità, che diventa puro allenamento con la doppietta del Balon d'Or (di nuovo, triste e svogliato). Test non probante, giudizio rimandato. Cauti con i trionfalismi e i progetti a lungo termine: "l'erede di Costacurta" lo dobbiamo cercare altrove, caro Galliani. Il rientro di Ambro a centrocampo, piuttosto, aumenta il nostro peso specifico in interdizione, specie nel gioco aereo. Gattuso capitano è una visione mistica al minuto 63: il destino della squadra è nelle sue mani. Nel frattempo, ci godiamo questo Kakà di fine anno, che è un'autentica strenna di Natale.

Gli episodi chiave: a San Siro come al Delle Alpi. Il primo quarto passerà alla storia per il più lungo (e sterile) possesso palla che a memoria si rammenti: 15 minuti con appena tre interdizioni, che non portano mai i siculi oltre la linea mediana del campo. Per risolvere l'empasse occorrerebbe un colpo di fischietto: scudetti e record, a Torino, si costruiscono così. Tiravento forse pensa di essere al Delle Alpi (saranno i vuoti sugli spalti?) o forse a -11 non facciamo paura più a nessuno. Tant'è: contrasto Gila-Leke, come tanti, a centro area e scende dal cielo un penalty d'oro. Dal replay si capisce che il duello di braccia è la copia di quanto visto a Firenze: là fu cancellato il nostro gol del pari, qua sblocchiamo lo 0 a 0 dal dischetto. Molto più evidenti appaiono le trattenute su Sheva, qualche attimo prima, e di nuovo sul Gila, qualche attimo dopo. Storari è reattivo su almeno tre conclusioni da fuori; una volta è baciato dalla buona sorte, quando il Gila rovescia a bicicletta sulle sue ginocchia: sarebbe stato un gol da incorniciare sulle bustine Panini. Ma la partita è vera soltanto per un tempo, quando due volte subiamo penetrazione dalla destra e Sculli grazia Dida, dopo una farfalla di Sergio. Due minuti del secondo tempo e tutti a casa: Sheva riconquista palla sulla trequarti e avvia un'azione che vede, in successione, diagonale ficcante di Sergio, tocco di prima di Sheva per il Gila, tacco del Gila per Kakà in area e tacco di Kakà per Sheva davanti alla porta: il Balon d'Or chiude il trapezio e rasoia di sinistro. Antologia del calcio! C'è il tempo per la quinta ciliegina consecutiva a San Siro del nostro Pernambucano da Brescia e una percussione in splendido stile Ambro che frutta il nono centro del Gila in campionato. Nel mezzo, passa un gran destro del Bambino sotto la traversa, cancellato dal solito zelante collaboratore di linea: dalla mia posizione la sensazione è offside. Da rimarcare un giallo pesante inflitto allo Zionero per contrasto in attacco, che fa schiumare di rabbia al pensiero di quanto ha concesso l'ottimo Pieri a Cannavaro & Co. contro la Lazio...

La tribuna di Steve: la verità è scritta nei numeri. Come spesso accade, le cifre descrivono la realtà meglio delle parole. Con 36 reti realizzate, siamo l'attacco bomba del campionato, al pari della capolista schiacciasassi. La differenza, è evidente, la scavano i 18 palloni raccolti in fondo al sacco da Dida. Sono il doppio di quelli raccolti da Abbiati - no comment - e ci costano le 3 sconfitte che la Juve ha convertito in altrettante vittorie e tradotto in 9 punti di vantaggio. Peraltro, subiamo (reti e sconfitte) più di Inter, Fiorentina, Livorno e Chievo, ovvero le prime sei della lista. Che il problema del Milan non fossero tanto i difensori quanto la fase difensiva di tutta la squadra, già ho detto a inizio stagione. La comprova è che in 16 turni di Serie A e 6 di Champions, su calcio piazzato siamo capitolati qualcosa come 13 volte: esclusi i 3 calci di rigore (Udinese, Fenerbahce e Inter), 3 sono i calci d'angolo fatali (Siena, Fiorentina e Inter) e addirittura 10 gol seguono un calcio di punizione (Ascoli, Sampdoria, Brescia in Coppa Italia, Fiorentina, Chievo, Schalke e di nuovo Inter). Le panzane sull'età avanzata, a gioco fermo, mi pare contino pochino. Il problema è nella testa e nella disponibilità al sacrificio, sebbene Ancelotti si ostini a sostenere che "tutte le squadre subiscono gol sui calci piazzati". Dario Simic che, come il Sindaco, Ambro e il Balon d'Or, spende parole sempre assennate e degne d'attenzione, a fine gara smorza i toni trionfali del 4 a 0 (stili più consoni alla sponda triste del Naviglio) rivelando candidamente che "siamo stati fortunati, due volte abbiamo concesso la palla per il gol". Questa è la realtà dei fatti. Il calo di tensione c'è stato anche oggi nel finale, come contro la Reggina. Indicatori allarmanti, come i due mesi senza punti lontano da San Siro, dove ne abbiamo raccolti 24 su 24 contro la miseria di 10 in 8 trasferte. Livorno ci attende armata.

