30 settembre, 2007

29 settembre, 2007

31 IN BLUES

[Football.Guardian.co.uk] When Premier League clubs make a managerial appointment, it is generally the done thing to introduce him to supporters before his first home game. Chelsea's powerbrokers have said all the right things about their new man, insisting he enjoys their full support and confidence for the long-term. Yet, in the countdown to kick-off in Saturday's west London derby, there was no call to give a warm Stamford Bridge welcome to Avram Grant. Grant has problems and, as with Mourinho before him, Andriy Shevchenko is among the biggest of them. Grant gave the former Milan striker a free role behind Drogba at the start, and would later press him further up the field. He asked him to take free-kicks. He could not have given him a more prominent platform. But Shevchenko could do nothing right and, the harder he tried, the worse it became. It was painful to watch.

Russian tycoon Roman Abramovich with supporters on the South Stand instead of sitting in his personal Box [Times Online]Shevchenko, the first out of the dressing room after full-time, headed straight to the airport for a flight to Milan, where he celebrated his 31st birthday. His heart appears to be there, not in London. Roman Abramovich surveyed all from a seat high in the Shed End. The club's owner eschewed the security of his executive box and bodyguards to sit, together with the director Eugene Tenenbaum, alongside supporters of all shapes and sizes, seemingly to try to more accurately gauge the mood.

"He did it at Lazio in the Champions League [in 2003] and I think he has done it one or two other times," said Bruce Buck, the chairman. "He is a fan and he would like to be with the fans. I don't think it was anything philosophical or deep-thinking". Abramovich buried his head in his hands when Shevchenko was substituted, smiled when a boy showed him his Ronaldinho No10 shirt and, after Drogba's sending-off, he witnessed the outpouring of anger and frustration. One fan threw down his shirt and delivered an expletive-fuelled tirade. Grant has got it all to do.

25 settembre, 2007

IL BILANCIO DEL VICARIO

Milan e Inter sotto inchiesta.

Bilanci drogati? Massimo Moratti si sfila, Adriano Galliani rimane nella rete. Al patron dell'Inter basta una garbata memoria scritta (20 giugno 2007) dall'avvocato Francesco Mucciarelli per ricordare due piccoli particolari sfuggiti alla procura. ll primo, che il bilancio nerazzurro, quello del 2003, è stato chiuso il 30 giugno e pertanto è scattata la prescrizione. Il secondo, che i rilievi sul bilancio del 2004 sono cancellati dalla morte (26 gennaio 2006) di Giacinto Facchetti, il più leale degli interisti che accollandosi la presidenza della società (4 gennaio 2004) consentì al maggior azionista di fare un provvidenziale "passo indietro". In più, nella memoria il legale ha elegantemente sottolineato che il dott. Massimo non si interessa de minimis, che con i suoi petroleuro decide cessioni e acquisti solo per le grandi star. Che non sa quel che avviene nelle scuderie del calcio minore. Accettate queste spiegazioni, nelle mani e nelle carte del pm Carlo Nocerino sono rimasti solo due vecchi amministratori delegati: Mauro Gambaro e Rinaldo Ghelfi.

Nulla da fare invece per Adriano Galliani, da sempre amministratore delegato del Milan, e nel dicembre del 2004 anche presidente della società in nome e per conto di Silvio Berlusconi. Per Galliani non ha funzionato nemmeno la prima prescrizione, visto che il suo bilancio è stato chiuso il 31 dicembre 2003. Oltre che per i tre dirigenti, la procura ha richiesto il rinvio a giudizio delle due società. Falso in bilancio (art. 231), un reato ampiamente svalutato. Il gip ha due mesi per decidere sulla richiesta di Nocerino e per fissare l'udienza preliminare. Quanto dire che Inter e Milan non hanno neppure bisogno di fare "melina" per impedire che si arrivi non solo alla sentenza definitiva, ma a una sentenza qualsiasi.

L'accusa è ormai nota e digerita. Anziché «denunciare le perdite di bilancio, ripianarle o ridurre il capitale sociale», Inter e Milan inventavano e spalmavano negli anni successivi "fondi neri", plusvalenze inventate sulla compravendita di calciatori. E lo facevano spesso scambiandosi poveri calciatori, ragazzini delle formazioni primavera che neppure sapevano le cifre, per loro da capogiro, con le quali venivano solo virtualmente comprati e venduti. Non partecipavano, infatti, alle presunte trattative e in molti casi, sostituiti da sgorbi incomprensibili, neppure firmavano gli atti che li riguardavano. L'esempio più clamoroso fu il maxi-scambio del 2003. Da Milanello traslocarono alla Pinetina certi Brunelli, Deinite, Giordano e Toma. Viaggio inverso fecero Ferraro, Livi, Ticli e Varaldi (prezzo standard 3,5 milioni di euro ciascuno). I più fortunati, tra vere cessioni e prestiti, sono finiti in C2. Uno - Brunelli - al Vis Pesaro ci rimise la carriera con un serio infortunio e denunciò tutto.

Con questo sistema, applicato anche negli anni precedenti e nelle grandi compravendite, il Milan avrebbe dichiarato 19 milioni di euro di minori perdite nel bilancio 2003 e 19 in quello successivo; l'Inter, cui si contesta anche lo scambio incrociato con la Lazio Crespo/Corradi, spianò perdite latenti di 22,3 milioni nel bilancio 2003 (prescritto) e 32,4 in quello successivo. La nota più amara (per gli altri club) è che con questi parametri alterati i nerazzurri hanno ottenuto dal Co.vi.soc (Organo di vigilanza) l'iscrizione al campionato 2005/06 e quindi lo scudetto dopo la squalifica della Juve di Moggi. «Quello non lo ridiamo» disse Moratti alle prime notizie dell'inchiesta. Non ha cambiato parere. Neanche Franscesco Saverio Borrelli, ex procuratore capo di Mani Pulite e in pensione capo dell'ufficio indagini su Calciopoli, ha mai avuto dubbi in proposito: tutto prescritto, anche per la giustizia sportiva.

Da Varaldi a Deinite: i calciatori plusvalenza ora giocano in C2.

Nella stagione 2003-04 Inter e Milan misero in atto un maxi-scambio con notevole e reciproco profitto. Pescando dalla squadra Primavera, il Milan cedette ai cugini nerazzurri Simone Brunelli, Matteo Deinite, Matteo Giordano e Ronny Toma, mettendo in bilancio plusvalenze per 10,7 milioni; l'Inter diede ai rossoneri quattro baby del suo vivaio, Salvatore Ferraro, Alessandro Livi, Giuseppe Ticli e Marco Varaldi, con plusvalenze per 12,9 milioni. Scambiandosi questi otto calciatori con valutazioni da Walt Disney, i due club milanesi diedero una sistemata al bilancio; ai baby miracolati non sembrò vero di firmare contratti quinquennali, che sarebbero scaduti nel 2008, una data che allora era molto lontana e faceva immaginare chissà qualsi sviluppi di carriera. Che naturalmente non ci sono stati.

