31 dicembre, 2005

DICEMBRE 2005: Sheva è Capitano!

22 dicembre, 2005

LIVORNO 0 - MILAN 3

(23 PT) Gilardino, (15 ST) Gilardino, (26 ST) Shevchenko.

Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Kaladze, Serginho, Kakà (Jankulovski dal 41 ST), Gattuso, Pirlo, Seedorf (Ambrosini dal 33 ST), Gilardino (Rui Costa dal 39 ST), Shevchenko.

Il tema tattico: la buona difesa comincia a centrocampo. Inizio ad alta tensione, con ritmo concitato e un'infinità di contrasti. Pochi falli, peraltro: Trefoloni può governare senza doversi assumere responsabilità sproporzionate. In area di rigore si arriva raramente, la manovra prevale fra le due trequarti: la mediana è affollata da cinque maglie amaranto, Carlone risponde portando Kakà sulla linea di Seedorf, in una sorta di 4-4-2 che vede Pirlo e Gattuso comunque arretrati a copertura dei centrali di difesa: la coppia inedita è Nesta-Kaladze, con terzo gettone consecutivo del georgiano restituito al ruolo e alla causa. Si capisce da subito che la corsia di sinistra produrrà emozioni: Sergio ha la gamba delle serate migliori, quando scende palla al piede è come il vento che scuote e travolge. Lo Zionero si allunga a elastico fra difesa e attacco, inesauribile in contrasto come in impostazione: se gira così, c'è solo da attendere... inoltre, il Bambino si sposta di frequente da destra a sinistra al centro, togliendo ogni riferimento ai suoi persecutori. L'esito è una gara straordinaria per intensità, equilibrata in un gioco di alternanze d'iniziativa, fino al colpo del Gila che raffredda i bollori livornesi. Il tema tattico del secondo tempo è un invito a nozze per i ragazzi: Donadoni alza troppo il baricentro per cercare il pareggio e apre praterie nelle quali Sheva s'incunea a ripetizione, ben supportato da Clarence: al terzo tentativo di rimessa arriva il doppio-Gila. Questa volta non c'è calo di attenzione, ma lucida chirurgia nel pressing di un Sindaco di nuovo gigantesco. Linee compatte dietro (come sempre con Simic) e gestione sapiente del possesso, con il perfetto dosaggio dei ritmi: lento, accelerato, poi lento ancora. Chiudiamo il conto senza nulla concedere fino al 90'.

Gli episodi chiave: il timido Gila parla con i gol. Il Livorno costruisce le uniche due situazioni degne di memoria sulla parità a zero: Dida ha puntati addosso fin troppi occhi maligni, se è vero che forza un'uscita e/o va fuori tempo su cross dalla fascia di Lazetic (ma confonde il bisonte rosso, Lucarelli), poi non trattiene un destro in mischia che potrebbe diventare tap-in letale stile derby (anticipo di riflesso su Passoni con la punta del piede). Troviamo al Picchi un altro zelante sbandieratore: ferma prima il Gila e poi Sheva, che partono sicuramente in linea con l'avversario: situazioni nitide per il gol. Quando il pallone viaggia in verticale, a filo d'erba e con tocchi di prima, la griffe è indiscutibilmente Milan. Se poi questo accade nella corsia centrale del campo, il prodotto è a volte un gol da antologia: come già contro il Messina, Pirlo imposta su Kakà, tocco di prima per Sheva, controllo a seguire (destro-sinistro) in slalom sul raddoppio di marcatura e appoggio incrociato al limite dell'area per il Gila, che scatta in linea con l'ultimo difensore e punisce con una rasoiata di destro. Dopo 10' dal riposo, Seedorf vola sulla sinistra e pennella al centro ancora per il bombardiere biellese: torsione di testa e salvataggio disperato con la coscia di Colucci, la palla sbatte sul palo interno ma rimbalza incredibilmente in campo! I ragazzi hanno voglia. Sergio esce in anticipo furibondo sulla metacampo, poi galoppa in profondità a dettare il triangolo, ma Sheva marcia verso il centro e attende l'inserimento di Clarence al limite: tocco di prima dell'olandese e sempre il Gila chiude la geometria col piattone del raddoppio. Manuale del contropiede! Il k.o. arriva per una scivolata di Vargas di nuovo su Sergio, imprendibile a sinistra: il difensore (ammonito) protesta la simulazione. L'intenzione del contrasto c'è tutta, il contatto non so, ma il danno arrecato è evidente. Pennellata di Pirlo per il Balond'Or e... OH BELLA, CIAO!

La tribuna di Steve: la stagione dei "se" e dei "ma". Chiudiamo l'anno - per la prima volta dopo quattro - con il gusto (agro)dolce di una vittoria che vale doppio per il valore morale, ma meno della metà per la classifica. Le posizioni reciproche delle prime restano invariate, solo un tracollo bianconero potrebbe restituire significato alla stagione. Conosciamo i nostri pregi (39 gol realizzati) e i nostri difetti (18 gol subiti): sono strutturali, visto come è stata allestita la rosa. Sappiamo di poter buttare giù chiunque, non esclusa la capolista dei record, o il "terribile" Livorno che arrivava al confronto con 3 reti casalinghe al passivo. Per intenderci, non parliamo di una squadra di fenomeni, se è vero che ne aveva insaccati 5 dall'Inter e 3 a testa da Fiorentina e Juventus. Ma in un campionato di basso profilo come il 2005-06, questa è la quinta forza assoluta. Una prestazione come quella del Picchi, comunque, fa specie se si ripensa al Bentegodi, al Franchi e al Ferraris. Qua abbiamo gestito la gara da squadra di livello, là avevamo perso il filo del discorso e la partita. Inutile piangere sul latte versato. Accontentiamoci di rilevare in panchina un segnale inatteso di elasticità tattica, che lontano da San Siro potrebbe consentirci di correggere un rendimento imbarazzante. Sorprende in positivo anche la condizione atletica, in evidente crescita, di nuovo alle soglie di una sosta. Il mercato natalizio non porterà balocchi, pericolosa supponenza. Godiamoci solo una linea d'attacco da Liga, con il Balon d'Or che macina reti (160) anche giocando a sprazzi e la silenziosa presenza biellese, forse invisibile agli occhi dei più, ma letale quando arriva il momento di decidere il match: terza doppia stagionale, 12 gol in 17 turni di campionato... e ancora a novembre lo chiamavano flop.

18 dicembre, 2005

MILAN 4 - MESSINA 0

(22 PT) Shevchenko, (2 ST) Shevchenko, (38 ST) Pirlo, (40 ST) Gilardino.

Abbiamo giocato con Dida, Simic, Stam, Kaladze, Serginho, Gattuso, Pirlo (Vogel dal 39 ST), Seedorf (Ambrosini dal 31 ST), Kakà, Shevchenko (Vieri dal 18 ST), Gilardino.

Il tema tattico: la condanna del bel gioco. Dice Galliani a fine gara: la gente si rassegni, "questo è il nostro DNA, la rosa è stata pensata e creata per essere così, Berlusconi vuole vedere questo Milan". Siamo vittime della qualità. Un concetto paradossale, perché se è portato alle estreme conseguenze, trasforma l'agonismo in accademica esibizione. Per vincere occorre altro e lo ha insegnato Capello (fra l'altro, proprio sulla panca del Diavolo). La ricerca ostinata della combinazione triangolare al centro, per smarcare l'uomo solo davanti alla porta, alla lunga diventa stucchevole. Ci riusciamo giusto un paio di volte, perché la Serie A non è propriamente la Liga di Ronaldo. In mezzo, Bortolo Mutti ha una fortezza munita di torri: non passa uno spillo. Il nostro centrocampo a baricentro basso non trova né cerca soluzioni alternative: a destra Simic è diligente in copertura (come sempre), ma non spinge più del lecito (non lo ha mai fatto... perché è un centrale), mentre a sinistra Sergio avanza soprattutto nel secondo tempo, quando Seedorf si accentra con l'ingresso di Vieri, che fa la boa e sposta il Gila sulle periferie. Dietro abbiamo la coppia centrale del derby, Stam-Kaladze: pomeriggio di tutta tranquillità, che diventa puro allenamento con la doppietta del Balon d'Or (di nuovo, triste e svogliato). Test non probante, giudizio rimandato. Cauti con i trionfalismi e i progetti a lungo termine: "l'erede di Costacurta" lo dobbiamo cercare altrove, caro Galliani. Il rientro di Ambro a centrocampo, piuttosto, aumenta il nostro peso specifico in interdizione, specie nel gioco aereo. Gattuso capitano è una visione mistica al minuto 63: il destino della squadra è nelle sue mani. Nel frattempo, ci godiamo questo Kakà di fine anno, che è un'autentica strenna di Natale.

Gli episodi chiave: a San Siro come al Delle Alpi. Il primo quarto passerà alla storia per il più lungo (e sterile) possesso palla che a memoria si rammenti: 15 minuti con appena tre interdizioni, che non portano mai i siculi oltre la linea mediana del campo. Per risolvere l'empasse occorrerebbe un colpo di fischietto: scudetti e record, a Torino, si costruiscono così. Tiravento forse pensa di essere al Delle Alpi (saranno i vuoti sugli spalti?) o forse a -11 non facciamo paura più a nessuno. Tant'è: contrasto Gila-Leke, come tanti, a centro area e scende dal cielo un penalty d'oro. Dal replay si capisce che il duello di braccia è la copia di quanto visto a Firenze: là fu cancellato il nostro gol del pari, qua sblocchiamo lo 0 a 0 dal dischetto. Molto più evidenti appaiono le trattenute su Sheva, qualche attimo prima, e di nuovo sul Gila, qualche attimo dopo. Storari è reattivo su almeno tre conclusioni da fuori; una volta è baciato dalla buona sorte, quando il Gila rovescia a bicicletta sulle sue ginocchia: sarebbe stato un gol da incorniciare sulle bustine Panini. Ma la partita è vera soltanto per un tempo, quando due volte subiamo penetrazione dalla destra e Sculli grazia Dida, dopo una farfalla di Sergio. Due minuti del secondo tempo e tutti a casa: Sheva riconquista palla sulla trequarti e avvia un'azione che vede, in successione, diagonale ficcante di Sergio, tocco di prima di Sheva per il Gila, tacco del Gila per Kakà in area e tacco di Kakà per Sheva davanti alla porta: il Balon d'Or chiude il trapezio e rasoia di sinistro. Antologia del calcio! C'è il tempo per la quinta ciliegina consecutiva a San Siro del nostro Pernambucano da Brescia e una percussione in splendido stile Ambro che frutta il nono centro del Gila in campionato. Nel mezzo, passa un gran destro del Bambino sotto la traversa, cancellato dal solito zelante collaboratore di linea: dalla mia posizione la sensazione è offside. Da rimarcare un giallo pesante inflitto allo Zionero per contrasto in attacco, che fa schiumare di rabbia al pensiero di quanto ha concesso l'ottimo Pieri a Cannavaro & Co. contro la Lazio...

La tribuna di Steve: la verità è scritta nei numeri. Come spesso accade, le cifre descrivono la realtà meglio delle parole. Con 36 reti realizzate, siamo l'attacco bomba del campionato, al pari della capolista schiacciasassi. La differenza, è evidente, la scavano i 18 palloni raccolti in fondo al sacco da Dida. Sono il doppio di quelli raccolti da Abbiati - no comment - e ci costano le 3 sconfitte che la Juve ha convertito in altrettante vittorie e tradotto in 9 punti di vantaggio. Peraltro, subiamo (reti e sconfitte) più di Inter, Fiorentina, Livorno e Chievo, ovvero le prime sei della lista. Che il problema del Milan non fossero tanto i difensori quanto la fase difensiva di tutta la squadra, già ho detto a inizio stagione. La comprova è che in 16 turni di Serie A e 6 di Champions, su calcio piazzato siamo capitolati qualcosa come 13 volte: esclusi i 3 calci di rigore (Udinese, Fenerbahce e Inter), 3 sono i calci d'angolo fatali (Siena, Fiorentina e Inter) e addirittura 10 gol seguono un calcio di punizione (Ascoli, Sampdoria, Brescia in Coppa Italia, Fiorentina, Chievo, Schalke e di nuovo Inter). Le panzane sull'età avanzata, a gioco fermo, mi pare contino pochino. Il problema è nella testa e nella disponibilità al sacrificio, sebbene Ancelotti si ostini a sostenere che "tutte le squadre subiscono gol sui calci piazzati". Dario Simic che, come il Sindaco, Ambro e il Balon d'Or, spende parole sempre assennate e degne d'attenzione, a fine gara smorza i toni trionfali del 4 a 0 (stili più consoni alla sponda triste del Naviglio) rivelando candidamente che "siamo stati fortunati, due volte abbiamo concesso la palla per il gol". Questa è la realtà dei fatti. Il calo di tensione c'è stato anche oggi nel finale, come contro la Reggina. Indicatori allarmanti, come i due mesi senza punti lontano da San Siro, dove ne abbiamo raccolti 24 su 24 contro la miseria di 10 in 8 trasferte. Livorno ci attende armata.