16 dicembre, 2005

BUON ANNIVERSARIO VECCHIO DIAVOLO!

"Finalmente! Dopo tanti tentativi infruttuosi, finalmente anche la sportiva Milano avrà una società pel giuoco del football. Per ora sebbene non si possa dilungare d'avvantaggio, possiamo però di già accertare che i soci toccano la cinquantina e che le domande di ammissione sono copiosissime. Lo scopo di questa nuova società sportiva è quello nobilissimo di formare una squadra milanese per concorrere alla Coppa Italiana della prossima primavera. All'uopo, la presidenza ha già fatto pratica ed ottenuto per gli allenamenti il vasto locale del Trotter. (...) La nuova società avverte che chiunque desideri imparare il football non avrà che recarsi al Trotter nei giorni stabiliti e troverà istruttori e compagni di giuoco". (Gazzetta dello Sport, lunedì 18 dicembre 1899)

106 VOLTE FORZA MILAN!

Onore e gloria a Mister Herbert Kilpin da Nottingham, che sabato 16 dicembre 1899 fondò a Milano, in una sala dell'Hotel du Nord et des Anglais (oggi Hotel Principe di Savoia, in Piazza della Repubblica) il Milan Cricket and Football Club, con il vice console di Sua Maestà britannica Sir Alfred Ormonde Edwards (il primo Presidente) e Mister David Allison (il primo capitano della squadra di calcio). Al nostro fondatore dobbiamo i colori sociali, il rosso e il nero del suo Nottingham Forest: "Rosso come il fuoco e nero come la paura che incuteremo ai nostri avversari!". La prima sede della società fu stabilita presso la Fiaschetteria Toscana di via Berchet, all'angolo con via Foscolo (di fianco alla Galleria Vittorio Emanuele). Il primo campo di calcio fu il Trotter, situato nell'allora periferia nord della nostra città, là dove negli Anni Venti fu successivamente edificata la Stazione Centrale. Il Padre della Patria Rossonera cadde sul campo della Prima Guerra Mondiale, appena 46enne, a Milano nel 1916. Oggi riposa al Cimitero Monumentale, assieme ai nomi più illustri che hanno scritto la storia del nost grand Milan.

11 dicembre, 2005

MERDE 3 - MILAN 2

(23 PT) Adriano su rigore, (38 PT) Shevchenko su rigore, (14 ST) Martins, (38 ST) Stam, (47 ST) Adriano.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta (Simic dall'8 ST), Kaladze, Serginho, Gattuso (Jankulovski dal 25 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Gilardino (Vieri dal 29 ST).