In ossequio ai contratti, Milan e Inter, lungi dal pensare di utilizzare gli otto calciatori, in questi anni li hanno pagati 2.600 euro al mese e prestati in giro per l'Italia, in club di terza o quarta categoria. Oggi giocano ancora tutti ad eccezione del portiere Brunelli, che in C2 al Vis Pesaro, complice un infortunio a suo dire malcurato dall'Inter, lasciò il calcio e denunciò alla procura di Milano (e alla Federcalcio) il suo caso di calciatore-plusvalenza. Comprese le presunte "firme false" con cui i due club avrebbero provveduto a sistemare le cose per conto loro. La questione passò in mano agli inquirenti. E intanto, i magnifici sette, Deinite, Toma, Giordano, Livi, Ticli, Ferraro e Varaldi, più che per le imprese sul campo diventavano famosi come "plusvalenze".

Le loro valutazioni scendevano e salivano a seconda delle esigenze. Esempio: nel 2001, l'Inter mise a bilancio il centrocampista Giuseppe Ticli per 41 mila euro, salvo poi venderlo alla Reggiana in C per 1 milione; nel 2002, se lo riprese per 77 mila euro; nel giugno 2003, lo diede al Milan per 3,5 milioni. Alessandro Livi oggi è al Rovigo in C2: «Nel 2003 firmai per cinque anni col Milan a 2 mila euro al mese, metà pagati dal club rossonero e metà dall'Inter. Ogni estate tornavo a Milano e venivo ceduto regolarmente in prestito». Matteo Deinite, dopo Padova e Pizzighettone, ora è al Portogruaro in C2. Oggi invece Marco Varaldi è il portiere di riserva del Lecco in C1, e almeno fino a giugno prossimo continua a guadagnare 2.600 euro al mese. «Uno stipendio che confrontato alla mia valutazione è ridicolo -spiegò nei mesi scorsi. Quando venni ceduto al Milan avevo speranze di un certo tipo, ero stato terzo portiere dell'Inter e nel giro delle nazionali giovanili con Amelia. Quando chiesi all'Inter il motivo dello scambio, mi fu risposto che ci sarebbero stati vantaggi per tutti. Solo più tardi, quando i giornali cominciarono a occuparsi del mio caso, tutto fu chiaro. Siamo stati penalizzati come persone e calciatori, non possiamo essere acquistati da altre società perché il nostro valore è spropositato. E mi è capitato di essere insultato dai tifosi con frasi tipo: sei una plusvalenza. Adesso vivo alla giornata e non mi faccio illusioni».

da Libero di oggi.

24 settembre, 2007

IL FALSO NEL BILANCIO ONESTO (segue)

Falso in bilancio: il pm chiede il processo per Galliani.

[LaStampa.it] Il pm Carlo Nocerino ha chiesto il rinvio a giudizio di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, per falso in bilancio nell’ambito dell’indagine sul cosiddetto "doping amministrativo", la realizzazione cioè di pluvalenze fittizie legate alla compravendita di calciatori. Per quanto riguarda invece l'accusa in relazione ai nerazzurri c'è un neo in più, relativo all'attuale vicepresidente e amministratore delegato 1999-2003, Rinaldo Ghelfi, e all'ex amministratore delegato Mauro Gambaro: e cioè il fatto che, secondo i calcoli della Gdf e della Procura, senza il doping amministrativo dei bilanci nerazzurri, l'Inter non sarebbe riuscita a rientrare nei parametri previsti e perciò non avrebbe potuto iscriversi al campionato di calcio della stagione 2004-05, conclusa al terzo posto.

Anche le due società, intese come persone giuridiche, vengono coinvolte dal pm Carlo Nocerino in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi da propri dirigenti nell'interesse aziendale: una prospettiva foriera di maxi-sanzioni pecuniarie nel caso di modelli organizzativi carenti o assenti, e comunque forse più insidiosa (perché quasi senza prescrizione) persino del versante personale penale, dove invece l'ipotesi contestata a Galliani è assai probabile si infranga nei brevi termini di prescrizione contemplati dalle norme sul falso in bilancio.

Lo sviluppo milanese è uno dei tanti filoni originati in tutta Italia dall'inchiesta-madre della Procura di Roma (nutritasi anche della denuncia pubblica dell'ex presidente del Bologna, Gazzoni Frascara) sul fenomeno delle operazioni "incrociate" per fare il maquillage ai bilanci delle squadre, tramite l'inserimento in contabilità delle plusvalenze apparentemente generate dalla cessione di giocatori ipervalutati: scambi di campioni di carta, in teoria contesi a suon di milioni dai maggiori club di serie A e B, ma nella realtà spesso poi mandati a giocare nelle serie minori, quasi sempre come "prestito gratuito" a dispetto delle loro teoriche valutazioni. Del resto, il meccanismo conveniva a tutti: mentre le plusvalenze (cioè la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto) venivano iscritte per intero nel conto economico, producendo così un beneficio immediato per il bilancio in chiusura, il costo dei calciatori comprati veniva ammortato in più esercizi secondo la durata del contratto.

LA CURVA DEL VICARIO (segue)

Milan, in curva affari sporchi.

[City.Corriere.it] PACE ARMATA. È quella sancita sabato tra i capi ultrà e il club. In curva sud, il rischio è uno scontro tra diversi gruppi criminali che vogliono spartirsi il lucroso business dei biglietti e non solo. Sabato sera contro il Parma hanno deciso di fare il tifo. Eppure quella tra i capi della curva sud e il Milan resta una pace a mano armata. Tanto a rischio che l'ad rossonero, Adriano Galliani, è costretto a girare con la scorta. Al centro del braccio di ferro l'inchiesta per presunte estorsioni di biglietti al club rossonero che a maggio ha portato agli arresti di 7 ultrà, tra cui Giancarlo Lombardi - indagato anche per la gambizzazione di Leonardo Avignano del 17 ottobre 2006 a Sesto San Giovanni - e Mario Diana, capi dei "Guerrieri ultrà". Gruppo egemone in curva che gestirebbe, oltre al lucroso business dei biglietti, anche un ingente traffico di droga e armi, grazie a presunti legami con la criminalità organizzata. Su tutti la 'ndrangheta e in particolare il clan Rappocciolo, famiglia calabrese presente nella zona di corso Buenos Aires. In questo senso vicino al capo ultrà Lombardi, ci sarebbe un personaggio imparentato con i Rappocciolo e in passato legato a pluripregiudicati del calibro di Nazareno Calaiò e Claudio Cagnetti, capi della banda della Barona, arrestati ad aprile per una violenta sparatoria in via Faenza.