16 dicembre, 2005

BUON ANNIVERSARIO VECCHIO DIAVOLO!

"Finalmente! Dopo tanti tentativi infruttuosi, finalmente anche la sportiva Milano avrà una società pel giuoco del football. Per ora sebbene non si possa dilungare d'avvantaggio, possiamo però di già accertare che i soci toccano la cinquantina e che le domande di ammissione sono copiosissime. Lo scopo di questa nuova società sportiva è quello nobilissimo di formare una squadra milanese per concorrere alla Coppa Italiana della prossima primavera. All'uopo, la presidenza ha già fatto pratica ed ottenuto per gli allenamenti il vasto locale del Trotter. (...) La nuova società avverte che chiunque desideri imparare il football non avrà che recarsi al Trotter nei giorni stabiliti e troverà istruttori e compagni di giuoco". (Gazzetta dello Sport, lunedì 18 dicembre 1899)

106 VOLTE FORZA MILAN!

Onore e gloria a Mister Herbert Kilpin da Nottingham, che sabato 16 dicembre 1899 fondò a Milano, in una sala dell'Hotel du Nord et des Anglais (oggi Hotel Principe di Savoia, in Piazza della Repubblica) il Milan Cricket and Football Club, con il vice console di Sua Maestà britannica Sir Alfred Ormonde Edwards (il primo Presidente) e Mister David Allison (il primo capitano della squadra di calcio). Al nostro fondatore dobbiamo i colori sociali, il rosso e il nero del suo Nottingham Forest: "Rosso come il fuoco e nero come la paura che incuteremo ai nostri avversari!". La prima sede della società fu stabilita presso la Fiaschetteria Toscana di via Berchet, all'angolo con via Foscolo (di fianco alla Galleria Vittorio Emanuele). Il primo campo di calcio fu il Trotter, situato nell'allora periferia nord della nostra città, là dove negli Anni Venti fu successivamente edificata la Stazione Centrale. Il Padre della Patria Rossonera cadde sul campo della Prima Guerra Mondiale, appena 46enne, a Milano nel 1916. Oggi riposa al Cimitero Monumentale, assieme ai nomi più illustri che hanno scritto la storia del nost grand Milan.

11 dicembre, 2005

MERDE 3 - MILAN 2

(23 PT) Adriano su rigore, (38 PT) Shevchenko su rigore, (14 ST) Martins, (38 ST) Stam, (47 ST) Adriano.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta (Simic dall'8 ST), Kaladze, Serginho, Gattuso (Jankulovski dal 25 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Gilardino (Vieri dal 29 ST).

Il tema tattico: sangue a arena a San Siro. Il Derby della Madonnina numero 263 è giocato in fotocopia agli euroderby di aprile. Mancini conferma la tendenza ad impostare una tattica ostruzionistica, mirata ad impedire ai nostri di fare il proprio gioco, prima di occuparsi che i suoi facciano il loro: esplicita ammissione di limitata capacità di gioco. Aggravata da atteggiamenti intimidatori in perfetto stile sudaca, con l'esito inequivocabile di uno zigomo aperto a Kaladze da Martins, una testata chirurgica in mischia a Sheva (superfluo specificare il bersaglio) e un labbro spaccato al Gila da Samuel. Mancava psico-Materazzi, ma abbiamo trovato sostituti all'altezza. Aggiungo (e mi ripeto) che tutto il mondo ha imparato la lezione del boia danese Poulsen: quando l'arbitro non vede, il tatuato Guevara-Veron carica a cranio basso Kakà; incornicia il quadro edificante Lulù Cambiasso che, simulandosi paciere, punta i gomiti al collo del Bambino. Ciò premesso per significare che soccombiamo ancora una volta alle provocazioni, perdendo il filo del gioco. Difesa falcidiata da assenze e ottusità ancelottiane: il capitano c.v.d. è fuori, ma lo è anche il Professore. Nell'emergenza (e solo allora) molti tasselli tornano al proprio posto: ecco dunque Kaladze comparire magicamente nel ruolo naturale, ovvero al centro della difesa di fianco a Nesta. Sandrone gioca febbricitante e cede all'inizio del secondo tempo: entra Simic, ma per compensare il buon senso viene dirottato a destra, con Jaap spostato in mezzo. Per il resto, si conferma la condizione di forma scadente: Sergio è scarico e non spinge, il centrocampo funziona a corrente alterna ed isola nuovamente la linea d'attacco, dove Sheva è ancora ombra di se stesso (quella fascia non porta bene?) e Gila di nuovo sacrificato in un lavoro sporco di gomiti e polvere. Kakà fa la cerniera una volta nel primo e due nel secondo tempo, quando ha più gamba e si nota, perché lascia indietro avversari e compagni. Inspiegabile, in una gara ad alta tensione, l'ennesima rinuncia a Pippo; mentre l'inserimento di Vieri nel quarto finale ha soritito giusto lazzi e sberleffi... In sintesi, derby di sostanziale equilibrio con lieve prevalenza rossonera nella ripresa, ma zero tiri nello specchio per parte: gara da risolvere, per definizione, sui calci da fermo (cinque su cinque reti): ci ha pensato Messina.

Gli episodi chiave: 14 volte Sheva, quando vede sporco. A memoria non si ricorda da un trentennio analoga sequenza di "sviste" così vistose: l'equilibrio iniziale viene spostato da un calcio di rigore che fa arrossire. Martins carica Nesta sulla schiena, il nostro (che è in anticipo) cade in area e fra petto e braccio (ascella) soffoca il pallone: rigore e ammonizione scientifica, salta la prossima! Chiara l'irregolarità dell'attaccante ma, a prescindere, l'episodio pesa un decimo (per volontarietà e punto d'impatto) di quanto visto a Firenze con Brocchi. Il fischietto sa di averla combinata grossa, se è vero che dopo appena 15' punisce con penalty (14 volte Sheva della Madonnina!) un colpo di testa di Cambiasso in barriera che manda il pallone a carambolare sulla mano di Stankovic: lo slavo ha lil braccio innaturalmente piegato verso l'alto e, a norma di regolamento, viene fermato; ma sullo 0-0 Messina avrebbe chiuso entrambi gli occhi. Li chiude per certo sui quattro episodi di guerriglia descritti sopra, nel caso Veron-Kakà-Cambiasso addirittura gira le spalle per non vedere: Ponzio Pilato da Bergamo. Il nuovo equilibrio viene rotto da un altro numero d'arte varia: Kala da tergo è in anticipo pulito su Adriano, il brasiliano perde l'appoggio sul contatto e va a sfondare su Stam: di nuovo, calcio da fermo e cartellino giallo per proteste! Dida commette qui un errore amatoriale in respinta, lasciando la palla nell'area piccola per il tap-in di Martins invece che accompagnarla a fondo campo. Difesa di belle statuine e conseguenti capriole nigeriane. Ma il peggio deve venire: a tempo scaduto, Cruz parte probabilmente in offside, e altrettanto probabilmente ciabatta da solo il pallone oltre la linea: per Messina è un corner da battere, Adriano sale indisturbato a centro area e punisce. Ci va Vieri e in ritardo (dal che deduco che siamo tornati a zona): inammissibile. Dispiace perché la prodezza di Stam (ascensore rugbystico, proprio sul centravanti nemico) valeva da sola il punto del pari. Regaliamo così un derby ai bisognosi, dopo dieci atti infiniti di godimento: passa tutto subito, è solo vanagloria neroblu.

La tribuna di Steve: con Messina, mission completed. L'anello si chiude. Il mese chiave della stagione bianconera si risolve con un parziale di 9 a 0 sull'unica antagonista credibile. Riassumo che abbiamo patito, in rapida sequenza, le designazioni di Bertini (scontro diretto), Rodomonti (con Copelli a Firenze), Pieri (con Farina a Verona) e infine Messina (brillante protagonista di Fiorentina-Juventus una settimana fa). L'effetto collaterale, purtroppo, è anche la rimonta di viola (4 punti) e neroblu (9 punti). Juventinove in cassaforte, dunque: non resterà che alimentare, da qui a primavera, qualche butade giornalistica sulle rimonte possibili dei manciniani (apre le danze proprio oggi, ca va sans dir, il foglio rosa). Milan fuori dai giochi: è ufficiale, e se lo dice Berlusconi c'è da credergli: essere a -8 o a -11 fa davvero poca differenza. Abbiamo vista lunga e troppi campionati alle spalle per dover fingere di non riconoscere fra le righe i segnali inequivocabili dell'esito già scritto. Don Fabio cucirà la terza stella d'oro (e chi altri?) nel 2007, poi potrà subentrare a Lippi per chiudere con la Nazionale italiota. Nel quadro squallido, spicca l'assordante silenzio, e più in generale l'assenza, della voce ufficiale della nostra dirigenza. Galliani concede, postumo, solo un sunto bisunto di comunicazione in format istituzionale ai microfoni di casa: il tecnico è inamovibile, i progetti sono condivisi, i nostri giocatori sono i migliori in circolazione, con gli arbitri abbiamo avuto solo sfortuna. Il mercato? Nessuna premura, a gennaio resteremo fermi perché di 120 difensori che teniamo sotto osservazione (sic), nessuno è più bravo di quelli che abbiamo. E della grinta (che a noi è MANCATA dopo il 2-2) non sappiamo che farcene, perché 17 anni sono lì a dimostrare come si vince: in Italia e in Europa. Il retrogusto amaro è quello di una società che si sta attorcigliando lentamente ma inesorabilmente su se stessa, una volta privata del faro spirituale. Tatticamente, siamo nondimeno involuti: il nostro calcio è risaputo, ogni contromisura è ormai stata adottata da chiunque. Ancelotti non applica il turnover se non per necessità oggettiva (indisponibilità per infortunio o squalifica), non mai per scelta: giocano i soliti noti. Ma ciò che è peggio, i Primi Undici sembrano sempre meno una squadra e sempre più undici belle individualità. Questo spiega, a mio modo di vedere, i cali di tensione dei singoli che producono danni collettivi non rimediabili. Ho detto a inizio stagione, l'ora delle decisioni irrevocabili era giunta ad Istanbul. Per romanticismo e/o supponenza si è preferito nascondere la testa nell'erba e buttare la palla avanti di un anno. Peccato, perché a dicembre molto si potrebbe ancora mettere in ordine: a cominciare dalla campagna invernale.

06 dicembre, 2005

MILAN 3 - SCHALKE 2

(42 PT) Pirlo, (43 PT) Poulsen, (7 ST) Kakà, (15 ST) Kakà, (21 ST) Lincoln.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dal 31 PT, Kaladze dal 33 ST), Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi (Gilardino dal 40 ST).

Il tema tattico: ultimo atto con l'acqua alla gola. Arriviamo alla resa dei conti con il rumore di fondo del tonfo cattivo di Verona e poche certezze sullo stato di salute della squadra. Ancelotti deve scegliere, specie sulla linea difensiva: il capitano, costretto alla resa dopo un tempo di sportellate con Amauri al Bentegodi, per la prima volta nella stagione è autenticamente sulle ginocchia. La decisione del tecnico, ancora una volta, è rischiatutto: pesa più il blasone che il buon senso. E la punizione amara (quanto scontata) è il k.o. dopo mezzora di battaglia con Altintop: questa volta pagheremo dazio, e guarda caso nel derby. Rientrano Sergio a sinistra (dieci giorni dopo la ginocchiata di Cassetti) e Seedorf al centro (dopo l'assenza forzata di sabato, per lutto in famiglia): sono entrambi scarichi. Davanti si insiste con Sheva, che forse oggi tocca il fondo di una parabola psicofisica allarmante, mentre riappare il Santo piacentino, fin qua escluso spesso e volentieri per concedergli - conviene credere - l'autonomia di 90 minuti da Champions. Kakà cerca a lungo la posizione migliore sullo scacchiere, specialmente cerca di schivare le rotte e le botte del suo cecchino danese. Assente o quasi per buona parte del primo tempo, quando accende la luce nel secondo, spedisce lo Schalke all'inferno e il Diavolo in paradiso. Detto questo, in campo c'è un uomo solo e si chiama Gennaro Ivan: il Sindaco! Dieci pecorelle smarrite brancolano nella nebbiolina di San Siro, appese al filo sottile del destino: gambe rigide, cuore in gola fino all'ultimo di recupero. Lui no! Ringhia e sbraita e carica, a tutto campo. I tedeschi di Rangnick attendono per 45 minuti, con il chiaro intento di alzare la pressione nella ripresa, quando il calo fisico e la fragilità emotiva dei nostri saranno proverbiali. Inizia a una punta e infila le altre nel seguito, senza mai dare la sensazione di poter completare la beffa. Mejuto Gonzalez a parte, il nemico numero uno del Milan resta il Milan, se è vero che i biancoblu sono in gara solo per nostre amnesie e varie disavventure. Troppo poco per meritare gli Ottavi.

