06 dicembre, 2005

MILAN 3 - SCHALKE 2

(42 PT) Pirlo, (43 PT) Poulsen, (7 ST) Kakà, (15 ST) Kakà, (21 ST) Lincoln.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Maldini (Simic dal 31 PT, Kaladze dal 33 ST), Serginho, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Kakà, Shevchenko, Inzaghi (Gilardino dal 40 ST).

Il tema tattico: ultimo atto con l'acqua alla gola. Arriviamo alla resa dei conti con il rumore di fondo del tonfo cattivo di Verona e poche certezze sullo stato di salute della squadra. Ancelotti deve scegliere, specie sulla linea difensiva: il capitano, costretto alla resa dopo un tempo di sportellate con Amauri al Bentegodi, per la prima volta nella stagione è autenticamente sulle ginocchia. La decisione del tecnico, ancora una volta, è rischiatutto: pesa più il blasone che il buon senso. E la punizione amara (quanto scontata) è il k.o. dopo mezzora di battaglia con Altintop: questa volta pagheremo dazio, e guarda caso nel derby. Rientrano Sergio a sinistra (dieci giorni dopo la ginocchiata di Cassetti) e Seedorf al centro (dopo l'assenza forzata di sabato, per lutto in famiglia): sono entrambi scarichi. Davanti si insiste con Sheva, che forse oggi tocca il fondo di una parabola psicofisica allarmante, mentre riappare il Santo piacentino, fin qua escluso spesso e volentieri per concedergli - conviene credere - l'autonomia di 90 minuti da Champions. Kakà cerca a lungo la posizione migliore sullo scacchiere, specialmente cerca di schivare le rotte e le botte del suo cecchino danese. Assente o quasi per buona parte del primo tempo, quando accende la luce nel secondo, spedisce lo Schalke all'inferno e il Diavolo in paradiso. Detto questo, in campo c'è un uomo solo e si chiama Gennaro Ivan: il Sindaco! Dieci pecorelle smarrite brancolano nella nebbiolina di San Siro, appese al filo sottile del destino: gambe rigide, cuore in gola fino all'ultimo di recupero. Lui no! Ringhia e sbraita e carica, a tutto campo. I tedeschi di Rangnick attendono per 45 minuti, con il chiaro intento di alzare la pressione nella ripresa, quando il calo fisico e la fragilità emotiva dei nostri saranno proverbiali. Inizia a una punta e infila le altre nel seguito, senza mai dare la sensazione di poter completare la beffa. Mejuto Gonzalez a parte, il nemico numero uno del Milan resta il Milan, se è vero che i biancoblu sono in gara solo per nostre amnesie e varie disavventure. Troppo poco per meritare gli Ottavi.

Gli episodi chiave: risolvono le magie dei singoli. L'anello si chiude. L'esordio settembrino a San Siro contro i turchi era stata pura agonia fino ai minuti finali, prima che il Bambino d'Oro decidesse di regalare all'umanità calciofila l'ennesima cavalcata da copertina e un gol da urlo. Contro i tedeschi chiudiamo il Girone E di nuovo grazie a due magie carioca. Diciamo tre, includendo la pennellata di Pirlo su calcio da fermo: è l'ottava meraviglia in rossonero. Fondamentale disporre di una soluzione tecnica che per troppi anni era mancata nel nostro repertorio. Appena il tempo di crederci, e l'ennesimo calcio piazzato ci sorprende indifesi: la parabola lunga dalla fascia sinistra dà il tempo a chiunque di trovare il piazzamento migliore, ma guarda caso resta libero un uomo dietro all'ultimo difensore (proprio Poulsen, sordida ironia della sorte) e appoggia facilmente in rete. Fotocopia del gol di Toni a Firenze. Si resta senza parole, anzi non resta che ascoltare le parole del Sindaco: "il problema non si pone, ci si ferma un'ora in più a fine allenamento e si imparano le marcature". In Rino Veritas. Pippo ci mette il cuore come sempre, ma non è la sua serata: quando Pirlo gli allunga il pallone buono in area, difende da par suo con le spalle alla porta ma è tradito dall'erba brinata sotto al piede perno e scivola. Nel secondo, Sheva indovina la prima e ultima giocata di una notte da brivido, andando in percussione da centrocampo e smarcando Kakà sul fianco destro della difesa: stella filante e nuovo vantaggio. A mente sgombra, le gambe girano. Sergio pennella in area per Pippo: la girata di sinistro meriterebbe l'appuntamento con la storia (e con Di Stefano), ma Rost nega a tutti il delirio. Il 9 Rossonero tuttavia non si abbatte, anzi gioca a centro area per Sheva, che va di sinistro per l'appoggio sicuro di piattone: la carambola sulla caviglia destra è tanto stupefacente quanto emblematica, ma il rimbalzo sui piedi di Kakà è guidato dal dio del pallone, che così prepara lo scenario di una nuova magia. Controllo e diagonale chirurgico alla base del secondo palo, l'unica finestra rimasta aperta fra una selva di stinchi. Ora vien voglia di pensare a una vittoria facile, in goleada, per scacciare tutti i cattivi pensieri. Invece manca ancora una pennellata di nero sulla gara del Balon d'Or: una deviazione fortuita su un destro domabile di Lincoln spiazza Dida e condanna il Popolo Rossonero a trenta minuti di agonia.

