25 aprile, 2008

C'È SOLO UN CAPITANO (segue)

Gattuso, la verità.

[Corriere.it] «Io sono più milanista di Galliani». Nelle sue nove stagioni di vita rossonera Rino Gattuso ha ripetuto spesso questa frase ad effetto, forse un modo come un altro per tenere sotto carica costante emozioni, stimoli e adrenalina. E del resto che il rosso e il nero siano i colori dominanti nei suoi cromosomi è ormai fuori discussione, come testimonia il fatto che il cuore del tifo duro e puro lo abbia da tempo dipinto come «uno di noi, Gattuso uno di noi». Il preambolo è fondamentale per comprendere i dubbi che stanno popolando la testa di questo ragazzo del Sud, cresciuto a corsa e fatica, così caparbio da azzerare nel tempo certi grossolani handicap tecnici, così generoso nel cuore e professionale nella quotidianità dei gesti da essere ormai incoronato come uno dei capi carismatici nella sacralità dello spogliatoio di Milanello. Se Rino oggi — nove anni e otto trofei dopo — tentenna, si interroga sul suo futuro rossonero, non è certo perché la sua capacità di «essere più milanista di Galliani» si sia annacquata. Anzi...

E neppure c'entra, come pure è stato insinuato, la vexata quaestio legata all'eredità di Paolo Maldini. Certo, dopo essersi dimostrato tiepido in passato («Queste cose sono per chi veste giacca e cravatta, non per me»), ora la fascia di capitano appagherebbe il suo orgoglio e forse qualche equivoco può averlo ingenerato il club, promettendola nei momenti di euforia ora all'uno (in corsa, in rappresentanza di un passato ricco di medaglie, c'è pure Ambrosini) ora all'altro (Kaká, sostanzialmente il futuro), ma non è questo il nocciolo del problema. Il problema vero è molto «umano» e sta sostanzialmente nel fatto che Rino Gattuso, trasparente come un pezzo di cristallo, si è reso conto che il tempo è passato, lasciando tracce profonde del suo scorrere. Può essere che questa annata complicata, figlia del successo nel Mondiale giapponese per club, abbia accentuato malesseri latenti in lui, certo è che nella sua analisi autocritica Ringhio si è scoperto improvvisamente nudo, senza più il sacro fuoco degli stimoli di una volta. E a questo impaccio mentale, alla testa appesantita dagli stress e dalle pressioni di decine e decine di partite sempre decisive, dentro o fuori, si è venuta a sommare la consapevolezza di non essere più lo stesso anche nel fisico.

Nella sua onestà intellettuale (si dice così?) il maratoneta di Ancelotti ha intuito che, dopo migliaia e migliaia di chilometri trascorsi a correre, la resistenza ma pure la brillantezza, si sono appannate: difficile per uno come lui mascherare la fatica con le magie della tecnica. Un giochino di questo tipo potrebbe riuscire a Kaká, un Pallone d'oro non lo si vince mai per caso, non a un muscolare tout court. Rino era stato investito da una analoga crisi di coscienza già dopo la dolorosa e per certi versi irripetibile sconfitta di Istanbul: ora però, con altri due anni di successi e di amarezze nel motore, lo scenario è soltanto in apparenza simile a quello dell'estate del 2005. Ritrovarsi trentenne a fare avanti e indietro sulla fascia può risultare insostenibile anche per chi ha fatto della fatica la stella cometa della sua vita, e qui, ovviamente, si mescolano pure l'immutabilità di un modulo che non è mai stato generoso con lui e la carenza di alternative che rischiano di spedire in sanatorio anche Pirlo e Ambrosini.

Ecco perché il milanista doc Gattuso Gennaro da Corigliano Schiavonea, Cosenza, sogna di andare a caccia di un calcio più lieve e meno intossicante, ovviamente al di fuori dei patrii confini. E, anche se qualcuno potrebbe sospettare il contrario, non è una faccenda di soldi. «Per il calciatore che sono, guadagno fin troppo» è un altro dei suoi slogan. Uno così è a suo modo un idealista e potrebbe magari tornare sui suoi passi, sulla vecchia strada. Perché non si è più milanisti di Galliani per caso.