Gli episodi chiave: risolvono le magie dei singoli. L'anello si chiude. L'esordio settembrino a San Siro contro i turchi era stata pura agonia fino ai minuti finali, prima che il Bambino d'Oro decidesse di regalare all'umanità calciofila l'ennesima cavalcata da copertina e un gol da urlo. Contro i tedeschi chiudiamo il Girone E di nuovo grazie a due magie carioca. Diciamo tre, includendo la pennellata di Pirlo su calcio da fermo: è l'ottava meraviglia in rossonero. Fondamentale disporre di una soluzione tecnica che per troppi anni era mancata nel nostro repertorio. Appena il tempo di crederci, e l'ennesimo calcio piazzato ci sorprende indifesi: la parabola lunga dalla fascia sinistra dà il tempo a chiunque di trovare il piazzamento migliore, ma guarda caso resta libero un uomo dietro all'ultimo difensore (proprio Poulsen, sordida ironia della sorte) e appoggia facilmente in rete. Fotocopia del gol di Toni a Firenze. Si resta senza parole, anzi non resta che ascoltare le parole del Sindaco: "il problema non si pone, ci si ferma un'ora in più a fine allenamento e si imparano le marcature". In Rino Veritas. Pippo ci mette il cuore come sempre, ma non è la sua serata: quando Pirlo gli allunga il pallone buono in area, difende da par suo con le spalle alla porta ma è tradito dall'erba brinata sotto al piede perno e scivola. Nel secondo, Sheva indovina la prima e ultima giocata di una notte da brivido, andando in percussione da centrocampo e smarcando Kakà sul fianco destro della difesa: stella filante e nuovo vantaggio. A mente sgombra, le gambe girano. Sergio pennella in area per Pippo: la girata di sinistro meriterebbe l'appuntamento con la storia (e con Di Stefano), ma Rost nega a tutti il delirio. Il 9 Rossonero tuttavia non si abbatte, anzi gioca a centro area per Sheva, che va di sinistro per l'appoggio sicuro di piattone: la carambola sulla caviglia destra è tanto stupefacente quanto emblematica, ma il rimbalzo sui piedi di Kakà è guidato dal dio del pallone, che così prepara lo scenario di una nuova magia. Controllo e diagonale chirurgico alla base del secondo palo, l'unica finestra rimasta aperta fra una selva di stinchi. Ora vien voglia di pensare a una vittoria facile, in goleada, per scacciare tutti i cattivi pensieri. Invece manca ancora una pennellata di nero sulla gara del Balon d'Or: una deviazione fortuita su un destro domabile di Lincoln spiazza Dida e condanna il Popolo Rossonero a trenta minuti di agonia.

La tribuna di Steve: verso Parigi con le gambe molli. Ventiquattro ore dopo la qualficazione più sofferta del quinquennio ancelottiano, Kakà rivela: ho salvato la panchina, fossimo usciti dalla Coppa sarebbe successo l'impossibile... Già, l'impossibile. Avanti con Ancelotti dunque, avanti con le gambe prima rigide per la paura di sbagliare e poi molli per la fatica e lo spavento. Sul 3 a 2 alzi la mano chi non ha pensato alla notte delle streghe di Ataturk, all'ipotesi di un 3 a 3 che avrebbe significato di nuovo la fine di tutto. E in campo c'era lo stesso fischietto spagnolo che, per come ha arbitrato a San Siro (tignosamente), qualche ombra in più sulle sviste turche continua pure a gettarla. Ma non facciamoci altro male: già andiamo avanti con Ancelotti. E con Galliani, che nella ripresa dice di avere molto passeggiato, un po' guardato le immagini in tv, un po' sbirciato il campo. "Tutto è bene quello che finisce bene - la sua conclusione - e finché resto io, Ancelotti non si tocca!". Suona come una condanna, duplice e sinistra. Galliani non guarda in campo e non vede che il Milan passa agli Ottavi con un uomo solo. Gattuso urla, picchia e corre al triplice fischio per raccontarle a Poulsen: come sempre, lui ci mette la faccia, non i calcetti alle spalle dell'arbitro. Lo infangheranno con le moraline ipocrite del foglio rosa. Ma la realtà è che il Milan di Ancelotti e Galliani è aggrappato ad una sola roccia, di granito calabro: realtà amara, che circoscrive le nostre legittime attese di rivincita a pura velleità, per causa di una programmazione fallita al momento stesso di porre le basi per la nuova stagione. Non si trascuri il dato statistico (eclatante su questa sponda del Naviglio) dei 44 mila spettatori presenti a San Siro, la notte in cui si giocavano i destini di tutta una stagione. Il problema, caro Galliani, non è il termometro a -3. L'urna dirà venerdì 16 di che morte dovremo morire.

03 dicembre, 2005

CHIEVO 2 - MILAN 1

(22 PT) Kaladze, (46 PT) Pellissier, (37 ST) Tiribocchi.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dall'1 ST), Kaladze, Gattuso, Pirlo, Jankulovski, Rui Costa (Kakà dal 19 ST), Shevchenko (Inzaghi dal 24 ST), Gilardino.

Il tema tattico: amara lezione di pressing. Non dovrebbe essere una novità, ma tant'è. Chiudi il nostro play nella gabbia delle due punte e dei due centrali di metacampo, nel più classico 4-4-2, ed il meccanismo si rompe: il gioco non riparte. La difesa è protetta poco e male da un Sindaco forzato alla quinta presenza in quindici giorni e da un ceco privo di personalità e menomato da tecnica di base approssimativa. Il brasiliano Amauri manda in tilt il capitano, finché il ginocchio non cede. L'attacco è svuotato in Sheva (ondivago e fiacco al momento del cobra) e nel Gila (sfibrato da un lavoro oscuro e ingrato). Involuzione macroscopica. A metà tempo, siamo in vantaggio su palla inattiva, e posso dire che restiamo in gara di lì ai dieci minuti successivi: il Chievo si scompone sulle fasce e, una volta a sinistra (con Kaladze), una volta a destra (con Rui Costa), abbiamo i palloni giusti da giocare al centro, ma non chiudiamo il conto. L'avversario graziato, però, purtroppo non si chiama Lecce e presto arriva la resa. Dalla mezzora, il calo d'intensità agonistica e mentale è imbarazzante: siamo schiacciati dietro, con il tangibile presagio della catastrofe imminente. Un mischione in area viene risolto sciaguratamente da Stam con una ciabattata sulla trequarti: subiamo palo dalla lunghissima distanza. A tempo scaduto, sempre su calcio piazzato, la punizione puntuale. Nella seconda metà, i nostri hanno ormai la testa a martedì notte e le gambe imballate. Il possesso palla è di nuovo vacuo, con Kakà redivivo ma velleitario e Pirlo annebbiato, a sperperare lanci verticali, ostinati quanto insipidi. Il tempo che se ne accorga Pillon (non mai Ancelotti) e le correzioni risultano letali: fuori due punte usate e dentro due punte nuove. C'è chi in attacco può alternare Shevchenko e Gilardino con Inzaghi e Vieri; c'è chi si deve accontentare di Tiribocchi e Obinna per Pellissier e Amauri. Ma per questo Milan, sono come i Quattro dell'Apocalisse. Ultimi venti minuti allo sbando, triangolazioni strette e ripartenze feroci: colpo del k.o. e seconda (dopo Eindhoven) lezione solare di tattica.

Gli episodi chiave: il santo non fa (sempre) miracoli. Contro il Lecce, l'azzardo era riuscito: a 17 minuti dal novantesimo, punta tutto sul 9 Rossonero e sbanca San Siro. Al dannato Bentegodi - che dei nostri santi si è spesso fatto beffe - la stangata di Ancelotti non riesce. Il pallone buono arriva, in realtà, al 44' e Superpippo ci va come sempre di rabbia e di cuore: chiude bene il diagonale con l'interno destro, ma questa volta è Squizzi a fare il miracolo, intercettando fra torace e braccio a terra. Troppo tardi, Carlone... game over. E pensare che tutto era iniziato per il verso migliore, con un vantaggio trovatello su calcio piazzato a due: una primizia, merito del piedino fatato di Pirlo e della tenacia di Kaladze. Schiacciata di testa, aggirando la marcatura, e tap-in di riflesso sulla respinta del portiere. La prova del georgiano decolla. La sua unica sbavatura, però, è fatale (come in Olanda). Il crollo ha principio con un fallo di esasperazione di Maldini (giallo) sul giocoliere Amauri. Per la fredda cronaca, Pellissier ha due terzi del corpo oltre la linea dei piedi di Kala (ultimo uomo), quando va a raccogliere il tocco smarcante di Giunti. Lo sbandieratore di turno è il glabro Farina: in asse perfetto con i due giocatori, tiene il braccio abbassato. Siamo nell'intorno degli "episodi sfortunati", di cui abbiamo (noi sì!) la decenza di non lamentarci, giacché il pari è sacrosanto. Nel secondo tempo, in compenso, lo stesso collaboratore di linea fermerà il Gila (in volo sull'ala sinistra) per offside non esistente. Si dice e si scrive di un Nesta catastrofico, dimenticando almeno due salvataggi in anticipo pulito sull'uomo, davanti a Dida, nel primo tempo. Che la condizione, sua e di Stam, non sia al top è evidente; ma nel finale il tracollo è eccessivo: vengono messi in mezzo da due emeriti sconosciuti, come pivelli... o come vecchie glorie. E la gara è tutta qui.

La tribuna di Steve: il capolinea tricolore di Ancelotti. Terza sconfitta in appena quattordici turni. Ma soprattutto, 15 gol incassati: la media di uno e oltre a partita. Non sono cifre da Scudetto. Malgrado l'evidenza, Carlone l'ostinato bofonchia che siamo pari punti a un anno fa. Si dà il caso che il ritardo sia doppio: da -4 a -8. Oggi, davanti a tutti c'è una macchina da guerra, che per la seconda volta in tre giornate converte un turno sfavorevole in opportunità di svolta: e allunga. Tredici vittorie sono abnormi, e l'epilogo di Fiorentina-Juventus 1-2 va analizzato con lucidità. Non è la qualità individuale o collettiva a scavare lo iato fra noi e la capolista; così come non sono 8 lunghezze di divario a spaventare, con 24 turni e altri 72 punti in palio. Gli episodi favorevoli incidono, è vero: una zolla che sposta sul palo un pallone calciato (da Toni) in mezzo ai legni della porta vuota ha addirittura un che di diabolico. E non leggo e non ascolto ironie sulle basse virtù che ci furono attribuite (a furor di popolo e di media) la primavera scorsa per aver realizzato gol (onesti e regolari) nei minuti di recupero di alcune gare. Il loro è "cinismo". Il nostro era "culo". Coerente. Ma la voglia di andare sull'ultimo pallone vagante a bordo campo con la ferma intenzione e la piena consapevolezza di poterlo convertire in gol, è una virtù altissima che, se non è innata (Inzaghi) deve essere trasmessa con l'esercizio quotidiano. Impresa di cui sono capaci, non dico i grandi uomini, ma per certo i grandi trainer (di qualsiasi disciplina sportiva). Chapeau a Capello! Non lo conoscessimo bene. Così come conosciamo bene Ancelotti. La prestazione svagata di Verona era scritta, perché viene prima di un turno fatale di Coppa e in campo gli undici saranno i medesimi. Per vincere bisogna essere sempre al 100%, ma se giochi sia la domenica che il mercoledì questo non è possibile. Teorema di Dario Simic (o del turnover). Uno dei tanti che giocano, viceversa, solo quando il suo allenatore non può farne a meno.

30 novembre, 2005

NOVEMBRE 2005: Standing ovation

29 novembre, 2005

MILAN 3 - BRESCIA 1

(26 PT) Rui Costa, (40 PT) Gilardino, (2 ST) Alberti, (24 ST) Vieri.

Abbiamo giocato con Kalac, Marzoratti, Simic, Costacurta (Stam dal 32 ST), Kaladze, Gattuso (Pirlo dall'1 ST), Vogel, Jankulovski, Rui Costa, Gilardino (Ardemagni dal 19 ST), Vieri.

