30 novembre, 2007

NOVEMBRE 2007: Da Sheva a Kakà

Dopo Sheva, Kakà: arriva l'ottavo Pallone d'Oro per il Diavolo. 1969 Gianni Rivera, 1987 Ruud Gullit, 1988 Marco van Basten, 1989 Marco van Basten, 1992 Marco van Basten, 1995 George Weah, 2004 Andrij Shevchenko, 2007 Ricardo Kakà

29 novembre, 2007

UN ANNO DA DIMENTICARE

Sheva: Al Chelsea non sono felice.

[LaStampa.it] Quando Josè Mourinho è andato via sembrava fosse finalmente giunta la sua occasione. Ma dopo qualche comparsata anche con Avram Grant è finito presto nelle retrovie. L’avventura al Chelsea continua a essere poco fortunata per Andriy Shevchenko che da quando è approdato a Stamford Bridge non riesce a essere più lui. «Non sono felice ma che ci posso fare? - si sfoga in un’intervista al quotidiano croato "Sportske Novosti" - Sto in silenzio e lavoro duro ogni giorno. La gioia più grande per me è giocare con l’Ucraina. Ogni volta che sono in nazionale ricarico le batterie che si esauriscono a Londra a causa delle cose che mi stanno accadendo. Sono molto felice quando posso tornare a casa e non vedo l’ora che arrivino le prossime partite». E con l’Ucraina Shevchenko affronterà Inghilterra e Croazia nel girone di qualficazione ai Mondiali del 2010. «È un girone difficile per tutti, senza dubbi - confessa - L’Inghilterra è chiaramente la favorita, basta vedere in quali club giocano le sue stelle. Inglesi e croati sono in pole per i primi due posti ma anche noi abbiamo le nostre armi. E poi l’Inghilterra era anche favorita per qualificarsi a Euro2008 ma alla fine saranno Croazia e Russia a giocare in Austria e Svizzera».

06 novembre, 2007

RIDATEMI IL MILAN

Da oggi San Siro non è più la Casa del Milan. Molto coerente con il contesto più ampio la notizia che i soliti dirimpettai del naviglio, dopo il nostro stadio, si siano fatti intitolare anche il piazzale antistante. D'altronde. Da Pillitteri a Moratti, la giunta comunale della nostra città ha anche cambiato colori, ma sempre e solo la razza padrona quando è al potere avverte l'urgenza dell'autocelebrazione. Con buona pace degli alleati politici. E sia: allo stadio Giuseppe Meazza, in piazza Angelo Moratti, noi Rossoneri non ci vogliamo più mettere piede. Non perderemo un grande spettacolo di calcio, s'è visto. Se mai, ci risparmieremo qualche mal di stomaco. D'altronde. Siamo Rossoneri e abbonati a San Siro da prima di Berlusconi. Nell'accezione di era presidenziale, s'intende. Il nostro di prima era un Milan dal blasone un po' sdrucito, ma indossato sempre a testa alta. Si perdeva quando c'era da perdere, e lo si faceva con dignità. Incazzandosi a morte, sicuro, ma senza mai arrampicarsi sugli specchi. Figurarsi pubblicare dossier. Chi ce li avrebbe pubblicati, d'altronde? Si perdeva (e spesso) anche quando c'era da vincere, perché la razza padrona in Italia è sempre stata Inter e Juve. Quelli per l'appunto del Derby d'Italia, come si compiacciono ancor oggi di chiamarlo i bauscia nostalgici del Giuan Brera fu Carlo.

Inquadrare in questo scenario l'avvento del Cavaliere (nel mondo del calcio, e dintorni) aiuta a capire una varietà di fenomeni storici (del mondo del calcio, e dintorni): dal famoso patto d'acciaio con la real casa sabauda (un patto commerciale per la ripartizione di diritti televisivi, che al nostro Milan è costato un paio di scudetti sul campo e qualche altra penalità) fino a Moggiopoli, che non è stato altro se non un poderoso atto di restaurazione del potere. Perciò ho scritto in principio che autointitolarsi il piazzale, oltre lo stadio, è splendidamente in linea coi tempi. E perciò scrivo, e confesso, che mi manca il Milan di prima. Il mio Milan di bambino, quello degli Anni Settanta: quello di Vincenzina e la fabbrica, quello della stella del grande Nils. Ma quello anche delle due Serie B, una a pagamento e una gratis , come diceva l'Avvocato "vero". Anni in cui il futuro Cranio Lucente - probabilmente - la domenica presto partiva da Monza con l'Argenta alla volta di Torino, per andare a vedere il Michel. Mentre il futuro Signore delle Antenne - dico sempre probabilmente - preparava un dettagliato business case per valutare quale dei due football club di Milano fosse più sinergico al programma.

Il programma era cambiare l'Italia a cominciare dal mondo del calcio, e dintorni. Ma questo, noi Rossoneri romantici, lo abbiamo capito solo da poco. D'altronde, non vorrei mai essere frainteso. Più volte ho scritto qui e ribadisco: grazie di cuore, Presidente, per tutto quello che ci hai regalato in questi vent'anni, inimagginabili prima! Forse oggi il progetto Milan non è più sinergico al programma Italia come lo era ieri. Ma allora, mio caro Silvio, ridacci indietro il nostro Milan... quello di prima, se puoi.

IL GRANDE NILS

Addio Barone, genio perbene.