Per "essere milanisti più di Galliani" è sufficiente non essere nati a Monza di fede goeba. Ma non è questo il punto. Da quasi tre anni, Shevalove racconta la verità che non si legge sulla stampa di regime e non si ascolta sui canali bulgari: la verità del Popolo Rossonero, cioè del Vecchio Cuore che batte ancora in qualche settore di San Siro, depresso ma non lottizzato dagli sponsor istituzionali e dalla curva degli impiegati ultras che cantano a comando. Racconta la storia di un gruppo di uomini ostinati e predestinati, che ha saputo sopravvivere alla notte delle streghe turche e persino a se stesso, per chiudere il cerchio fantastico delle rivincite contro Liverpool e Boca Juniors. Il ciclo del Milan di Carlo Ancelotti era finito ad Istanbul il 25 maggio 2005, e Rino Gattuso - l'unico e autentico capitano sul campo di quel gruppo - lo aveva capito forse un momento prima dei vari Kakà, Pirlo e Shevchenko: giusto per citare i nomi di chi, fra l'ecatombe dell'Ataturk e il golpe bianco di Calciopoli, aveva già deciso di dare una svolta alla propria vita. La storia poi racconta che di quei Fantastici 4 - per una quantità di motivi che qui è superfluo ribadire - fu sacrificato solo il Balon d'Or, con ciò ripianando per la prima volta nel ventennio berlusconiano un bilancio fisiologicamente deificitario. Altro che le filastrocche sul "traditore".

Ringhio ha staccato la spina da non meno di un anno: diciamo (con amarezza) da quando compare più spesso negli spot televisivi che nello score dei palloni recuperati a centrocampo. Ma da almeno due anni manda segnali chiari ed inequivocabili alla società: la rosa va rinvigorita, meno calciomarketing e più calciomercato. In Rino veritas. L'esito delle sue lamentazioni ha preso a tutt'oggi le fattezze indegne dei vari Bobone Vieri, Marcio Amoroso, "Erre punto" Oliveira, Ronaldo, Emerson, e a seguire forse Ronaldinho. Come direbbe l'amico Pupone sul set romano: famo a capisse... Triste constatarlo, ma quella di Gattuso è solo un'altra faccia (una fra le tante perse alla causa) della progressiva decadenza di un sogno che un tempo era chiamato Milan. Raggiungere il famigerato "obiettivo minimo" di Galliani & Ancelotti (obiettivo finanziario e non già sportivo) significherebbe solamente prolungare di un anno ancora l'equivoco degli "immortali" e la lenta agonia di questo nostro povero Diavolo. Da Rossonero, non è una partecipazione velleitaria alla Champions League ciò che mi auguro per il 2009, ma finalmente una stagione competitiva in Italia. E perché no, un'altra cavalcata europea per l'unico trofeo che non compare nella bacheca di Via Turati. Per poi ricominciare a sognare quella stella in più da cucire sul petto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La grandezza di una società la si misura nella capacità di definire obiettivi sportivi condivisi e di dare tutto sul campo per realizzarli. Il torneo giapponese, unica perla di questa maledetta stagione, interessava solo gli sponsor tant'è vero che per vedere la finale si è dovuto tornare al bar come nei mitici anni sessanta.
L'ostinatezza con cui si è finto di spacciare un traguardo commerciale con uno sportivo di alto valore ha finito per creare una frattura insanabile con la tifoseria genuina(mai successo che la gente si vergogni di dichiararsi milanista come ora)e con lo spogliatoio che suda e crede nella bandiera.
Se Rino se ne va in questo Milan non ci sono sostituti, salvo forse il rinato Ambro.
Questo è il dramma d'identità, non il fatto che il guerriero sia esausto e cerchi spiagge meno stressanti ove magari sia vicino ai suoceri ed in campo gli chiedano di correre solo per se stesso e non anche per qualche fighetta pupillo della dirigenza e della stampa a libro paga.
Noi potremmo perdere Ringhio e ritrovarci con la fochetta con i dentoni, ciccionaldo ed il giovanotto senza sentimenti di nome Pato.
danielone

TheSteve ha detto...