La tribuna di Steve: verso Parigi con le gambe molli. Ventiquattro ore dopo la qualficazione più sofferta del quinquennio ancelottiano, Kakà rivela: ho salvato la panchina, fossimo usciti dalla Coppa sarebbe successo l'impossibile... Già, l'impossibile. Avanti con Ancelotti dunque, avanti con le gambe prima rigide per la paura di sbagliare e poi molli per la fatica e lo spavento. Sul 3 a 2 alzi la mano chi non ha pensato alla notte delle streghe di Ataturk, all'ipotesi di un 3 a 3 che avrebbe significato di nuovo la fine di tutto. E in campo c'era lo stesso fischietto spagnolo che, per come ha arbitrato a San Siro (tignosamente), qualche ombra in più sulle sviste turche continua pure a gettarla. Ma non facciamoci altro male: già andiamo avanti con Ancelotti. E con Galliani, che nella ripresa dice di avere molto passeggiato, un po' guardato le immagini in tv, un po' sbirciato il campo. "Tutto è bene quello che finisce bene - la sua conclusione - e finché resto io, Ancelotti non si tocca!". Suona come una condanna, duplice e sinistra. Galliani non guarda in campo e non vede che il Milan passa agli Ottavi con un uomo solo. Gattuso urla, picchia e corre al triplice fischio per raccontarle a Poulsen: come sempre, lui ci mette la faccia, non i calcetti alle spalle dell'arbitro. Lo infangheranno con le moraline ipocrite del foglio rosa. Ma la realtà è che il Milan di Ancelotti e Galliani è aggrappato ad una sola roccia, di granito calabro: realtà amara, che circoscrive le nostre legittime attese di rivincita a pura velleità, per causa di una programmazione fallita al momento stesso di porre le basi per la nuova stagione. Non si trascuri il dato statistico (eclatante su questa sponda del Naviglio) dei 44 mila spettatori presenti a San Siro, la notte in cui si giocavano i destini di tutta una stagione. Il problema, caro Galliani, non è il termometro a -3. L'urna dirà venerdì 16 di che morte dovremo morire.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Prima della partita è andata in scena un'importante premiazione da parte della Uefa per celebrare i 50 anni dalla fondazione della Coppa dei Campioni. Il massimo organismo europeo ha creato un riconoscimento, una sorta di award storico, che è stato e verrà assegnato durante la stagione a giocatori, allenatori e personalità che si sono messe in luce nella storia della manifestazione. Poco prima dell'inizio del riscaldamento della squadra, quindi, sono stati premiati Cesare Maldini (in memoria di Nereo Rocco che ha vinto la Coppa per ben due volte), Carlo Ancelotti che ha conquistato il trofeo sia da giocatore che da allenatore con la stessa squadra, Franco Baresi protagonista di tre edizioni vittoriose da parte del Milan, Clarence Seedorf per aver alzato al cielo il trofeo in tre squadre diverse fra loro e ancora Paolo Maldini. (www.acmilan.com)