NUOVI GRUPPI CRIMINALI - Dopo gli arresti di maggio, in curva gli equilibri si sono incrinati. La voce è insistente: Giancarlo Lombardi, tornato in libertà prima dell'estate, si sarebbe intascato parte dei soldi dei biglietti della finale di Atene. Uno sgarro che avrebbe lasciato a bocca asciutta personaggi influenti della curva. Su tutti uno dei boss di via Fleming, già indagato per l'omicidio di Rocco Lo Faro, figlio del boss calabrese Santo Pasquale Morabito. A questo punto i "Guerrieri" rischiano di essere scalzati dall'entrata in curva - frequentata da migliaia di tifosi onesti e appassionati - di nuovi gruppi criminali della zona di Lambrate. Uno scenario che venerdì scorso avrebbe spinto alcuni capi dei "Guerrieri" a incontrare quattro giocatori del Milan per costringere il club a riaprire i rubinetti dei biglietti. Un modo per riparare al danno, scongiurando possibili fatti di sangue.

La stampa di regime, domenica mattina, ha provato a raccontare la sua verità. Dico la consueta verità omogeneizzata e zuccherata, per una migliore digestione del popolo bue. In estrema sintesi, l'outing recente del bel capitano avrebbe toccato i cuori duri dei guerrieri romantici della Sud. I quali si sarebbero commossi al punto da decidere di deporre incondizionatamente le armi e ricominciare a cantare... tanto è accaduto sabato sera, a dispetto dell'ennesima comparsata in campionato. La verità vera è purtroppo quella riportata sopra, e le parole di Massimo Ambrosini nel post Milan-Parma, lette in retrospettiva, fanno solo accapponare la pelle. Trascrivo dal sito ufficiale: «Sono contento che i tifosi abbiano capito il discorso di Paolo. Oggi hanno tifato ed è stato bello perché noi abbiamo bisogno di loro e loro di noi. Conosciamo le loro richieste e credo che presto si troverà una soluzione».

TIME TO TALK

Andrei Shevchenko in not-so-splendid isolation.

[Telegraph.co.uk] As a matter of urgency, Avram Grant needs to sit down and have a full and frank discussion with Andrei Shevchenko judging by his performance at Old Trafford. For some reason, the Ukrainian striker just could not get into the game and I think at one point he went 15 minutes without even touching the ball.

A player of Shevchenko's experience should have ensured he got into the game but he failed to fulfil his part of the bargain when it comes to the 4-3-3 formation used initially by Chelsea yesterday. It's up to Shevchenko to get the ball and give marauding midfielders like Michael Essien and John Obi Mikel the chance to run off him into dangerous positions. But far too often the midfielders would have been asking 'where are you' when they were in possession and were unable to get into attacking positions which left Shevchenko looking isolated.

In contrast to Shevchenko, Wayne Rooney was something of a free spirit. That's because he is told to start out as an orthodox centre-forward, but he's given the freedom to occupy any threatening position where he thinks he can do some damage. He was a joy to watch yesterday. Everything was quick and simple and he read the game brilliantly. It bodes well for United and England.

As far as Chelsea are concerned, the sooner Didier Drogba returns the better, and that will not necessarily mean good news for Shevchenko. They just do not hit it off together. But then again, Drogba is probably best left to his own devices because he's a formidable attacker on his own who doesn't worry about having any other strikers for company.

Shevchenko wasn't the only player who failed to rise to the occasion yesterday. Even before Joe Cole and Florent Malouda were pulled back to create a 4-4-1 system following Mikel's dismissal, their running crucially lacked aggression. To make the 4-3-3 system work, wingers must remain in high positions to support the striker. That's another area for improvement.

21 settembre, 2007

LA CURVA DEL VICARIO (segue)

Caso ultras e sciopero del tifo: Galliani gira sotto scorta.

[Gazzetta.it] Gelo a San Siro, paura fuori: allo stadio comandano i boss della curva Sud. La questura di Milano sta indagando da tempo, intanto il vicepresidente rossonero da maggio viene seguito 24 ore su 24 da una pattuglia di agenti. Adriano Galliani, 63 anni, in gennaio era stato chiamato in Procura a Monza per un'inchiesta sui rapporti con gli ultrà. L’intervista di Paolo Maldini, rilasciata ieri alla Gazzetta, scuote l’ambiente milanista. Si discute, e tutti danno ragione al capitano, sul silenzio dei tifosi della curva e pure di quelli degli altri settori, sui fischi a Gilardino e sugli applausi ironici a Dida. «Non mi sembra logico che la curva non ci sostenga — ha dichiarato Maldini — San Siro è sempre stato magico: adesso stiamo perdendo questa magia». I compagni, i tecnici e i dirigenti si schierano al fianco del capitano, pur sapendo che dietro la protesta del pubblico ci sono questioni molto più gravi di un gol sbagliato o di una “papera” e sulle quali, da almeno sei mesi, sta indagando la polizia.

Il silenzio di San Siro, di tutto San Siro, è figlio delle minacce. Questo è un fatto acclarato. I cosiddetti padroni della curva Sud impediscono agli altri di fare il tifo e, siccome si sta parlando di persone che hanno già ricevuto avvisi di garanzia per tentato omicidio e altri reati, c’è ben poco da scherzare. La questura di Milano, che sta lavorando a pieno ritmo su questa faccenda che puzza di criminalità ordinaria e organizzata, ha piazzato agenti in borghese, in curva, durante le partite interne del Milan. Ancora, tuttavia, non si è arrivati alla conclusione delle indagini che, lo dicono espressamente i dirigenti della questura, è difficile e complessa.

Dalla metà di maggio, cioè da poco prima prima della finale di Champions League di Atene, anche Adriano Galliani è oggetto di pesanti minacce e il ministero dell’Interno gli ha assegnato una scorta ventiquattr’ore su ventiquattro. I boss della curva Sud pretendono dalla società ciò che la società non può dare: biglietti e altri favori da gestire direttamente con gli altri tifosi. Tutto ciò è in contrasto con la legge e con il decreto Amato, emesso dopo i tragici fatti di Catania del febbraio scorso. I biglietti, infatti, adesso sono nominali e, per quanto ci possano essere negligenze nei controlli, i club o le società che gestiscono la vendita possono cederli soltanto se viene presentato un documento d’identità. In caso contrario, cioè se dessero un quantitativo di tagliandi in mano ai tifosi affinché fossero loro a distribuirli (ovviamente a prezzi maggiorati), sarebbero perseguibili penalmente. Questo clima di ricatto spiega gli striscioni anti-Galliani, che nella scorsa stagione sono stati esposti a San Siro, e il silenzio degli ultimi giorni. Unica ribellione a Montecarlo per la Supercoppa europea: in quel caso il pubblico sano è andato contro gli ordini dei capi ultrà e ha gridato “forza Milan”.