Il tema tattico: sangue a arena a San Siro. Il Derby della Madonnina numero 263 è giocato in fotocopia agli euroderby di aprile. Mancini conferma la tendenza ad impostare una tattica ostruzionistica, mirata ad impedire ai nostri di fare il proprio gioco, prima di occuparsi che i suoi facciano il loro: esplicita ammissione di limitata capacità di gioco. Aggravata da atteggiamenti intimidatori in perfetto stile sudaca, con l'esito inequivocabile di uno zigomo aperto a Kaladze da Martins, una testata chirurgica in mischia a Sheva (superfluo specificare il bersaglio) e un labbro spaccato al Gila da Samuel. Mancava psico-Materazzi, ma abbiamo trovato sostituti all'altezza. Aggiungo (e mi ripeto) che tutto il mondo ha imparato la lezione del boia danese Poulsen: quando l'arbitro non vede, il tatuato Guevara-Veron carica a cranio basso Kakà; incornicia il quadro edificante Lulù Cambiasso che, simulandosi paciere, punta i gomiti al collo del Bambino. Ciò premesso per significare che soccombiamo ancora una volta alle provocazioni, perdendo il filo del gioco. Difesa falcidiata da assenze e ottusità ancelottiane: il capitano c.v.d. è fuori, ma lo è anche il Professore. Nell'emergenza (e solo allora) molti tasselli tornano al proprio posto: ecco dunque Kaladze comparire magicamente nel ruolo naturale, ovvero al centro della difesa di fianco a Nesta. Sandrone gioca febbricitante e cede all'inizio del secondo tempo: entra Simic, ma per compensare il buon senso viene dirottato a destra, con Jaap spostato in mezzo. Per il resto, si conferma la condizione di forma scadente: Sergio è scarico e non spinge, il centrocampo funziona a corrente alterna ed isola nuovamente la linea d'attacco, dove Sheva è ancora ombra di se stesso (quella fascia non porta bene?) e Gila di nuovo sacrificato in un lavoro sporco di gomiti e polvere. Kakà fa la cerniera una volta nel primo e due nel secondo tempo, quando ha più gamba e si nota, perché lascia indietro avversari e compagni. Inspiegabile, in una gara ad alta tensione, l'ennesima rinuncia a Pippo; mentre l'inserimento di Vieri nel quarto finale ha soritito giusto lazzi e sberleffi... In sintesi, derby di sostanziale equilibrio con lieve prevalenza rossonera nella ripresa, ma zero tiri nello specchio per parte: gara da risolvere, per definizione, sui calci da fermo (cinque su cinque reti): ci ha pensato Messina.

Gli episodi chiave: 14 volte Sheva, quando vede sporco. A memoria non si ricorda da un trentennio analoga sequenza di "sviste" così vistose: l'equilibrio iniziale viene spostato da un calcio di rigore che fa arrossire. Martins carica Nesta sulla schiena, il nostro (che è in anticipo) cade in area e fra petto e braccio (ascella) soffoca il pallone: rigore e ammonizione scientifica, salta la prossima! Chiara l'irregolarità dell'attaccante ma, a prescindere, l'episodio pesa un decimo (per volontarietà e punto d'impatto) di quanto visto a Firenze con Brocchi. Il fischietto sa di averla combinata grossa, se è vero che dopo appena 15' punisce con penalty (14 volte Sheva della Madonnina!) un colpo di testa di Cambiasso in barriera che manda il pallone a carambolare sulla mano di Stankovic: lo slavo ha lil braccio innaturalmente piegato verso l'alto e, a norma di regolamento, viene fermato; ma sullo 0-0 Messina avrebbe chiuso entrambi gli occhi. Li chiude per certo sui quattro episodi di guerriglia descritti sopra, nel caso Veron-Kakà-Cambiasso addirittura gira le spalle per non vedere: Ponzio Pilato da Bergamo. Il nuovo equilibrio viene rotto da un altro numero d'arte varia: Kala da tergo è in anticipo pulito su Adriano, il brasiliano perde l'appoggio sul contatto e va a sfondare su Stam: di nuovo, calcio da fermo e cartellino giallo per proteste! Dida commette qui un errore amatoriale in respinta, lasciando la palla nell'area piccola per il tap-in di Martins invece che accompagnarla a fondo campo. Difesa di belle statuine e conseguenti capriole nigeriane. Ma il peggio deve venire: a tempo scaduto, Cruz parte probabilmente in offside, e altrettanto probabilmente ciabatta da solo il pallone oltre la linea: per Messina è un corner da battere, Adriano sale indisturbato a centro area e punisce. Ci va Vieri e in ritardo (dal che deduco che siamo tornati a zona): inammissibile. Dispiace perché la prodezza di Stam (ascensore rugbystico, proprio sul centravanti nemico) valeva da sola il punto del pari. Regaliamo così un derby ai bisognosi, dopo dieci atti infiniti di godimento: passa tutto subito, è solo vanagloria neroblu.

