31 dicembre, 2007

DICEMBRE 2007: Tramonto sul Bridge?

29 dicembre, 2007

DEAL?

Milan target Sheva.

[TheSun.co.uk] AC Milan are to renew their efforts to take Andriy Shevchenko back from Chelsea with a £14 million bid in January. The Italian giants will try again to re-capture the striker they sold to Chelsea for £31 million just 18 months ago. Super-agent Ernesto Bronzetti is to fly in for talks with Blues officials. The Ukraine idol has failed to reproduce his sensational Milan form at Stamford Bridge. He was snubbed by former Blues boss Jose Mourinho and outshone by red-hot Didier Drogba. Even after Avram Grant took over, Shevchenko has not been a regular starter. The hitman, 31, is said to be desperate to return to Milan who are only prepared to pay less than half what they got for him. That scuppered a deal last summer and could kill this move too.

16 dicembre, 2007

IL CERCHIO FANTASTICO

Yokohama, 16 Dicembre 2007: Milan 4 - Boca Juniors 2. Il Milan è campione del mondo per la quarta volta nella storia e diventa il club più titolato di sempre con 18 trofei internazionali.L'ultimo cerchio si è chiuso. Nel giorno dell'anniversario del Diavolo, il Destino consuma l'ultima fatale rivincita di questo gruppo di uomini ostinati e predestinati. È la fine del ciclo di Ancelotti, il pervicace di Reggiolo. È la fine del Milan di Maldini, il bel capitano dei record. È la fine del Milan di Dida, Cafu, Serginho, il clan brasiliano che ha ospitato fra gli altri anche le comparse Ronaldo ed Emerson. È forse (purtroppo) la fine anche del Milan di Inzaghi, il santo piacentino del Buon Carlone. Immenso, infinito, irripetibile esecutore d'area.

L'ultima icona capace di muovere ancora un fremito, di riaccendere la passione dissanguata e scarnificata di questi anni di decadenza brianzola. Superpippo a fine partita ha parlato con splendida lucidità: «oggi si chiude un cerchio fantastico». Il Grande Arrigo, collegato da Milano con Yokohama, ha mostrato gli occhi lucidi. Dentro le sue lacrime c'è tutta la nostalgia (la sua e la nostra) per un sogno chiamato Milan. Perché il Presidente non investirà per ricostruire, le carte ora mai sono scoperte. La finale giapponese ha messo a fuoco, oltre ai punti di forza (da cui si dovrebbe ripartire), tutti i punti deboli che di questo gruppo sono risaputi da non meno di tre stagioni. Parlo di 4 o 5 innesti di peso nell'undici titolare (portiere, laterali di difesa, centrocampista d'incontro, punta) oltre a 3 o 4 elementi d'esperienza e/o di buona prospettiva per la panchina (portiere, centrocampista di costruzione, punta).

Per completare il piano senza sbracare come un petroliere onesto, a Berlusconi occorrerebbe Moggi nel ruolo che è di Galliani. Non per nulla ci aveva provato in tempi non sospetti. Al più, potremo invece attenderci qualche nuovo colpo di teatro (alla Ronaldinho) per trascinare il carrozzone di questo calcio-zelig fino alla prossima campagna abbonamenti. Il geometra dal cranio lucente, dal canto suo, ha già assimilato il concetto: «il Milan non comprerà nessuno perché può contare su un gruppo molto forte capace di raggiungere venti finali internazionali». Fino a quando durerà l'inganno? Auspichiamo, non oltre l'ecatombe finale del prossimo mese di maggio. A quel punto saremo sufficientemente lontani sia da Mosca che dal dannato "obiettivo minimo", a meno di una imprevedibile joint-venture con i fratelli Della Valle... Un male cospicuo, ma necessario.

05 dicembre, 2007

GALAXY

Sheva come Beckham?

[Gazzetta.it] Andriy Shevchenko come David Beckham. Anche l’ucraino vorrebbe tentare l’avventura nella Major Soccer League, nel caso in cui dovesse lasciare il Chelsea. E pure in questo caso, come già per il campione dei Galaxy, a metterci lo zampino decisivo sarebbe la moglie. L’indiscrezione arriva dal “Daily Mirror”. Stando al tabloid, infatti, i New York Redbulls e i New England Revolution sarebbero pronti a ingaggiare l’attaccante e questa eventualità incontrerebbe il pieno favore della bella americana Kristen Pazik, sposata Shevchenko, colei già da tutti indicata come l’artefice del trasferimento del marito a Londra nell’estate del 2006, causa migliore qualità della vita per i figli rispetto a Milano.

L’esperienza a Stamford Bridge non è, però, andata secondo le speranze di Sheva e, soprattutto, di Roman Abramovich, che per portarlo via ai rossoneri scucì oltre 30 milioni di sterline (42 milioni di euro) e gli diede uno stipendio di 130.000 sterline (182.000 euro) a settimana. Del resto, i numeri parlano chiaro, con 2.149 minuti giocati in questa stagione in Premier League e appena 5 reti segnate (ovvero, una ogni 430 minuti), mentre i 17 gol complessivi sono costati ai Blues 2,36 milioni di sterline (3,3 milioni di euro) l’uno. Non solo. Per difendere Sheva, Abramovich litigò con Mourinho (che lo lasciava in panchina) e sappiamo tutti com’è andata a finire, ma nemmeno l’arrivo di Avram Grant a Stamford Bridge ha cambiato le carte in tavola. L’ucraino continua ad essere un elemento alieno alla squadra, la collaborazione con lo sprinter olimpionico Darren Campbell non ha portato i risultati tanto attesi e il tecnico lo ha detto chiaro e tondo al patron russo, che pare essersi finalmente deciso a dare il “via libera” alla vendita dell’ex pupillo.

L’estate scorsa, Silvio Berlusconi provò a riprendersi Shevchenko per meno della metà di quanto era costato ai Blues un anno prima, mentre la Dinamo Kiev cercò di farselo dare in prestito, ma entrambe le richieste vennero cassate. Ora, però, la situazione è diversa e se a gennaio arriveranno offerte, il Chelsea sarà pronto ad ascoltarle, pur sapendo che ci rimetterà un sacco di soldi. E nemmeno l’assenza di sei settimane di Drogba, impegnato con la sua nazionale in Coppa d’Africa, potrà scongiurare la partenza di Sheva se, come sembra sempre più probabile, il club londinese riuscirà ad arrivare a Nicolas Anelka del Bolton. Ecco perché gli Usa e la MLS sarebbero una possibile soluzione per il 31enne campione e farebbero contenta anche la signora Shevchenko, come fu per Beckham e la capricciosa moglie Victoria.

04 dicembre, 2007

END OF THE ROAD

Shev off for £12m.

[NewsOfTheWorld.co.uk] Chelsea will sell Andriy Shevchenko next month. His exit will leave the Blues with an £18million loss in just 18 months. Boss Avram Grant is willing to let Roman Abramovich's favourite player quit Stamford Bridge for a mere £12m. The club signed him for £30m in May 2006. Shevchenko looks sure to return to Italy, most likely with Inter Milan. Juventus are also monitoring the situation. Grant has made it clear the Ukrainian star will never be first choice under him and Abramovich has now given his permission for the striker to be sold once the transfer window opens. Ironically, it was Jose Mourinho's refusal to guarantee Shev a starting place which sealed the ex-manager's fate. But Abramovich has been forced to admit the player has become a very expensive spare part in the squad. Shevchenko would take a pay cut on his £140,000-a-week wages to help secure a move back to Serie A.

03 dicembre, 2007

DOPO SHEVA IL NULLA

Sheva, inizi a mancarci...

[Goal.com] Tre gol fatti in 7 partite a San Siro, dei quali due su rigore e uno (quello di Seedorf contro il Parma) arrivato da un rimpallo su calcio d’angolo. Numeri talmente netti da essere impietosi e invitare tutti ad un’analisi più approfondita del problema. Perché il Milan ha un problema tra le mura amiche in campionato ed è tanto evidente quanto sorprendente che nessuno in società, impegnato tra i festeggiamenti per il meritato Pallone d’Oro di Kakà (ma Pirlo meritava almeno il podio) e la partenza imminente per Tokyo – magari cercando domani di chiudere contro il Celtic al primo posto il girone di Champions, onde evitare un ottavo di finale da brivido – paia preoccuparsene. Adesso tutti aspettano il Messia Pato: i tifosi si augurano vivamente che a gennaio la situazione possa risolversi ma per il quarto posto, che sarebbe ad ogni modo un risultato deludente per le premesse di inizio stagione, occorre iniziare a correre da subito: la situazione è cambiata rispetto all’anno scorso e un margine pesante sarà ben più faticoso da recuperare.

Non piacerà sentirselo dire ai tifosi più viscerali del Diavolo, che considerano Shevchenko un traditore dopo il suo addio nel momento più difficile della storia recente rossonera, ma da quando è partito l’ucraino l’attacco del Milan non è più lo stesso. Il motivo tattico è di facile intuizione: Ancelotti non ha più a disposizione - se si eccettua Ronaldo, ormai però oggetto del mistero - uno stoccatore là davanti che sia capace di svariare su tutto il fronte dell’attacco e concludere anche dalla lunga distanza. Gilardino e Inzaghi hanno un’altra tipologia di gioco, che ben si adattava in simbiosi con l’ex numero sette del Milan: a loro non si possono richiedere certi movimenti perché non sono nel loro DNA, da qui lo spostamento in avanti di Kakà e Seedorf cui viene più facile partire da lontano e concludere anche da fuori area. Ma, i numeri lo dicono chiaramente, non è la stessa cosa.

Un giocatore come Shevchenko – e parliamo del vero Sheva, non della pallida copia di scena al Chelsea negli ultimi due anni – non è mai realmente stato sostituito dalla dirigenza. Non è tempo adesso di tornare a far emergere vecchie (ma sempre attuali, purtroppo) polemiche sulle strategie societarie; tuttavia la problematica tecnica è lampante e andrà risolta al più presto se si vuole continuare a poter parlare di “dimensione internazionale”. Questa passa senza appello dall’accesso alla prossima Champions e affidarsi solo alle prodezze di un 18enne di talento potrebbe risultare alla lunga deleterio nonché negativo per la crescita costruttiva del giovane su cui stanno ricadendo troppe speranze. Constatato che Ronaldo non dà ormai certezze, serve un attaccante in rosa capace di risolvere alcune gare con un guizzo personale senza attendere in area il lavoro offensivo della squadra (peraltro meno efficace con due interditori puri come Gattuso ed Ambrosini). Sheva l’ha fatto diverse volte in passato, togliendo spesso e volentieri le castagne dal fuoco ad Ancelotti. Da scartare un suo ritorno ma urge trovare un giocatore di tali caratteristiche. Parlano i numeri nel calcio, parlano però anche i nomi: tre stagioni fa, il Milan contava sul tandem Shevchenko – Crespo (il suo mancato riscatto grida ancora vendetta) con Kakà alle spalle e Tomasson o Inzaghi pronti all’uso. Ora i rossoneri giocano con Gilardino o Inzaghi supportati dal solo Kakà ed in panchina l’unico giocatore offensivo è Gourcuff. Aspettando Pato, qualcosa vorrà pur dire...