Curiosamente, il giorno successivo alle mie riflessioni sul pubblico di San Siro, il bel capitano ha parlato. Non dico il capitano sul campo (perché lì c'è solo un Capitano) ma quello che parla nello spogliatoio e in campo non si vede dalla comparsata di maggio ad Atene. Dico curiosamente, perché in vent'anni di onorata carriera - prevalentemente con la fascia bianca al braccio - di parole da Capitano ne ha spese un po' poche: si contano sulle dita di una sola mano. (Si confronti, all'uopo, la considerevole letteratura già esistente in materia alla voce Gennaro Ivan). Diventa tanto più loquace, osservo, quanto più si avvicina l'ora di appendere le scarpette al fatidico chiodo. E parla dunque del pubblico di San Siro, cioè di me e di quelle quattro decine di migliaia di inguaribili romantici che - malgrado il "Dna europeo" del club - hanno scelto anche quest'anno il campionato allo stadio e il cuscinetto invece che la poltrona e il telecomando. Bontà sua, ci concede almeno un distinguo: parla della curva e parla dei «tifosi degli altri settori». Dei primi, si rammarica per la scarsa riconoscenza e ne reclama il sostegno: «con il loro aiuto non avremmo perso il derby di ritorno» (sic!). Dei secondi, racconta che pure loro se ne stanno zitti. L'illuminato estensore dell'articolo rosa che riporto sopra, dal canto suo, non coglie il distinguo e sostiene che «il silenzio di San Siro, di tutto San Siro, è figlio delle minacce».

Gulp! Per onore del vero, vorrei innanzi tutto tranquillizzare questo signore: in trent'anni di abbonamenti allo stadio, non ho mai ricevuto minacce da un capo ultras per un coro o un applauso. Anche perché non siedo (più) in curva. Quando resto in silenzio è perché lo spettacolo non merita un commento. Il silenzio è lecito, i fischi sono altra cosa. I tifosi che fischiano - ce ne sono e ce ne son sempre stati, anche ai tempi di Rivera - di fatto, li mando regolarmente a... "vedere l'Inter" perché la maglia, a casa nostra, non si fischia. Mai! Il sostegno a prescindere (dallo spettacolo), invece no: a uno spettatore pagante non lo puoi chiedere. Lo puoi chiedere ai collaboratori esterni della società, che siedono in curva e che, fino al decreto Amato, potevano gestire la distribuzione dei biglietti e i summenzionati altri favori. Errata corrige: «i boss della Sud pretendono dalla società ciò che la società non può più dare»... l'avverbio corsivo mancante fa differenza. Ora che la festa è finita e gli antichi privilegi sono decaduti, il giro d'affari degli ultras si è notevolmente ridimensionato, e al nostro smemorato Vicario occorre circolare con i body-guard a tempo pieno: sospetto, peraltro, che l'ennesima emulazione del suo principale lo compiaccia.

La connivenza strisciante fra società, calciatori, allenatori e frange estreme del tifo è già stata svelata dai pochi cronisti e protagonisti che hanno trovato il coraggio di spezzare una catena di silenzio a dir poco omertoso. Come commentavo l'altro giorno, questa triste realtà è uno dei fattori che hanno allontanato i sostenitori sani (ad esempio, le famiglie) dallo stadio. Il silenzio della curva dovrebbe essere, quindi, salutato con un'ovazione dal pubblico civile. Che avrebbe poi il dovere morale di sollevarsi in una selva di fischi, nel momento in cui dalla curva salgono le solite risapute invettive: non solo quelle contro Polizia e Carabinieri, ma soprattutto quelle contro i tifosi che denunciano - per dirne una recente - i lanciatori di petardi e di biglie d'acciaio. Il nostro stimato capitano - che per dirne un'altra, da oltre vent'anni campa da v.i.p. grazie anche all'obolo stagionale versato non già dagli ultras, ma dai «tifosi degli altri settori» - dovrebbe se mai rammaricarsi di non sentire questo genere di "fischi civili". Oppure potrebbe spendere una parola per allargare il ragionamento ai fischi incivili di tutto San Siro - cioè di tutto il suo stadio - a un inno della nazionale. Dice bene Maldini, stiamo perdendo anche quella magia.

20 settembre, 2007

THE SPECIAL GONE

«Chelsea Statement: Chelsea Football Club and José Mourinho have agreed to part company today (Thursday) by mutual consent». Punto. Con questo laconico comunicato, il sito dei Blues scrive la parola fine all'era dell'allenatore molto speciale. Clamoroso quanto inatteso per il tempismo della risoluzione, l'addio del portoghese mi procura emozioni contraddittorie. Da un lato il sollievo per il Balon d'Or, che a partire da domenica potrà giocare forse a cuor leggero. Da un altro, vedo il capolinea di un sogno di mezza estate... In qualsiasi caso, chapeau a Mourinho: un uomo vero.

19 settembre, 2007

SHEVA (& PIPPO) ON 60!

Milestone of 60th-goal for striker Andriy Shevchenko.

Andriy Shevchenko saved the blues for Chelsea with his equaliser in a frustrating 1-1 home draw with Rosenborg at Stamford Bridge. The 31-year-old striker, a £30 million ($90m) buy from Italian giants AC Milan in May 2006, had been criticised for scoring only 14 goals in 52 appearances for the Blues. But he repaid some of that fee with a face-saving second-half header goal. At one point, Shevchenko was so downhearted that he almost opted to make a sensational return to Ukraine after his former club Dynamo Kiev wanted to take him on loan. Now, Shevchenko knows he's on the right track after hitting the special 60-mark. At the San Siro, Filippo Inzaghi - a former Milan team-mate of Shevchenko - also made the milestone with the second goal in Milan's 2-1 win over Benfica. The duo are only two goals short of the 62-goal record of former West German striker Gerd Mueller in the European scoring charts.

SOLO EUROPA?

Un anno (meno sei giorni) or sono, il povero Diavolo sopravvissuto all'estate torrida di Calciopoli esordiva a San Siro nella sua Champions League: una platea un po' sguarnita, scrissi, perché 31.836 spettatori per una prima europea non sono certo numeri da Milan. Un anno (e sei giorni) più tardi, il buon Diavolo Campione d'Europa ha esordito a San Siro difronte a 38.358 spettatori: come a dire, poco più di seimila cuori rossoneri recuperati alla causa... non si sa poi se per l'onda lunga di Atene 2007, o per la rimpatriata amarcord del buon vecchio Rui in maglia Benfica. Dentro ai numeri sono racchiuse spesso grandi verità. Non è una "partita perfetta" (dico la semifinale di maggio contro il Manchester, che pure è già una pagina di epica del calcio continentale) a riconciliare un pubblico con il proprio club. Le ferite restano tutte aperte, per chi possiede un barlume di memoria dei sentimenti. La gestione societaria dell'ultimo decennio - che io polemicamente definisco "brianzola" - ha finito per allontanare generazioni di innamorati, delusi e nauseati oltre il limite del rigurgito. Anche questa estate non sono mancate le gemme: dall'estenuante pantomima del "Mister X" di Galliani alla gaffe internazionale (in ogni senso) dell'affare "Rottonaldo", passando per lo scivolone mediatico (inconfondibilmente Suma-style) del colpo gobbo Suazo.