La tribuna di Steve: con Messina, mission completed. L'anello si chiude. Il mese chiave della stagione bianconera si risolve con un parziale di 9 a 0 sull'unica antagonista credibile. Riassumo che abbiamo patito, in rapida sequenza, le designazioni di Bertini (scontro diretto), Rodomonti (con Copelli a Firenze), Pieri (con Farina a Verona) e infine Messina (brillante protagonista di Fiorentina-Juventus una settimana fa). L'effetto collaterale, purtroppo, è anche la rimonta di viola (4 punti) e neroblu (9 punti). Juventinove in cassaforte, dunque: non resterà che alimentare, da qui a primavera, qualche butade giornalistica sulle rimonte possibili dei manciniani (apre le danze proprio oggi, ca va sans dir, il foglio rosa). Milan fuori dai giochi: è ufficiale, e se lo dice Berlusconi c'è da credergli: essere a -8 o a -11 fa davvero poca differenza. Abbiamo vista lunga e troppi campionati alle spalle per dover fingere di non riconoscere fra le righe i segnali inequivocabili dell'esito già scritto. Don Fabio cucirà la terza stella d'oro (e chi altri?) nel 2007, poi potrà subentrare a Lippi per chiudere con la Nazionale italiota. Nel quadro squallido, spicca l'assordante silenzio, e più in generale l'assenza, della voce ufficiale della nostra dirigenza. Galliani concede, postumo, solo un sunto bisunto di comunicazione in format istituzionale ai microfoni di casa: il tecnico è inamovibile, i progetti sono condivisi, i nostri giocatori sono i migliori in circolazione, con gli arbitri abbiamo avuto solo sfortuna. Il mercato? Nessuna premura, a gennaio resteremo fermi perché di 120 difensori che teniamo sotto osservazione (sic), nessuno è più bravo di quelli che abbiamo. E della grinta (che a noi è MANCATA dopo il 2-2) non sappiamo che farcene, perché 17 anni sono lì a dimostrare come si vince: in Italia e in Europa. Il retrogusto amaro è quello di una società che si sta attorcigliando lentamente ma inesorabilmente su se stessa, una volta privata del faro spirituale. Tatticamente, siamo nondimeno involuti: il nostro calcio è risaputo, ogni contromisura è ormai stata adottata da chiunque. Ancelotti non applica il turnover se non per necessità oggettiva (indisponibilità per infortunio o squalifica), non mai per scelta: giocano i soliti noti. Ma ciò che è peggio, i Primi Undici sembrano sempre meno una squadra e sempre più undici belle individualità. Questo spiega, a mio modo di vedere, i cali di tensione dei singoli che producono danni collettivi non rimediabili. Ho detto a inizio stagione, l'ora delle decisioni irrevocabili era giunta ad Istanbul. Per romanticismo e/o supponenza si è preferito nascondere la testa nell'erba e buttare la palla avanti di un anno. Peccato, perché a dicembre molto si potrebbe ancora mettere in ordine: a cominciare dalla campagna invernale.

06 dicembre, 2005

MILAN 3 - SCHALKE 2

(42 PT) Pirlo, (43 PT) Poulsen, (7 ST) Kakà, (15 ST) Kakà, (21 ST) Lincoln.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dal 31 PT, Kaladze dal 33 ST), Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi (Gilardino dal 40 ST).

Il tema tattico: ultimo atto con l'acqua alla gola. Arriviamo alla resa dei conti con il rumore di fondo del tonfo cattivo di Verona e poche certezze sullo stato di salute della squadra. Ancelotti deve scegliere, specie sulla linea difensiva: il capitano, costretto alla resa dopo un tempo di sportellate con Amauri al Bentegodi, per la prima volta nella stagione è autenticamente sulle ginocchia. La decisione del tecnico, ancora una volta, è rischiatutto: pesa più il blasone che il buon senso. E la punizione amara (quanto scontata) è il k.o. dopo mezzora di battaglia con Altintop: questa volta pagheremo dazio, e guarda caso nel derby. Rientrano Sergio a sinistra (dieci giorni dopo la ginocchiata di Cassetti) e Seedorf al centro (dopo l'assenza forzata di sabato, per lutto in famiglia): sono entrambi scarichi. Davanti si insiste con Sheva, che forse oggi tocca il fondo di una parabola psicofisica allarmante, mentre riappare il Santo piacentino, fin qua escluso spesso e volentieri per concedergli - conviene credere - l'autonomia di 90 minuti da Champions. Kakà cerca a lungo la posizione migliore sullo scacchiere, specialmente cerca di schivare le rotte e le botte del suo cecchino danese. Assente o quasi per buona parte del primo tempo, quando accende la luce nel secondo, spedisce lo Schalke all'inferno e il Diavolo in paradiso. Detto questo, in campo c'è un uomo solo e si chiama Gennaro Ivan: il Sindaco! Dieci pecorelle smarrite brancolano nella nebbiolina di San Siro, appese al filo sottile del destino: gambe rigide, cuore in gola fino all'ultimo di recupero. Lui no! Ringhia e sbraita e carica, a tutto campo. I tedeschi di Rangnick attendono per 45 minuti, con il chiaro intento di alzare la pressione nella ripresa, quando il calo fisico e la fragilità emotiva dei nostri saranno proverbiali. Inizia a una punta e infila le altre nel seguito, senza mai dare la sensazione di poter completare la beffa. Mejuto Gonzalez a parte, il nemico numero uno del Milan resta il Milan, se è vero che i biancoblu sono in gara solo per nostre amnesie e varie disavventure. Troppo poco per meritare gli Ottavi.