01 dicembre, 2007

C'ERA UNA VOLTA (segue)

L'ultimo imperatore.

[LaStampa.it] Quando Kakà atterrava su una spalla di Buffon e il Cavaliere, contrito, regalava Abbiati ai soci. Quando il trofeo Berlusconi si giocava a Manchester ed era la finale di Champions League. Quando Galliani era il presidente di Lega, e Giraudomoggibettega la Triade. Quando, ci siamo capiti, comandavano loro. Milan e Juventus. Calciopoli ha spaccato l’Azienda. Non più sinergie, e neppure coccole. Da stasera, Milan-Juventus torna a essere una grande partita «normale». Senza i tifosi bianconeri di fuori, senza più la Triade dentro. È rimasto lui, l’Adriano rossonero. In fin dei conti, ci ha rimesso solo la Lega, di cui era amministratore «designato», grazie alle ringhiose questue del trio Mo-Gi-Be, e oggi è inquilino «designante». Giraudo e Moggi sono stati squalificati dalla giustizia sportiva; Bettega è stato «espulso» dai nuovi dirigenti. Eppure erano tutti pappa e ciccia: così amici, così legati, così attirati dagli stessi progetti e le stesse antenne. Salvo 180' a stagione. L’ultima volta in serie A, al Meazza, fu il 29 ottobre 2005: Milan-Juventus 3-1. Al ritorno, 0-0. Scudetto alla Signora, il secondo consecutivo di Capello.

Nel maggio del 2006, è saltato il banco. Può darsi che il telefono allunghi la vita: di sicuro, non le carriere. Non tutte, almeno. E dire che c’era stato un momento in cui Berlusconi in persona aveva citato Moggi & Giraudo come modello di gestione, «questi qui, meno spendono più vincono», suscitando la malinconica invidia del fedelissimo vicario. Il quale, fra un Rivaldo e un Ronaldo appesi al muro dei rimorsi, potrà sempre scrivere nelle sue memorie di avergli portato Kakà, oltre alle strenne di Moratti, un certo Pirlo e un certo Seedorf che - in quanto tali, appunto - non fanno classifica. Il finimondo delle bobine miracolò Galliani. Con i designatori e i loro attendenti, è vero, parlavano tutti: chi più, chi meno e chi troppo (Lucianone). C’era, in compenso, chi usava il «preservativo»: lui. Si chiamava, e si chiama, Meani. Mica fesso, il vice presidente del Milan. Berlusconi, non pago, andò avanti per una settimana con la storia dei due titoli che dovevano tornare a casa. Guido Rossi, nel dubbio, uno non lo distribuì e l’altro lo assegnò alla «sua» Inter. La Juve sprofondò in B, il Milan recuperò addirittura i preliminari di Champions. E già che c’era, la vinse.

A essere pignoli, Galliani ha perso anche la battaglia dei diritti televisivi, che dal 2010 saranno venduti in blocco. Il suo posto, in Lega, l’ha preso Matarrese. Al Milan, nessuno. È l’unico sopravvissuto dei quattro che, dopo ogni trofeo Berlusconi, tiravano le due di notte attorno a un tavolo e, magari, al Pieri di turno. Il Massimo Fattore ha chiuso i rubinetti e, dunque, tocca ad Adriano inventarsi analisi che possano giustificare il ritardo dall’Inter, la nuova tiranna, senza minare il carisma dell’Onnipotente. Ah, Ibrahimovic. Ah, Zambrotta. In passato avrebbero preso la via di Milanello, matematico. Per tacere di Buffon, sedotto e abbandonato.

Il primo Milan-Juventus del dopo purga nasce, così, in condizioni inedite. Da una parte, la formazione tipo: Berlusconi, Galliani, Braida. Dall’altra, i «neopromossi» Cobolli Gigli, Blanc, Secco. Mancheranno Ronaldo (solita tegola) e Camoranesi (brutta tegola). Il Diavolo, in campionato, non ha mai vinto a San Siro. La Signorina, viceversa, in trasferta fatica ad alzare la voce. Dirigerà Morganti. Da quando gli arbitri li allena e li sceglie Collina, colui che chiedeva di nascosto a Meani di fissargli un appuntamento con il capo, Juve e Milan sono proprio le società che più si sentono danneggiate. Galliani ha già inoltrato i suoi dossier, da Torino è stata la vecchia guardia a tirare per la giacca i dirigenti: suvvia, dite qualcosa. In campo saranno botte guerriere, come sempre. Diverso, sarà il panorama in tribuna. L’operazione simpatia eccita Lapo, non il popolo. La Triade non c’è più. Resiste Galliani. Il «vedovo» allegro.


Ciò detto per non dimenticare... che c'era una volta un Presidente di Lega dal cranio lucente. E c'era un patto d'acciaio fra Mediaset S.p.A. e Giovanni Agnelli & C. S.a.p.a. che consentiva alla Juventus FC di incassare diritti televisivi satellitari criptati in anticipo di due anni per chiudere i bilanci in attivo. C'erano poi i compagni di merenda, Antonio e Luciano. E davanti ai soprusi perpetrati ogni domenica sul campo dalla loro combriccola romana, c'erano i "sofferti silenzi" dell'amministratore delegato del Milan AC. In aperto conflitto d'interessi con la sua carica di Presidente di Lega. Tutto questo c'era una volta, e oggi non c'è più.

30 novembre, 2007

NOVEMBRE 2007: Da Sheva a Kakà

Dopo Sheva, Kakà: arriva l'ottavo Pallone d'Oro per il Diavolo. 1969 Gianni Rivera, 1987 Ruud Gullit, 1988 Marco van Basten, 1989 Marco van Basten, 1992 Marco van Basten, 1995 George Weah, 2004 Andrij Shevchenko, 2007 Ricardo Kakà

29 novembre, 2007

UN ANNO DA DIMENTICARE

Sheva: Al Chelsea non sono felice.

[LaStampa.it] Quando Josè Mourinho è andato via sembrava fosse finalmente giunta la sua occasione. Ma dopo qualche comparsata anche con Avram Grant è finito presto nelle retrovie. L’avventura al Chelsea continua a essere poco fortunata per Andriy Shevchenko che da quando è approdato a Stamford Bridge non riesce a essere più lui. «Non sono felice ma che ci posso fare? - si sfoga in un’intervista al quotidiano croato "Sportske Novosti" - Sto in silenzio e lavoro duro ogni giorno. La gioia più grande per me è giocare con l’Ucraina. Ogni volta che sono in nazionale ricarico le batterie che si esauriscono a Londra a causa delle cose che mi stanno accadendo. Sono molto felice quando posso tornare a casa e non vedo l’ora che arrivino le prossime partite». E con l’Ucraina Shevchenko affronterà Inghilterra e Croazia nel girone di qualficazione ai Mondiali del 2010. «È un girone difficile per tutti, senza dubbi - confessa - L’Inghilterra è chiaramente la favorita, basta vedere in quali club giocano le sue stelle. Inglesi e croati sono in pole per i primi due posti ma anche noi abbiamo le nostre armi. E poi l’Inghilterra era anche favorita per qualificarsi a Euro2008 ma alla fine saranno Croazia e Russia a giocare in Austria e Svizzera».

06 novembre, 2007

RIDATEMI IL MILAN

Da oggi San Siro non è più la Casa del Milan. Molto coerente con il contesto più ampio la notizia che i soliti dirimpettai del naviglio, dopo il nostro stadio, si siano fatti intitolare anche il piazzale antistante. D'altronde. Da Pillitteri a Moratti, la giunta comunale della nostra città ha anche cambiato colori, ma sempre e solo la razza padrona quando è al potere avverte l'urgenza dell'autocelebrazione. Con buona pace degli alleati politici. E sia: allo stadio Giuseppe Meazza, in piazza Angelo Moratti, noi Rossoneri non ci vogliamo più mettere piede. Non perderemo un grande spettacolo di calcio, s'è visto. Se mai, ci risparmieremo qualche mal di stomaco. D'altronde. Siamo Rossoneri e abbonati a San Siro da prima di Berlusconi. Nell'accezione di era presidenziale, s'intende. Il nostro di prima era un Milan dal blasone un po' sdrucito, ma indossato sempre a testa alta. Si perdeva quando c'era da perdere, e lo si faceva con dignità. Incazzandosi a morte, sicuro, ma senza mai arrampicarsi sugli specchi. Figurarsi pubblicare dossier. Chi ce li avrebbe pubblicati, d'altronde? Si perdeva (e spesso) anche quando c'era da vincere, perché la razza padrona in Italia è sempre stata Inter e Juve. Quelli per l'appunto del Derby d'Italia, come si compiacciono ancor oggi di chiamarlo i bauscia nostalgici del Giuan Brera fu Carlo.

Inquadrare in questo scenario l'avvento del Cavaliere (nel mondo del calcio, e dintorni) aiuta a capire una varietà di fenomeni storici (del mondo del calcio, e dintorni): dal famoso patto d'acciaio con la real casa sabauda (un patto commerciale per la ripartizione di diritti televisivi, che al nostro Milan è costato un paio di scudetti sul campo e qualche altra penalità) fino a Moggiopoli, che non è stato altro se non un poderoso atto di restaurazione del potere. Perciò ho scritto in principio che autointitolarsi il piazzale, oltre lo stadio, è splendidamente in linea coi tempi. E perciò scrivo, e confesso, che mi manca il Milan di prima. Il mio Milan di bambino, quello degli Anni Settanta: quello di Vincenzina e la fabbrica, quello della stella del grande Nils. Ma quello anche delle due Serie B, una a pagamento e una gratis , come diceva l'Avvocato "vero". Anni in cui il futuro Cranio Lucente - probabilmente - la domenica presto partiva da Monza con l'Argenta alla volta di Torino, per andare a vedere il Michel. Mentre il futuro Signore delle Antenne - dico sempre probabilmente - preparava un dettagliato business case per valutare quale dei due football club di Milano fosse più sinergico al programma.

Il programma era cambiare l'Italia a cominciare dal mondo del calcio, e dintorni. Ma questo, noi Rossoneri romantici, lo abbiamo capito solo da poco. D'altronde, non vorrei mai essere frainteso. Più volte ho scritto qui e ribadisco: grazie di cuore, Presidente, per tutto quello che ci hai regalato in questi vent'anni, inimagginabili prima! Forse oggi il progetto Milan non è più sinergico al programma Italia come lo era ieri. Ma allora, mio caro Silvio, ridacci indietro il nostro Milan... quello di prima, se puoi.

IL GRANDE NILS

Addio Barone, genio perbene.

