25 settembre, 2007

IL BILANCIO DEL VICARIO

Milan e Inter sotto inchiesta.

Bilanci drogati? Massimo Moratti si sfila, Adriano Galliani rimane nella rete. Al patron dell'Inter basta una garbata memoria scritta (20 giugno 2007) dall'avvocato Francesco Mucciarelli per ricordare due piccoli particolari sfuggiti alla procura. ll primo, che il bilancio nerazzurro, quello del 2003, è stato chiuso il 30 giugno e pertanto è scattata la prescrizione. Il secondo, che i rilievi sul bilancio del 2004 sono cancellati dalla morte (26 gennaio 2006) di Giacinto Facchetti, il più leale degli interisti che accollandosi la presidenza della società (4 gennaio 2004) consentì al maggior azionista di fare un provvidenziale "passo indietro". In più, nella memoria il legale ha elegantemente sottolineato che il dott. Massimo non si interessa de minimis, che con i suoi petroleuro decide cessioni e acquisti solo per le grandi star. Che non sa quel che avviene nelle scuderie del calcio minore. Accettate queste spiegazioni, nelle mani e nelle carte del pm Carlo Nocerino sono rimasti solo due vecchi amministratori delegati: Mauro Gambaro e Rinaldo Ghelfi.

Nulla da fare invece per Adriano Galliani, da sempre amministratore delegato del Milan, e nel dicembre del 2004 anche presidente della società in nome e per conto di Silvio Berlusconi. Per Galliani non ha funzionato nemmeno la prima prescrizione, visto che il suo bilancio è stato chiuso il 31 dicembre 2003. Oltre che per i tre dirigenti, la procura ha richiesto il rinvio a giudizio delle due società. Falso in bilancio (art. 231), un reato ampiamente svalutato. Il gip ha due mesi per decidere sulla richiesta di Nocerino e per fissare l'udienza preliminare. Quanto dire che Inter e Milan non hanno neppure bisogno di fare "melina" per impedire che si arrivi non solo alla sentenza definitiva, ma a una sentenza qualsiasi.

L'accusa è ormai nota e digerita. Anziché «denunciare le perdite di bilancio, ripianarle o ridurre il capitale sociale», Inter e Milan inventavano e spalmavano negli anni successivi "fondi neri", plusvalenze inventate sulla compravendita di calciatori. E lo facevano spesso scambiandosi poveri calciatori, ragazzini delle formazioni primavera che neppure sapevano le cifre, per loro da capogiro, con le quali venivano solo virtualmente comprati e venduti. Non partecipavano, infatti, alle presunte trattative e in molti casi, sostituiti da sgorbi incomprensibili, neppure firmavano gli atti che li riguardavano. L'esempio più clamoroso fu il maxi-scambio del 2003. Da Milanello traslocarono alla Pinetina certi Brunelli, Deinite, Giordano e Toma. Viaggio inverso fecero Ferraro, Livi, Ticli e Varaldi (prezzo standard 3,5 milioni di euro ciascuno). I più fortunati, tra vere cessioni e prestiti, sono finiti in C2. Uno - Brunelli - al Vis Pesaro ci rimise la carriera con un serio infortunio e denunciò tutto.

Con questo sistema, applicato anche negli anni precedenti e nelle grandi compravendite, il Milan avrebbe dichiarato 19 milioni di euro di minori perdite nel bilancio 2003 e 19 in quello successivo; l'Inter, cui si contesta anche lo scambio incrociato con la Lazio Crespo/Corradi, spianò perdite latenti di 22,3 milioni nel bilancio 2003 (prescritto) e 32,4 in quello successivo. La nota più amara (per gli altri club) è che con questi parametri alterati i nerazzurri hanno ottenuto dal Co.vi.soc (Organo di vigilanza) l'iscrizione al campionato 2005/06 e quindi lo scudetto dopo la squalifica della Juve di Moggi. «Quello non lo ridiamo» disse Moratti alle prime notizie dell'inchiesta. Non ha cambiato parere. Neanche Franscesco Saverio Borrelli, ex procuratore capo di Mani Pulite e in pensione capo dell'ufficio indagini su Calciopoli, ha mai avuto dubbi in proposito: tutto prescritto, anche per la giustizia sportiva.

Da Varaldi a Deinite: i calciatori plusvalenza ora giocano in C2.

