03 dicembre, 2005

CHIEVO 2 - MILAN 1

(22 PT) Kaladze, (46 PT) Pellissier, (37 ST) Tiribocchi.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dall'1 ST), Kaladze, Gattuso, Pirlo, Jankulovski, Rui Costa (Kakà dal 19 ST), Shevchenko (Inzaghi dal 24 ST), Gilardino.

Il tema tattico: amara lezione di pressing. Non dovrebbe essere una novità, ma tant'è. Chiudi il nostro play nella gabbia delle due punte e dei due centrali di metacampo, nel più classico 4-4-2, ed il meccanismo si rompe: il gioco non riparte. La difesa è protetta poco e male da un Sindaco forzato alla quinta presenza in quindici giorni e da un ceco privo di personalità e menomato da tecnica di base approssimativa. Il brasiliano Amauri manda in tilt il capitano, finché il ginocchio non cede. L'attacco è svuotato in Sheva (ondivago e fiacco al momento del cobra) e nel Gila (sfibrato da un lavoro oscuro e ingrato). Involuzione macroscopica. A metà tempo, siamo in vantaggio su palla inattiva, e posso dire che restiamo in gara di lì ai dieci minuti successivi: il Chievo si scompone sulle fasce e, una volta a sinistra (con Kaladze), una volta a destra (con Rui Costa), abbiamo i palloni giusti da giocare al centro, ma non chiudiamo il conto. L'avversario graziato, però, purtroppo non si chiama Lecce e presto arriva la resa. Dalla mezzora, il calo d'intensità agonistica e mentale è imbarazzante: siamo schiacciati dietro, con il tangibile presagio della catastrofe imminente. Un mischione in area viene risolto sciaguratamente da Stam con una ciabattata sulla trequarti: subiamo palo dalla lunghissima distanza. A tempo scaduto, sempre su calcio piazzato, la punizione puntuale. Nella seconda metà, i nostri hanno ormai la testa a martedì notte e le gambe imballate. Il possesso palla è di nuovo vacuo, con Kakà redivivo ma velleitario e Pirlo annebbiato, a sperperare lanci verticali, ostinati quanto insipidi. Il tempo che se ne accorga Pillon (non mai Ancelotti) e le correzioni risultano letali: fuori due punte usate e dentro due punte nuove. C'è chi in attacco può alternare Shevchenko e Gilardino con Inzaghi e Vieri; c'è chi si deve accontentare di Tiribocchi e Obinna per Pellissier e Amauri. Ma per questo Milan, sono come i Quattro dell'Apocalisse. Ultimi venti minuti allo sbando, triangolazioni strette e ripartenze feroci: colpo del k.o. e seconda (dopo Eindhoven) lezione solare di tattica.

Gli episodi chiave: il santo non fa (sempre) miracoli. Contro il Lecce, l'azzardo era riuscito: a 17 minuti dal novantesimo, punta tutto sul 9 Rossonero e sbanca San Siro. Al dannato Bentegodi - che dei nostri santi si è spesso fatto beffe - la stangata di Ancelotti non riesce. Il pallone buono arriva, in realtà, al 44' e Superpippo ci va come sempre di rabbia e di cuore: chiude bene il diagonale con l'interno destro, ma questa volta è Squizzi a fare il miracolo, intercettando fra torace e braccio a terra. Troppo tardi, Carlone... game over. E pensare che tutto era iniziato per il verso migliore, con un vantaggio trovatello su calcio piazzato a due: una primizia, merito del piedino fatato di Pirlo e della tenacia di Kaladze. Schiacciata di testa, aggirando la marcatura, e tap-in di riflesso sulla respinta del portiere. La prova del georgiano decolla. La sua unica sbavatura, però, è fatale (come in Olanda). Il crollo ha principio con un fallo di esasperazione di Maldini (giallo) sul giocoliere Amauri. Per la fredda cronaca, Pellissier ha due terzi del corpo oltre la linea dei piedi di Kala (ultimo uomo), quando va a raccogliere il tocco smarcante di Giunti. Lo sbandieratore di turno è il glabro Farina: in asse perfetto con i due giocatori, tiene il braccio abbassato. Siamo nell'intorno degli "episodi sfortunati", di cui abbiamo (noi sì!) la decenza di non lamentarci, giacché il pari è sacrosanto. Nel secondo tempo, in compenso, lo stesso collaboratore di linea fermerà il Gila (in volo sull'ala sinistra) per offside non esistente. Si dice e si scrive di un Nesta catastrofico, dimenticando almeno due salvataggi in anticipo pulito sull'uomo, davanti a Dida, nel primo tempo. Che la condizione, sua e di Stam, non sia al top è evidente; ma nel finale il tracollo è eccessivo: vengono messi in mezzo da due emeriti sconosciuti, come pivelli... o come vecchie glorie. E la gara è tutta qui.

La tribuna di Steve: il capolinea tricolore di Ancelotti. Terza sconfitta in appena quattordici turni. Ma soprattutto, 15 gol incassati: la media di uno e oltre a partita. Non sono cifre da Scudetto. Malgrado l'evidenza, Carlone l'ostinato bofonchia che siamo pari punti a un anno fa. Si dà il caso che il ritardo sia doppio: da -4 a -8. Oggi, davanti a tutti c'è una macchina da guerra, che per la seconda volta in tre giornate converte un turno sfavorevole in opportunità di svolta: e allunga. Tredici vittorie sono abnormi, e l'epilogo di Fiorentina-Juventus 1-2 va analizzato con lucidità. Non è la qualità individuale o collettiva a scavare lo iato fra noi e la capolista; così come non sono 8 lunghezze di divario a spaventare, con 24 turni e altri 72 punti in palio. Gli episodi favorevoli incidono, è vero: una zolla che sposta sul palo un pallone calciato (da Toni) in mezzo ai legni della porta vuota ha addirittura un che di diabolico. E non leggo e non ascolto ironie sulle basse virtù che ci furono attribuite (a furor di popolo e di media) la primavera scorsa per aver realizzato gol (onesti e regolari) nei minuti di recupero di alcune gare. Il loro è "cinismo". Il nostro era "culo". Coerente. Ma la voglia di andare sull'ultimo pallone vagante a bordo campo con la ferma intenzione e la piena consapevolezza di poterlo convertire in gol, è una virtù altissima che, se non è innata (Inzaghi) deve essere trasmessa con l'esercizio quotidiano. Impresa di cui sono capaci, non dico i grandi uomini, ma per certo i grandi trainer (di qualsiasi disciplina sportiva). Chapeau a Capello! Non lo conoscessimo bene. Così come conosciamo bene Ancelotti. La prestazione svagata di Verona era scritta, perché viene prima di un turno fatale di Coppa e in campo gli undici saranno i medesimi. Per vincere bisogna essere sempre al 100%, ma se giochi sia la domenica che il mercoledì questo non è possibile. Teorema di Dario Simic (o del turnover). Uno dei tanti che giocano, viceversa, solo quando il suo allenatore non può farne a meno.

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