01 novembre, 2005

PSV 1 - MILAN 0

(11 PT) Farfan.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Maldini, Nesta, Kaladze (Serginho dal 1 ST), Seedorf, Pirlo, Gattuso (Jankulovski dal 1 ST), Kakà, Vieri, Gilardino (Shevchenko dal 28 ST).

Il tema tattico: Hiddink bestia nera. La vecchia volpe olandese ne sa una più del Diavolo, è il caso di dire. Sicuramente una più di Carlone, che nell'arco dei 180 minuti ha dato prova di capire poco di questo PSV: un punto e zero gol! Emblematico che abbia cambiato due uomini nell'intervallo: un inedito che vale come ammissione di colpa. Abbiamo sofferto oltre modo le marcature a uomo (Kakà azzerato da Simons, tanto all'andata quanto al ritorno) e la velocità impressionante dei due laterali (per referenze rivolgersi a Stam, che ha trovato poco l'americano Beasley e soprattutto ha trovato i due gialli di Poll). A leggere i nomi dei biancorossi (dieci illustri sconosciuti, a parte il capitano Cocu), si intende come l'organizzazione di gioco, più che il talento individuale (oggettivamente scarso), abbia fatto la differenza in campo. Da parte nostra, ci attendevamo una prova di intensità pari a quella di sabato contro la Goeba. In altre parole, si sperava in una conferma. Viceversa, l'unica conferma è stato lo schieramento di partenza, per nove undicesimi. Folle attendersi che il medesimo centrocampo potesse replicare una prestazione atletica e nervosa eclatante dopo appena tre giorni. Con ciò, Ancelotti conferma anche di non avere imparato la lezione dell'8 maggio: allora schierò nella finale tricolore gli stessi uomini di coppa, quattro giorni dopo la battaglia di Eindhoven, con ciò neutralizzando l'unico vantaggio che avevamo su Capello: la rosa più ampia. Errare humanum est, perseverare...

Gli episodi chiave: decidono gli errori. Partiamo bene, tutto sommato. Dopo due-minuti-due, il Sindaco mette Vieri solo al limite dell'area olandese: ciabattata indecorosa fra le braccia di Gomes, quando c'erano spazio e tempo per il controllo e tiro. Ma il disegno tattico di Ancelotti crolla troppo presto, a causa di un tocco maldestro di Kaladze. La sensazione è che vada sul pallone indeciso se rinviare o appoggiare all'indietro. Probabilmente stacca anche male e non trova la spinta necessaria per il colpo di testa. Ne esce una mezza carezza che mette il pallone a due metri da Farfan: bravo il peruviano a crederci e fortunato sul tiro di destro. Una botta carica di effetto, che indovina la base del primo palo e schizza infondo al sacco. Vero che Dida non chiude del tutto lo specchio, ma 99 volte su 100 quel rimbalzo torna in campo. Aggiungo che la distanza è irrisoria in proporzione alla velocità del pallone, togliendo a Nelson il tempo di reazione: responsabilità minima, quindi, rispetto a quella del nostro triste georgiano. Determinante poi il fattore Poll: dirige all'inglese con i padroni di casa e all'italiana con noi. Il giallo prematuro a Rino (intervento deciso, ma pur sempre primo fallo) è un segnale forte e chiaro, che condiziona la gara del nostro centrocampo e costringe Ancelotti a un cambio imprevisto: per evitare danni. Ma i danni Poll li fa ugualmente, su Stam: eresia il primo giallo, con intervento (di nuovo) deciso ma pulito in tackle. Una sanzione che produce i suoi effetti devastanti nel secondo tempo, quando restiamo in dieci nel quarto d'ora finale: cioè, nel momento chiave dell'assalto per il pareggio. Anche in questo caso, episodio poco fortunato: Jappone va gambe all'aria sulla fascia (la stessa fascia sulla quale siamo scivolati un po' troppo spesso) ed è costretto a strattonare il furetto Baisley, che andava in porta. Sorprende che il PSV finisca la gara senza cartellini, quando un intervento per tempo era da ammonizione chiara. Due pesi e due misure. Nel finale, il cuor di leone inglese non se la sente di deludere la bolgia della Philips Arena con un calcio di rigore: sacrosanto, per la spinta di Lamey su Sergio a fondo area.

La tribuna di Steve: il destino ancora a Istanbul. Che il capitano avesse pescato dall'urna di Nyon bussolotti incandescenti si era capito subito, ma forse nessuno si aspettava un girone così livellato. Il pari in Germania ci poteva stare, quello a San Siro con gli olandesi ovviamente no. Nel doppio confronto abbiamo prevalso per numero di palle gol create (e distrutte). Ad aprile-maggio era andata esattamente all'inverso: direi che abbiamo estinto il nostro debito con la Philips. La probabilità concreta di uscire dai giochi esiste: per rimpicciolirla, occorrerà un grande Milan nelle ultime due giornate. Più dinamico sul campo e più concreto sotto porta (Vieri è oggettivamente impresentabile e abbiamo pagato cara l'assenza del Balon d'Or: quando entra, al primo calcio piazzato centra il sette... miracolo di Gomes). Il clima Champions, come già a Gelsenkirchen, evidentemente incide sulle prestazioni nostre come dei padroni di casa, ma anche degli arbitri. Solo un antipasto, temo, di quanto troveremo a Istanbul contro un Fenerbahce in piena corsa per la qualificazione. Non siamo Capello e non siamo Mancini, lo stile Milan non contempla piagnistei. Auspichiamo però una direzione di gara equa quando si decideranno le sorti. Dice Sheva: "E' un bene tornare a giocare proprio lì una partita importante. Dobbiamo vincere. Se il Milan vincerà forse finalmente finiranno le voci sulla maledizione di Istanbul". O vittoria o morte, dunque. Ben sapendo che basterebbe un pareggio, a condizione di battere poi i tedeschi a San Siro. Tuttavia, conclude: "A questo punto, se non vinceremo le prossime due partite sarebbe anche giusto essere eliminati". Altra cultura sportiva.

Nessun commento: