30 novembre, 2006

NOVEMBRE 2006: Nostalgia di Sheva

SENATORI

Sei mesi dopo, si torna a parlare di Sheva. Inevitabile, forse. La triste convergenza di performance deficitarie sulle sponde del Tamigi e prestazioni imbarazzanti in ogni angolo d'Italia, offre lo spunto giornalistico ideale per imbrattare le pagine a doppiovelo rosa. «L'operazione ritorno spacca il Milan: alcuni senatori si oppongono al possibile rientro dell'ucraino dal Chelsea, favorevoli invece Seedorf e Kaladze». Si dice che il tempo sia galantuomo. Molto si è raccontato e fantasticato circa il doloroso addio. Fra tutte le voci, una sola ha meritato l'onore della cronaca di questo blog: il meraviglioso affresco tratteggiato da Stefano Olivari per Indiscreto. Là si parlava (per la prima volta) di grilli parlanti e di fatali frizioni con l'allenatore. Tutto insabbiato sotto la coltre dei sorrisi aziendali e dei sondaggi bulgari nella comunicazione istituzionale: le verità del popolo bue. Ma oggi leggiamo quanto segue (a firma rigorosamente anonima):

[Gazzetta.it] Ai compagni non era piaciuto praticamente nulla del tira e molla primaverile e non era mancato un durissimo confronto negli spogliatoi di Milanello. Alcuni senatori avevano intimato ad Andriy di non coinvolgerli nella sua decisione: tra i motivi del trasferimento, insomma, non sarebbero dovuti emergere gli innegabili problemi con alcuni compagni. Anche Ancelotti, stufo della telenovela e della versione di Sheva, era stato molto chiaro: «Devi essere onesto e non nasconderti dietro a motivazioni ridicole». Poi, a Ferragosto, il bacio alla maglia del Chelsea dopo il gol nella Supercoppa inglese aveva scatenato reazioni di vario genere: c'era il Gattuso rabbioso («Non chiedetemi nulla, non posso dire quello che penso»), il Costacurta conciliante («Si è trattato di un gesto istintivo, i tifosi del Milan non devono dare troppa importanza all'episodio»), il Seedorf comprensivo («Quando si fa gol, spesso non si pensa a nulla»), l'Ambrosini distaccato ("I tifosi milanisti saranno delusi, ma Sheva è grandicello e si assume la responsabilità di quello che fa. D'altronde è un giocatore del Chelsea») e l'Ancelotti ironico («Si vede che si è affezionato in fretta alla nuova squadra...»). Oggi non si può certo immaginare che nel caso di un ritorno di Sheva verrebbero stesi tappeti rossi a Milanello. Andriy dovrebbe riguadagnarsi la fiducia e la stima del gruppo, mostrando quella disponibilità che aveva conquistato tutti nei primi anni milanesi. Poi, raccontano, all'improvviso erano cambiati il carattere e l'atteggiamento di Shevchenko, che si era un po' allontanato dal gruppo. Adesso, tra i giocatori che contano, sono favorevoli al suo ritorno solo Kaladze e Seedorf, mentre sono contrari Maldini, Costacurta e soprattutto Gattuso. Questa è la testimonianza di Kaladze: «Ho sentito Andriy una settimana fa, mi ha detto che va tutto bene, che l'inserimento procede, che in fondo era normale incontrare delle difficoltà e che a Londra vive bene e quindi non è pentito della scelta. Io, però, sarei molto felice se lui tornasse qui e credo che sarebbe accolto molto bene da tutto l'ambiente».

Per inciso, il "possibile rientro" di cui parla l'anonimo in rosa è tecnicamente impossibile a norma di regolamento: Galliani infatti ha ingaggiato un extracomunitario di troppo. Si chiama Ricardo Oliveira.

23 novembre, 2006

LA VERGINE DI JESI

Chiara Geronzi: «Roberto Mancini era socio della Gea»
(da Repubblica del 23 novembre 2005).

L'inchiesta romana sull'associazione a delinquere della Gea lascerà in lascito nuovi deferimenti sportivi. In otto stanno rischiando il rinvio a giudizio - come da chiusura indagini dei sostituti procuratori Luca Palamara e Maria Cristina Palaia - per illecita concorrenza con minacce e violenza. Tre di questi, Luciano Moggi, Luciano Gaucci e Francesco Ceravolo, nella prima metà del Duemila erano tesserati del calcio: su di loro il capo dell'Ufficio indagini Francesco Saverio Borrelli domani aprirà un'inchiesta. Per i procuratori accusati invece, e sono Alessandro Moggi, Francesco Zavaglia, Riccardo Calleri, Davide Lippi e Pasquale Gallo, si profila una sospensione dall'albo degli agenti Fifa.
Dagli interrogatori dei "figli eccellenti" emergono particolari inediti. Chiara Geronzi, figlia del banchiere Cesare, maggior azionista della Gea World, nelle sue dichiarazioni spontanee ha rivelato ai pm che la Gea nella sua prima forma - General Athletic, appunto - e stata finanziata, tra gli altri, anche da Roberto Mancini, allora attaccante e poi allenatore della Lazio, oggi allenatore dell'Inter tra i più duri avversari di Luciano Moggi e del suo mondo di riferimento. Chiara Geronzi, la cui posizione processuale va verso l'archiviazione, ha raccontato in procura: «La Gea-General Athletic nasce dall'iniziativa di un gruppo di ragazzi che si conoscevano. Io, pur lavorando al Tg5, mi trovavo in un momento difficile e non mi sentivo adeguatamente gratificata. I giornali misero presto in cattiva luce la nuova società. Soci fondatori siamo stati io, Francesca Tanzi, Andrea Cragnotti e Giuseppe De Mita. Non so se di questa iniziativa parlarono anche i nostri genitori. Le quote societarie erano queste: il 20% lo detenevo io, il 20% la Tanzi, il 20% Cragnotti a poi c'era un 40% in mano alla società Roma Fides, fiduciaria composta da Giuseppe De Mita e Roberto Mancini».
Sopra il nome della "Roma Fides" c'e stato a lungo un alone di mistero. L'interrogatorio della Geronzi offre un nuovo scenario e chiama in causa Mancini, che in passato ha smentito più volte una sua presenza nella contestata società. Continua la Geronzi: «Nell'ottobre 2001 nacque per fusione la Gea World e io venni nominata presidente, solo per pochi giorni... La sede la scelsi io su indicazione di mio padre, l'immobile era di una società riconducibile alla Banca di Roma. In realtà cominciavo a perdere interesse per questa società che si concentrava sempre più sull'acquisizione di procure sportive. Come giornalista mi stavo realizzando, poi mi sono sposata e ho avuto due figlie. Dalla Gea non ho mai percepito utili, Zavaglia mi diceva che i ricavi servivano a coprire i costi. Intendevo distaccarmi, ma questa decisione era stata rinviata perché avrebbe potuto influire negativamente sulla nostra immagine. Sulle scelte, Alessandro Moggi e Zavaglia non mi interpellavano mai. Sapevo dell'inchiesta Figc sul conflitto di interessi, ma non le diedi molto peso. Luciano Gaucci l'ho conosciuto perché era un cliente delta Banca di Roma. Perché lo invitai al mio matrimonio? Un gesto di cortesia dopo aver ricevuto da lui un quadro».
Nel suo interrogatorio Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e anche lui vicino all'archiviazione, si definisce l'ideatore della Gea e racconta: «Parlai del mio progetto agli amici Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti. Ne parlai anche con Chiara Geronzi, che all'epoca frequentavo perché fidanzata con uno dei miei migliori amici, Marco Mezzaroma. Venne coinvolta da questa idea e sin dall'inizio la appassionò. Quando mi sono allontanato le quote le ho versate a Chiara Geronzi, che mi ha versato solo una parte del corrispettivo. Nel 2003 ho guadagnato 34.000 euro, unico utile incassato, poi sono tornato alla Lazio. Tentai di rientrare alla Gea, ma Alessandro Moggi mi disse che non voleva più lavorare con me. Se fossi entrato io, lui se ne sarebbe andato. Chiara Geronzi? Per me non spese neppure una parola».

18 novembre, 2006

MOMENTI SENZA TEMPO

SERIE B TIM 2006-2007
Dodicesima Giornata, sabato 18 novembre 2006
Stadio Atleti Azzurri d'Italia di Bergamo

ALBINOLEFFE–JUVENTUS 1–1
RETI: 25 p.t. Joelson (rigore), 7 s.t. Palladino.