Il Popolo Rossonero ne ha abbastanza di queste comparsate da avanspettacolo. Ne ha abbastanza delle campagne acquisti col braccino, delle aste al ribasso. Ne ha abbastanza dei trionfalismi vischiosi e patinati da spot televisivo. Ne ha abbastanza della comunicazione istituzionale deviante e mistificata, che urta il buon gusto oltre che il buon senso di chi ascolta. Ma chi ascolta? Oggi (ieri sera) le gradinate di San Siro sono ridotte a una macchia di leopardo dalle tinte tiepide, assopite ora mai alle passioni sanguigne del primo decennio berlusconiano, inerti persino al cospetto di una curva che si anima solo per inveire contro le forze dell'ordine, stritolata com'è fra certi estremismi politici e le faide calabresi che contendono il malloppo agli stipendiati del Vicario (quelli che cantano e applaudono a comando, quello che agli inquirenti per estorsione giura e spergiura di non aver mai fatto merenda con chi di norma siede al suo tavolo nei privée).

In campo abbiamo i soliti undici noti (indisponibile più, indisponibile meno). Belli di notte e inguardabili alla luce del sole. Perché la strategia della stagione è stata misurata, ancora una volta, col bilancino del geometra. Una semifinale di coppa cuba all'incirca quanto una finale (e la finalista perdente intasca una manciatina di milioni in meno della finalista vincente), per questo motivo si definisce: obiettivo minimo della stagione. Analogamente, un quarto posto in campionato cuba all'incirca quanto un primo o un secondo (ovverosia, il gettone di presenza alla prossima Champions League), per questo motivo si definisce: secondo obiettivo minimo della stagione. La logica pelosa del tornaconto telecomanda le scelte di mercato, sicché la rosa dei 12-13 inamovibili titolari non viene mai ampliata, essendo più che sufficiente per affrontare quella ventina di sfide internazionali. Scudetto cosa? L'ultimo primato solitario in Italia data maggio 2004: diciasettesimo ed unico tricolare ancelottiano, peraltro griffato Sheva. Di mezzo, ci passano tre anni di delusioni e dodicimila abbonati (dai 53 mila della stagione 2004-2005 ai 41 mila del 2007-2008) evaporati da San Siro, forse per sempre. Sul canale bulgaro e sulla stampa di regime hanno intanto sdoganato il concetto di "Dna europeo". Ma se l'orizzonte di ogni stagione che nasce non va oltre la data della prossima finale di coppa, l'unico concetto da spendere resta - sempre più inequivocabilmente - quello d'una dolce e amara, inarrestabile decadenza.

18 settembre, 2007

CENTO GIORNI

Sheva verso Kiev.

[SportsIsland.net] I centro giorni di Shevchenko: così la vede il quotidiano britannico "The Sun" sul futuro al Chelsea del centravanti ucraino, ormai sempre più bollato come bidone della Premier League. Alla riapertura del mercato invernale, sempre secondo il tabloid in questione, la società londinese sarebbe propensa a favorire il ritorno di Sheva alla Dinamo Kiev, pronta a riaccogliere il suo campione dopo quasi dieci anni. Il matrimonio Chelsea-Shevchenko non è mai decollato, a parte qualche sporadica eccezzione, come l'esordio con gol nella Supercoppa contro il Liverpool nell'Agosto del 2006: poi l'oblio, la panchina, le incomprensioni con Mourinho, compagni e stampa. E una nostalgia, non tanto velata, per il Milan. L'ultima gara dell'ex Pallone d'oro ucraino in campionato contro il Blackburn (match finito 0-0), è stata l'ennesima prestazione deludente, tanto da far nuovamente infuriare Mourinho, che non le ha mandate a dire.

Più vicino il suo addio a gennaio?

[It.Eurosport.com] Andriy Shevchenko non ha ben impressionato il tecnico José Mourinho, che già non sembra amare molto l'attaccante ucraino, nella gara contro il Blackburn. Per questo motivo il tabloid inglese "The Sun" ritiene che i giorni di Shevchenko al Chelsea siano 'contati'. Dopo le voci su un suo possibile ritorno in Ucraina alla Dinamo Kiev, si riaprono anche le porte del Milan?

17 settembre, 2007

MILANISTA DE NACIMIENTO

Tengo un animal dentro.

[ElPais.com] El hombre desciende de Gattuso es el título del primer capítulo de su autobiografía [Si naces cuadrado no puedes morir redondo]. Él, Gennaro Gattuso (Corigliano Calabro, 29 años), dice que ha intentado tomarse con ironía una ofensa de unos aficionados. Dice también que ha nacido con los pies cuadrados pero, aún así, no se los cambiaría ni siquiera con Kaká. En Milanello, donde el pasado jueves atendió a EL PAÍS, se confiesa un enamorado de España, pero: "De no ser porqué allí trabajan tan poco ya estaría viviendo y jugando en Madrid".

Pregunta. ¿Cómo es eso de que el hombre desciende de Gattuso?
Respuesta. Hace cuatro años en un partido contra el Lazio apareció una pancarta con el dibujo de un mono que ponía 'Gattuso desciende de los monos'. Al día siguiente en las notas a los jugadores, una periodista utilizó esa frase para hacer una valoración de mi partido. Me peleé con ella, me cabreé, pero luego decidí tomármelo con ironía porque creo que todos descendemos de los monos en el sentido de que tenemos un espíritu animal. Hay quien lo controla más y quien menos. Yo más que el espíritu tengo un animal dentro.


P. Uno que nace con "los pies cuadrados", ¿cómo consigue convertirse en titular indiscutible del Milan?
R. Supongo que gracias a la constancia y las ganas de aprender que siempre me han caracterizado.

P. ¿Ha tenido que trabajar más que los demás?
R. Sí porque hay gente como Kaká que nace fenómeno y gente como yo que me he tenido que construir. El único don con el que nací son las ganas de no rendirme nunca. Pero con el trabajo lo he arreglado, en el fútbol como en la vida siempre se puede aprender.

P. Después de tantos años en el Milan, ¿sigue convencido de que tiene los pies cuadrados?
R. He mejorado pero hay que seguir trabajando. Eso sí, me gustaría marcar más pero nada... y a veces me miro los pies y les digo: 'Malditos, nunca me dais alegrías'. A Ancelotti siempre se lo digo: 'Imagínate si tuviera buenos pies... no sabríamos dónde guardar los trofeos'.

P. ¿Cómo mejora uno que no ha nacido con dotes técnicas?
R. Conozco un solo modo: pasión, pasión y pasión. Uno puede caer en el error de decirse: 'juego en el Milan, gano títulos, con lo cual he llegado...' Eso en el fútbol no vale, siempre tienes que estar mirando a los demás por si te queda algo que aprender.

P. ¿De quién ha aprendido más?
R. De Mauro Tassotti [segundo de Carlo Ancelotti y ex lateral del gran Milan de 90]. Me dedica mucho tiempo. Todos los días después del entrenamiento me quedo con él a trabajar los disparos, los centros y el golpeo del balón.

P. Los puristas del fútbol dicen que Gattuso es un insulto al balón.
R. En Italia hace años que no escucho eso. Sé que puedo gustar o no gustar y lo acepto.