Ognuno prenderà il grande Nils per la giacchetta che preferisce, tirandolo ora qui ora là secondo le molteplici vite vissute, ma l'allenatore svedese è stato uno dei grandi interpreti del sogno, avendo portato due intere popolazioni - quella dei rossoneri e quella dei giallorossi - a ottenere ciò che sembrava impossibile: gli uni, l'incredibile stella del decimo scudetto; gli altri, il primo vero democratico tricolore della storia. Ciò che lui ha usato per stabilire un contatto con gli dei del calcio, sono due elementi solo apparentemente dissimili tra loro come scienza – la sua, immensa – e ironia, altro aspetto decisivo del carattere. Mischiate opportunamente, hanno plasmato un uomo-allenatore che poteva tranquillamente insegnare calcio senza la schizofrenia dei suoi tempi. Sono stato fortunato a lavorare con Liedholm, come giornalista e poi anche al Milan: ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare.

Silvio Berlusconi con il BaroneCome quella volta che, nel corso della stagione, uscì la notizia che Berlusconi aveva assunto Sacchi. Sulla panchina del Milan però c’era lui. Galliani si precipitò a Milanello, negando tutto. Incalzato dai cronisti, si rivolse a Nils per cercare aiuto: «Mister – disse l’ad rossonero – mi dia una mano lei...». Liedholm lo guardò con il suo solito mezzo sorriso, e poi gli allungò veramente la mano, lasciandolo di sasso. Ora lo vedo ancora in mezzo alle sue vigne piemontesi, il cane lupo alle costole, lo sguardo sereno di una persona perbene.

di Michele Fusco, su Metro di oggi.

04 novembre, 2007

ADESSO BASTA?

«Sulla questione arbitri c’è poco da aggiungere: c’è un problema arbitrale molto grande nei nostri confronti. Ci sono errori a ripetizione. Chiunque ha visto il rigore tranne l’arbitro. Ciò non toglie i nostri errori in fase di conclusione. Gli arbitri quando vedono un rigore lo devono dare. Non so perché ci sia questa ripetitività, io constato, non do spiegazioni. Sono curioso di sapere cosa dirà Collina su questo rigore: dirà sicuramente, visto che ha fatto l’arbitro, e anche bene, che il rigore c’èCaro acmilan.com, adesso basta lo diciamo noi. Perché ora mai, con l'autunno, è caduto il velo anche dell'ultima ipocrisia mediatica. Questa estate abbiamo sottoscritto qualcosa come 42 mila abbonamenti, versando nelle casse sociali credo oltre 13 milioni di euro. Lo abbiamo fatto come atto di fede, malgrado la ferita ancora aperta di Calciopoli. Lo abbiamo fatto malgrado la società, dall'estate 2002, non faccia più una campagna acquisti "da Milan". Lo abbiamo fatto malgrado il nostro allenatore, da 5 stagioni, non sia in grado di esprimere un'ipotesi di calcio alternativa a quella dei suoi 11 titolari.

Noi sappiamo - voi sapete, e tutti se ne sono accorti - che se a novembre viaggiamo (di nuovo) con 8 punti di ritardo sul tabellino di marcia, non è per la preparazione anticipata (comunicazione istituzionale 2006-2007) o per gli errori arbitrali (comunicazione istituzionale 2007-2008). Ma è perché puntare allo scudetto, oggi, al Milan non conviene: questione di sostenibilità finanziaria. Le ultime cinque campagne acquisti ci hanno portato in dote un solo giocatore fuoriclasse, Kakà. Dopo di lui, una teoria di ex atleti - non tutti ex fuoriclasse - e mediocri dicitori. Sicché, in campo, ci capita di spingere sulle fasce con un 37enne e un 35enne, che hanno come sostituti in panchina un 36enne e un 39enne. Mentre in attacco, abbiamo scelto di giocare con il modulo a una punta, perché le alternative in rosa sono solo due ed entrambe tenute assieme coi nastri adesivi, per il logorio degli acciacchi e del tempo. Tutto ciò è surreale.

Ma c'è di più. In un club sano, un allenatore che giustifica 4 pareggi e 2 sconfitte interne (record di Gigi Radice già eguagliato) con la motivazione che le squadre ospiti a San Siro si chiudono, verrebbe accompagnato alla porta con una pacca sulle spalle e un in bocca al lupo. In un club sano, un amministratore delegato che sperpera i capitali (ridotti, ma comunqe preziosi) messi a disposizione dalla proprietà, verrebbe incentivato all'esodo con una buonauscita e una stretta di mano. Le dichiarazioni odierne di Galliani sono di una gravità inaudita, insopportabile. I dossier sugli errori arbitrali sono materiale da Zamparini e Spinelli, non da primo dirigente AC Milan. Nemmeno Moratti era arrivato a tanto, prima di scoprirsi Onesto. Intollerabile poi (quanto emblematica) l'imbeccata a Collina: «Sono curioso di sapere cosa dirà su questo rigore: dirà sicuramente, visto che ha fatto l’arbitro, e anche bene, che il rigore c’è». In un sistema sano, queste parole verrebbero sanzionate con un deferimento.

Oggi Galliani dichiara che, nella sua posizione di a.d. del Milan, ha il "dovere di parlare". Domando: per quale motivo non si rivolgeva ad altri designatori arbitrali con gli stessi toni e i medesimi argomenti, quando era imbarazzante la sequenza dei soprusi autentici (al cui confronto, quelli di oggi fanno solo sorridere) e determinanti per la corsa al titolo (non per la rincorsa al quarto posto), invece di chiudersi in un "sofferto silenzio"? Il Popolo Rossonero, dico quello abbonato e pagante, esige oggi una risposta! Perché solo per dirne una, quel Milan-Juventus dell'Ottomaggio che assegnò il titolo 2005, con arbitro Collina, a tutti noi ha lasciato in bocca il sapore agro di una partita mai giocata. Come alcune altre, analoghe "sfide scudetto" disputate al Delle Alpi di Torino...

31 ottobre, 2007

OTTOBRE 2007: Punto e a capo?

Andriy Shevchenko of Chelsea shakes the hand of Avram Grant, Chelsea manager as he is substituted during the Barclays Premier League match between Chelsea and Fulham at Stamford Bridge on September 29, 2007 in London. (Photo by Phil Cole/Getty Images)

30 ottobre, 2007

THAT NICE

Speed work with Darren Campbell was hidden from Jose Mourinho by Chelsea's striker.

[Independent.co.uk] Darren Campbell took a very gratifying phone call on Saturday night as he holidayed with his family in Cyprus. It was from Andrei Shevchenko, the Chelsea forward who has recently, and belatedly, begun to show why the club felt he was worth playing Milan a fee of £31m the summer before last. For the last six weeks Campbell, who retired last summer after an athletics career which had seen him earn medals at every major championship, has been offering the beleaguered Ukrainian private sprint coaching – the former manager Jose Mourinho was not keen on the idea – during which Shevchenko appears to have rediscovered his scoring verve. The goal Shevchenko scored against Manchester City during Saturday's 6-0 rout at Stamford Bridge could have come from the lean and hungry forward of old. From the moment he collected Michael Essien's angled pass into the box and accelerated away from the last line of cover, a goal appeared certain. "When Andrei rang he was just really really thanking me and saying how grateful he was for what I had done for him," Campbell said. "He was just very, very happy. He was saying 'I feel good. I feel sharp'. The other coaches had been saying he was looking sharp in training, and that is always a good sign, because it would have been easy for me to say that, and for him to believe it, but when other people notice then it means something."

Shevchenko is not the first high-profile subject whom Campbell has coached – he has previously worked with Jonah Lomu while the Kiwi was playing rugby for Cardiff. Campbell has also been working since the start of the season with MK Dons, at the invitation of their manager, Paul Ince, and in the last couple of days he has had a regular England player expressing the wish to benefit from his expertise. "When you look at some of the other big Premiership clubs, it looks as if they are doing the same kind of thing," Campbell said. "As a Manchester United fan, I have noticed that their players run very efficiently. Arsenal's players are the same. But there are usually improvements you can make. The only player I don't think I could improve would be Thierry Henry. His technique is already up there. He could easily be a sprinter, and is the template I use with other footballers."

The link between Ukraine's scoring legend and Britain's Olympic gold and silver medallist was forged by Chelsea's club doctor, Bryan English, who had treated Campbell in his previous job as head doctor for UK Athletics, playing a big part in his return to fitness for the 2004 Olympics where he was one of the victorious sprint relay team. "Bryan rang up a couple of months ago and asked me what I was up to," said Campbell. "He asked whether I could help Andrei sharpen up his sprinting. Before the first session I had been down to Chelsea's training ground and discussed what he wanted from me. But it was made clear to me that Jose Mourinho didn't really want me working with him. Why? I couldn't make a comment on that. I was just told. But then Andrei gave me a call and said could we keep it quiet and do the sessions at his house? "Andrei lives a few miles away from Chelsea's training ground in Surrey – he has a big garden and a tennis court, and we were able to go through the drills there. He has worked very hard. In the last few games he feels there has been a definite improvement and he has been scoring, so I think our training has worked out.

"Andrei and I really hit it off. We are more friends now than anything else, although there is still the coaching relationship there. He never said a single bad thing about Mourinho. He never said anything bad about any of the other players. He was just a really nice, quiet guy who wanted to get back to his best. And when you come across someone that nice it makes it even more the case that you want to help them and want them to succeed." Campbell was an ideal choice in more than one way, given that he had experience playing football for teams including Weymouth and Plymouth Argyle while taking three years out of athletics in the mid-90s. "One of the problems you find with footballers, especially when they have picked up injuries, is that they don't rehab properly. Every time they get injured, they tend to lose a bit of speed. It's all about muscle memory. "Shevchenko is a world-class striker. He's got more than 50 goals in the Champions League and scoring is his natural gift. But he needed to recover some of his technique, to give his muscles the feeling of running fast again. His game is based on being sharp over 10, 20, 30 metres, and it was clear from early on in our sessions that he still had the speed. He was also a quick learner and all he wanted to do was to get back to scoring goals. With direction from Bryan, we have worked on problems in his lower back, on strengthening his shoulders, and on getting greater flexibility into his hip after the operation he had. It was almost like giving him an MOT."

The MOT appears to have been passed with ease; Shevchenko now seems to be motoring, and Campbell's patent success with the striker looks as if it might have encouraging ramifications. Although Campbell never spoke to Mourinho in person, he has met Chelsea's new manager, Avram Grant, who appears more amenable to the idea of his players receiving specialised sprint training. Several of Shevchenko's team-mates are understood to be keen to improve their speed under Campbell's direction, and Campbell himself is hopeful that he may soon be working in a more welcoming environment.

C'È SOLO UN CAPITANO (segue)

http://buttha.eu/blog«Ci chiediamo cosa non funziona: se ciascuno di noi facesse quel che sa, le vittorie arriverebbero. Ci vuole una voglia matta di tirarsi fuori, le motivazioni non sono un problema perché è troppo bello vincere. Il punto è un altro: per vincere non conta aver conquistato due Champions o una coppa del Mondo, ma conta quello che fai in settimana. Se giochiamo da squadra, e in questo momento non lo stiamo facendo, torneremo il Milan di una volta». Come sempre, in Rino veritas.