Nella stagione 2003-04 Inter e Milan misero in atto un maxi-scambio con notevole e reciproco profitto. Pescando dalla squadra Primavera, il Milan cedette ai cugini nerazzurri Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma, mettendo in bilancio plusvalenze per 10,7 milioni; l'Inter diede ai rossoneri quattro baby del suo vivaio, Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi, con plusvalenze per 12,9 milioni. Scambiandosi questi otto calciatori con valutazioni da Walt Disney, i due club milanesi diedero una sistemata al bilancio; ai baby miracolati non sembrò vero di firmare contratti quinquennali, che sarebbero scaduti nel 2008, una data che allora era molto lontana e faceva immaginare chissà qualsi sviluppi di carriera. Che naturalmente non ci sono stati.

In ossequio ai contratti, Milan e Inter, lungi dal pensare di utilizzare gli otto calciatori, in questi anni li hanno pagati 2.600 euro al mese e prestati in giro per l'Italia, in club di terza o quarta categoria. Oggi giocano ancora tutti ad eccezione del portiere Brunelli, che in C2 al Vis Pesaro, complice un infortunio a suo dire malcurato dall'Inter, lasciò il calcio e denunciò alla procura di Milano (e alla Federcalcio) il suo caso di calciatore-plusvalenza. Comprese le presunte "firme false" con cui i due club avrebbero provveduto a sistemare le cose per conto loro. La questione passò in mano agli inquirenti. E intanto, i magnifici sette, Deinite, Toma, Giordano, Livi, Ticli, Ferraro e Varaldi, più che per le imprese sul campo diventavano famosi come "plusvalenze".

Le loro valutazioni scendevano e salivano a seconda delle esigenze. Esempio: nel 2001, l'Inter mise a bilancio il centrocampista Giuseppe Ticli per 41 mila euro, salvo poi venderlo alla Reggiana in C per 1 milione; nel 2002, se lo riprese per 77 mila euro; nel giugno 2003, lo diede al Milan per 3,5 milioni. Alessandro Livi oggi è al Rovigo in C2: «Nel 2003 firmai per cinque anni col Milan a 2 mila euro al mese, metà pagati dal club rossonero e metà dall'Inter. Ogni estate tornavo a Milano e venivo ceduto regolarmente in prestito». Matteo Deinite, dopo Padova e Pizzighettone, ora è al Portogruaro in C2. Oggi invece Marco Varaldi è il portiere di riserva del Lecco in C1, e almeno fino a giugno prossimo continua a guadagnare 2.600 euro al mese. «Uno stipendio che confrontato alla mia valutazione è ridicolo -spiegò nei mesi scorsi. Quando venni ceduto al Milan avevo speranze di un certo tipo, ero stato terzo portiere dell'Inter e nel giro delle nazionali giovanili con Amelia. Quando chiesi all'Inter il motivo dello scambio, mi fu risposto che ci sarebbero stati vantaggi per tutti. Solo più tardi, quando i giornali cominciarono a occuparsi del mio caso, tutto fu chiaro. Siamo stati penalizzati come persone e calciatori, non possiamo essere acquistati da altre società perché il nostro valore è spropositato. E mi è capitato di essere insultato dai tifosi con frasi tipo: sei una plusvalenza. Adesso vivo alla giornata e non mi faccio illusioni».

da Libero di oggi.

4 commenti:

TheSteve ha detto...