Millequattrocentosettantatre spettatori paganti sono la platea dello Stadio Delle Alpi in una domenica torinese come tante di Serie A e sono, al contempo, i malati del Diavolo che - a gradi centigradi zero - assistono agli ottavi di finale della competizione più insulsa del calcio italiano. Qui si assegna lo Scudetto Rotondo, quello che portano sul petto con malcelato orgoglio, a giudicare dai recenti caroselli automobilistici (con conseguente impennata delle polveri sottili a Milano), squadroni del calibro dell'Inter di Roberto Mancini: un autentico specialista del genere. Dai microfoni Rai, il vecchio cuore neroblu Marco Civoli specifica che il Milan è tuttora imbattuto: ineccepibile, dacché si disputa la gara d'esordio. In cabina, siede al suo fianco il garrulo Mazzola: passa la poesia solo a pronunciare i nomi... E tuttavia, esistesse una politica assennata dei vivai, sarebbe questa la competizione ideale per esibire giovani talenti, che non hanno prospettive di apparire in campionato (figurarsi in Champions) nell'era delle rose allargate a 25 e più elementi. Accade, viceversa, che in Coppa Italia debbano ritrovare fiato e dignità gli esiliati della domenica e del mercoledì: parliamo di Dario Simic che, nel breve lasso di sei giorni, precipita dal firmamento turco agli stallatici brèhä senza passare per Milan-Lecce; parliamo di Johann Vogel, di cui avevamo apprezzato una crescita beneaugurante a inizio stagione e che è successivamente svanito alla vista del pubblico per oltre un mese; parliamo di Christian Vieri - il vero colpo basso del nostro mercato estivo - sottratto alla concorrenza con i danari buoni per portare a casa un Luca Toni o due Vincenzo Iaquinta... ma passi: sarebbe sufficiente che la mettesse un paio di volte nel derby per ricordarlo con simpatia negli anni a venire, come già Paolo Rossi; parliamo anche di Marek Jankulovski, che qualcuno aveva sbandierato per jolly di fascia e variante naturale, tanto a destra che a sinistra, poi oscurato per manifesta inadeguatezza dopo due-uscite-due sui campetti di ferragosto (e congratulazioni agli osservatori); ma parliamo anche di Gattuso, Rui Costa e Gilardino, che vengono gravati di 45 più 90 più 65 minuti inservibili, alla vigilia di una settimana che darà significato e direzione (in un senso o nell'altro) ai sei mesi successivi. Ricadiamo nel dominio della ordinaria follia nella gestione del gruppo secondo Carlone Ancelotti. Con tutto ciò, Lino Marzoratti vede il campo per due tempi interi e parla con apprezzabile misura nel post partita, evitando i superlativi (ha ben capito l'antifona); mentre il bravo Matteo Ardemagni deve accontentarsi di 25 minuti per il classico gettone di presenza; segnalo, a disposizione in panchina, anche Luca Antonelli: erede del mitico Dustin. La cronaca vale poco: il portoghese indovina un destro a volo nel sette, e sarebbe già materia sufficiente per tornare a casa. Poi raddoppia il Gila con prezioso colpo di testa direttamente dal corner (assist di Rui Costa, per le statistiche). Quindi subiamo gol su calcio piazzato, giusto per confermare certi limiti strutturali (provassimo a marcare a uomo, solo per curiosità? dice Dario Simic, faciliterebbe il compito di chi gioca assieme per la prima volta... o quasi). Infine mandiamo in gol addirittura Vieri, dopo pregevole tocco a due col portoghese: in sintesi, due assist e un gol. In Coppa Italia, sembrano fenomeni anche quei due.

26 novembre, 2005

MILAN 2 - LECCE 1

(4 PT) Pirlo, (22 ST) Konan, (49 ST) Inzaghi.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho (Costacurta dal 18 ST), Gattuso (Jankulovski dal 35 ST), Pirlo, Seedorf, Rui Costa, Shevchenko, Giardino (Inzaghi dal 28 ST).

Il tema tattico: Lazzaro, alzati e cammina... 72 ore dopo, siamo di nuovo in campo con i dieci undicesimi della trasferta di Istanbul. Unico escluso di fatto è Dario Simic: autentica "rivelazione" (Carlone dixit) del Sokru Saracoglu. L'azzardo è forte. Attendersi più di un'ora di autonomia, fisica e nervosa, dopo i 90 minuti dentro/fuori di Champions è, alternativamente, visionario o miope. A ciò si aggiunga che il terreno è duro per l'abbondante nevicata mattutina, sulle corsie laterali addirittura si pattina. L'esito scontato è che i locomotori esterni viaggiano a scartamento ridotto. La buona sorte è sbloccare subito su calcio da fermo. Il ritmo inziale è frenetico. Il Lecce riparte a testa alta, ma sale male sul fuorigioco e per tre volte il Gila grazia Sicignano vis-à-vis. Conto, in totale, almeno nove situazioni d'attacco buone per chiudere i giochi ma, come in Turchia nel primo tempo, le falliamo in mirabile sequenza. Il divario minimo lascia, tutto sommato, sereni per la pochezza della linea offensiva di Baldini: davanti ne schiera tre, ma il mandato è aggredire i nostri portatori di palla prima che la nostra area. Il secondo tempo inizia su ritmi ancora accettabili, sebbene con un accenno di flessione anche nei centrali. Gli attaccanti hanno ora mai le polveri brinate. Quando al quarto d'ora Cassetti sfonda il quadricipite di Sergio con una ginocchiata (tutto regolare per Tombolini), Ancelotti calca la mano e manda dentro Billy: seconda bocciatura per Simic. La dura lezione della sorte, a metà tempo, è il prevedibile punto del pari: triste quanto puntuale la ricorrenza di un-tiro-un-gol. I nostri ora sono davvero sulle gambe e non resta che la forza della disperazione per non perdere il treno tricolore. Il capitano è costretto a ringiovanire di dieci anni e sobbarcarsi la spinta sulla fascia, improbabile attenderselo dal Professore. Ma il santo delle cause perse si chiama Pippo, e l'ineffabile Carlone lo butta nella mischia a un quarto dalla fine. Mezzora a sbuffare e scalpitare a bordo campo, con la prospettiva di rivestire la tuta e guardare entrare Vieri: stile Istanbul. Invece qua occorre il miracolo, e chi mai più del 9 Rossonero? Entra come un puledro imbizzarrito e al primo contrasto in area va giù con Diamoutene: si gioca. Se il Lecce avesse classe e gambe potrebbe solcare la trequarti aperta e prendersi il bottino pieno: ci prova solo Ledesma al 44' e spolvera la traversa. Replica Janku un minuto dopo, prima della catarsi e la salvazione in pieno recupero. In Rino veritas: il Lazzaro di Reggiolo ringrazi il Santo di Piacenza.

Gli episodi chiave: tre punti oltre i confini della realtà. Appena tre giri di lancette e Tombolini consegna a Pirlo un pallone sulla mattonella giusta: il replay non chiarisce se Stovini vada in anticipo su Rui con la mano o il ginocchio. Dalla mia posizione non sorge neppure il dubbio (fallo). Certo è che il fischietto osserva il contrasto di fronte e non da tergo (come la telecamera), pertanto o è guercio o è punizione. Protesta il difensore e fantasticheranno i moviolisti. Nel frattempo, il nostro Juninho bresciano picchia a tres dedos sulla valvola e indovina un'altra traiettoria da cartoon: prima sale tesa e centrale, poi scende improvvisamente a destra. Filo del palo e gol, come contro De Santis. Vengano a raccontarci che ANCHE Sicignano ha piazzato male la barriera... giornalismo da dilettanti allo sbaraglio. Inizia lo show del tiro fuori. Quando il Gila mette a sedere il portiere in dribbling, il gioco sembra fatto ma, invece di mirare fra i pali, gioca un diagonale fuori bersaglio: a me sa di assist più che di gol mancato, per come chiude il movimento verso centro area con l'interno del piede. Sarebbe lecito attendersi più egoismo dal nostro capocannoniere. La puntuale lezione al consumismo in zona gol arriva su traversone di Cassetti da destra. Di nuovo fatalità, per Stam che sale mezzo metro sopra Vucinic e schiaccia di testa: carambola sulla zucca dell'attaccante e il pallone scende verso l'area piccola; a veder l'olandese così alto in anticipo, nessuno mai avrebbe supposto quella beffa, tant'è che Maldini lascia passare Konan e il barbaro infila Dida. Chiare le analogie con il gol di Caracciolo. Il paradosso della domenica è che l'estremo leccese compie l'unico intervento decisivo su una demi-volée di Nesta (splendida acrobazia da bomber) solo nel finale: ricordo un Parma-Milan in cui replicò quel prodigio all'infinito. Con sei sostituzioni e due interruzioni per infortunio, i minuti di recupero fanno 5 (con buona pace dei dietrologi). Fossero stati 4, poco male: infatti è al 48' e rotti che parte l'ennesimo lancio di Sandrone dalle retrovie. Va Pippo col coltello fra i denti in duello aereo, girando palla al limite dell'area. Pirlo legge a memoria il suo movimento e gioca di testa verso l'area piccola, dove sa che potrà arrivare solo chi ha fame e rabbia. Gamba e cuore volano oltre l'ostacolo: il ginocchio ferito affonda nel ghiaccio ma la punta del destro arriva oltre l'estensione del muscolo e l'immaginazione di Sicignano... oltre i confini della realtà. Gol da delirio, (secondo) gol da 3 punti, gol da Superpippo!

La tribuna di Steve: supponenza e ottusità in salsa reggiana. Oggi come l'Ottomaggio. Ora e sempre. Il Lecce o la Juve, il turno 13 o la sfida tricolore: non fa alcuna differenza. Sono ancora tutti dentro. Anzi no: è fuori Simic! Torna in campo Stam, e dà subito l'idea di essere tutt'altro che in condizione. Viene da domandarsi se mercoledì notte Ancelotti si fosse fatto burla del croato, pronunciando le testuali parole: "questa volta do ragione al giocatore e contro l'allenatore... la prossima volta dovrò guardare meglio!". Se lo starà chiedendo soprattutto Dario, misteriosamente tenuto ai margini per tre anni malgrado la comprovata affidabilità. Avanti di questo passo, chiederei al Nostro dove abbia guardato, durante gli allenamenti di giovedì e venerdì, per arrivare a escludere (di nuovo) Inzaghi: il Balon d'Or è svuotato: lo si nota da come gira al largo dell'area di rigore, limitandosi al contributo di pura abnegazione in copertura e in ripartenza. Meritava di cedere il suo alloro sulla scena di Istanbul. Non parliamo del Gila, visibilmente annebbiato davanti a Sicignano. Aggiungo: l'ingaggio (discutibile) di Vieri non era stato giustificato con la necessità di calare un ariete sui campi pesanti e di fronte agli avversari minori? Che dire poi del Sindaco, bastonato duro sotto al ginocchio (tre giorni fa si paventava addirittura un menisco) e oggi regolarmente in campo, mentre Vogel fa la muffa in panchina? Chiuderei la lista con Seedorf: ispirato e inesauribile in Champions, non si poteva umanamente attendere il bis contro un Lecce da fondo classifica. Ora qui sta ad intedersi una volta per tutte: il tecnico dica chiaro al mondo che "squadra che vince non si cambia" e metteremo finalmente l'anima in pace. Innanzi tutto la Società, che ogni anno allestisce una rosa di 15-16 potenziali titolari, supponendo che verranno impiegati come tali. In secondo luogo il Popolo Rossonero, che dopo il suicidio di maggio riteneva di doversi attendere più turnover per arrivare alla resa dei conti meno bolliti della scorsa stagione. Infine i diretti interessati, gli esclusi a prescindere - dico Inzaghi, Ambrosini, Simic, Rui Costa e lo stesso Serginho, fino a pochi mesi or sono: solo per citare i calibri grossi - che dovranno fare buon viso a cattiva sorte, quando il tecnico racconta che "va in campo sempre chi sta meglio". La ciliegina sulla torta agra di domenica sera è che Galliani interrompa il suo "sofferto silenzio" per comunicare che abbiamo anticipato NOI il turno - e non l'Inter - per evitare cattivi pensieri... Di nuovo, sentiti ringraziamenti da parte del Milan, caro Presidente di Lega e della Commissione Fifa! Immaginarsi se, anticipando, fossimo scivolati a meno 7... Degno corollario di una serata mesta, quanto lo striscione delle Brigate sistemato al centro della Sud.

23 novembre, 2005

FENERBAHÇE 0 - SHEVA 4

(16 PT) Shevchenko, (6 ST) Shevchenko, (25 ST) Shevchenko, (31 ST) Shevchenko.

Abbiamo giocato con Dida, Simic, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso (Vogel dal 31 ST), Pirlo, Seedorf, Kakà (Rui Costa dal 19 PT), Gilardino (Vieri dal 30 ST), Shevchenko.