C'ERA UNA VOLTA (segue)

Diritti tv, la minaccia di Galliani.

[Corriere.it] Chiamata finale. L'ultimatum del ministro dello Sport, Giovanna Melandri, impone di fissare entro domenica un criterio di ripartizione dei diritti tv a partire dall'1 luglio 2010, quando entrerà in vigore la legge che prevede la vendita collettiva e non più soggettiva. Per discutere e (forse) deliberare, il presidente della Lega, Matarrese, ha convocato per oggi a mezzogiorno l'assemblea dei club di A (domani tocca alla B, alla ricerca di un contratto tv, ma per quest'anno). All'interno della Lega, la spaccatura c'è e non è una novità. Succede sempre così, quando si discute di soldi. Da una parte ci sono le grandi (Milan, Inter, Juve, Roma e Napoli); dall'altra 14 società, definite medio-piccole, guidate da Cellino (Cagliari) e Zamparini (Palermo, che però risulta in Egitto), mentre è da capire meglio la posizione della Fiorentina.

In base alla legge Melandri, il monte ricavi deve essere diviso in tre parti: una quota da ripartire in parti uguali fra i venti club; una da dividere secondo il numero dei tifosi; un'ultima in base ai meriti sportivi. Sul primo punto, quantificato nel 40%, c'è l'accordo; sugli altri due, il dissenso è totale, sia sulla quota, sia sui criteri temporali per determinare la questione dei meriti sportivi. Le grandi vogliono che si parta dal '46; le medio piccole partendo dal 2006-2007. La novità, rispetto ad un passato nel quale i litigi sono stati persino più aspri, è la delibera di luglio, in base alla quale nell'assemblea della serie A basta la maggioranza semplice e non più quella qualificata. Per questo le società medio-piccole spingono per votare, convinte di poter imporre a maggioranza la loro proposta.

In questo caso, le grandi sono decise a impugnare la delibera e a presentare un esposto in tribunale. Si aspetta con ansia la tabella delle ripartizioni elaborata dai vertici della Lega, dopo giorni e giorni di lavoro frenetico. «È un passaggio epocale», ha assicurato Matarrese. Tocca a lui oggi recuperare l'unità di una Lega, mentre Adriano Galliani, vicepresidente vicario e amministratore delegato del Milan, ha spiegato la posizione delle grandi, che hanno lavorato insieme fino a notte fonda, trovandosi di fronte ad una sorpresa: il presidente della Lazio, Lotito, ha cenato con loro. Forse sta cambiando idea.

Galliani, è il giorno delle decisioni. Come va a finire?
«Pronostico molto difficile...».

Qual è la linea di Milan, Juve, Inter, Roma, le grandi tradizionali e del Napoli sulla questione della ripartizione dei diritti tv?
«La legge indica tre parametri da rispettare: una quota, che ‘‘deve essere prevalente'', da dividere in 20 parti uguali e che rappresenta il 40% del totale; la seconda legata al bacino d'utenza, cioè ai tifosi; la terza in base alla storia, cioè ai risultati sportivi conseguiti. La nostra indicazione è 40% più 30% più 30%; il gruppo delle medio- piccole chiede percentuali differenti: 40%-20%-40%».

Come si può calcolare il bacino d'utenza?
«Questo non dovrebbe essere un problema, perché la Lega può affidarsi ad una società primaria di indagine demoscopica. Semmai c'è il tentativo di scendere al 20%, per schiacciare la differenza con chi ha più tifosi. In ogni caso, i calcoli fatti sono univoci: Milan, Juve, Inter, Roma e Napoli raccolgono l'84% dei tifosi italiani».

Il vero terreno di contrasto sembra essere quello legato ai meriti sportivi. Come si quantifica la storia?
«C'è chi vorrebbe partire dal campionato 2006-2007, prendendo in esame gli ultimi quattro anni. Ma questa non è storia, è cronaca. Prendere in esame la storia significa pensare al 1898, anno del primo campionato oppure al '29-'30, quando è nato il girone unico oppure al '46, quando è nata la Lega Calcio. E questa a noi sembra la data giusta dalla quale partire. Mi rendo conto che c'è chi, non avendo storia, voglia cancellare tutto e partire dal 2006, ma su questo non potremo mai essere d'accordo. Trovo poco comprensibile che chi ha preparato le tabelle a proprio uso e consumo raccolga l'adesione anche di chi ha alle spalle una storia importante. Mi sono permesso di ricordare a Diego della Valle la formazione della Fiorentina campione d'Italia del '56 e a Cellino che il Cagliari ha vinto lo scudetto nel '70. Ho chiesto a Cairo perché vuole dimenticare il Grande Torino, Valentino Mazzola, ma anche la squadra dello scudetto '76, quello di Pulici, Graziani e Claudio Sala. Invece noto che anche alcuni club di nobile lignaggio vogliono fare come i cinesi con i tibetani».

Qual è il criterio per compilare questa graduatoria meritocratica dal '46?
«Tenendo presente la circolare della Figc del 15 febbraio 2006, quella che fissava i criteri per i ripescaggi. Una tabella che assegna un punteggio per i campionati di A, B, C1 e C2, per le coppe europee e l'Intercontinentale più un bonus per scudetti e Coppe Italia. In classifica comanda la Juve, poi l'ordine è Milan, Inter, Roma, Fiorentina, Torino, Lazio, Sampdoria; il Napoli è nono e, a seguire, Atalanta, Genoa, Udinese, Cagliari, Palermo, Parma, Catania, Reggina, Empoli, Livorno e Siena. Pensiamo che questa graduatoria nasca da un criterio logico e che non sia giusto annullare la storia di Milan, Juve, Inter, soltanto perché si è affacciato un giustiziere della notte. Qui è arrivato Charles Bronson e spara all'impazzata nella metropolitana».

Avete calcolato quanto perderanno le grandi in base alla nuova legge?
«Non lo abbiamo calcolato e non è nemmeno sicuro che sia così. Anzi, noi speriamo che avvenga esattamente il contrario e che per le società di serie A aumentino gli introiti, perché pensiamo che il valore dei diritti tv possa crescere invece che diminuire. C'è una legge dello Stato e vogliamo rispettarla, a cominciare dalla quota del 40% da dividere in parti uguali che da sola può garantire una miglior distribuzione delle risorse. Un esempio: se si dovesse incassare un miliardo dalla vendita dei diritti tv, ci sarebbero 400 milioni da dividere in parti uguali e venti milioni sicuri sono più di quanto incassano oggi, complessivamente, sei o sette club di serie A. Quello che non possiamo accettare è che venga cancellata la storia dei nostri club per privilegiare la cronaca, come fa Zamparini. Ma non mi stupisco perché con il Palermo nella graduatoria che tiene conto dei piazzamenti dal '46 si troverebbe al 14˚posto, mentre se contasse la cronaca, cioè i campionati dal 2006-2007, la situazione per lui migliorerebbe. E questo spiega tante cose».

Ha detto il presidente della Sampdoria, Garrone: è venuto il tempo che le grandi scendano dal pero. Non teme che la nuova ripartizione delle risorse alla fine faccia perdere competitività ai club italiani in Europa...
«Il pero non mi interessa. Credo che far perdere competitività alle squadre italiane nelle coppe europee non sia utile a nessuno. Siamo terzi nel ranking europeo; possiamo schierare quattro club in Champions League, se due squadre superano i preliminari; cerchiamo di reggere la concorrenza con squadre straniere che hanno un fatturato superiore. Il Real Madrid, ad esempio, incassa 155 milioni dalla sola vendita dei diritti tv e il Barcellona è sulla stessa linea. Affossare il calcio di vertice può soltanto portare svantaggi a tutti, impoverire il prodotto, far diminuire i ricavi».

Il gruppo delle medio-piccole sostiene di essersi ispirato al modello inglese, preparando la tabella che oggi vogliono votare. È un riferimento che regge?
«Lascerei perdere il modello inglese e non soltanto per i soldi che versiamo alla serie B, cosa che non avviene in Inghilterra. La verità è che per i club della Premier i diritti tv rappresentano un terzo dei ricavi totali (un terzo arriva dagli incassi da stadio, e un terzo dagli sponsor); noi invece, siamo al 60%. Comunque, fra il Manchester United e l'ultima della Premier la forbice è più ampia rispetto a quanto avviene fra i club italiani».

Oggi il gruppo delle medio-piccole vuole arrivare al voto. E allora?
«Può darsi che si arrivi al momento della votazione e che ottengano la maggioranza. In questo caso, impugneremo la delibera dell'assemblea e presenteremo un esposto in tribunale per evitare che passi una decisione ispirata da criteri incomprensibili. Non avremmo altra strada. Poi vedremo come andrà a finire ».

Ciò detto per non dimenticare... che c'era una volta un Presidente di Lega dal cranio lucente. E c'era un patto d'acciaio fra Mediaset S.p.A. e Giovanni Agnelli & C. S.a.p.a. che consentiva alla Juventus FC di incassare diritti televisivi satellitari criptati in anticipo di due anni per chiudere i bilanci in attivo. C'erano poi i compagni di merenda, Antonio e Luciano. E davanti ai soprusi perpetrati ogni domenica sul campo dalla loro combriccola romana, c'erano i "sofferti silenzi" dell'amministratore delegato del Milan AC. In aperto conflitto d'interessi con la sua carica di Presidente di Lega. Tutto questo c'era una volta, e oggi non c'è più.

29 ottobre, 2007

AND SHEVA SCORED...

[SettimanaSportiva.it] Mai visto, negli ultimi anni, un Chelsea come quello di sabato, contro una buona squadra che peraltro nella circostanza ha mostrato una conoscenza dei fondamentali difensivi, come dire, non perfetta. Quello che ha colpito del Chelsea, e lo diciamo da ammiratori di José Mourinho - che a nostro parere è tra i pochi allenatori al mondo che possono far migliorare una squadra già di vertice - è la volontà con la quale dopo ogni rete segnata cercava di aumentare il punteggio a proprio favore, ed in più un elemento cruciale: alcuni giocatori, non solo Joe Cole che mai ha apprezzato Mourinho, paiono più rilassati nel cercare giocate difficili, colpi che hanno in canna ma che finora era probabilmente loro sconsigliato di utilizzare, perché sotto Mourinho non sprecare il possesso di palla, e restare sempre coperti, era meccanismo fondamentale del gioco. Ora da parte di Avram Grant c'è probabilmente un maggiore incoraggiamento ad osare, ben sapendo che un gol eventualmente - molto eventualmente - concesso su rovesciamento di fronte non sarebbe poi un dramma visto che la squadra ha il potenziale per farne altri.

