01 settembre, 2007

IL PRIGIONIERO

«Sto bene al Milan e voglio finire la mia carriera qui, anche se nel calcio non si può mai dire. Ma mi piacerebbe essere milanista a vita, come Franco Baresi e Paolo Maldini» (Andriy Shevchenko alla Gazzetta dello Sport, 27 marzo 2006).

La vita è strana. Un giorno sei il Balon d'Or e la critica unanime ti acclama come il numero uno dei bomber, alla soglia dei trentanni sei atleticamente integro, il popolo ti adora e il tuo presidente ti ama come un figlio, stai per giocare da capitano il primo campionato mondiale della tua Nazionale e ogni domenica puoi scendere in campo per scrivere una pagina di leggenda dello sport, diventando il primo marcatore di ogni tempo in uno dei club più blasonati del pianeta.

Il testaquadra di ReggioloSì, è vero, il tuo allenatore è una testa quadra e ti spreme come un mediano: in campo devi aiutare la difesa, impostare l'azione di rimessa e finalizzare l'attacco in gol. Una sola maglia per tre ruoli. Ma tu sei cresciuto alla scuola di un colonnello sovietico, e hai mangiato erba e disciplina fin da bambino. Sacrificio e abnegazione sono i tuoi comandamenti: il bene della squadra viene sempre prima del bene del singolo. E allora abbassi la testa e corri: lo fai da sette anni, d'altronde.

Un giorno e un anno dopo, tutto il mondo è cambiato. Hai addosso una maglia nuova e in campionato ne hai messe appena quattro, ti hanno sbattuto nella lista dei flop più clamorosi della storia e dicono che ormai hai dato il meglio, hai 31 anni e un fastidio ricorrente alla schiena, la stampa scandalistica ti accusa di fare la spia russa nello spogliatoio e i compagni in partita non te la danno mai. La critica poi è unanime su un solo concetto: l'anno che viene ci si attende molto di più da te, ma di spazio ce ne sarà meno dell'anno prima.

Lo specialone di SetùbalGià, perché nel frattempo hai trovato un nuovo allenatore piuttosto speciale, più carismatico e meno maggiordomo, ma con la testa quadra uguale al primo. E la differenza non irrilevante che, nella sua teoria di gioco, tu semplicemente non esisti. Per un anno si è fatto andare di traverso un 4-4-2 necessario per accontentare i capricci del padrone, ma ha fallito tutti gli obiettivi ed è un orgoglioso. Perciò tornerà al suo modulo ideale, che non contempla una seconda punta ma due laterali offensivi.

Quale gramo destino! Un'estate consumata nell'attesa del grande ritorno, tessendo la trama del figliol prodigo. Ma le braccia spalancate del vecchio padre-presidente facevano ombra alle manovre sconclusionate del suo contabile pelato. Un mese e più, ascoltando il tam-tam della stampa amica e i puntuali rigurgiti di una gola profonda a Milanello, che strabocca di antichi livori. Troppa invidia per quell'offerta irrinunciabile del facoltoso amico londinese, mentre la nave affondava a causa delle malefatte societarie. Dal canto suo, il ricco viziatello non voleva saperne di mollare il giocattolo. Muro lusitano contro muro russo contro muro brianzolo, si è arrivati al paradosso. Un campione irripetibile, imprigionato da tre volontà inconciliabili: quella di non cedere al ricatto psicologico, quella di non sperperare un investimento esagerato e quella di non toccare la plusvalenza di un anno prima.

All'alba di una nuova stagione, un solo quesito sorge spontaneo: cui prodest?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

KIEV, PRIMO GOL DI PATO

Kiev, 6 settembre 2007 - Una pacca sulle spalle, il debutto e il primo gol. Nella serata di Kiev comincia cosi' per Pato l'avventura in maglia rossonera. Per il Milan, invece, sembra l'inizio di una nuova era. Un'amichevole come tante, quella per festeggiare gli 80 anni della Dinamo, ma al di la' del risultato, un 2-2 che alla fine accontenta tutti, i presupposti di una partita da ricordare ci sono tutti. A partire da quello che e' un vero e proprio passaggio di consegne. Nello stadio intitolato al leggendario tecnico Valeriy Lobanovskiy, Shevchenko, in 'libera uscita' dal suo Chelsea per l'occasione, entra in campo con la divisa della Dinamo tra gli applausi per il simbolico calcio di inizio. Ed eccoli li', Pato e Sheva, il futuro e il passato del Milan, uno accanto all'altro, un veloce abbraccio, un sorriso e nessuna parola. Sheva accarezza per l'ultima volta il 7 bianco che fu suo nei sette anni in Italia e che ora viene portato con orgoglio e speranza dal giovane talento brasiliano. Un momento che emoziona tutti, ma non Pato.

da: www.qn.quotidiano.net

TheSteve ha detto...