P. ¿Cómo ha conquistado el respeto de sus compañeros y del entrenador?
R. Quizás por mi tozudez. Llevo ocho años aquí y mi vida es casa-Milanello, Milanello-casa. Las victorias no me han cambiado para nada. Son un estímulo para demostrar que no tengo la barriga llena todavía. Cuanto más pasan los años, más ganas tengo de trabajar.

P. ¿No ha tenido nunca la sensación de pasarse, de hacer muchas más cosas de lo que le permitían sus posibilidades?
R. Quizá si. Pero eso es lo más bonito. Vivo mi vida de futbolista como si fuera un sueño. Nunca pensé que llegaría donde he llegado, que ganaría el dinero que gano. Sigo pensando que no me lo merezco.

P. ¿El dinero o todo lo demás?
R. El dinero. Cobramos demasiado, pero sé que así va el mercado. En un mes gano más que mi padre en toda la vida.

P. ¿Qué ha quedado de aquel chaval que jugaba al fútbol en la playa de Schiavonea y ganaba algo de dinero vendiendo pescado?
R. Todo. Lo único que ha cambiado es la cuenta bancaria. Antes vivía de alquiler y ahora tengo un par de casas; antes iba al entrenamiento en vespa y ahora tengo un coche. Mi alma y las ganas de jugar siguen siendo las mismas.

P. Cuando vuelve a su pueblo en Calabria, ¿cómo ve a los chavales de hoy día? ¿Han cambiado mucho?
R
. Muchísimo. Antes, con 13 o 14 años, el problema más grande era encontrar novia. Ahora, con esa edad, lo primero que buscan es lo sballo [algo así como desfase]. Cuando yo era pequeño claro que había gente a la que le gustaba eso, pero no tanto como ahora. El divertimiento era jugar a fútbol en la playa durante el día y quedar por la noche para echar otro partidito. Ya no existe eso. En el sur de Italia no hay una sociedad con valores. Yo recuerdo que me bastaba con una mirada de mi padre para darme cuenta de que estaba haciendo algo malo. Ahora no hay respeto.

P. ¿En qué le ha servido crecer jugando al fútbol en la playa?
R
. Hace 20 años en mi pueblo ése era el único divertimiento que había. Si en lugar de la playa hubiese habido solo una acera pues allí habríamos jugado. Recuerdo que cuando salían los cromos de Panini me volvía loco. Esos años me dieron la pasión por el fútbol.

P. ¿Y la experiencia en Escocia le sirvió de algo?
R
. Muchísimo. No me cansaré nunca de agradecérselo a mi padre. Tenía 17 años y no tuve los cojones para tomar la decisión yo solo. Fue él quien me dio el ánimo y el coraje para coger un avión, abandonar Italia y fichar por el Glasgow Rangers. De haber sido por mí... no me hubiera ido. Abandonarlo todo con 17 años no era una cosa fácil y eso que salí de casa con 13. Me esperaban para firmar un contrato en otro país y no me sentía responsable para tomar una decisión en cinco minutos.

P. ¿A qué iba a renunciar?
R. En realidad no era mucho. En esa época jugaba en el Perugia y lo único que me pagaban eran los gastos. Los del Glasgow me ofrecieron un millón de euros por cuatro años. No hubiese sido correcto rechazar ese contrato sabiendo que mi familia ganaba 800 euros al mes. Me fui para no hacerles un feo a mis padres.

P. ¿Fue difícil ambientarse en Escocia?
R. No, pero ignoraba muchas cosas. En mi cabeza sólo existía la iglesia católica, llego allí y descubro que existen también los protestantes. Recuerdo que un día bajé al vestuario y vi que había un cuadro de una señora. Pregunté como un imbécil qué quién era y claro todos se rieron de mí. Era la reina.

P. Y de su primer día en Milanello, ¿qué recuerdos tiene?
R. Soy milanista de nacimiento y mi primer día con la camiseta del Milan fue en Cerdeña en una pretemporada. El equipo había ganado la liga ese año. Llegué y me encontré con los que habían hecho la historia del club: Maldini, Rossi, Albertini, Costacurta... Me dio mucho palo. Pensé: 'yo qué coño hago aquí'.

P. ¿Y luego?
R. Los primeros años fueron una tragedia. En Milanello había fotos de todo el mundo celebrando títulos. No había ni una solo mía porque los primeros cuatro años no se ganó nada. Pensé: 'A ver si voy a ser el gafe'.

P. ¿Los veteranos le sometieron a algún rito de iniciación?
R. No. Pero recuerdo que el cachondo de Sebastiano Rossi, sin conocerme de nada, me daba golpes de karate. Lo miraba y me decía: 'este tío es imbécil, como sean todos así...' Enseguida me di cuenta de que el secreto de este club era el vestuario.

P. Algo tiene que tener el Milan para ser una referencia en Europa.
R. Es el vestuario, no hay más secretos. Ves a un tío como Maldini, que con 39 años hace todo lo posible para recuperarse y jugar una final de Champions, que trabaja como un loco, que escupe sangre y sudor... Viendo eso sólo un idiota no entendería que es un ejemplo para todos. Lo mismo pasa con Seedorf. Ha ganado cuatro Champions con tres equipos distintos y lo vi llorar emocionado después de la semifinal contra el Manchester. Te das cuenta de que en este club hay valores importantes.

P. ¿Eso es lo que distingue al Milan de los otros clubes?
R
. Sí. Este club tiene su ADN, se lo dio Berlusconi. Es un equipo que, por muchas dificultades que tenga, siempre encuentra las motivaciones para llegar lejos en Europa. Tiene códigos que no se pueden saltar.

P. ¿Agarrar a Ancelotti por el cuello cada vez que celebra un gol no es saltárselos?
R
. Es mi carácter. Hablo de otra cosa. Recuerdo que al principio, cuando me pasaba de listo con algún árbitro o algún adversario, me convocaron en la sede del club. Me dijeron que me controlara porque estaba vistiendo la camiseta del Milan y no podía montar pollos.

P. ¿Es verdad que tras la derrota en Estambul contra el Liverpool en 2005 pensó dejar el Milan?
R
. Sí. Llegué a pensar que era el momento de cambiar de aires. No existían motivos para seguir. Esa noche ya me veía con la Champions en las manos... pero hubo seis minutos de infierno y yo, a diferencia de otros, no conseguía borrar aquello de mi cabeza. Fue el momento más duro de mi carrera, pero el club me hizo cambiar idea.

P. ¿Es una leyenda eso de que antes de la final del Mundial pasó por el baño unas 30 veces?
R
. Más de 30. La presión de las horas previas te machaca físicamente. La gente se cree que es la bomba, pero de bonito no tiene nada. Es jodido.

P. ¿Y eso de que lee a Dostoievski en voz alta antes de jugar?
R
. Es un pequeño rito para quitarme la presión. Leo en voz alta porque así pierdo el hilo y pienso en otra cosa. Siempre me dejan algún periódico o el calendario de la Liga en el vestuario, y un día me encontré un libro de Dostoievski.