Chelsea's Ukrainian Striker Andriy Shevchenko scores the sixth goal of the match during their Premiership match against Manchester City at home to Chelsea at Stamford Bridge football stadium, 27 October 2007. Chelsea won the match 6-0.Come noto ha segnato anche Andriy Shevchenko, entrato al 67° sul 4-0. A dire il vero, Shevchenko si era scaldato a lungo, poi era tornato a sedersi, e ne era seguito un curioso scambio, visibilissimo non solo dagli spettatori, che hanno i posti a sedere adiacenti al buco-panchina, ma anche alla tribuna stampa: è parso ad un certo punto - e ripetiamo: è parso, non è una certezza - che Sheva volesse restarsene lì, poi ad un certo punto Grant si è girato e lo ha indicato, e anche qui abbiamo avuto l'impressione - ripetiamo: impressione - che Shevchenko sbattesse il giaccone sulla sedia, dopo esserselo tolto, con una decisione che pareva stizza.

In campo Sheva, che da qualche tempo fa uso di un preparatore atletico personale, si è mosso benino, sistemandosi prima a sinistra del tridente d'attacco poi, quando Pizarro ha sostituito Drogba, al centro, non si sa se su esortazione della panchina o per decisione propria, visto che per caratteristiche fisiche avrebbe dovuto essere il peruviano a restare in mezzo. Il gol, bello, su passaggio tagliadifesa di Essien, e che certamente non sarebbe venuto se l'ucraino fosse rimasto a sinistra, è stato festeggiato con grande entusiasmo, compreso un abbraccio a Grant a fine partita e il regalo della maglia ad un tifoso che sventolava una bandiera ucraina. Che poi il gol di Sheva sia stato un evento salutato quasi con stupore, il che è un po' triste per un giocatore così, lo ha testimoniato sia il titolo di un quotidiano di ieri ("6-0... e persino Shevchenko segna per il Chelsea") sia, già sabato, un coro dei tifosi del Chelsea sul metrò che tornava verso il centro: sulle note di Go West, "Six-nil (cioé 6-0) and Sheva scored", ovvero sei a zero ed ha segnato Sheva.

Inserimento fulminante e rasoiata feroce, materiale d'altri tempi. Domando: anche uno Sheva a mezzo servizio come quello attuale, quanto farebbe comodo oggi al nostro Povero Diavolo?

26 ottobre, 2007

NEED FOR SPEED

Chelsea rely on speed king to lift Shevchenko.

[Independent.co.uk] Chelsea have revolutionised their efforts to get the best out of £31m striker Andrei Shevchenko by employing the former British Olympic sprinter Darren Campbell to help the Ukrainian regain his explosive pace. Despite Shevchenko's indifferent first season in the Premier League, the club are determined to get the former European footballer of the year back to his very best. Shevchenko, 31, was on the bench for Wednesday's 2-0 victory over Schalke 04 in the Champions League and has not been a major part of Avram Grant's plans since he took over the club last month, starting just two games under the new manager. However, the Israeli was first brought to Chelsea on the ticket that he could get the best out of Shevchenko. Since taking over Grant has promised that Shevchenko does have a future at the club and is understood to be supportive of the scheme to help the striker regain the sharpness that has been lacking from his game since he left Milan.

The job of rehabilitating a player whose reputation has nosedived since he came to Chelsea falls to Campbell, 34, who is well-known as a lifelong Manchester United fan as well as a decent former amateur footballer. His qualities as a sprint coach are not in doubt. He was twice an Olympic medallist, winning the silver in the 200 metres in Sydney in 2000 and a gold in the 4x100m relay team in Athens four years later. He has worked with Shevchenko at both the club's training ground and the striker's home in Surrey. The sessions began in the last few weeks of Jose Mourinho's reign and Shevchenko is believed to be already seeing a difference in his pace and sharpness. When he joined the club in the summer of 2006, Shevchenko brought a personal trainer with him from Italy although he has since returned. The player himself is understood to be enthusiastic about the new approach and has got on well with Campbell.

Their focus has been on the short bursts of pace which were the hallmark of Shevchenko's successful seven years at Milan. The coaching with Campbell has been in addition to the work that Shevchenko does with the rest of the first-team squad.
The use of Campbell was never really approved by Mourinho but his subsequent introduction after the departure of the Portuguese manager shows that Grant is willing to try new ideas and practices. While Mourinho was determined to control every element of the team's preparation, without interference from beyond his cabal of Portuguese assistants, Grant has been much more open-minded. With the appointment of assistant Henk ten Cate and first-team scout Michael Emenalo, his back-room team is taking shape. Whether that will quell the dissent among certain elements in Grant's squad remains to be seen.

23 ottobre, 2007

IMMOBILISMO

Crisi Milan, scatta l'ora dei processi.

La crisi di gioco e di risultati della squadra di Ancelotti comincia ad indispettire il popolo rossonero, che punta il dito contro l'immobilismo sul mercato che ha contraddistinto la politica di via Turati nelle ultime due stagioni. Perché se è vero che nella scorsa stagione la penalizzazione e la mancata preparazione estiva fungevano da alibi per il tormentato inizio, quest'anno la scusa non regge più. Il Milan è partito da zero come tutte le altre, dopo una preparazione atletica svolta a pieno ritmo al temine di oltre un mese di vacanza per quasi tutti gli elementi della rosa; 10 punti in sette partite senza nemmeno una vittoria interna, alla luce di ciò, rappresentano una miseria difficilmente giustificabile.

Anche la giustificazione, largamente utilizzata, delle squadre troppo chiuse allorché si presentano a San Siro, a ben vedere, presenta dei punti deboli; perché è vero che per caratteristiche tecniche e tattiche il Milan soffre più di altri la mancanza di spazi, ma è pur vero che in trasferta sono arrivati solo due successi (con Genoa e Lazio), ed in casa i rossoneri si sono trovati in vantaggio sia contro la Fiorentina che contro il Parma, per essere poi raggiunti sull'1-1 a dispetto di una situazione tattica del tutto favorevole. Più utile, allora, puntare il dito su altri fattori, come sta facendo nelle ultime settimane la maggioranza degli osservatori oltre che della tifoseria milanista. La verità oggettiva è che la società è pressoché immobile sul mercato da circa due anni, due anni in cui l'anagrafe ha reso la rosa a disposizione di Ancelotti largamente inferiore ad altre, Inter in primis. Galliani e Berlusconi si sono mossi, con esborsi minimi, solo per Ronaldo ed Emerson, con tutte le incognite fisiche del caso, mentre difesa e centrocampo sono praticamente immutate da due anni (con l'eccezione di Oddo). Se fino all'anno scorso, per fare un esempio, gente come Cafù o Favalli poteva permettere a Oddo e Jankulovski di tirare il fiato, quest'anno risultano praticamente inutilizzabili (del resto fanno 72 anni in due), mentre il mistero legato ad Emerson ripropone il problema di sostituire Pirlo. L'unico investimento di un certo spessore è stato fatto, con i ben noti esiti, per Ricardo Oliveira, costato poco meno di quanto sia costato Ibrahimovic all'Inter.

La Champions League vinta trionfalmente pochi mesi fa ad Atene funge ancora da paravento, ma ha finito per giustificare un immobilismo in sede di mercato che ora viene pagato caro. La prolungata (e preventivabile) assenza di Ronaldo ha costretto Ancelotti ad affidarsi ai soli Inzaghi e Gilardino, alle prese con diversi problemi oltre che troppo simili per giocare insieme, ed i passaggi a vuoto di Dida (con Berlusconi che ammette candidamente di aver rinunciato a Buffon) hanno reso spesso e volentieri il Milan una grande squadra senza portiere né centravanti. Per una squadra costantemente ai vertici del calcio europeo, come giustamente fa notare la dirigenza, non c'è mai stata necessità di una rifondazione; tuttavia almeno un paio di innesti all'anno per ringiovanire ed ossigenare la rosa avrebbero fatto più che comodo, anche perché ora si rischia di dovere procedere davvero ad una rivoluzione visto che l'anno prossimo, dopo Costacurta, lasceranno presumibilmente anche i vari Maldini, Serginho, Cafù, Favalli.

E allora qui sta il punto; l'immobilismo sul mercato è una scelta, come sostiene Galliani, o una necessità dettata dall'attuale gerarchia degli interessi di Berlusconi? Perché è vero che il presidente sostiene da tempo la necessità che il club si regga sulle proprie gambe (leggi: chiuda i bilanci in attivo), ma a nessuno sfugge che a fronte di 45 milioni incassati per la cessione di Shevchenko e dei circa 70 incassati per il successo in Champions League, ne siano stati spesi solo 20 per un pur promettentissimo 17enne, che sarà disponibile solo a gennaio. Peraltro, come ovvio, circolano già i primi nomi per rinforzare la squadra (Frey, Amauri, Drogba), ma si tratta di nomi impossibili da raggiungere a gennaio. Ancelotti spera che il prossimo rientro di Ronaldo ed il valore aggiunto di Pato possano aggiustare le cose, ma l'impressione è che i problemi del Milan vadano al di là dell'assenza dei due brasiliani. E intanto in classifica, oltre alla vetta, si allontana pericolosamente anche l'imprescindibile quarto posto.

di Paolo Viganò, su Sports.it

Il tempo è galantuomo. L'archivio di Shevalove parla. Da due anni.

22 ottobre, 2007

SILENZIO, MORATTI TI ASCOLTA...

Vieri sul pedinamento Inter: tutti sapranno di questo schifo.

[Calciomercato.it] Christian Vieri, ai microfoni di Sky, torna sulla vicenda dei pedinamenti al tempo dell'Inter e attacca duramente la sua ex società: «Ci sono i legali che stanno lavorando e tanto alla fine verrà fuori la verità e quando verrà fuori tutti vedranno quello che hanno combinato. È uno schifo - racconta Vieri -, voi non sapete bene ancora quello che è successo. Io all'Inter penso di aver fatto solo bene, purtroppo non abbiamo vinto niente perché gli altri erano più forti di noi. E poi per fare tutti quei gol uno si deve allenare o no? Deve fare una vita seria o no? Io i gol li ho fatti, quindi vuol dire che mi allenavo bene. Poi se io esco la domenica...».

19 ottobre, 2007

COLPI DI CLASSE

Sheva: Ora seguo la mia strada, poi penserò a un ritorno.

La carriera di calciatore di Anriy Shevchenko è cominciata nell'officina di Valeri Lobanovski, quella della star Sheva nell'atelier di Giorgio Armani. E siccome l'ex milanista è un tipo che si affeziona, l'amicizia resiste e i progetti comuni crescono. Logico quindi che Sheva sia stato il primo invitato ieri, quando lo stilista ha deciso di andare a vedere come era venuta la nuova lounge di Stamford Bridge, che ha disegnato insieme alle divise del Chelsea. Una squadra che sembra non avere preso le misure dell'ucraino, che tanti vorrebbero rivedere in Italia.

Shevchenko, in un sondaggio di qualche giorno fa tra i tifosi italiani, lei è risultato uno dei più richiesti.
Sorride: «Lo so, me l'hanno detto».