Gli episodi chiave: risolvono le magie dei singoli. L'anello si chiude. L'esordio settembrino a San Siro contro i turchi era stata pura agonia fino ai minuti finali, prima che il Bambino d'Oro decidesse di regalare all'umanità calciofila l'ennesima cavalcata da copertina e un gol da urlo. Contro i tedeschi chiudiamo il Girone E di nuovo grazie a due magie carioca. Diciamo tre, includendo la pennellata di Pirlo su calcio da fermo: è l'ottava meraviglia in rossonero. Fondamentale disporre di una soluzione tecnica che per troppi anni era mancata nel nostro repertorio. Appena il tempo di crederci, e l'ennesimo calcio piazzato ci sorprende indifesi: la parabola lunga dalla fascia sinistra dà il tempo a chiunque di trovare il piazzamento migliore, ma guarda caso resta libero un uomo dietro all'ultimo difensore (proprio Poulsen, sordida ironia della sorte) e appoggia facilmente in rete. Fotocopia del gol di Toni a Firenze. Si resta senza parole, anzi non resta che ascoltare le parole del Sindaco: "il problema non si pone, ci si ferma un'ora in più a fine allenamento e si imparano le marcature". In Rino Veritas. Pippo ci mette il cuore come sempre, ma non è la sua serata: quando Pirlo gli allunga il pallone buono in area, difende da par suo con le spalle alla porta ma è tradito dall'erba brinata sotto al piede perno e scivola. Nel secondo, Sheva indovina la prima e ultima giocata di una notte da brivido, andando in percussione da centrocampo e smarcando Kakà sul fianco destro della difesa: stella filante e nuovo vantaggio. A mente sgombra, le gambe girano. Sergio pennella in area per Pippo: la girata di sinistro meriterebbe l'appuntamento con la storia (e con Di Stefano), ma Rost nega a tutti il delirio. Il 9 Rossonero tuttavia non si abbatte, anzi gioca a centro area per Sheva, che va di sinistro per l'appoggio sicuro di piattone: la carambola sulla caviglia destra è tanto stupefacente quanto emblematica, ma il rimbalzo sui piedi di Kakà è guidato dal dio del pallone, che così prepara lo scenario di una nuova magia. Controllo e diagonale chirurgico alla base del secondo palo, l'unica finestra rimasta aperta fra una selva di stinchi. Ora vien voglia di pensare a una vittoria facile, in goleada, per scacciare tutti i cattivi pensieri. Invece manca ancora una pennellata di nero sulla gara del Balon d'Or: una deviazione fortuita su un destro domabile di Lincoln spiazza Dida e condanna il Popolo Rossonero a trenta minuti di agonia.