Una nuova, memorabile puntata dello studiolo bulgaro del Lunedì (che quando la patata da spellare è troppo bollente, viene puntualmente lasciato nelle mani tremule del solito zimbello con il nome famoso) ha fatto registrare ieri sera un prezioso intervento chiarificatore sul tema del post... Ovviamente, sempre in terza pagina, cioè quando i bambini sono a nanna: forse per evitare brutti sogni e cattivi pensieri. Totale, il nostro splendido Azzeccagarbugli (dico lo stesso che al processo di Calciopoli aveva rimediato un'esclusione diretta dalla Champions e 8 punti di penalizzazione in campionato per il Milan, ma in compenso una pena irrisoria e poi anche lo sconto per il suo principale pelato) ha graziosamente illustrato il concetto della soggettività nella valutazione di un qualsiasi bene di proprietà, come ad esempio un calciatore. In buona sostanza, se io di mestiere sforno krapfen e all'alba trovo un pirla che me ne compra uno a 2 milioni (tanto per citare al rovescio un vecchio paradosso di Romano Bertola, il pubblicitario torinese che inventò El Merendero e Joe Condor), nessuno mi può accusare di avere supervalutato il mio bombolone solo per fare quadrare i conti in cassa. Sembrerà il teatro dell'assurdo, ma a guardarlo in controluce è tutto buon senso. D'altronde, non è l'Italia la patria del diritto? In conclusione lo studiolo ha convenuto, unanime, che è proprio vero: quindi possiamo dormire sereni. Come fa, d'altronde, quel gran cranio lucente del Vicario... Avesse osato un motto di spirito, l'avvocato avrebbe potuto affrontare la strettoia in contromano e raccontarla così: a un pirla che compra R.Oliveira per 23 milioni di euro, possiamo imputare di averne spesi 3,5 per un bambino dell'asilo? Anche in questo caso, suppongo che lo studiolo avrebbe tributato un plebiscito. Peraltro, tutti hanno omesso di snocciolare i nomi e le cifre (che sono elencate nel post). E allora vale tutto, come da buon senso. Valgono i passaporti falsi e vale il doping farmaceutico: se lo fanno gli altri, vorremo mica punirne uno per educarne cento! Con ciò, stiamo sereni che anche il doping amministrativo passerà in cavalleria. In fin dei conti, già ai tempi d'oro di Borsano (un altro torinese, però presidente del Torino, che intascò dal Berlusca pare 70 milioni di lirette in nero per Ruotino-Lentini), venivano tesserati e imputati a bilancio persino i figli della segretaria.

Oh Santa Prescrizione... pensaci tu!

PS: Mi corre l'obbligo di osservare che la noia della serata televisiva è stata ampiamente ripagata da una chicca al curaro di Serafini: (rivolto a Lippi) "ma Suma vuole più bene a Kakà o a Pato?". E chi può dirlo.

Anonimo ha detto...

I dirigenti sportivi valgono i produttori cinematografici che ai tempi belli per comprare dal tabaccaio una cambiale pagavano il bollo con un'altra cambiale. Il baraccone si regge sulla finzione, sull'inganno, sui soldi del monopoli, sui contributi del governo e soprattutto sui soldi delle televisioni, che quando cambieranno target lasceranno il calcio sull'asse dei formaggini.
Dette tutte queste cose risapute il quesito di gran fondo è: perché una società fra le più ricche del mondo deve avere una dirigenza che figura in testa ad ogni merdaio che sommerge il calcio italiano periodicamente.

E' così impossibile avere facce pulite in via Turati?

Danielone

Anonimo ha detto...

PLUSVALENZE, NON CI SONO SOLO MILAN E INTER
L'elenco è lungo...

Caso doping amministrativo: gli armadi della Procura Figc, come da noi scritto, sono strapieni. E non ci sono solo Milan e Inter, che potrebbero essere rinviate a giudizio dalla procura milanese con l'ipotesi di falso in bilancio. Da quando ha fatto la denuncia Gazzoni Frascara, ex presidente (fallito) del Bologna, l'Ufficio Indagini della Federcalcio ha tenuto nel mirino tantissimi club, in tutta Italia. Fra questi, Juve, Genoa, Udinese, Roma, Lazio, ecc. Alcune società sono già state rinviate a giudizio dalle rispettive Procure (anche se l'eventuale reato è prescritto). Sono quindi più avanti di Milano. "Così fan tutte...": questo succedeva ai tempi delle plusvalenze, non era certo una prerogativa di Galliani o Moratti. La supervalutazione dei calciatori era un'abitudine consolidata. Anche perché le norme erano (e sono) lacunose. Di sicuro, comunque, i club per iscriversi investivano decine di milioni nella ricapitalizzazione, e questo va riconosciuto. Ma Stefano Palazzi sinora non si è mai mosso: ora speriamo che si svegli. Non solo per Milan e Inter. Tutti i club davanti alla giustizia sportiva devono essere messi sullo stesso piano. C'è archiviazione, o deferimento? Le regole consentivano le plusvalenze? Si dica. Si deve sapere. E poi la giustizia sportiva non deve mai avere due velocità: perché lo scorso erano era così veloce? Lo abbiamo già scritto: questo genera troppi sospetti e polemiche. Giancarlo Abete è persona per bene: faccia chiarezza.

da: Spycalcio, del 25 settembre 2007

Anonimo ha detto...

conosco alessandro livi da un po di tempo ormai ed è davvero sprecato come giocatore di serie c2...avrebbe meritato di più... poi dicono che l'inter aiuta i giovani ma dove????