Un anno fa non era così.
«Credo che i tifosi del Milan si siano un po' calmati. Quando si fa una scelta di vita si valuta tutto, e loro lo hanno capito».

Molti pensano che lei si sia pentito.
«Quando si fa una scelta di vita qualcosa si perde e qualcosa si guadagna, non posso pentirmi di quello che ho scelto. Devo seguire la mia strada finché mi è possibile, poi, se arriverà il momento di scegliere ancora, ci penserò».

Mourinho non l'aveva in simpatia, ma, visto il polverone creato dalla stampa inglese, per lei è peggio che se ne sia andato...
«C'è gente che prova a mettermi in mezzo, che dice che Mourinho se n'è andato per colpa mia. Ma io non faccio il dirigente, faccio il calciatore. Per me l'unica cosa che conta è dare tutto quello che posso per la squadra».

Sorpreso delle difficoltà del Milan anche in Europa?
«Intorno al Milan c'è troppa critica: se giochi bene e non ottieni risultati non va, se il risultato arriva ma non c'è il gioco non va lo stesso. Il Milan ha sempre cercato di giocare bene e di vincere. I risultati arriveranno anche questa volta: il Milan è diverso da altre squadre italiane, ha gli stessi giocatori da anni, ha eccanismi perfetti. E poi c'è Kakà».

Superfluo chiedere chi sceglierebbe per il Pallone d'Oro fra Kakà e Pirlo...
«Per Kakà è stato un anno meraviglioso. Anche Andrea ha fatto una stagione bellissima, cominciata anche prima, con i Mondiali. Pirlo è fondamentale per il Milan ed è un campione. Meriterebbero tutti e due il Pallone d'Oro, ma Kakà è stato più decisivo».

In Italia c'è chi dice: Ibrahimovic è più decisivo di Kakà, e pure Totti.
«Impossibile. Ora non c'è nessuno al mondo più decisivo di Kakà. Totti è un campione ed è decisivo per la Roma, ma purtroppo per la sua squadra non ha fatto la finale di Champions. Ibra sta andando magnificamente e avrà tempo per vincere tutto quello che vuole, ma neppure lui ha fatto la finale di Champions, e giocare bene in campionato non basta. Stiamo parlando di grandi talenti, ma al momento nessuno merita il premio di France Football più di Kakà».

Ha ragione Avram Grant a dire che il Chelsea farebbe bene a comprarlo, anche a 150 milioni di euro?
«Non mi faccia queste domande, io non sono un dirigente. Posso soltanto dire che Kakà è un mio amico, che gli ho sempre predetto un grande futuro, che ho stima e ammirazione per il giocatore e per la persona».

Ha stima anche di Dida? Dopo Glasgow, i tifosi del Milan lo criticano.
«Conoscendo Dida, non posso pensare che abbia fatto una cosa scorretta. Magari è stato un momento di difficoltà psicologica, tre anni fa ha preso un petardo addosso e certe esperienze lasciano il segno».

Armani dice che bisogna preservare l'eleganza, anche nel calcio, e che il pubblico inglese è perfetto.
«È diverso da quello italiano, più ordinato, fatto anche di famiglie. Ma quello che mi ha dato la gente in Italia, quello che mi ha dato il pubblico del Milan non potrò mai dimenticarlo: quando sono andato in curva a vedere la partita, prima di andarmene, ho provato emozioni fortissime, fra le più forti della mia vita».

Allora, prima o poi tornerà?
Sorride ancora, si alza: «Non dovevamo parlare soltanto di Armani?».

da La Gazzetta dello Sport di oggi.

18 ottobre, 2007

LA GRANDE INTER (segue)

L'unica volta del Mago gratis.

La recente denuncia di Ferruccio Mazzola, nella sostanza già fatta nel suo libro (quello che oltre alla rottura con il fratello Sandro gli fece guadagnare la querela di Facchetti), sulle strane pastiglie che Helenio Herrera dava ai giocatori della Grande Inter di Angelo Moratti, facendole sperimentare prima ai ragazzini, ci ha fatto venire in mente che qualche anno prima, rispetto a quelli a cui si riferisce Mazzola, l’Inter del Mago era stata al centro di un caso di doping che si era intrecciato con la breve e controversa esperienza mondiale dell’uomo che fece fare il salto di qualità finanziario alla categoria degli allenatori.

Herrera arriva alla corte di Moratti padre, non vincente da cinque anni (cioè da quando ha preso in mano la società) nel 1960, dopo due campionati vinti con il Barcellona (dove non si è fatto problemi nell'accantonare gente come Kubala, Czibor e Kocsis), e dopo una stagione di assestamento (terzo posto, ma proprio come ai giorni nostri arrivare quarti è quasi impossibile), la guerra ad Angelillo, l’acquisto del pupillo Suarez e tanti altri fatti (sorvoliamo, se no faremmo prima a scrivere tutta la storia nerazzurra) nel 1961-62 presenta un’Inter da scudetto, proprio mentre dalle giovanili ragazzi chiamati Mazzola e Facchetti stanno per raggiungere in prima squadra Mariolino Corso, da Herrera sempre detestato. Il quattordicesimo allenatore interista dell’era Moratti Uno parte bene, ma è comunque battuto dal Milan di Rocco e di Rivera: già si intravede quello che succederà negli anni successivi, ma proprio mentre Herrera si appresta a programmare il futuro con Moratti e Italo Allodi (altro antipatizzante storico di Herrera, per la serie ‘Non occorre essere amici per vincere’) l’Inter è accusata di doping, per la positività alle anfetamine rilevata in un prelievo federale a sorpresa. Storia che meriterebbe un libro (qualcosa ha scritto Brera, in una biografia di H.H.) e che presenta qualche analogia con la storiaccia bolognese di due anni dopo, ma non divaghiamo e torniamo ad Herrera. Che viene sospeso mentre ha già la testa altrove, visto che la Spagna gli ha offerto di guidare la Nazionale (da lui oltretutto già allenata) al Mondiale cileno. Offerto almeno secondo il suo racconto, perché in realtà è lui che si è proposto a costo zero (Herrera!) per rilanciare la sua immagine.

Nel frattempo l’Inter ed in particolare Allodi scandagliano il mercato alla ricerca di un successore, e la scelta cade sull’emergente del momento, Edmondo Fabbri, che con il Mantova ha ottenuto tre promozioni, passando dalla D alla A. Insomma, un po’ il Sacchi dell’epoca, a parte il fatto che Sacchi in serie A il Parma non ce lo ha portato. Dopo qualche tentennamento Angelo Moratti lo ingaggia: ha deciso che sarà il suo quindicesimo allenatore. Intanto Herrera, informato di tutto, sogna di portare sulla vetta del mondo una squadra male assortita, un misto di campionissimi al tramonto e di giocatori medi. Nella rosa c’è nientemeno che il trentaseienne Alfredo Di Stefano, convocato a furor di popolo. ‘La Saeta Rubia’ (ma in Argentina era chiamato anche ‘El Alemàn’), dopo cinque Coppe Campioni vinte e mille prodezze su tutti i campi vorrebbe chiudere la carriera con il botto (in realtà giocherà altri due anni nel Real, prima di finire nell’Espanyol), ma un infortunio muscolare e l’antipatia di Herrera lo bloccano, lasciando pulita la sua maglia numero sei. Di Stefano non fa polemiche, non vuole far vedere di avere bisogno del Mondiale per essere considerato il più grande. E ha ragione, perché diventerà l’unico ad entrare nell’Olimpo del calcio senza aver giocato nel torneo più importante.

Anche la sorte è contro la Spagna, che capita in un girone con Brasile, Cecoslovacchia (cioè quelle che saranno le finaliste) e Messico. Esordio a Viña del Mar contro la Cecoslovacchia, il 31 maggio. Herrera riesce a fare a meno di Di Stefano, ma l’opinione pubblica e la federcalcio spagnola lo costringono a mettere in campo l’immenso ma ingrassato Ferenc Puskas, a otto anni dal ‘suo’ Mondiale, giocato con l’Ungheria, oltre a Santamaria e Gento, anche loro non particolarmente graditi al tecnico. Di quella partita abbiamo letto diverse cronache ma visto solo un servizio, realizzato da un inglese, quindi non sospettabile di essere filo-spagnolo: nel primo tempo dominio assoluto della squadra di Herrera, con un Gento formato Real, un Suarez indemoniato e alcune parate strepitose (in particolare su Puskas e Suarez) di Viliam Schrojf, uno dei più grandi portieri dell’epoca ma passato alla storia come un mediocre per i due errori nella finale con il Brasile. Solo nel finale la squadra guidata da Vytlacil (e in campo da Masopust) riesce a prevalere, con un gol di Josef Stibranyi. Polemiche a non finire e Spagna costretta a giocarsi tutto il 3 giugno, contro il Messico dell’eterno Carbajal, che gioca una partita di grande livello ma non può impedire a un minuto dalla fine il gol di Joaquin Peirò, proprio il futuro interista, pronto a sfruttare un respinta corta dopo un tiro di Gento. Successo meritato, stando anche alla quantità di occasioni sprecate dallo stesso Peirò, da Puskas e da Martin Vergès.

Il 6 giugno, con il Brasile, sempre a Viña del Mar, l’appuntamento con la storia: Pelé si è fatto male contro la Cecoslovacchia, ma in campo ci sono tutti gli altri (Gilmar, Djalma e Niton Santos, Garrincha, Didì, Vavà, Zagalo non ancora Zagallo) oltre al sostituto di Pelé, Amarildo. Herrera prova la magata: fuori Del Sol, Santamaria e addirittura Suarez, con lancio di Adelardo. Gli dice subito bene: il Brasile sembra in confusione, e al 35’ un tiro da fuori area proprio di Adelardo, servito da Gento, sorprende Gilmar. Come in altre cinquecento occasioni si è visto e si vedrà, il Brasile inizia a macinare il suo calcio. Ma questa volta non sfonda. Venti minuti dalla fine, Spagna ancora in vantaggio, Herrera urla ai suoi difensori di concedere il tiro da fuori, piuttosto che rischiare di farsi saltare: un concetto cestistico di cui a Zagalo non importa nulla, visto che salta Rodri e mette in mezzo, per il guizzo vincente di Amarildo. La Spagna lotta con tutte le sue forze, anche un commovente Puskas sputa sangue. A cinque minuti dalla fine il capolavoro: Garrincha salta secchi due spagnoli sulla destra e alza morbidamente un pallone che di testa Amarildo non può esimersi dal trasformare in gol. Due a uno, la Spagna torna a casa, ed Herrera dopo avere amabilmente definito ‘corrotto’ l’arbitro di Brasile-Spagna, il cileno Bustamante, non sa più quale sia la sua casa.