La tribuna di Steve: verso Parigi con le gambe molli. Ventiquattro ore dopo la qualficazione più sofferta del quinquennio ancelottiano, Kakà rivela: ho salvato la panchina, fossimo usciti dalla Coppa sarebbe successo l'impossibile... Già, l'impossibile. Avanti con Ancelotti dunque, avanti con le gambe prima rigide per la paura di sbagliare e poi molli per la fatica e lo spavento. Sul 3 a 2 alzi la mano chi non ha pensato alla notte delle streghe di Ataturk, all'ipotesi di un 3 a 3 che avrebbe significato di nuovo la fine di tutto. E in campo c'era lo stesso fischietto spagnolo che, per come ha arbitrato a San Siro (tignosamente), qualche ombra in più sulle sviste turche continua pure a gettarla. Ma non facciamoci altro male: già andiamo avanti con Ancelotti. E con Galliani, che nella ripresa dice di avere molto passeggiato, un po' guardato le immagini in tv, un po' sbirciato il campo. "Tutto è bene quello che finisce bene - la sua conclusione - e finché resto io, Ancelotti non si tocca!". Suona come una condanna, duplice e sinistra. Galliani non guarda in campo e non vede che il Milan passa agli Ottavi con un uomo solo. Gattuso urla, picchia e corre al triplice fischio per raccontarle a Poulsen: come sempre, lui ci mette la faccia, non i calcetti alle spalle dell'arbitro. Lo infangheranno con le moraline ipocrite del foglio rosa. Ma la realtà è che il Milan di Ancelotti e Galliani è aggrappato ad una sola roccia, di granito calabro: realtà amara, che circoscrive le nostre legittime attese di rivincita a pura velleità, per causa di una programmazione fallita al momento stesso di porre le basi per la nuova stagione. Non si trascuri il dato statistico (eclatante su questa sponda del Naviglio) dei 44 mila spettatori presenti a San Siro, la notte in cui si giocavano i destini di tutta una stagione. Il problema, caro Galliani, non è il termometro a -3. L'urna dirà venerdì 16 di che morte dovremo morire.

03 dicembre, 2005

CHIEVO 2 - MILAN 1

(22 PT) Kaladze, (46 PT) Pellissier, (37 ST) Tiribocchi.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dall'1 ST), Kaladze, Gattuso, Pirlo, Jankulovski, Rui Costa (Kakà dal 19 ST), Shevchenko (Inzaghi dal 24 ST), Gilardino.

Il tema tattico: amara lezione di pressing. Non dovrebbe essere una novità, ma tant'è. Chiudi il nostro play nella gabbia delle due punte e dei due centrali di metacampo, nel più classico 4-4-2, ed il meccanismo si rompe: il gioco non riparte. La difesa è protetta poco e male da un Sindaco forzato alla quinta presenza in quindici giorni e da un ceco privo di personalità e menomato da tecnica di base approssimativa. Il brasiliano Amauri manda in tilt il capitano, finché il ginocchio non cede. L'attacco è svuotato in Sheva (ondivago e fiacco al momento del cobra) e nel Gila (sfibrato da un lavoro oscuro e ingrato). Involuzione macroscopica. A metà tempo, siamo in vantaggio su palla inattiva, e posso dire che restiamo in gara di lì ai dieci minuti successivi: il Chievo si scompone sulle fasce e, una volta a sinistra (con Kaladze), una volta a destra (con Rui Costa), abbiamo i palloni giusti da giocare al centro, ma non chiudiamo il conto. L'avversario graziato, però, purtroppo non si chiama Lecce e presto arriva la resa. Dalla mezzora, il calo d'intensità agonistica e mentale è imbarazzante: siamo schiacciati dietro, con il tangibile presagio della catastrofe imminente. Un mischione in area viene risolto sciaguratamente da Stam con una ciabattata sulla trequarti: subiamo palo dalla lunghissima distanza. A tempo scaduto, sempre su calcio piazzato, la punizione puntuale. Nella seconda metà, i nostri hanno ormai la testa a martedì notte e le gambe imballate. Il possesso palla è di nuovo vacuo, con Kakà redivivo ma velleitario e Pirlo annebbiato, a sperperare lanci verticali, ostinati quanto insipidi. Il tempo che se ne accorga Pillon (non mai Ancelotti) e le correzioni risultano letali: fuori due punte usate e dentro due punte nuove. C'è chi in attacco può alternare Shevchenko e Gilardino con Inzaghi e Vieri; c'è chi si deve accontentare di Tiribocchi e Obinna per Pellissier e Amauri. Ma per questo Milan, sono come i Quattro dell'Apocalisse. Ultimi venti minuti allo sbando, triangolazioni strette e ripartenze feroci: colpo del k.o. e seconda (dopo Eindhoven) lezione solare di tattica.