Da un paio d'anni vado ripetendo che nel Milan c'è solo un capitano. Varrebbe la pena farsene una ragione: dopo tutto, le vecchie glorie stanno meglio in cornice che sul campo d'allenamento... GATTUSO CAPITANO SUBITO!

13 settembre, 2007

SE QUESTO È UN EX

«Shevchenko, ignorato da Mourinho, e rilanciato dalla sua nazionale, ha fornito in Georgia segnali di rinascita, chissà se autentici o se interpretati solo da cronisti che gli vogliono bene come a un parente stretto». Il cameriere che scrive sul Giornale del padrone notoriamente non è uno di quei cronisti che gli vogliono bene come a un parente stretto... ma dopo Ucraina-Italia di ieri sera all'Olimpiyskiy di Kiev, ha dovuto suo malgrado reclinare il capo e attingere le migliori risorse d'ipocrisia italiota (in salsa fuggè) per darsi ragione dei novanta minuti da incubo che «il caro, vecchio Sheva» ha fatto trascorrere ai miserabili Campioni del Mondo.

Tant'è, gli è toccato scrivere di uno «strepitosto Shevchenko». Chiosando: «Tutto suo il merito della orgogliosa risposta ucraina. Fra traversa, punizioni al fulmicotone e quel gol maturato a metà della ripresa, ce n’è abbastanza per lustrarsi gli occhi e per far sapere a Mourinho che il suo è un pregiudizio intollerabile». Per riportare la cronaca nei confini della realtà, devo dire che il Balon d'Or non è stato letteralmente strepitoso, certo ancora distante dai livelli d'eccellenza che avevano incantato San Siro e il mondo. Ma ha dimostrato una condizione atletica più che dignitosa, reggendo costantemente il peso dell'attacco sulle proprie gambe: altro che postumi d'infortunio e difetto di forma! Sheva ha dato come sempre tutto di sè, spesso predicando nel deserto d'una poco più che volenterosa compagine d'altri tempi (con il libero schierato dietro la linea difensiva... e il pericoloso Voronin relegato in panchina). Secondo tradizione, ha fatto tremare i polsi e poi piegare la schiena al Gobbo di Manchester. Mentre a noi - a tutti noi che ancora abbiamo e sempre avremo il 7 Rossonero in fondo al cuore - ha fatto tremare altro che i polsi... un gol di Sheva era e resta un gol tutto nostro, come un gol del Milan.

09 settembre, 2007

C'ERA UNA VOLTA (segue)

Diritti tv, in palio mille milioni... Galliani e Cobolli "tifano" Melandri.

[Repubblica.it] «Un danno enorme per noi». Questa fu la prima reazione di Adriano Galliani alla nuova legge delega del governo sui diritti tv. In base ai calcoli degli esperti del Milan, da Cantamessa a Gandini, infatti il club campione d'Europa in futuro ci avrebbe rimesso dai 20 ai 30 milioni all'anno. A vantaggio delle società medio-piccole. Dal ministero dello sport, gli esperti della Melandri replicavano che la cifra era più bassa. Ma non è questo il punto: adesso in Lega Calcio c'è stata una fortissima spaccatura. Milan, Inter, Juventus, Napoli e Roma se ne sono andare sbattendo la porta. Ora comandano Cellino & c. Se si andasse a votare oggi, avrebbero la maggioranza. Ecco perché adesso i "falchi" Galliani, Cobolli Gigli e gli altri dei grossi club guardano con maggiore attenzione al ministero dello sport e si augurano forse che un accordo in Lega non si trovi mai, perché in quel caso loro sarebbero messi in minoranza e rischierebbero davvero di dover pagare un sacco di soldi ai "Masaniello" alla Cellino. Meglio quindi che a decidere sia la Melandri. Curioso, no? Il ministro, da parte sua, ha già pronti i decreti delegati. Galliani si fida ed ha un rapporto franco col sottosegretario Lolli. Perché il futuro del calcio passa davvero da un riassetto dei diritti tv. Lì è la vera battaglia. Solo che adesso c'è questa spaccatura senza precedenti. In ballo ci sono, dal 2010, circa 1000 milioni di euro all'anno. Ma non sarà facile trovare una soluzione: perché bisognerà anche trovare un sistema per obbligare i club medio-piccoli (Livorno, Cagliari, Empoli, ecc.) a reinvestire nel calcio, magari nel settore giovanile, i soldi in più che prenderanno. Qualche presidente potrebbe pensare di metterseli in tasca, o sistemare la sua azienda privata. No, quelli sono soldi del calcio. Attenzione, quindi. Di furbi e furbetti in giro ce n'è sin troppi.

Senza Moggi che ti cambia il pannolone... di Franco Rossi

Inter, Milan e Juventus sono state clamorosamente battute nell'elezione del consigliere di Lega: il loro candidato, Cobolli Gigli (appoggiato anche dalle altre grandi) è risultato sconfitto. Reazioni al limite dell'isteria da parte di Galliani che ha minacciato improbabili azioni legali e ha ricordato che in Lega, con l'elezione di Ghirardi, non saranno rappresentati l'84 per cento dei tifosi italiani, dimenticandosi che in ogni consesso democratico (all'Onu il voto del Portogallo vale quello dell'India, quaranta volte più popolosa, e nella Fifa il Galles ha lo stesso peso del Brasile o dell'Italia) accadono queste cose, visto che il regolamento lo permette. Come dire: le elezioni sono buone se le vinco io, altrimenti non valgono. Ernesto Paolillo, direttore generale dell'Inter è stato ancora più duro affermando che a mandare avanti il calcio sono le società come la sua (Inter, per quelli che non lo sanno) che investono soldi, dimenticandosi di dire che proprio l'Inter (oltre al Milan) da questo punto di vista è lo scandalo degli scandali visto che ha un presidente che annualmente ripiana mediamente cinquanta milioni di euro. Cobolli Gigli ha detto che non entrerà più in Lega. Ma la domanda da fare è la seguente: chi ha votato contro il candidato della cosidette Grandi? Sono state le piccole società, ovviamente, quelle piccole società che, convinte da Moggi prima appoggiavano Galliani, cioè il candidato del Potere. La serie B vuole fermarsi perchè nessuna tivù offre soldi e così via: il tutto per un'immagine del calcio italiano che più cialtronesca non si può. L'effetto Moggi è stato devastante. Senza di lui Inter, Juve e Milan sono andate allo sbando, incapaci di far eleggere il presidente della stessa Juventus, cioè della società che sino a poco tempo fa era la più potente d'Italia. Era Luciano Moggi che aveva il Potere per far eleggere chiunque: basti ricordare Carraro che alla prima votazione prese 4 voti e dopo due giorni, con l'intervento di Moggi fu eletto con oltre trenta. Moggi era il Potere del calcio, adesso senza di lui non esiste Potere. Ma Inter, Milan e Juve stiano tranquille: tra pochi mesi tornerà perché saranno proprio loro a volerlo.