Il tema tattico: notte da Diavolo nell'inferno turco. Sotto una pioggia battente di fischi e acqua gelida, iniziamo contratti a protezione dell'area. Primo non prenderle, infatti le linee di centro e difesa sono ammassate una sull'altra, a troppi metri dalla linea d'attacco. Ci scopriamo spesso sul centrosinistra, dove Seedorf cerca le misure del campo. Carlone ha schierato - neanche a dirlo - il suo Undici dei Sogni: unica novità Dario Simic, per l'assenza concomitante di Stam e Cafu. Sarà lui la rivelazione della serata, straodinario per affidabilità e carisma. Perdiamo subito Kakà per una contusione all'anca, e forse non è un disastro: il Bambino ha bisogno di rifiatare, dentro Rui Costa. I turchi hanno assenze pesanti: Marco Aurelio e Fabio Luciano squalificati, fuori anche la stella Alex. C'è poca qualità e si nota dal folto centrocampo a cinque, che costruisce macchinosamente, isola un abulico Anelka e perde troppi palloni. Ne recupererà un numero incalcolabile Pirlo. Ma intercetta la prima lo Zionero, che manda in porta il Balon d'Or. I padroni di casa accusano il colpo e sbandano paurosamente dietro. Abbiamo una decina di situazioni d'attacco dopo il vantaggio, ma poca lucidità negli ultimi metri: clamorosa la zappata del portoghese su un appoggio geniale ancora di Seedorf, all'altezza del dischetto. Il rischio è quello di tenere in gioco i gialloblu e di fatto arriverà il prevedibile forcing prima del the. Ma il movimento longitudinale del biellese (su tutto il fronte d'attacco) combinato al movimento latitudinale dell'ucraino (a destra, a sinistra, al centro) garantisce le due dimensioni alla nostra manovra d'attacco. La verità è che la squadra gira in armonia quando il trio di centrocampo esprime il top del repertorio. Pirlo è inesauribile in copertura, Il Sindaco va in aggressione su ogni filo d'erba e lo Zio d'Olanda è ispirato dagli dei: giostra a piacimento sul terreno pesante col suo baricentro basso, piede perno e rotazione, fulmineo sul breve, esce dalla marcatura e con aperture verticali illumina la notte turca: manuale di calcio universale! Davanti a Dida, la coppia d'assi non fallisce un colpo: la giornata non può essere sempre viola... Prudente Sergio nel primo tempo, nella ripresa trova la corsia aperta per galoppare come più gli garba e lasciare il segno. Rui Costa aggiunge geometria, a prescindere dalle amnesie che a caldo restano indisponenti. Il crollo psicologico del Fenerbahçe, alla fine, sorprende. Ma era la notte del Balon d'Or: in una sola parola, incontenibile.

Gli episodi chiave: sette volte "7". Quando al quarto d'ora Kakà stringe i denti e tira il muscolo, temiamo un baro segno del destino. Al contrario, la notte delle favole sta per cominciare, con Seedorf che cattura un pallone a metacampo, alza la testa e lancia una stella filante oltre la mediana: progressione imperiosa di Sheva e colpo letale fra le gambe di Volkan. La nostra manovra più bella è una doppia triangolazione disegnata dal Gila con Simic: anticipo di testa e legno esterno del bomber, sempre più intenso per dedizione e concretezza. A seguire, l'unica conclusione pericolosa degli upmini di Daum: il sinistro teso di Yozgatli solca tutta l'area ma si spegne a lato. Nei cinque minuti finali (più due di recupero) i gialloblu spostano avanti il baricentro, cercando ossessivamente il cross: sono preziose due prese di Nelson, per dare tranquillità al reparto e stemperare i bollenti spiriti. Il capitano si distingue sulle respinte aeree, ma la chiave di volta è un recupero in tackle sulla trequarti offensiva, che stronca una ripartenza mortifera dei padroni di casa. Non basta: incursione finale di Tuncay, che salta tre dei nostri come birilli e penetra a fondo area, parte l'appoggio al centro e ancora Paolino in scivolata sventa in corner. Come in uno spot: mica male per uno che doveva smettere a settembre... e sono 150 presenze di Coppa. Nel secondo tempo andiamo subito in gol con una splendida verticalizzazione di Pirlo per Seedorf, il Gila rifinisce al limite dell'area per Sheva: dribbling secco sull'uomo con l'interno destro e shoot furibondo da fermo con il sinistro, una fiondata nell'angolo basso. Balon d'Or! I calcioni subiti al tallone dolente (due) nel primo tempo, ora non fanno più male. Sulla
risposta di Onder dalla distanza, Didone la toglie dal sette. Sheva vola via da ogni lato: per tre volte è solo davanti a Volkan, che fa miracoli. Al quarto tentativo, parte Sergio sulla sinistra, la mette a giro rasoterra e il piattone di destro è un gioco da ragazzi. Tutto lo stadio è in piedi! Entra Vieri e gioca subito l'assist per il quarto. In totale potevano essere sette le gemme del 7 Rossonero: peccato specie per l'ultimo pallone di Seedorf, che prova a piazzare il destro invece che appoggiare a Sheva, smarcato per la cinquina. Mi si perdonerà... ma questa è ingordigia da Shevalover :-)

La tribuna di Steve: l'altra Istanbul ai piedi del Balon d'Or. Minuto 69: il pubblico del Sokru Saracoglu spegne nel silenzio la pioggia di fischi che aveva riversato sui nostri al kick-off, si alza in piedi e fa scrosciare solo applausi: Andry Shevchenko ha appena appoggiato in gol il suo terzo pallone dopo tre salvataggi di Volkan, generoso e indomabile. Si chiama standing ovation, e non accade tutte le sere su un campo di calcio. Specie nella massima competizione europea. Nessuno poi avrebbe pensato di attenderselo in uno stadio che, solo una settimana prima, era stato teatro di una rissa indecente nello spareggio Turchia-Svizzera per l'accesso ai Mondiali. Accade al Milan. E accade al Balon d'Or, che qui un anno fa ottenne l'incoronazione con una doppietta alla nazionale di casa. A memoria, dubito sia accaduto ad un'altra squadra italiana. Sono certo che non è MAI accaduto alla squadra con le strisce bianconere: in Italia, in Europa o dovunque nel mondo. Accadde invece ai Rossoneri già nel 1993, ed ero presente al Parken di Copenhagen, quella sera gelida di Champions: 0 a 6, coi danesi in delirio per il Diavolo. Certo, un'autentica disdetta per i catastrofisti dei media! Attendevano la nostra ecatombe nella bolgia della fatal Istanbul, erano pronti ad intonare il de profundis per il Milan di Ancelotti. Accade, viceversa, che i nostri Ragazzi qua scrivano una pagina di storia (un'altra), incantando i rivali e lanciando un avvertimento al Continente del calcio. Quattro reti del Balon d'Or, come solo l'immenso Cigno di Utrecht al Goteborg. Passi decisi nell'Olimpo Rossonero, verso il record "irraggiungibile" di Nordhal. E fanno cinquanta reti in Champions (50!), una meno del primatista merengue Raul. Complessivamente, 54 nelle Coppe: segnò di più solo il leggendario Gerd Muller negli Anni Settanta. Questi sono i numeri del 7 Rossonero: history maker. Lunedì prossimo consegnerà - dicono - il SUO Pallone d'Oro all'extraterrestre del Barca. "Giusto così" ha commentato Sheva,"Ronaldinho fa vincere la sua squadra, diverte la gente e gioca sempre col sorriso sulle labbra". Ma il pallone di Fenerbahçe-Milan se lo è portato a casa e lo terrà per sempre: lo ha autografato la terna arbitrale e consegnato nelle mani del "Balon d'Or" in carica. Anche questo accade solo a pochi eletti: tradizione quanto mai british, come è costume nella patria del football e di certi valori sportivi, incomprensibili nel mondo latino e più che mai nel meschino cortile italiota. "Ringrazio la squadra", ha chiuso Sheva, "ma preferirei segnarne uno per quattro partite consecutive, piuttosto che quattro in una partita sola". E gli altri si tengano pure i loro fenomeni e imperatori.

20 novembre, 2005

FIORENTINA 3 - MILAN 1

(10 PT) Toni, (24 PT) Gilardino, (32 ST) Jorgensen, (42 ST) Toni.

Abbiamo giocato con Dida, Stam (Cafu dal 18 ST), Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Rui Costa dal 15 ST), Kakà (Inzaghi dal 29 ST), Shevchenko, Gilardino.

Il tema tattico: l'Undici dei Sogni vs l'undici dei viola. Carlo Ancelotti è fermo all'Ottomaggio, è il suo giorno della marmotta. Ha undici nomi in testa: sono i più forti e sono i più belli. Toccano il pallone di fino e quando girano all'unisono, i virtuosismi diventano sinfonia. Eccoli allineati, come un mazzetto di figurine Panini. Da Dida a Gila: sono tutti in campo, non occorre pretattica. Fatta salva la fisiologica alternanza Stam-Cafu nel ruolo di laterale destro, quindici giorni fa lui li aveva immaginati così. E poco conta che le Nazionali gli abbiano restituito, come di norma, sacchi vuoti di energie fisiche e nervose. Pirlo torna fantasma impalpabile, il Sindaco non ringhia ma grufola sulla mediana: e con ciò ne avremmo abbastanza per dire che il centrocampo è viola, laddove l'ottimo e onesto Prandelli aggiunge un uomo (il talentino atalantino Montolivo) per rinunciare a una punta. Stesso tema tattico di Genova (là fu Zauli per Flachi) e analogo esito. Da subito, la trequarti è terra di conquista: subiamo due ripartenze a freddo, col settore di destra pericolosamente aperto (Jappone è fuori giri): rimedia la coppia d'assi al centro. Dieci minuti e siamo in corto circuito sul primo calcio da fermo. Senza spinta sulle fasce (a sinistra Sergio ha poca gamba, dall'altro lato non se ne parla nemmeno), la manovra è retta ora e sempre dallo Zionero: ma porta i guanti neri, segno che è infastidito dal clima. Non pervenuto Kakà, le uniche note liete vengono dalla linea d'offesa: rientra Sheva dopo giorni trentuno, e fa splendida coppia con il Gila più concreto della stagione. In sofferenza il Balon d'Or (forzato da subito a 90 minuti ingiustificabili), l'alchimia tecnica e tattica della nuova coppia è esplosiva, almeno in prospettiva: i due highlight della domenica li confezionano loro in finissimo fraseggio, uno per tempo e senza fortuna nella conclusione. Il Gila punisce, però, sul primo e ultimo tocco magico di Sergio. Ne mette due ma, come contro Udine, gliene cancellano uno (pesante): farebbero 10 in dieci turni... e ho già detto in passato. Con ciò, mettiamo la Fiorentina in soggezione per almeno un'ora: raccolta in trenta metri, a difendere. Ma ci puniscono (come a Marassi) gli episodi: subiamo tre tiri nello specchio e tre gol (là furono due e due gol). I colpi mortali li inferisce, peraltro, la coppia arbitrale: in quel momento, come altrove, invece di ruggire mugoliamo e dalla panchina arriva un harakiri, con Seedorf ereticamente escluso per Rui Costa. Imbarazzante il quarto d'ora finale a tre punte, di cui non ricordo precedenti su questa sponda del Naviglio...

Gli episodi chiave: odore acre di Juventinove... 45 minuti per eliminare dal campo il Bambino d'Oro: questa volta non occorre un mastino alla Poulsen o alla Simons, basta un anonimo Rodomonti da Roma. Scientifica la sequenza degli interventi nella prima mezzora. Su una copertura difensiva, palleggio e carambola fortuita sul braccio: punizione e gol. Sulla fascia, contrasto a spallate con Brocchi: fallo e cartellino giallo da urlo. Infine, fuga (l'unica) nella corsia centrale con intervento in scivolata subìto da tergo, caduta e fischio contro per fallo di mano! Un'apoteosi, suggellata da una spinta sulla schiena del Gila al limite dell'area: tutto regolare, nel finale in crescendo rossonero che poteva cambiare il corso della gara. Dopo l'intervallo, il fischietto cede le redini dell'incontro allo sbandieratore di linea, che fissa il risultato finale. In area viola, Sheva gioca di tacco con spalle alla porta: Brocchi si adagia all'indietro e con il braccio aperto intercetta il pallone a terra. Copelli ha la prospettiva migliore, da pochi metri, ma non segnala a Rodomonti (verosimilmente coperto dalla mischia). Segnala, di converso - e questo è il capolavoro della giornata - un fallo del Gila sul volo d'angelo spettacolare che inchioderebbe il pari a due. Per onore di cronaca: Dainelli tiene a distanza il nostro con il braccio destro teso, Gilardino con il sinistro si divincola e scivola, perdendo l'appoggio: qui si regge alla spalla del difensore (che cade su se stesso) e coglie lo slancio per il tuffo vincente. Non fossero stati tollerati contatti analoghi del corazziere Toni sul capitano, se ne potrebbe anche parlare... infatti Rodomonti aveva convalidato, né avevano protestato difensori e portiere. Coerenza zero. Si riprende e Toni mette il 3 a 1 finale, come si conviene. Prova della malafede arbitrale è l'episodio in area Milan nei minuti successivi: mani solare di Nesta, la giacchetta nera a cinque metri lascia proseguire. Ciò detto dei gol che ci hanno impedito di realizzare. Dei gol subiti (i due rilevanti) va rimarcata un'amnesia imperdonabile sul primo: se marchiamo a zona i calci da fermo, Toni lo deve prendere Sergio e non Paolo. Non è un difensore, e lo conferma al secondo 32 della ripresa: scivola Rino in interdizione sulla trequarti, parte un cross senza pretese a centro area, scivola Nesta sul piede d'appoggio in rinvio: la palla sfiora il tacco e fila sul piede di Jorgensen (posizione dubbia?) che fredda Dida, in splendida solitudine. Domenica no. E lo conferma lo stiramento di Cafu, a tempo scaduto: con Stam squalificato, si andrà a Istanbul con la destra scoperta.