Gli episodi chiave: il santo non fa (sempre) miracoli. Contro il Lecce, l'azzardo era riuscito: a 17 minuti dal novantesimo, punta tutto sul 9 Rossonero e sbanca San Siro. Al dannato Bentegodi - che dei nostri santi si è spesso fatto beffe - la stangata di Ancelotti non riesce. Il pallone buono arriva, in realtà, al 44' e Superpippo ci va come sempre di rabbia e di cuore: chiude bene il diagonale con l'interno destro, ma questa volta è Squizzi a fare il miracolo, intercettando fra torace e braccio a terra. Troppo tardi, Carlone... game over. E pensare che tutto era iniziato per il verso migliore, con un vantaggio trovatello su calcio piazzato a due: una primizia, merito del piedino fatato di Pirlo e della tenacia di Kaladze. Schiacciata di testa, aggirando la marcatura, e tap-in di riflesso sulla respinta del portiere. La prova del georgiano decolla. La sua unica sbavatura, però, è fatale (come in Olanda). Il crollo ha principio con un fallo di esasperazione di Maldini (giallo) sul giocoliere Amauri. Per la fredda cronaca, Pellissier ha due terzi del corpo oltre la linea dei piedi di Kala (ultimo uomo), quando va a raccogliere il tocco smarcante di Giunti. Lo sbandieratore di turno è il glabro Farina: in asse perfetto con i due giocatori, tiene il braccio abbassato. Siamo nell'intorno degli "episodi sfortunati", di cui abbiamo (noi sì!) la decenza di non lamentarci, giacché il pari è sacrosanto. Nel secondo tempo, in compenso, lo stesso collaboratore di linea fermerà il Gila (in volo sull'ala sinistra) per offside non esistente. Si dice e si scrive di un Nesta catastrofico, dimenticando almeno due salvataggi in anticipo pulito sull'uomo, davanti a Dida, nel primo tempo. Che la condizione, sua e di Stam, non sia al top è evidente; ma nel finale il tracollo è eccessivo: vengono messi in mezzo da due emeriti sconosciuti, come pivelli... o come vecchie glorie. E la gara è tutta qui.

La tribuna di Steve: il capolinea tricolore di Ancelotti. Terza sconfitta in appena quattordici turni. Ma soprattutto, 15 gol incassati: la media di uno e oltre a partita. Non sono cifre da Scudetto. Malgrado l'evidenza, Carlone l'ostinato bofonchia che siamo pari punti a un anno fa. Si dà il caso che il ritardo sia doppio: da -4 a -8. Oggi, davanti a tutti c'è una macchina da guerra, che per la seconda volta in tre giornate converte un turno sfavorevole in opportunità di svolta: e allunga. Tredici vittorie sono abnormi, e l'epilogo di Fiorentina-Juventus 1-2 va analizzato con lucidità. Non è la qualità individuale o collettiva a scavare lo iato fra noi e la capolista; così come non sono 8 lunghezze di divario a spaventare, con 24 turni e altri 72 punti in palio. Gli episodi favorevoli incidono, è vero: una zolla che sposta sul palo un pallone calciato (da Toni) in mezzo ai legni della porta vuota ha addirittura un che di diabolico. E non leggo e non ascolto ironie sulle basse virtù che ci furono attribuite (a furor di popolo e di media) la primavera scorsa per aver realizzato gol (onesti e regolari) nei minuti di recupero di alcune gare. Il loro è "cinismo". Il nostro era "culo". Coerente. Ma la voglia di andare sull'ultimo pallone vagante a bordo campo con la ferma intenzione e la piena consapevolezza di poterlo convertire in gol, è una virtù altissima che, se non è innata (Inzaghi) deve essere trasmessa con l'esercizio quotidiano. Impresa di cui sono capaci, non dico i grandi uomini, ma per certo i grandi trainer (di qualsiasi disciplina sportiva). Chapeau a Capello! Non lo conoscessimo bene. Così come conosciamo bene Ancelotti. La prestazione svagata di Verona era scritta, perché viene prima di un turno fatale di Coppa e in campo gli undici saranno i medesimi. Per vincere bisogna essere sempre al 100%, ma se giochi sia la domenica che il mercoledì questo non è possibile. Teorema di Dario Simic (o del turnover). Uno dei tanti che giocano, viceversa, solo quando il suo allenatore non può farne a meno.