ALBINOLEFFE: Acerbis; Innocenti, Donadoni, Santos, Garlini; Belingheri (8 s.t. Gori) Del Prato, Poloni, Colombo; Joelson (47 s.t. Bonazzi), Ferrari (14 s.t. Cellini)
A disposizione: Marchetti, Previtali, Rabito, Cristiano.
Allenatore: Mondonico (squalificato), in panchina Casati.
JUVENTUS: Buffon, Birindelli, Boumsong, Chiellini, Balzaretti; Camoranesi, Paro, Zanetti (42 s.t. Marchisio), Nedved; Bojinov (25 p.t. Mirante), Palladino.
A disposizione: Zebina, Urbano, Kovac, De Ceglie, Maniero.
Allenatore: Deschamps.

ARBITRO: Brighi di Cesena.
AMMONITI: 3 s.t. Innocenti, 8 s.t. Santos, 27 s.t. Camoranesi, 41 s.t. Colombo.
ESPULSI: 24 p.t. Buffon.

04 novembre, 2006

POUR PARLER

La farsa di Calciopoli si è chiusa ufficialmente con le sentenze della Camera di Conciliazione e Arbitrato Coni. Si è chiusa un venerdì sera, con splendido tempismo: ovvero, ventiquattr'ore prima del Derby con gli Onesti. Uno si domanda, ma perché un venerdì sera? Lo definirei un cameo d'autore, l'ultimo colpo di teatro concepito dagli Sceneggiatori del più grande reality show che il mondo dello spettacolo abbia messo in scena (ad oggi) sul tema. Altro che «Campioni», il Cervia, la D'Amico... Davvero Calciopoli non è stato mai - ma neppure per un giorno - un processo di giustizia sportiva! Sin dall'Atto Primo. Il giorno in cui le cartelle dell'inchiesta "Off-side" dalle Procure di Napoli e Torino finirono sui tavoli delle redazioni giornalistiche (e di lì, sui proverbiali banconi dei gelati del «Camillo» di Christian Rocca), Calciopoli - già Moggiopoli, o come vezzosamente ha creduto di riformulare, ex post, il doppiovelo rosa: "Calciocaos" - è stato un grande processo di piazza, celebrato attraverso i media, e per il controllo dei media. Un processo mediatico tout court: bibliografia sufficiente per scrivere un trattato sul valore della verità e la "fabbrica del consenso" secondo Noam Chomsky. Mi sono ampiamente dilungato, in corso d'opera (dalle inchieste di Borrelli ai deferimenti di Sandulli, alle sentenze di Palazzi, alle controsentenze di Ruperto), a documentare il percorso logico che, attraverso linee editoriali concordate dalle principali testate giornalistiche nazionali, ha prodotto il sentimento collettivo che è divenuto infine consenso, presso la giuria popolare del più ampio movimento di piazza poi sfociato in un'autentica Onestopoli: il golpe bianco dello straordinario Commissario Telecom, la pantomima dei Tre Saggi artatamente ispirati dall'Uefa e l'happy-end, già scritto a maggio, dello Scudetto di legno ai Perdenti.

Ma in retrospettiva, ciò che più atterrisce (con un occhio alle sorti prossime del nostro vituperato blasone) è la constatazione inequivocabile che il potente Signore di tutte le Antenne, il più grande comunicatore dell'ultimo trentennio di storia italiana, il self-made man capace di costituire un partito politico dal nulla e salire in un anno al Quirinale con il consenso espresso nelle urne elettorali dal Popolo Italiano - nonché, incidentalmente, il Presidente dell'A.C. Milan - è stato affrontato per l'appunto sul terreno di battaglia della comunicazione (il suo terreno di competenza) e attraverso i media (le sue armi privilegiate): là è stato affrontato, e così è stato demolito. Dai silenzi sdegnosi e ostinati, agli outing pre-elettorali ("a me gli scudetti"), allo stucchevole teorema della persecuzione personale: ogni parola spesa o non spesa dalla dirigenza si è rivelata, con proverbiale regolarità, un passo falso capace di produrre effetti devastanti. Sicché di questo stiamo parlando: del definitivo annientamento di un centro di potere ("grumo" nel lessico radical chic del poliziotto Borrelli). Il centro di potere che, tramite il controllo di una carica istituzionale chiave dell'ordinamento sportivo (la presidenza della Lega Nazionale Professionisti), "rappresenta, su delega specifica rilasciata per ogni singolo contratto e da ogni singola società, le società che partecipano alle competizioni agonistiche ufficiali limitatamente alla cessione per la diffusione sul solo territorio italiano dei diritti televisivi degli highlights in chiaro e in differita dei Campionati di Serie A e di Serie B" (art. 1 del Regolamento L.N.P). Ovvero, distribuisce alle società per azioni del calcio italiano la voce di entrata primaria di bilancio.