La tribuna di Steve: il sofferto silenzio dei parvenu. "Questo non è più calcio... mi dispiace per chi crede ancora che il calcio sia una cosa seria: la logica è che dovevamo perdere il campionato". Gianni Rivera, 12 marzo 1972. Parlavamo così trent'anni fa, perché la storia del pallone in Italia non è mai stata diversa da oggi. Non si vince il tricolore nelle annate
in cui Piazza Crimea esprime una squadra competitiva. Dura Lex. Un anno fa, di questi stessi tempi, la medesima sceneggiatura: Juve in calo, Milan in crescita. Ad un turno dallo scontro diretto, occorreva salvaguardare il divario di 4 punti: e fu il capolavoro di Pieri a Bologna. A Torino, la direzione epocale di Bertini. Più avanti vennero Olimpico e Bentegodi sul fronte bianconero; per noi venne Bologna (a San Siro), poi Siena e il tripudio di maggio, entrambi griffati Collina. Quast'anno ho parlato in tempi non sospetti, ovvero dopo una tripla e una cinquina. Implacabile, la Legge. Avvicinarsi pericolosamente alla capolista equivale a incappare in quelle sfortunate sviste arbitrali... Oggi come trent'anni fa sul campo di Cagliari. Sabato all'Olimpico occorreva un lavoretto pulito, come per Roma-Juve della passata edizione: nulla di così clamoroso, è stato sufficiente chiudere gli occhi su una cintura di Cannavaro a Montella (sullo 0-0) e lasciare correre il fenomeno slavosvedese a gomiti alti (toh) per chiudere il conto. Il resto del copione lo recitano avversari mediocri o compiacenti e scribacchini o strilloni zelanti. Così accade di leggere di un Milan "schiantato" dalla Fiorentina e di un Toni "stratosferico": per inciso, ne ha viste due in 90 minuti, azzerato per il resto da Nesta&Maldini. Bravo a toccarle di testa, ma per decenza non sfiorate il Gila! Inghiottiamo fiele, siamo avvezzi: questo è il calcio da divulgazione per il pubblico bue del brogiess' de lluneddì. Ma c'è un limite alla sopportazione. Che la Televisione di Stato incoroni Copelli come un collaboratore "di personalità" per le iniziative che ha preso e non preso è un po' oltre il buon gusto. Oggi come trent'anni fa, quando su Mamma(santissima) Rai la domenica sportiva era quella che decideva di raccontare Carlo Sassi. Ai tempi avevamo un capitano di classe e carisma: il Gianni ci metteva faccia, opere (d'arte) e parole. E portava a casa quattro mesi di squalifica, se necessario: stagioni concluse a marzo, con buona pace di Barbaresco e Michelotti. Perciò lo chiamavamo "la Bandiera Rossonera". Oggi abbiamo solo omissioni, parole garbate del nostro capitano tumefatto ed il solito "sofferto silenzio" della dirigenza: mi obbliga la mia posizione di Presidente di Lega... oh, so politically correct. Congratulazioni Galliani. Resti ben saldo alla sua Poltrona, seduto al convivio dei Grandi, e si compiaccia della sua scalata al Potere. Arrossisca anche, quando arrivano schiaffi in volto, ma poi taccia e raccolga le briciole. Se ne lascia la Vecchia Signora.

No, questo non è più calcio. Questo non è più Milan. Quelle non sono più le nostre Bandiere.

16 novembre, 2005

HIC SUNT LEONES, 1968-2005


COMUNICATO

"Non abbiamo voluto scrivere un comunicato in merito alla vicenda di Milan-Juve perché in queste occasioni non siamo soliti rispondere con questi mezzi ed anche questa volta non faremo alcuna comunicazione sui fatti, ci limitiamo solo a dire che un'esposizione di parte e di comodo può arrivare a far presupporre anche la più ignobile delle infamie, pur di accreditarsi una posizione di vantaggio, ma un'accusa ha bisogno di riscontri oggettivi e pertinenti, non può essere ambigua od evasiva perché altrimenti è delazione.
Questa storia ha posto in evidenza punti di vista ormai inconciliabili all'interno della nostra curva e dopo avere discusso e riscontrato divergenze incolmabili ed insanabili, siamo giunti all'amara ma orgogliosa decisione di scioglierci e chiudere così la meravigliosa avventura della Fossa dei Leoni.
Non è nostra intenzione utilizzare questo comunicato per difenderci dalle accuse mosseci, perché siamo certi che chi ha avuto l'onore di conoscere o di scontrarsi con la Fossa dei Leoni non può nemmeno immaginare che qualcuno possa essersi reso responsabile di ciò che ci viene addebitato.
Per 37 anni tutti i ragazzi che hanno fatto parte della Fossa dei Leoni hanno condiviso con essa i valori e lo spirito dei fondatori, li hanno portati avanti con passione, con dedizione ed una convinzione ineguagliabile, per tutte le generazioni succedutesi e mantenendo tra esse un filo conduttore senza interruzioni di sorta.
Queste sono state le nostre fortune, le nostre forze e le nostre conquiste e tutti noi anche oggi, in un giorno che mai avremmo immaginato, dobbiamo essere felici, orgogliosi e fieri d'avervi fatto parte, perché oggi finisce la storia della Fossa dei Leoni ma rimangono vivi e saldi dentro ciascuno di noi quei valori e quello spirito che sempre ci hanno contraddistinto".

Grazie a tutti.

Fossa dei Leoni

06 novembre, 2005

MILAN 5 - UDINESE 1

(25 PT) Gilardino, (37 PT) Seedorf, (45 PT) Pirlo, (8 ST) Gilardino, (15 ST) rig. Iaquinta, (32 ST) Kakà.

Abbiamo dato spettacolo con Dida, Cafu, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Jankulovski dal 20 ST), Kakà (Vogel dal 35 ST), Inzaghi (Rui Costa dal 26 ST), Gilardino.

Il tema tattico: la sinfonia del Diavolo. Dopo il trionfo di sabato e il passo falso di martedì, c'è tanta voglia di Milan a San Siro. E il Milan ha voglia di rispondere sul campo per confermare il trend di crescita. Lo si vede da subito, perché partiamo all'assalto. Dieci undicesimi sono quelli anti-Juve, salvo Cafu rientrante per Stam (ancora un risentimento muscolare, dopo le due battaglie in quattro giorni). Nei primi minuti, cross da sinistra e controcross da destra (pennellato da Rino) danno un assaggio di quella che sarà la domenica ad alta tensione di Pippo: sale come lui sa fare, in anticipo secco sulla coppia centrale, e la disegna a filo del palo. Cresce il ritmo, sebbene i friulani coprano con ordine gli spazi e l'antico Sensini si muova con la maestria di un Professore di nostra conoscenza. Ma i tempi sono maturi per l'esplosione definitiva dell'alter-ego di Pippo, Supergila. Mi piace insistere sul passaggio ideale di consegne che io vedo ad ogni turno sul campo fra il passato/presente che è Inzaghi e il presente/futuro che è Gilardino: nessuno come loro sa muoversi negli ultimi 10-15 metri, specie con le spalle alla porta; più fisico il biellese, più agile il piacentino, ma entrambi con il fiuto letale del cobra. E la pioggia battente è la cornice ideale per una gara giocata con biglie veloci sull'erba bagnata, che esalta le doti di palleggio basso dei nostri fini dicitori di centrocampo e le finalizzazioni fulminanti della Supercoppia d'attacco. Primo e secondo centro a San Siro per il grande flop del calciomercato (e son 7 in 9 presenze): cade anche l'ultimo argomento utile per i vaniloqui in rosa. Di lì in avanti è una sinfonia in crescendo. Tocchi magistrali di prima per uscire in alleggerimento dalla fase difensiva, e di prima un grande Pirlo distribuisce lanci sempre in verticale. Tutta l'orchestra dà il meglio di sè, e il risultato corale è un calcio che riempie gli occhi e il cuore del Popolo Rossonero, come non accadeva da un Milan-Samp nell'anno dell'ultimo tricolore. Dietro abbiamo un'altra coppia monumentale: il capitano è costante nel rendimento d'eccellenza e Sandronesta addirittura disarmante per la naturalezza con la quale azzera ogni pericolo. Ma la palma del migliore in campo va all'amato Sergio che, nella posizione notoriamente a lui meno gradita, riesce a conciliare in una sintesi sublime la concretezza del mastino di difesa (almeno tre chiusure poderose, incluso un anticipo di tacco sull'uomo) con progressioni incontenibili in ripartenza, assist e bordate che procurano gol. Quando i ragazzi girano così, chapeau anche a Carlone (quarto anniversario sulla panca del Diavolo, quinto allenatore di sempre per numero di presenze). E pensare che non c'è Sheva...

Gli episodi chiave: decide la Supercoppia. In tre minuti il Gila ne mette due: la prima gliela tolgono per offside (grande però il controllo di sinistro e la rasoiata di destro), il secondo è già griffe d'autore. Pippo punta Sensini sulla fascia e gioca teso al centro: Gila ha le spalle alla porta, Felipe sul collo. Accarezza con l'interno del piede sinistro per spostarla sul destro, piede perno e stilettata sotto la schiena del portiere: magistrale! Dopo il vantaggio perdiamo terreno, cedendo almeno venti metri all'Udinese, che alza il baricentro. Fondamentale un'uscita in pressing del Sindaco su Di Natale. Quel possesso recuperato a centrocampo, in un momento di crescita degli ospiti, passerà inosservato ma cambia la storia della domenica, se è vero che sulla rimessa laterale costruiamo la prima azione da cineteca della partita e il secondo gol. Seedorf dalla trequarti verticalizza su Kakà, spalle alla porta: il colpo di tacco a seguire è per Pippo, che fa a sportellate con Sensini al limite dell'area, nasconde il pallone sul raddoppio e attende il tempo del rientro dello Zionero: controllo a seguire e fiondata dal limite verso l'angolino basso. Una meraviglia, e sono due assist di Pippo! Alla fine del tempo, Pieri giudica fallosa una scivolata da tergo di Pinzi su Kakà (dal vivo non sembrava): va Pirlo e come otto giorni fa non perdona allo scadere. Gara virtualmente chiusa, anche se dopo il riposo appare evidente che i ragazzi hanno ancora tanta voglia. Fioccano le occasioni di rimessa, ma spesso le leggiamo male con Kakà. Legge benissimo, viceversa, Riccardino una nuova verticalizzazione per Clarence che dà palla col contagiri verso il fondocampo a Sergio: allungo, e dalla linea parte il colpo di biliardo per il doppio Gila. A questo punto, Pieri trova il modo di ricordare al mondo che oltre ad essere un arbitro mediocre è anche un arbitro disonesto: prima inventa un rigore per Iaquinta (Rino pizzica il pallone in chiaro anticipo), poi ne nega uno evidente ancora a Iaquinta (tirato giù da Nesta) e per compensare ne nega uno anche a Kakà (schienato da Bertotto). Poco conta, c'è ancora tempo per una cavalcata indomabile di Sergio: parte dalla mediana e... uno-due uomini saltati come birilli, finta l'appoggio al centro ma cambia passo e direzione... tre-quattro e si allarga per il sinistro di potenza: smanaccia Paoletti, ma Kakà è in posizione per il tap-in. Cinquina.

La tribuna di Steve: numeri di crescita. Dopo Bertini, ecco Pieri. Il designatore arbitrale ci propone in sequenza due protagonisti assoluti dello Juventotto 2005. Segnali forti dal Palazzo, quando il calendario diventa più fitto e insidioso. Con ciò, per un'ora siamo al comando della graduatoria (sul nostro 4-0, sblocca la Juve contro il Livorno). Un bianconero vale l'altro e merita la legge dell'uno-due-tre in 45 minuti. Peraltro, splendido test psicologico trovarsi di nuovo al riposo con il triplo vantaggio. Soprattutto contro un'Udinese che mercoledì in Champions ne aveva rimontati tre (in sei minuti...) al Werder Bremen: l'esito è noto e fa il paio con quello di sabato. Fil"otto" di vittorie dunque: eguagliamo il record di febbraio-marzo di quest'anno. Segniamo però 7 gol in più e tre/quarti del bottino nel primo tempo: l'anno scorso accadeva l'inverso. Inoltre, vinciamo per la prima volta con più di due gol di scarto. Potremmo dilagare, ma il Bambino d'Oro brucia un assist (in area) del Gila e un suo colpo di tacco smarcante. Lo perdoniamo (anche se sull'errore arriva l'azione del rigore per gli ospiti) perché a fine gara dichiara, con il suo sorriso ampioo: "Ancelotti sa che ogni tanto devo fare qualche fantasia...". Sublime. Più in generale, però, ho la sensazione che continuiamo a non avere schemi nelle situazioni di superiorità numerica: è un peccato, perché anche contro la Juve nel secondo tempo poteva terminare in goleada. Ma mi rendo conto che dirlo oggi è come cercare il pelo nell'uovo. Chiudiamo il ciclo con l'ultima sosta autunnale, ed è un peccato perché siamo in netta crescita.