Ognuno prenderà il grande Nils per la giacchetta che preferisce, tirandolo ora qui ora là secondo le molteplici vite vissute, ma l'allenatore svedese è stato uno dei grandi interpreti del sogno, avendo portato due intere popolazioni - quella dei rossoneri e quella dei giallorossi - a ottenere ciò che sembrava impossibile: gli uni, l'incredibile stella del decimo scudetto; gli altri, il primo vero democratico tricolore della storia. Ciò che lui ha usato per stabilire un contatto con gli dei del calcio, sono due elementi solo apparentemente dissimili tra loro come scienza – la sua, immensa – e ironia, altro aspetto decisivo del carattere. Mischiate opportunamente, hanno plasmato un uomo-allenatore che poteva tranquillamente insegnare calcio senza la schizofrenia dei suoi tempi. Sono stato fortunato a lavorare con Liedholm, come giornalista e poi anche al Milan: ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare.

Silvio Berlusconi con il BaroneCome quella volta che, nel corso della stagione, uscì la notizia che Berlusconi aveva assunto Sacchi. Sulla panchina del Milan però c’era lui. Galliani si precipitò a Milanello, negando tutto. Incalzato dai cronisti, si rivolse a Nils per cercare aiuto: «Mister – disse l’ad rossonero – mi dia una mano lei...». Liedholm lo guardò con il suo solito mezzo sorriso, e poi gli allungò veramente la mano, lasciandolo di sasso. Ora lo vedo ancora in mezzo alle sue vigne piemontesi, il cane lupo alle costole, lo sguardo sereno di una persona perbene.

di Michele Fusco, su Metro di oggi.

04 novembre, 2007

ADESSO BASTA?

«Sulla questione arbitri c’è poco da aggiungere: c’è un problema arbitrale molto grande nei nostri confronti. Ci sono errori a ripetizione. Chiunque ha visto il rigore tranne l’arbitro. Ciò non toglie i nostri errori in fase di conclusione. Gli arbitri quando vedono un rigore lo devono dare. Non so perché ci sia questa ripetitività, io constato, non do spiegazioni. Sono curioso di sapere cosa dirà Collina su questo rigore: dirà sicuramente, visto che ha fatto l’arbitro, e anche bene, che il rigore c’èCaro acmilan.com, adesso basta lo diciamo noi. Perché ora mai, con l'autunno, è caduto il velo anche dell'ultima ipocrisia mediatica. Questa estate abbiamo sottoscritto qualcosa come 42 mila abbonamenti, versando nelle casse sociali credo oltre 13 milioni di euro. Lo abbiamo fatto come atto di fede, malgrado la ferita ancora aperta di Calciopoli. Lo abbiamo fatto malgrado la società, dall'estate 2002, non faccia più una campagna acquisti "da Milan". Lo abbiamo fatto malgrado il nostro allenatore, da 5 stagioni, non sia in grado di esprimere un'ipotesi di calcio alternativa a quella dei suoi 11 titolari.

Noi sappiamo - voi sapete, e tutti se ne sono accorti - che se a novembre viaggiamo (di nuovo) con 8 punti di ritardo sul tabellino di marcia, non è per la preparazione anticipata (comunicazione istituzionale 2006-2007) o per gli errori arbitrali (comunicazione istituzionale 2007-2008). Ma è perché puntare allo scudetto, oggi, al Milan non conviene: questione di sostenibilità finanziaria. Le ultime cinque campagne acquisti ci hanno portato in dote un solo giocatore fuoriclasse, Kakà. Dopo di lui, una teoria di ex atleti - non tutti ex fuoriclasse - e mediocri dicitori. Sicché, in campo, ci capita di spingere sulle fasce con un 37enne e un 35enne, che hanno come sostituti in panchina un 36enne e un 39enne. Mentre in attacco, abbiamo scelto di giocare con il modulo a una punta, perché le alternative in rosa sono solo due ed entrambe tenute assieme coi nastri adesivi, per il logorio degli acciacchi e del tempo. Tutto ciò è surreale.

Ma c'è di più. In un club sano, un allenatore che giustifica 4 pareggi e 2 sconfitte interne (record di Gigi Radice già eguagliato) con la motivazione che le squadre ospiti a San Siro si chiudono, verrebbe accompagnato alla porta con una pacca sulle spalle e un in bocca al lupo. In un club sano, un amministratore delegato che sperpera i capitali (ridotti, ma comunqe preziosi) messi a disposizione dalla proprietà, verrebbe incentivato all'esodo con una buonauscita e una stretta di mano. Le dichiarazioni odierne di Galliani sono di una gravità inaudita, insopportabile. I dossier sugli errori arbitrali sono materiale da Zamparini e Spinelli, non da primo dirigente AC Milan. Nemmeno Moratti era arrivato a tanto, prima di scoprirsi Onesto. Intollerabile poi (quanto emblematica) l'imbeccata a Collina: «Sono curioso di sapere cosa dirà su questo rigore: dirà sicuramente, visto che ha fatto l’arbitro, e anche bene, che il rigore c’è». In un sistema sano, queste parole verrebbero sanzionate con un deferimento.

Oggi Galliani dichiara che, nella sua posizione di a.d. del Milan, ha il "dovere di parlare". Domando: per quale motivo non si rivolgeva ad altri designatori arbitrali con gli stessi toni e i medesimi argomenti, quando era imbarazzante la sequenza dei soprusi autentici (al cui confronto, quelli di oggi fanno solo sorridere) e determinanti per la corsa al titolo (non per la rincorsa al quarto posto), invece di chiudersi in un "sofferto silenzio"? Il Popolo Rossonero, dico quello abbonato e pagante, esige oggi una risposta! Perché solo per dirne una, quel Milan-Juventus dell'Ottomaggio che assegnò il titolo 2005, con arbitro Collina, a tutti noi ha lasciato in bocca il sapore agro di una partita mai giocata. Come alcune altre, analoghe "sfide scudetto" disputate al Delle Alpi di Torino...