Il tormentone estivo della quarta punta sembra dunque giunto al suo scontato epilogo. Come già evidenziato in tempi non sospetti, si è trattato infatti di una squallida trama mediatica tesa dalla nostra brillante dirigenza brianzola per riempire le casse sociali in campagna abbonamenti e al tempo stesso il vuoto del mercato in entrata, almeno fino al 31 agosto, data della sua chiusura. All'uopo, si viene a sapere in queste ore, era stata addirittura tenuta segreta la verità sull'infortunio dell'ex fenomeno Ronaldo, che se fosse stata divulgata per tempo avrebbe generato una sollevazione popolare a favore dell'acquisto di un nuovo attaccante. Sicché il nostro Balon d'Or è stato biecamente strumentalizzato per oltre un mese, e poi scaricato con la pantomima del "sa lui cosa deve fare...". L'intervista pre-partita di Pellegatti, ieri sera a Kiev, ha sgomberato definitivamente la mia testa da qualsiasi dubbio. A puntuale domanda: cosa provi ritrovando qua la tua ex squadra, dopo che questa estate era parso che potessi ritornare, e molti a Milano ci avevano anche sperato? gli occhi di Sheva - come di consueto - hanno detto ben più delle parole, che sono state brevi ma inequivocabili: per favore, lasciamo perdere questi discorsi... le cose sono andate come sono andate. Fine di un sogno.

TheSteve ha detto...

Voglio aggiungere un contributo d'annata, dall'archivio di un blog che per una stagione (dal giugno 2005 al giugno 2006) ha mandato in rete una sana e costruttiva "critica rossonera", giusto per ricostruire un po' di realtà storica (osservata dal di dentro).

20.7.05
La spiegazione

I due, cordialmente, si stanno sulle balle. Ancelotti e Shevchenko, intendiamo.
Solo che sono due ragazzi educati, soprattutto. E nei loro momenti di dissapore (ne hanno avuti parecchi) hanno sempre cercato di mantenere una degna compostezza, alimentata da reciproco rispetto.
Proprio per questo quella che oramai passa alla storia come "la discussione", ha anche una "spiegazione".
Il rapporto allenatore-attaccante e' da sempre il piu' conflittuale. In tutti gli sport.
Sheva ha genio e abilita'. Non si puo' pretendere che annulli la sua personalita', altrimenti non sarebbe un campione.
Bene, dunque, benissimo, che con Ancelotti ci discuta, e se occorre anche sulla porta della cucina.
Che poi questo significhi che, nell'anno dei mondiali, Sheva voglia che il suo peso specifico-politico in seno alla squadra aumenti, puo' piacere meno a qualcuno, ma lo dobbiamo mettere in calcolo, altrimenti non sarebbe Sheva ma, con tutto il rispetto, Bonazzoli.
E la cosa che piu' si apprezza della "discussione" e' la fermezza di Ancelotti. Non fa una piega e ascolta il ragazzo che si sbraccia per sostenere le proprie tesi.
Vogliatela intendere come un buon segno, perche' cosi' e'.

E SEMPRE FORZA MILAN

6.10.05
Fumo (di londra) negli occhi

Questo gran parlare che si sta facendo a margine delle riunioni di lega (ormai da temere come i consigli di amministrazione delle aziende che tagliano i costi) sul concetto di andare allo stadio non è piacevole.
Innanzitutto perché si vedono microfoni sotto bocche di persone che meno la aprono e meglio è (non lo diciamo noi, ma la storia e finanche la cronaca), poi perché, gira e rigira, si finisce sempre a parare dai tifosi. Che, non è retorica da curva, ma sembrano essere davvero diventati il problema del calcio.
Tanto che non ci fossero pare che i problemi sarebbero risolti. Chi va allo stadio è un ingombro, un problema, un soggetto sgradito.
Ora anche il nostro sta ribattendo la grancassa del nuovo stadio, con l'aria di chi dice "ma guarda che mi tocca fare per regolare questo impiccio" (il tifoso).
Prima dice, opinabilmente, che il calcio andrebbe giocato negli stadi apposta, senza pista d'atletica. E va bene.
Poi canta il peana allo stadio dello Shalke.
Poi arriva a dire che vuole farsi uno stadio nuovo.
Lo stadio nuovo costa. E per finanziarsi le spese bisogna trovare investitori e fare sacrifici.
Ecco perchè rimane Ancelotti: se a fine stagione non si è raccolto nulla... che ci volete fare... tocca venderlo...per rifare la squadra...e se ci danno tanto come facciamo a non venderlo...
Non Ancelotti.
Shevchenko.

E SEMPRE FORZA MILAN

15.5.06
A taccuini chiusi - 1

Raccolti ieri a San Siro...

Sheva in curva ha ribadito che ha firmato per il Chelsea lunedì scorso. Non va via per soldi (anche se saranno tanti), ma perchè "schifato dal calcio italiano. Il Milan è un'oasi felice, ma non si può sempre giocare con le carte truccate. Voglio tornare a vincere. E poi, stilettata finale, qui sono diventati tutti gelosi per la mia offerta. E mi emarginano. (quasi puerile...). Poi si commuove ai cori dei tifosi della curva.