Già, perché la sua situazione all’Inter non è per niente chiara. Angelo Moratti ha sì ingaggiato Fabbri, ma si sta pentendo, ed Herrera è abile nell’aumentare le sue incertezze. Parlando e parlando. Durante il Mondiale Moratti si è mantenuto in contatto con lui e nonostante questi non sia di fatto più l’allenatore gli fa seguire giocatori interessanti: chissà la faccia di Jair, riserva di Garrincha, mentre l’allenatore della Spagna appena licenziato dall'Inter gli offre un contratto con l’Inter. A torneo finito, il pentimento definitivo: si decide che Herrera è un allenatore di valore internazionale, Fabbri solo un emergente molto bravo. Angelo Moratti ha intuito che sarà un duro come Herrera a far vincere tutto alla sua Inter: così sarà. Con tanti saluti a Fabbri, che di lì a poco, diventerà proprio il c.t. azzurro. E qualcuno ancora oggi si chiede perché non abbia puntato sul blocco dell’Inter di Herrera…

Stefano Olivari, in esclusiva per La Settimana Sportiva.

14 ottobre, 2007

RAGE AGAINST

Shevchenko rages against the dying light.

[Sport.Scotsman.com] Amidst more joyous celebration at Hampden yesterday, an unwelcome first occurred for Scotland. A home backline in which David Weir partnered Stephen McManus conceded a goal from open play. It just had to up Ukraine and just had to be the - supposedly - washed-up great that is Andriy Shevchenko who ended a great run of defensive consistency, a sequence founded on the security provided by a straight-up-and-down duo whose previous five outings together had seen their team ship only three goals. Ahead of yesterday, Ukraine's Olexandr Kucher had been the last man to find a way through Scotland without the aid of a set-piece. Since that goal in Kiev 369 days ago, only two Andreas Pirlo free-kicks for Italy in March and the penalty Salius Mikolinukas' dive earned for Lithuania last month had beaten Craig Gordon. But, whatever his problems with Chelsea, there seems to be something about Scottish opposition that allows Shevchenko to find his spark. Even as his team fell two goals behind in the opening ten minutes and his frustrations fizzed up in snarling and growling at team-mates and a pull on Scott Brown that earned him a 15th-minute booking, there were glimpses of the sleekness and innate goal sense that account for only Gerd Müller being in front of him in the all-time list of scorers in European club competition.

Ukraine's Andriy Shevchenko (C) scores during the Euro 2008 Championship Qualifying Group B football match against Scotland at Hampden Park in Glasgow, 13 October 2007. AFP PHOTO/ANDREW YATES (Photo credit should read ANDREW YATES/AFP/Getty Images)In between Kenny Miller and Lee McCulloch's strikes, Ukraine's captain served notice that a Scotland back four of Weir, McManus, Alan Hutton and Gary Naysmith would not experience a quiet afternoon in their first outing as a unit. The striker glided past Naysmith and McManus as if they simply didn't exist before cutting inside and letting fly with a rising effort that did not climb more than couple of inches over Gordon's crossbar.

With Oleksandr Hladkiy and Andriy Voronin drifting wide in order to stretch Scotland at the back and create space through the middle, a spring seemed to develop in Shevchenko's step after his early sighter. Perhaps there was a determination from the old stager to rage against the dying of the light where Ukraine's bleak prospects in Euro 2008 were concerned - and in so doing reaffirm his importance to a country wherein some had dared utter the sacrilege that Shakhtar Donetsk's £3.5m youngster Hladkiy and Liverpool's Voronin should be tried out as a strikeforce. And maybe he also recognised the vulnerabilities in the home side's rearguard. He certainly exploited uncertainty from Naysmith to reduce the deficit to 2-1 midway through the opening period. Jostling with Shevchenko, the full-back seemed to fall into a cross from the left that was flicked on by Andriy Vorobei and merely allowed the Chelsea man to seize on the loose ball and ram it high into the net.

From that point on in the first half, Alex McLeish's side struggled to contain him. On separate occasions he left both Weir and McManus for dead and might have had a reasonable claim for a penalty after Naysmith clattered into him as he sliced his way towards the six-yard box. The second half belonged to those times and the places when such national football history was made. It took Scotland's defence all of ten minutes to regroup, rediscover the poise that had made them an impenetrable barrier for France. Weir held the line and directed his team-mates into areas that would smother the yellow shirts who began to drop deeper and further from dangerous areas, even before James McFadden made their cause a hopeless one with Scotland's third goal 14 minutes from time.

10 ottobre, 2007

LONDON - KIEV - MILAN

Kiev are cooking up a bid for Shev.

[Express.co.uk] Dinamo Kiev are plotting a cheeky January bid to rescue Andriy Shevchenko from his Chelsea nightmare and take him back to the club where he made his name. The Ukraine club are also seeking a big-name coach to succeed Anatoly Demyanenko, who quit last month after the Champions League defeat by Roma, and among those in line are former Liverpool chief Gerard Houllier, Bayern Munich boss Ottmar Hitzfeld and Alberto Zaccheroni, who was the coach at AC Milan when Shevchenko arrived. Kiev have made Shevchenko’s advisers aware of their interest, but despite the Chelsea star’s unhappiness at Stamford Bridge, he is unlikely to go just yet. Despite the lure of playing alongside his old buddy Sergei Rebrov again, Shevchenko would have to take a massive drop in wages from the £6million a year he earns in England, to around £2.5m. But Shevchenko has not seen his opportunities get any better under new Chelsea coach Avram Grant. He was an unused substitute in the Champions League win in Valencia last week, and at Bolton on Saturday played only the last 17 minutes. A source close to Shevchenko said last night: «Andriy is aware of Dinamo’s interest. The club have said several times that they would like to take him back». Shevchenko won five league titles with Dinamo before moving on to further glory at AC Milan in 1999.

Sheva saluta?

[Gazzetta.it] Il Chelsea si è lanciato alla conquista dell’Olanda. Dopo il tecnico dell’Ajax Henk Ten Cate, i Blues vogliono anche l’attaccante dei Lancieri, Klaas-Jan Huntelaar, mentre l’obiettivo definitivo è Frank Rijkaard, oggi al Barcellona, ma indicato come il futuro allenatore del club londinese. Lo sostiene il "Daily Mail" , citando non meglio precisate fonti olandesi che vorrebbero Ten Cate come il primo nome di un trittico che dovrebbe sbarcare allo Stamford Bridge da qui all’estate del 2008. Huntelaar sarebbe il secondo. Il 24enne attaccante (21 reti nella passata stagione), che nei mesi scorsi aveva snobbato l’offerta di 14 milioni di sterline (20 milioni di euro) del Manchester United, sostenendo che voleva passare ancora una stagione in Olanda, potrebbe arrivare al Chelsea già a gennaio. Se così davvero fosse, ciò significherebbe una cosa sola: che Andriy Shevchenko farà le valigie, con il Milan come destinazione possibile.

30 settembre, 2007

29 settembre, 2007

31 IN BLUES

[Football.Guardian.co.uk] When Premier League clubs make a managerial appointment, it is generally the done thing to introduce him to supporters before his first home game. Chelsea's powerbrokers have said all the right things about their new man, insisting he enjoys their full support and confidence for the long-term. Yet, in the countdown to kick-off in Saturday's west London derby, there was no call to give a warm Stamford Bridge welcome to Avram Grant. Grant has problems and, as with Mourinho before him, Andriy Shevchenko is among the biggest of them. Grant gave the former Milan striker a free role behind Drogba at the start, and would later press him further up the field. He asked him to take free-kicks. He could not have given him a more prominent platform. But Shevchenko could do nothing right and, the harder he tried, the worse it became. It was painful to watch.

Russian tycoon Roman Abramovich with supporters on the South Stand instead of sitting in his personal Box [Times Online]Shevchenko, the first out of the dressing room after full-time, headed straight to the airport for a flight to Milan, where he celebrated his 31st birthday. His heart appears to be there, not in London. Roman Abramovich surveyed all from a seat high in the Shed End. The club's owner eschewed the security of his executive box and bodyguards to sit, together with the director Eugene Tenenbaum, alongside supporters of all shapes and sizes, seemingly to try to more accurately gauge the mood.

"He did it at Lazio in the Champions League [in 2003] and I think he has done it one or two other times," said Bruce Buck, the chairman. "He is a fan and he would like to be with the fans. I don't think it was anything philosophical or deep-thinking". Abramovich buried his head in his hands when Shevchenko was substituted, smiled when a boy showed him his Ronaldinho No10 shirt and, after Drogba's sending-off, he witnessed the outpouring of anger and frustration. One fan threw down his shirt and delivered an expletive-fuelled tirade. Grant has got it all to do.

25 settembre, 2007

IL BILANCIO DEL VICARIO

Milan e Inter sotto inchiesta.

Bilanci drogati? Massimo Moratti si sfila, Adriano Galliani rimane nella rete. Al patron dell'Inter basta una garbata memoria scritta (20 giugno 2007) dall'avvocato Francesco Mucciarelli per ricordare due piccoli particolari sfuggiti alla procura. ll primo, che il bilancio nerazzurro, quello del 2003, è stato chiuso il 30 giugno e pertanto è scattata la prescrizione. Il secondo, che i rilievi sul bilancio del 2004 sono cancellati dalla morte (26 gennaio 2006) di Giacinto Facchetti, il più leale degli interisti che accollandosi la presidenza della società (4 gennaio 2004) consentì al maggior azionista di fare un provvidenziale "passo indietro". In più, nella memoria il legale ha elegantemente sottolineato che il dott. Massimo non si interessa de minimis, che con i suoi petroleuro decide cessioni e acquisti solo per le grandi star. Che non sa quel che avviene nelle scuderie del calcio minore. Accettate queste spiegazioni, nelle mani e nelle carte del pm Carlo Nocerino sono rimasti solo due vecchi amministratori delegati: Mauro Gambaro e Rinaldo Ghelfi.

Nulla da fare invece per Adriano Galliani, da sempre amministratore delegato del Milan, e nel dicembre del 2004 anche presidente della società in nome e per conto di Silvio Berlusconi. Per Galliani non ha funzionato nemmeno la prima prescrizione, visto che il suo bilancio è stato chiuso il 31 dicembre 2003. Oltre che per i tre dirigenti, la procura ha richiesto il rinvio a giudizio delle due società. Falso in bilancio (art. 231), un reato ampiamente svalutato. Il gip ha due mesi per decidere sulla richiesta di Nocerino e per fissare l'udienza preliminare. Quanto dire che Inter e Milan non hanno neppure bisogno di fare "melina" per impedire che si arrivi non solo alla sentenza definitiva, ma a una sentenza qualsiasi.