01 novembre, 2005

PSV 1 - MILAN 0

(11 PT) Farfan.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Maldini, Nesta, Kaladze (Serginho dal 1 ST), Seedorf, Pirlo, Gattuso (Jankulovski dal 1 ST), Kakà, Vieri, Gilardino (Shevchenko dal 28 ST).

Il tema tattico: Hiddink bestia nera. La vecchia volpe olandese ne sa una più del Diavolo, è il caso di dire. Sicuramente una più di Carlone, che nell'arco dei 180 minuti ha dato prova di capire poco di questo PSV: un punto e zero gol! Emblematico che abbia cambiato due uomini nell'intervallo: un inedito che vale come ammissione di colpa. Abbiamo sofferto oltre modo le marcature a uomo (Kakà azzerato da Simons, tanto all'andata quanto al ritorno) e la velocità impressionante dei due laterali (per referenze rivolgersi a Stam, che ha trovato poco l'americano Beasley e soprattutto ha trovato i due gialli di Poll). A leggere i nomi dei biancorossi (dieci illustri sconosciuti, a parte il capitano Cocu), si intende come l'organizzazione di gioco, più che il talento individuale (oggettivamente scarso), abbia fatto la differenza in campo. Da parte nostra, ci attendevamo una prova di intensità pari a quella di sabato contro la Goeba. In altre parole, si sperava in una conferma. Viceversa, l'unica conferma è stato lo schieramento di partenza, per nove undicesimi. Folle attendersi che il medesimo centrocampo potesse replicare una prestazione atletica e nervosa eclatante dopo appena tre giorni. Con ciò, Ancelotti conferma anche di non avere imparato la lezione dell'8 maggio: allora schierò nella finale tricolore gli stessi uomini di coppa, quattro giorni dopo la battaglia di Eindhoven, con ciò neutralizzando l'unico vantaggio che avevamo su Capello: la rosa più ampia. Errare humanum est, perseverare...

Gli episodi chiave: decidono gli errori. Partiamo bene, tutto sommato. Dopo due-minuti-due, il Sindaco mette Vieri solo al limite dell'area olandese: ciabattata indecorosa fra le braccia di Gomes, quando c'erano spazio e tempo per il controllo e tiro. Ma il disegno tattico di Ancelotti crolla troppo presto, a causa di un tocco maldestro di Kaladze. La sensazione è che vada sul pallone indeciso se rinviare o appoggiare all'indietro. Probabilmente stacca anche male e non trova la spinta necessaria per il colpo di testa. Ne esce una mezza carezza che mette il pallone a due metri da Farfan: bravo il peruviano a crederci e fortunato sul tiro di destro. Una botta carica di effetto, che indovina la base del primo palo e schizza infondo al sacco. Vero che Dida non chiude del tutto lo specchio, ma 99 volte su 100 quel rimbalzo torna in campo. Aggiungo che la distanza è irrisoria in proporzione alla velocità del pallone, togliendo a Nelson il tempo di reazione: responsabilità minima, quindi, rispetto a quella del nostro triste georgiano. Determinante poi il fattore Poll: dirige all'inglese con i padroni di casa e all'italiana con noi. Il giallo prematuro a Rino (intervento deciso, ma pur sempre primo fallo) è un segnale forte e chiaro, che condiziona la gara del nostro centrocampo e costringe Ancelotti a un cambio imprevisto: per evitare danni. Ma i danni Poll li fa ugualmente, su Stam: eresia il primo giallo, con intervento (di nuovo) deciso ma pulito in tackle. Una sanzione che produce i suoi effetti devastanti nel secondo tempo, quando restiamo in dieci nel quarto d'ora finale: cioè, nel momento chiave dell'assalto per il pareggio. Anche in questo caso, episodio poco fortunato: Jappone va gambe all'aria sulla fascia (la stessa fascia sulla quale siamo scivolati un po' troppo spesso) ed è costretto a strattonare il furetto Baisley, che andava in porta. Sorprende che il PSV finisca la gara senza cartellini, quando un intervento per tempo era da ammonizione chiara. Due pesi e due misure. Nel finale, il cuor di leone inglese non se la sente di deludere la bolgia della Philips Arena con un calcio di rigore: sacrosanto, per la spinta di Lamey su Sergio a fondo area.

La tribuna di Steve: il destino ancora a Istanbul. Che il capitano avesse pescato dall'urna di Nyon bussolotti incandescenti si era capito subito, ma forse nessuno si aspettava un girone così livellato. Il pari in Germania ci poteva stare, quello a San Siro con gli olandesi ovviamente no. Nel doppio confronto abbiamo prevalso per numero di palle gol create (e distrutte). Ad aprile-maggio era andata esattamente all'inverso: direi che abbiamo estinto il nostro debito con la Philips. La probabilità concreta di uscire dai giochi esiste: per rimpicciolirla, occorrerà un grande Milan nelle ultime due giornate. Più dinamico sul campo e più concreto sotto porta (Vieri è oggettivamente impresentabile e abbiamo pagato cara l'assenza del Balon d'Or: quando entra, al primo calcio piazzato centra il sette... miracolo di Gomes). Il clima Champions, come già a Gelsenkirchen, evidentemente incide sulle prestazioni nostre come dei padroni di casa, ma anche degli arbitri. Solo un antipasto, temo, di quanto troveremo a Istanbul contro un Fenerbahce in piena corsa per la qualificazione. Non siamo Capello e non siamo Mancini, lo stile Milan non contempla piagnistei. Auspichiamo però una direzione di gara equa quando si decideranno le sorti. Dice Sheva: "E' un bene tornare a giocare proprio lì una partita importante. Dobbiamo vincere. Se il Milan vincerà forse finalmente finiranno le voci sulla maledizione di Istanbul". O vittoria o morte, dunque. Ben sapendo che basterebbe un pareggio, a condizione di battere poi i tedeschi a San Siro. Tuttavia, conclude: "A questo punto, se non vinceremo le prossime due partite sarebbe anche giusto essere eliminati". Altra cultura sportiva.

31 ottobre, 2005

OTTOBRE 2005: Il sogno Mondiale

29 ottobre, 2005

MILAN 3 - JUVENTUS 1

(14 PT) Seedorf, (26 PT) Kakà, (45 PT) Pirlo, (31 ST) Trezeguet.

Li abbiamo ridicolizzati con Dida, Stam, Nesta, Maldini, Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf (Kaladze dal 39 ST), Kakà, Inzaghi (Vieri dal 24 ST), Gilardino (Cafu dal 34 ST).

Il tema tattico: la Juve è lenta, il Milan è hard rock! La notte delle streghe di Halloween si consuma a San Siro con una luna di anticipo. Lezione di calcio: ancora una volta, Capello esce a testa bassa dal confronto con Ancelotti (parziale di 7 vittorie a 3), la sua squadra ridimensionata. Diabolico pensare di demolire la spocchiosa capolista con le sue stesse armi: aggressività all'eccesso e intensità mentale assoluta. Un solo calo di tensione, a un quarto d'ora dalla fine, regala un golletto alla "bandiera senza colori" e cancella l'imbarazzante 0 dietro al 3 dei gol subiti: episodio che premia la Vecchia Signora (...Patrizia?) ben oltre i suoi meriti, se è vero che l'armata invincibile (9 successi in sequenza dal via del campionato, contro le scartine della Serie A: quanto basta affinché il foglio rosa strillasse al miracolo...) non entra mai in lizza. Dieci minuti di studio per non commettere il primo errore, poi partono i fuochi d'artificio. Lo stratega Don Fabio l'aveva pensata grossa: Zambrotta traslocato a destra per arginare il fiume in piena di Sergio e Clarence; a sinistra basterà il grigio Pessotto, in assenza di Cafu... E allora Carlone manda Riccardino a fantasticare su quell'ala: proprio dalle corsie esterne parte l'urto devastante che spazzerà via la Juve. Temevamo il loro strapotere al centro, ma è in mezzo al campo di battaglia che abbiamo sovrastato i fenomeni Emerson e Vieira con un Sindaco di dimensioni esorbitanti: anima e ringhio della squadra, trasforma la notte umida di fine ottobre in una bolgia di fuoco e fiamme... Inferno Rossonero! Davanti è prezioso e oscuro il logorio incessante perpetrato dai nostri Super alter-ego, Pippo & Gila, che manda in corto circuito il sistema nervoso della Goeba. Dietro è esemplare la prova della linea difensiva: il capitano sterilizza lo slavo-svedese con la complicità di Sandronesta, sulle laterali Sergio si conferma diligente nel ruolo di terzino puro, mentre Stam spazza senza pietà ogni briciola lasciata a terra dagli avversari (inclusa una parrucca gialla nel secondo tempo). E Pirlo torna ad essere se stesso, per la prima volta nella stagione: fuoriclasse assoluto, illumina, dirige e finalizza come un chirurgo. Per una notte, ci siamo travestiti da qualcosa che non siamo, senza risparmiare i colpi bassi. Ma la Juve di Capello si batte così. Peccato non avere avuto la forza di farlo anche l'8 maggio scorso.

Gli episodi chiave: ecatombe bianconera, malgrado Bertini. Ci ha provato anche quest'anno, come dodici mesi fa, a dirigere la gara verso il risultato che sapeva lui: il pari, l'unico sostenibile da una Juve in netto calo atletico, ora come allora. E come dodici mesi fa, in campo ha giocato una squadra sola. Al Delle Alpi uscimmo mortificati dagli episodi, con l'illusione di avere portato a casa un punto comunque prezioso. Quest'anno la sorte ci ha restituito il maltolto, e con mano pesante ha punito: ferocemente e splendidamente sotto la curva nord, imbrattata di bianco e nero. A scansione regolare di un quarto d'ora, le stilettate che hanno scritto la parola fine sull'imbattibilità degli undici piemontesi tosti. Tre esecuzioni in 45 minuti: tale è la dimensione dell'ecatombe, per chi nei 9 turni precedenti ne aveva patite soltanto due! E uno: il Gila nasconde la palla a Thuram dentro l'area di rigore e chiude la triangolazione allo Zionero, che quando vede gobbo carica il suo destro più mortifero: piedino del francese e... pluff, parabola letale per Chimenti. E due: Riccardino prende i calcioni sulla fascia, palla in mezzo e mischia risolta con un tocco loffio dal napoletano: a centro area c'è ancora musica e magia, per una demi-volée che manda la biglia sotto il legno lungo. E tre: altri calcioni a Kakà, altra punizione. Va Pirlo con la faccia di chi la vuole mettere di nuovo al centro, Chimenti si sposta sul secondo palo e... zot, parte la rasoiata maligna sul primo. Apoteosi rossonera e si abbassano gli altri vessilli in un muro di silenzio. Intanto in campo, ai capelliani salta la vena e allora ci pensa Bertini: calcolo non meno di quattro gialli sottratti ai campioni d'Italia, dei quali due avrebbero fruttato il rosso nell'arco dei novanta minuti. Eresia che uno squadrista come Emerson finisca la gara con la fedina penale intonsa. Emblematico l'episodio di fine tempo: Chiellini porta via un pallone con il braccio (solare dalla mia posizione) e punta Sandronesta, che lo affronta in tackle: punizione contro e ammonizione! In quel momento il recupero è scaduto, ma vuoi negare alla Juve l'opportunità di rientrare in gara a bocce ferme? Ritenta Bertini! sarai più fortunato... A testa bassa nel tunnel. Il secondo tempo è uno stillicidio di giochi sporchi per manifesta inferiorità tecnica e tattica: ci pestano come fabbri, secondo le migliori tradizioni. In successione: gomitata di Thuram sulla tempia del Gila, Bertini a cinque metri: bene così. Nedved cammina sulla schiena del Sindaco, steso a terra: tutto regolare. Mutu carica Nesta in area e con un calcio in ricaduta tenta di colpire la mano protetta dal tutore: vede rosso persino Dida, e ho detto tutto. Nervi tesi? è il segno della resa.