Ciò detto per non dimenticare... che c'era una volta un Presidente di Lega dal cranio lucente. E c'era un patto d'acciaio fra Mediaset S.p.A. e Giovanni Agnelli & C. S.a.p.a. che consentiva alla Juventus FC di incassare diritti televisivi satellitari criptati in anticipo di due anni, fatturandone i proventi per chiudere i bilanci in attivo. C'erano poi i compagni di merenda, Antonio e Luciano. E davanti ai soprusi perpetrati ogni domenica sul campo dalla loro combriccola romana, c'erano i "sofferti silenzi" dell'amministratore delegato del Milan AC, in aperto conflitto d'interessi con la sua carica di Presidente di Lega. Tutto questo c'era una volta, e oggi non c'è più.

06 settembre, 2007

PAROLA DI SILVIO (segue)

Sheva: Non gioco e non so perché.

[Sport.Kataweb.it] Il calciomercato italiano (la prima parte) è chiuso, ma il tempo per fare aggiustamenti, come si sa, è praticamente infinito e così, in ottica gennaio, il Milan riapre una finestra sull'antico amore di Berlusconi, Andriy Shevchenko. Lo fa approfittando del fatto che lui non gioca. Il bomber ucraino è ancora in attesa dell'esordio stagionale col Chelsea e dice risentito di non sapere perché il tecnico Mourinho non lo faccia giocare. Secondo i medici non sarebbe ancora al meglio, ma lui contesta: «Al Chelsea non gioco e sinceramente non so perché, aspetterò comunque il mio turno». La ragione? I medici del club londinese sostengono che il bomber ucraino sarebbe ancora condizionato dall'ultimo infortunio non del tutto smaltito. Ma lui non ci sta, anche perché due settimane fa è rimasto in campo quasi un'ora nell'amichevole che la sua Ucraina ha disputato contro l'Uzbekistan. Sheva sperava di essere convocato già per la finale di Coppa di Lega, a metà agosto contro il Manchester United. Ma Mourinho non lo mise in campo, come per le partite successive, preferendogli il nuovo acquisto Claudio Pizarro . «Deve aspettare la sua chance quando si presenterà», gli ha risposto Steve Clarke, assitente di Mourinho. Dura da mandar giù, per uno come lui.

03 settembre, 2007

WINDS OF CHANGE (segue)

«Egregio Signor Galliani (caro Adriano),

L'occasione mi è gradita per fare le mie più sincere congratulazioni al vostro club per la vittoria della Super Coppa il 31 agosto 2007 a Montecarlo.

Alla luce della tragica scomparsa del giocatore del Siviglia FC, giocare la Super Coppa 2007 si presentava come un compito molto delicato. Il modo in cui i vostri giocatori sono riusciti a giocare una grande partita ed allo stesso tempo a riservare un degno tributo ad Antonio Puerta rimarrà un esempio da ricordare.

In questo senso, tutta la mia riconoscenza va anche ai vostri tifosi per il loro comportamento eccezionale, un esempio per tutto il mondo di come il calcio possa riservare dei momenti indimenticabili di solidarietà ed amicizia.

La viva emozione e l'atmosfera toccante allo stadio Louis II sono qualcosa che non dimenticherò mai.

Una volta di più voglio cogliere l'opportunità per ringraziare l'AC Milan, i giocatori, i dirigenti, i tifosi, per la vostra sincera compassione e la degna partecipazione a questo match del tutto speciale; posso solo aggiungere: "siete un grande club".

Nyon, 3 settembre 2007

UEFA
Michele Platini
President»

01 settembre, 2007

IL PRIGIONIERO

«Sto bene al Milan e voglio finire la mia carriera qui, anche se nel calcio non si può mai dire. Ma mi piacerebbe essere milanista a vita, come Franco Baresi e Paolo Maldini» (Andriy Shevchenko alla Gazzetta dello Sport, 27 marzo 2006).

La vita è strana. Un giorno sei il Balon d'Or e la critica unanime ti acclama come il numero uno dei bomber, alla soglia dei trentanni sei atleticamente integro, il popolo ti adora e il tuo presidente ti ama come un figlio, stai per giocare da capitano il primo campionato mondiale della tua Nazionale e ogni domenica puoi scendere in campo per scrivere una pagina di leggenda dello sport, diventando il primo marcatore di ogni tempo in uno dei club più blasonati del pianeta.

Il testaquadra di ReggioloSì, è vero, il tuo allenatore è una testa quadra e ti spreme come un mediano: in campo devi aiutare la difesa, impostare l'azione di rimessa e finalizzare l'attacco in gol. Una sola maglia per tre ruoli. Ma tu sei cresciuto alla scuola di un colonnello sovietico, e hai mangiato erba e disciplina fin da bambino. Sacrificio e abnegazione sono i tuoi comandamenti: il bene della squadra viene sempre prima del bene del singolo. E allora abbassi la testa e corri: lo fai da sette anni, d'altronde.

Un giorno e un anno dopo, tutto il mondo è cambiato. Hai addosso una maglia nuova e in campionato ne hai messe appena quattro, ti hanno sbattuto nella lista dei flop più clamorosi della storia e dicono che ormai hai dato il meglio, hai 31 anni e un fastidio ricorrente alla schiena, la stampa scandalistica ti accusa di fare la spia russa nello spogliatoio e i compagni in partita non te la danno mai. La critica poi è unanime su un solo concetto: l'anno che viene ci si attende molto di più da te, ma di spazio ce ne sarà meno dell'anno prima.

Lo specialone di SetùbalGià, perché nel frattempo hai trovato un nuovo allenatore piuttosto speciale, più carismatico e meno maggiordomo, ma con la testa quadra uguale al primo. E la differenza non irrilevante che, nella sua teoria di gioco, tu semplicemente non esisti. Per un anno si è fatto andare di traverso un 4-4-2 necessario per accontentare i capricci del padrone, ma ha fallito tutti gli obiettivi ed è un orgoglioso. Perciò tornerà al suo modulo ideale, che non contempla una seconda punta ma due laterali offensivi.

Quale gramo destino! Un'estate consumata nell'attesa del grande ritorno, tessendo la trama del figliol prodigo. Ma le braccia spalancate del vecchio padre-presidente facevano ombra alle manovre sconclusionate del suo contabile pelato. Un mese e più, ascoltando il tam-tam della stampa amica e i puntuali rigurgiti di una gola profonda a Milanello, che strabocca di antichi livori. Troppa invidia per quell'offerta irrinunciabile del facoltoso amico londinese, mentre la nave affondava a causa delle malefatte societarie. Dal canto suo, il ricco viziatello non voleva saperne di mollare il giocattolo. Muro lusitano contro muro russo contro muro brianzolo, si è arrivati al paradosso. Un campione irripetibile, imprigionato da tre volontà inconciliabili: quella di non cedere al ricatto psicologico, quella di non sperperare un investimento esagerato e quella di non toccare la plusvalenza di un anno prima.

All'alba di una nuova stagione, un solo quesito sorge spontaneo: cui prodest?