L'accusa è ormai nota e digerita. Anziché «denunciare le perdite di bilancio, ripianarle o ridurre il capitale sociale», Inter e Milan inventavano e spalmavano negli anni successivi "fondi neri", plusvalenze inventate sulla compravendita di calciatori. E lo facevano spesso scambiandosi poveri calciatori, ragazzini delle formazioni primavera che neppure sapevano le cifre, per loro da capogiro, con le quali venivano solo virtualmente comprati e venduti. Non partecipavano, infatti, alle presunte trattative e in molti casi, sostituiti da sgorbi incomprensibili, neppure firmavano gli atti che li riguardavano. L'esempio più clamoroso fu il maxi-scambio del 2003. Da Milanello traslocarono alla Pinetina certi Brunelli, Deinite, Giordano e Toma. Viaggio inverso fecero Ferraro, Livi, Ticli e Varaldi (prezzo standard 3,5 milioni di euro ciascuno). I più fortunati, tra vere cessioni e prestiti, sono finiti in C2. Uno - Brunelli - al Vis Pesaro ci rimise la carriera con un serio infortunio e denunciò tutto.

Con questo sistema, applicato anche negli anni precedenti e nelle grandi compravendite, il Milan avrebbe dichiarato 19 milioni di euro di minori perdite nel bilancio 2003 e 19 in quello successivo; l'Inter, cui si contesta anche lo scambio incrociato con la Lazio Crespo/Corradi, spianò perdite latenti di 22,3 milioni nel bilancio 2003 (prescritto) e 32,4 in quello successivo. La nota più amara (per gli altri club) è che con questi parametri alterati i nerazzurri hanno ottenuto dal Co.vi.soc (Organo di vigilanza) l'iscrizione al campionato 2005/06 e quindi lo scudetto dopo la squalifica della Juve di Moggi. «Quello non lo ridiamo» disse Moratti alle prime notizie dell'inchiesta. Non ha cambiato parere. Neanche Franscesco Saverio Borrelli, ex procuratore capo di Mani Pulite e in pensione capo dell'ufficio indagini su Calciopoli, ha mai avuto dubbi in proposito: tutto prescritto, anche per la giustizia sportiva.

Da Varaldi a Deinite: i calciatori plusvalenza ora giocano in C2.

Nella stagione 2003-04 Inter e Milan misero in atto un maxi-scambio con notevole e reciproco profitto. Pescando dalla squadra Primavera, il Milan cedette ai cugini nerazzurri Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma, mettendo in bilancio plusvalenze per 10,7 milioni; l'Inter diede ai rossoneri quattro baby del suo vivaio, Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi, con plusvalenze per 12,9 milioni. Scambiandosi questi otto calciatori con valutazioni da Walt Disney, i due club milanesi diedero una sistemata al bilancio; ai baby miracolati non sembrò vero di firmare contratti quinquennali, che sarebbero scaduti nel 2008, una data che allora era molto lontana e faceva immaginare chissà qualsi sviluppi di carriera. Che naturalmente non ci sono stati.

In ossequio ai contratti, Milan e Inter, lungi dal pensare di utilizzare gli otto calciatori, in questi anni li hanno pagati 2.600 euro al mese e prestati in giro per l'Italia, in club di terza o quarta categoria. Oggi giocano ancora tutti ad eccezione del portiere Brunelli, che in C2 al Vis Pesaro, complice un infortunio a suo dire malcurato dall'Inter, lasciò il calcio e denunciò alla procura di Milano (e alla Federcalcio) il suo caso di calciatore-plusvalenza. Comprese le presunte "firme false" con cui i due club avrebbero provveduto a sistemare le cose per conto loro. La questione passò in mano agli inquirenti. E intanto, i magnifici sette, Deinite, Toma, Giordano, Livi, Ticli, Ferraro e Varaldi, più che per le imprese sul campo diventavano famosi come "plusvalenze".

Le loro valutazioni scendevano e salivano a seconda delle esigenze. Esempio: nel 2001, l'Inter mise a bilancio il centrocampista Giuseppe Ticli per 41 mila euro, salvo poi venderlo alla Reggiana in C per 1 milione; nel 2002, se lo riprese per 77 mila euro; nel giugno 2003, lo diede al Milan per 3,5 milioni. Alessandro Livi oggi è al Rovigo in C2: «Nel 2003 firmai per cinque anni col Milan a 2 mila euro al mese, metà pagati dal club rossonero e metà dall'Inter. Ogni estate tornavo a Milano e venivo ceduto regolarmente in prestito». Matteo Deinite, dopo Padova e Pizzighettone, ora è al Portogruaro in C2. Oggi invece Marco Varaldi è il portiere di riserva del Lecco in C1, e almeno fino a giugno prossimo continua a guadagnare 2.600 euro al mese. «Uno stipendio che confrontato alla mia valutazione è ridicolo -spiegò nei mesi scorsi. Quando venni ceduto al Milan avevo speranze di un certo tipo, ero stato terzo portiere dell'Inter e nel giro delle nazionali giovanili con Amelia. Quando chiesi all'Inter il motivo dello scambio, mi fu risposto che ci sarebbero stati vantaggi per tutti. Solo più tardi, quando i giornali cominciarono a occuparsi del mio caso, tutto fu chiaro. Siamo stati penalizzati come persone e calciatori, non possiamo essere acquistati da altre società perché il nostro valore è spropositato. E mi è capitato di essere insultato dai tifosi con frasi tipo: sei una plusvalenza. Adesso vivo alla giornata e non mi faccio illusioni».

da Libero di oggi.

24 settembre, 2007

IL FALSO NEL BILANCIO ONESTO (segue)

Falso in bilancio: il pm chiede il processo per Galliani.

[LaStampa.it] Il pm Carlo Nocerino ha chiesto il rinvio a giudizio di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, per falso in bilancio nell’ambito dell’indagine sul cosiddetto "doping amministrativo", la realizzazione cioè di pluvalenze fittizie legate alla compravendita di calciatori. Per quanto riguarda invece l'accusa in relazione ai nerazzurri c'è un neo in più, relativo all'attuale vicepresidente e amministratore delegato 1999-2003, Rinaldo Ghelfi, e all'ex amministratore delegato Mauro Gambaro: e cioè il fatto che, secondo i calcoli della Gdf e della Procura, senza il doping amministrativo dei bilanci nerazzurri, l'Inter non sarebbe riuscita a rientrare nei parametri previsti e perciò non avrebbe potuto iscriversi al campionato di calcio della stagione 2004-05, conclusa al terzo posto.

Anche le due società, intese come persone giuridiche, vengono coinvolte dal pm Carlo Nocerino in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da propri dirigenti nell'interesse aziendale: una prospettiva foriera di maxi-sanzioni pecuniarie nel caso di modelli organizzativi carenti o assenti, e comunque forse più insidiosa (perché quasi senza prescrizione) persino del versante personale penale, dove invece l'ipotesi contestata a Galliani è assai probabile si infranga nei brevi termini di prescrizione contemplati dalle norme sul falso in bilancio.

Lo sviluppo milanese è uno dei tanti filoni originati in tutta Italia dall'inchiesta-madre della Procura di Roma (nutritasi anche della denuncia pubblica dell'ex presidente del Bologna, Gazzoni Frascara) sul fenomeno delle operazioni "incrociate" per fare il maquillage ai bilanci delle squadre, tramite l'inserimento in contabilità delle plusvalenze apparentemente generate dalla cessione di giocatori ipervalutati: scambi di campioni di carta, in teoria contesi a suon di milioni dai maggiori club di serie A e B, ma nella realtà spesso poi mandati a giocare nelle serie minori, quasi sempre come "prestito gratuito" a dispetto delle loro teoriche valutazioni. Del resto, il meccanismo conveniva a tutti: mentre le plusvalenze (cioè la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto) venivano iscritte per intero nel conto economico, producendo così un beneficio immediato per il bilancio in chiusura, il costo dei calciatori comprati veniva ammortato in più esercizi secondo la durata del contratto.

LA CURVA DEL VICARIO (segue)

Milan, in curva affari sporchi.

[City.Corriere.it] PACE ARMATA. È quella sancita sabato tra i capi ultrà e il club. In curva sud, il rischio è uno scontro tra diversi gruppi criminali che vogliono spartirsi il lucroso business dei biglietti e non solo. Sabato sera contro il Parma hanno deciso di fare il tifo. Eppure quella tra i capi della curva sud e il Milan resta una pace a mano armata. Tanto a rischio che l'ad rossonero, Adriano Galliani, è costretto a girare con la scorta. Al centro del braccio di ferro l'inchiesta per presunte estorsioni di biglietti al club rossonero che a maggio ha portato agli arresti di 7 ultrà, tra cui Giancarlo Lombardi - indagato anche per la gambizzazione di Leonardo Avignano del 17 ottobre 2006 a Sesto San Giovanni - e Mario Diana, capi dei "Guerrieri ultrà". Gruppo egemone in curva che gestirebbe, oltre al lucroso business dei biglietti, anche un ingente traffico di droga e armi, grazie a presunti legami con la criminalità organizzata. Su tutti la 'ndrangheta e in particolare il clan Rappocciolo, famiglia calabrese presente nella zona di corso Buenos Aires. In questo senso vicino al capo ultrà Lombardi, ci sarebbe un personaggio imparentato con i Rappocciolo e in passato legato a pluripregiudicati del calibro di Nazareno Calaiò e Claudio Cagnetti, capi della banda della Barona, arrestati ad aprile per una violenta sparatoria in via Faenza.

NUOVI GRUPPI CRIMINALI - Dopo gli arresti di maggio, in curva gli equilibri si sono incrinati. La voce è insistente: Giancarlo Lombardi, tornato in libertà prima dell'estate, si sarebbe intascato parte dei soldi dei biglietti della finale di Atene. Uno sgarro che avrebbe lasciato a bocca asciutta personaggi influenti della curva. Su tutti uno dei boss di via Fleming, già indagato per l'omicidio di Rocco Lo Faro, figlio del boss calabrese Santo Pasquale Morabito. A questo punto i "Guerrieri" rischiano di essere scalzati dall'entrata in curva - frequentata da migliaia di tifosi onesti e appassionati - di nuovi gruppi criminali della zona di Lambrate. Uno scenario che venerdì scorso avrebbe spinto alcuni capi dei "Guerrieri" a incontrare quattro giocatori del Milan per costringere il club a riaprire i rubinetti dei biglietti. Un modo per riparare al danno, scongiurando possibili fatti di sangue.

La stampa di regime, domenica mattina, ha provato a raccontare la sua verità. Dico la consueta verità omogeneizzata e zuccherata, per una migliore digestione del popolo bue. In estrema sintesi, l'outing recente del bel capitano avrebbe toccato i cuori duri dei guerrieri romantici della Sud. I quali si sarebbero commossi al punto da decidere di deporre incondizionatamente le armi e ricominciare a cantare... tanto è accaduto sabato sera, a dispetto dell'ennesima comparsata in campionato. La verità vera è purtroppo quella riportata sopra, e le parole di Massimo Ambrosini nel post Milan-Parma, lette in retrospettiva, fanno solo accapponare la pelle. Trascrivo dal sito ufficiale: «Sono contento che i tifosi abbiano capito il discorso di Paolo. Oggi hanno tifato ed è stato bello perché noi abbiamo bisogno di loro e loro di noi. Conosciamo le loro richieste e credo che presto si troverà una soluzione».