La tribuna di Steve: hic et nunc, dimenticare Ataturk. C'era una volta la Juve e adesso non c'è più. "Abbiamo preso gol in un momento di gioco in cui il Milan non esisteva proprio. Il secondo, due rimpalli... Perché abbiamo perso? semplice, i loro tiri sono finiti in porta e i nostri no". Ipse dixit. Che il grande allenatore sia un piccolo uomo è un fatto di pubblico dominio. Ma le parole biascicate da Mister "Io? mai alla Juve!" sono la riprova che l'uno-due-tre in un tempo e la sistematica demolizione di tutte le certezze bianconere (il centrocampo mondiale, il fenomeno Ibrahimovic, la difesa impenetrabile) hanno squarciato in profondità una coscienza già scossa dalla batosta di Champions contro il Bayern. Il tempo dirà in che misura i segni della devastazione produrranno danni al loro sistema neurale. Dal canto nostro, possiamo sotterrare per sempre i fantasmi di Istanbul: essere andati al riposo, di una gara che vale da sola come mezza finale per il titolo, con il vantaggio sinistro di tre reti ed essere tornati sul campo con il triplo della determinazione e della concentrazione, senza concedere un tiro fino a un quarto d'ora della fine, è sintomo della piena guarigione. Anche dopo il gol di Trezeguet, abbiamo tenuto gli oppositori al largo da Dida. Vittoria fondamentale, dunque, per l'identità del gruppo, per la consapevolezza dei valori caratteriali oltre che tecnici della squadra. Non ci saranno sempre strisce bianconere davanti agli occhi, ma è importante capire che certi duelli si devono combattere di spada più che di fioretto. Milan-Juventus è la storia del calcio italiano: i nostri grandi valori romantici contro la loro ferrea disciplina militare, i nostri colpi di punta e tacco contro i loro gomiti alti e i calcioni. Parlano i numeri: è la sfida più giocata in Serie A (174 volte), è il confronto fra grandi club più datato (prima edizione nel 1901, a Torino in Piazza della Armi: 3 a 2 per i bisnonni rossoneri), è il derby delle due primatiste nell'albo d'oro del campionato (45 scudetti in un secolo, senza contare coppe e supercoppe). Una contrapposizione senza fine che da sempre è sinonimo di equilibrio (61 vittorie per noi, 68 per loro, 67 i pareggi fra tutte le competizioni). E da sempre, buttare giù la Juve è il primo passo verso la gloria tricolore. Di qui in avanti non resta che continuare a marciare. Intanto scaliamo a meno due, e aspettiamo il Balon d'Or...

26 ottobre, 2005

EMPOLI 1 - MILAN 3

(34 PT) aut. Simic, (45 PT) Gilardino, (5 ST) Gilardino, (10 ST) Vieri.

Abbiamo giocato con Dida, Cafu, Costacurta, Simic, Kaladze, Seedorf (Vogel dal 39 ST), Pirlo, Jankulovski (Gattuso dal 15 ST), Rui Costa, Vieri, Gilardino (Kakà dal 22 ST).

Il tema tattico: il turnover logora chi non lo fa. Tredici punti nelle ultime cinque giornate con 6 gol dello scugnizzo Tavano, il terribile Empoli resta in gara per un tempo: fin tanto che ha gambe per raddoppiare e triplicare tutte le marcature a tutto campo, correndo a due o tre velocità più dei nostri. Carlone calca la mano, schierando la dodicesima formazione in dodici gare: emergenza vera dietro, con il capitano a riposo, più Nesta e Stam ancora in infermeria. Va di conseguenza il terzo gettone in otto giorni per il Professore. Impiegato poco (e mai nel suo ruolo), con Billy fa coppia centrale Simic, come solo a Bruges un paio d'anni fa (prova d'orgoglio in inferiorità numerica e magia-Kakà nel finale). Mezzora a ritmi esasperanti, peggio che mai. Manovra leziosa, movimento senza palla inesistente, supponenza di tocchi e tacchi e tunnel in salsa portoghese. Sul centrosinistra, Jankulovski si conferma sugli standard di mediocrità di domenica; sul centrodestra, Seedorf (come sempre nei teatri di provincia) visibilmente non ne ha voglia. Ci si attenderebbe una prova d'appello per lo svizzero e invece torna ad ansimare in regia Pirlo. Ma dopo l'illusione del vantaggio e i tre colpi da ko, non ci crede più nessuno con la maglia blu e il mercoledì di campionato finisce per premiare chi ha i ricambi buoni. Di lì al novantesimo è una sgambata d'allenamento, come in pineta a Carnago. A quel passo, persino il piedelento di Manuel sembra di un altro pianeta...

Gli episodi chiave: tutto in dieci minuti. Nella calma piatta, un fulmine a ciel sereno: al primo affondo dei padroni di casa, tiro da fuori area di Vannucchi, fiancata di Simic e palla nell'angolino opposto a Dida. Così va il calcio. Non basta: due minuti e lasciamo la corsia di destra aperta. Classico contropiede. Assist smarcante per Almiron, fiondata a botta sicura sul primo palo, ma c'è il Didone dei tempi belli a salvare partita e stagione... non fosse che, istanti dopo, la Juve infila il gol del vantaggio sulla Samp e vola avanti di 8: capolinea, si scende. Segue un quarto d'ora di apnea e cattivi pensieri. La rimonta dei ragazzi e la ripartenza del campionato si raccontano in dieci minuti. Il nostro biellese timido già al ventesimo aveva mandato segnali di vitalità e un avvertimento a Berti: pallone domato con il petto, spalle alla porta, piede perno e tocco di testa a seguire, palleggio di coscia e destraccio dal limite (fuori). Il pari arriva nell'unico minuto di recupero, Rui Costa apre la corsia a Kaladze che per una volta affonda e centra maliziosamente a filo d'erba. La zampata del Gila è puro stile Inzaghi: anticipo feroce sul difensore e puntatina dal basso in alto, con palla a sibilare sotto la traversa. Ossigeno. Cinque minuti di ripresa e Cafu gioca bene la sovrapposizione sulla fascia di destra, portandosi appresso il laterale di difesa: orizzonte spalancato per Rui Costa (50 assist in cinque anni), che crossa col compasso un pallone a centro area. Il Gila si alza in armonia e accarezza di testa, il tanto che basta per sfiorare la base del secondo palo. Ben atterrato Supergila! Il testimone del 9 Rossonero è solo tuo... e l'abbraccio a fondo campo (con Pippo in prima fila) non lascia margini di dubbio. Neanche il tempo di domandarsi come, e lo Zionero va in profondità sulla fascia, pennella a giro ancora per il Gila, che si traina a rimorchio difensore e Vieri: pallonata sul faccione e tutti a casa.

La tribuna di Steve: è nato un Supergila. La sesta vittoria consecutiva (+5 in media inglese) coincide con la prestazione più deludente del mese. Il turno infrasettimanale conferma che la nuova Serie A è un torneo a tre gironi: in alto, le solite note che pretendono al titolo (come sempre a inizio stagione... poi viene l'autunno, cadono le foglie e si frantumano i sogni tricolori); più sotto, un lotto di provinciali ricche che hanno i mezzi per puntare alla quarta posizione Champions (direi Fiorentina, Palermo e Sampdoria, salvo un rientro di Udinese e Roma); le rimanenti giocano un campionato a margine. Battiamo un Empoli di fascia alta, nel terzo girone di Serie A, e portiamo a casa tre punti di vanagloria. La gioia vera è ritrovare il Didone dell'Old Trafford, se è vero che prima nega il raddoppio e nel finale intercetta un altro fendente dalla distanza, che avrebbe riaperto i giochi. A partire dalle sue mani grandi si può costruire un sogno... Fino al rientro del Balon d'Or, testa e piedi li metterà il Gila. Messo alla gogna dai fogli rosa per due mesi, il flop del calciomercato per inciso viaggia sulla media dei 5 gol in 7 presenze. E' il prezzo da pagare per aver soffiato un talentino azzurro alla real casa sabauda... Da campione a brocco il passo è breve. Ma noi siamo il Milan. E Gila crescerà da Supergila, alla scuola di Pippo. Parola di Shevalover.

23 ottobre, 2005

MILAN 2 - PALERMO 1

(28 PT) Caracciolo, (29 PT) Gattuso, (32 ST) Inzaghi.

Abbiamo giocato con Dida, Cafu, Costacurta, Maldini, Serginho, Gattuso (Seedorf dal 29 ST), Vogel (Pirlo dal 1 ST), Jankulovski, Kakà, Inzaghi, Gilardino (Vieri dal 21 ST).

Il tema tattico: Maldini-Gattuso-Inzaghi, spina dorsale. Cuore e classe, cuore e rabbia, cuore e istinto. Questo è il nostro Milan. Torno a sottolineare come, ancora un mese fa, i fogli rosa fossero inchiostrati di cattive intenzioni: il primo per smettere, il secondo per andarsene, il terzo per arrendersi. Una cosa che non potranno mai toglierci è il cuore, il Vecchio Cuore Rossonero! In assenza di schemi e idee (undicesima formazione in undici partite, siamo in media Mancini), tanto basta per prendere tre punti fondamentali. Orfani del Balon d'Or, perdiamo anche Stam nel riscaldamento: al centro della difesa ricompare la coppia inossidabile. Ma il cosiddetto turnover di Ancelotti ha poco di funzionale: serve solo a confondere l'identità della squadra. Centrocampo insipido e leggero: Rino lascia un numero inusitato di palloni agli avversari, lo svizzero ne tocca pochi (troppo pochi per la posizione che occupa), il ceco ne tocca molti ma con poca qualità: escludere lo Zionero, come sempre, significa rinunciare a geometria e classe (tangibili al suo ingresso, nel decisivo quarto d'ora finale). Il primo tempo è equilibrato: subiamo pressing a tutto campo - sui livelli di Gelsenkirchen - come nelle migliori tradizioni del 4-4-2 targato Clouseau; dietro i delneriani hanno la difesa munita di granatieri e siamo sempre in inferiorità, con Gila & Pippo in cerca (soprattutto) di se stessi. Peraltro, la nostra fase difensiva ormai funziona, se è vero che il Palermo costruisce in totale due palle gol: sulla prima siamo graziati da Santana, sulla seconda puniti da Caracciolo. L'azione parte da un altro pallone buttato da Gattuso, e proprio per questo è il Sindaco che va a mettere il pari sessanta secondi più tardi: esagera e lo mette a palombella. Poi corre a perdifiato sotto la curva (come a Perugia), i pugni sollevati al cielo e in gola il ruggito della battaglia: icona della rinascita.

Gli episodi chiave: il cuore di Pippo oltre l'ostacolo. In controtendenza, vediamo il primo cambio già nell'intervallo: bocciato Vogel, dentro Pirlo. Secondo tempo di intensità superiore, come mercoledì contro gli olandesi. I rosanero si chiudono a riccio e non graffiano più davanti. Ma il nostro play ha gambe molli e Kakà conferma di averne solo per 45 minuti. Nel primo tempo aveva spinto forte, con due (infruttuose) cavalcate delle sue, un destro da fuori e un tacco smarcante per Rino. Nella ripresa è sfiancato dai calcetti di Mutarelli, al punto da leggere malissimo due situazioni di contropiede: sulla prima ignora il Gila, sulla seconda (in superiorità numerica) Inzaghi e Vieri. Si gioca di nervi più che di testa. Ancelotti ribalta il centrocampo, escludendo clamorosamente Gattuso. Ma la indovina, perché alla mezzora Jankulovski gioca l'unico pallone di qualità del suo pomeriggio (cross col contagiri), Pippo stacca in orizzontale, col cuore in mano e un sogno negli occhi: torsione a volo d'angelo e palla in fondo al sacco. Un anno e mezzo dopo l'ultimo in Serie A (3-1 alla Samp), un anno e passa dopo l'ultimo in assoluto (3-1 al Celtic): Popolo Rossonero in delirio! La corsa liberatoria questa volta non è sotto la curva ma incontro a chi ha creduto sempre in lui: a Carlone riconosciamo lo spessore umano. Per quantificare la dimensione di Superpippo basta un episodio nei concitati minuti finali: già in preda ai crampi, fa a sportellate sulla fascia, commette fallo, cade, si rialza, intercetta la punizione, punta di nuovo il difensore, subisce il tackle, conquista la rimessa. Non c'è altro da aggiungere, e lo capisce anche il friulano dislessico, finalmente placato in panchina. Monumentale il capitano, Billy è ieratico, i nostri "terzini" brasiliani sono preziosi come non mai quando c'è da sostituire i tocchi di classe con le pallonate, la grinta, il sudore. Resta il trempo di vedere Vieri inciampare in un pallone disegnato col compasso da Seedorf. Tra lui e il Gila, due ingranaggi ancora estranei al meccanismo. Escluso che dalla panchina qualcuno si occupi di disegnare per loro un paio di schemi ad hoc, sarà il tempo a dire quando impareranno a muoversi in armonia con la squadra.

La tribuna di Steve: ora che conta, occhio al fischietto. La settimana che porta allo scontro diretto è iniziata. Si parte per Empoli da -5. Impossibile non tornare con la memoria alla vigilia di un anno fa, al capolavoro di Tiziano Pieri che tenne la capolista a distanza di sicurezza... Quest'anno ci ha pensato tale Oscar Girardi a cancellare Flachi da Juventus-Sampdoria di mercoledì (doppia ammonizione al minuto 81). Che dire, quel fischietto farà strada...