La ripartizione dei diritti televisivi è infatti "il tema di attenzione prioritario nel quale trova origine e spiegazione - affermava già in premessa il Capo Ufficio Indagini nella sua relazione - la fitta rete dei rapporti intercorsi tra soggetti a vario titolo partecipanti al mondo del calcio". L'inibizione di Adriano Galliani "a svolgere ogni attività in seno alla F.I.G.C., a ricoprire cariche federali ed a rappresentare le società nell'ambito federale, indipendentemente all'eventuale rapporto di lavoro" (art. 14, Titolo II del c.g.s.) non è stata, pertanto, una sanzione sportiva: ciò di cui il Popolo Rossonero nella sua totalità (fatto salvo lo sdegno di un paio di scribacchini di corte) sarebbe stato grato a Borrelli per i tempi a venire. L'ineffabile Vicario ha preservato infatti le mansioni istituzionali, con il silenzioso beneplacito del Presidente, e perseverato nel produrre danni irreparabili per il Club: tanto a livello d'immagine, affidando le proprie farneticanti esternazioni al maggiordomo Cantamessa, quanto soprattutto di gestione, sperperando le poche risorse messe a disposizione dalla proprietà con operazioni di mercato imbarazzanti (18 milioni di euro più Vogel per Ricardo Oliveira, per dire la più grossa) oltre che deleterie. Ne stiamo raccogliendo i frutti sul campo. L'inibizione di Adriano Galliani ha avuto l'unica evidente valenza del colpo di grazia ai gangli vitali del centro di potere espresso dal Presidente di Lega. Da quel momento, la ripartizione dei diritti televisivi non è più controllata da un dirigente Fininvest e non è più garantita dalla controparte criminosa del patto d'acciaio con la Giovanni Agnelli & C., la cupola di Big Luciano.

L'Ultimo Atto della farsa è dunque lo sconto sostanzioso per tutti i Club penalizzati, tutti meno il Milan! L'Avvocato del Diavolo insorge, si noti bene, non già per difendere gli interessi sportivi di squadra e tifosi (8 punti di handicap nel campionato in corso e 30 in quello passato, con conseguente esclusione dal girone a classifica di Champions League), bensì gli interessi particolari dell'A.D. o forse, sarebbe più corretto dire, del dirigente Fininvest. Emerge uno scenario maleodorante (e tipicamente italiota) di accordi sottobanco fra le controparti legali, coerente tuttavia con i patteggiamenti più o meno espliciti fra dirigenza sabauda del nuovo corso e Federazione (niente ricorso al Tar in cambio "della Serie B con una congrua penalizzazione in punti"). Ancora una volta, il nostro antennista brianzolo viene sorpreso con le dita nel barattolo della marmellata: disonesto quanto gli altri, solo un po' più pirla, dal momento che a giugno tenta di barattare un tornaconto personale (a danno del Milan) per raccogliere a novembre le beffe di Rossi e Borrelli. Così recita oggi lo splendido neo Commissario Pancalli: «Prima di affrontare la conciliazione ho sentito telefonicamente il professor Nicoletti, che mi ha negato l'esistenza di un'intesa con Galliani. L'allora vice commissario mi ha spiegato che si trattava soltanto di un pour parler. Così, per rispettare una linea di coerenza, abbiamo deciso di non conciliare e di mandare tutto all'arbitrato». In buona sostanza, non esistevano accordi scritti né formali, ma un "gentleman agreement" (per l'appunto...) in base al quale l'A.C. Milan accettava di mantenere un profilo basso difronte ai media, per ricevere in cambio dalla Camera di Conciliazione uno sconto sulla squalifica di nove mesi a Galliani (che scadrà il 14 aprile 2007) e non sui punti di penalizzazione alla squadra: in questo modo, dal primo di gennaio, il nostro disinibito Vicario avrebbe potuto fare la sua trionfale rentrèe in Lega, e ricominciare a spartire le fette della torta delle televisioni.