Io al grande Ringhio (che ahimè non ringhia più da un pezzo) posso sinceramente augurare lo stesso destino che auguro all'amato Sheva: di andare a finire la carriera in un club che li sappia valorizzare, rendendogli il merito che gli spetta. Evidentemente, purtroppo non questo Milan.

Anonimo ha detto...

GATTUSO: HO SEMPRE SOGNATO LA PREMIER, 2 maggio 2008

Il giocatore del Milan Rino Gattuso è stato ospite ieri sera, della puntata di “Attenti a quei due”, la rubrica di SKY dedicata alla Champions League e condotta da Gianluca Vialli & Paolo Rossi.

Com’è Gattuso fuori dal campo, ti trasformi?

“No, perché il calcio lo so fare in quel modo. Poi, la vita quotidiana è tutta un’altra cosa. Sono padre di famiglia, sono una persona normale. Il mio lavoro lo so fare in quel modo. La mia dote è la grinta, se mi levi quella…”.

Il derby di domenica.

“Siamo concentrati su questa importantissima partita. In molti mi hanno chiesto perché non sto parlando in questo periodo. Non voglio parlare, perché non voglio portare i problemi personali nel gruppo. Perché il nostro obiettivo è il quarto posto. Dopo, avrò il tempo per parlare delle mie cose. Adesso, abbiamo un obiettivo molto importante, che è il quarto posto”.

Hai giocato tre finali di Champions League.

“Ne ho vinte due ed una l’abbiamo regalata a Benitez (il tecnico del Liverpool, ndr). Devo dire che quello che si è visto in queste semifinali è stato il gioco all’italiana. Tanto catenaccio. Quando ho iniziato a giocare a calcio si diceva che quello italiano era l’anticalcio, che si pensa solo a difendersi. Invece, alla fine, ci hanno copiato”.

Qual è la spiegazione della finale persa a Istanbul contro il Liverpool? E’ vero che ti sei arrabbiato con qualcuno, perché già festeggiava sul 3-0?

“No, festeggiare no. Perché quando hai giocatori che hanno fatto più di una finale, non cadono nel trabocchetto di esultare prima che la partita finisca. Poi, specialmente nel mondo del calcio, le scaramanzie sono tantissime. La frase che ho sentito dire nello spogliatoio era quella che non muoiono mai, che è gente che non molla mai fino all’ultimo momento. Però, siamo entrati in campo nel secondo tempo e abbiamo rischiato di fare il 4-0. Dopo, sono successi quei sei minuti. Anche sul 3-3 la partita l’abbiamo sempre giocata noi. Dudek non sa nemmeno come ha fatto all’ultimo minuto dei supplementari a fare quella doppia parata su Shevchenko”.

Tu sei considerato un duro per come giochi, ma corretto.

“Si, perché solo il pensiero di far male, o di stroncare la carriera a qualche avversario, è brutto. Ho sempre pensato di non far male a nessuno. Si, giocare duro, ma dare sempre la mano. L’esperienza in Scozia a 17 anni e mezzo è stata fondamentale per me”.

Sei l’unico che prende a schiaffi, in senso buono, gli allenatori, Lippi, Ancelotti.

“Perché mi considero molto paesano. Pirlo dice che sono terrone, ma io sono molto paesano”.

A Berlusconi qualche schiaffetto?

“No”.

L’hai votato?

“L’ho votato si. Come fai a non votarlo? Penso che è stato giusto dare ad un uomo come Berlusconi, per come si è creato, un’altra possibilità di governare nuovamente l’Italia”.

Nel 2006 sei arrivato 14mo nella classifica del Pallone d’Oro

“L’avevo detto che nel calcio c’è qualcosa che non va”.

Meritavi qualcosa in più?

“Macché, ma per niente. Giuro, per tutto quello che ho fatto nella mia carriera, è come vivere un sogno. Un sogno ad occhi aperti, che continua ogni anno, che non si interrompe mai. La mia carriera la sto vivendo così, perché non ho mai pensato di vincere un mondiale, ho sempre pensato di partecipare ad un mondiale, ma di vincerlo mai. Di indossare la maglia del Milan, del quale sono tifoso fin da piccolo. Starci per nove anni, vincere tutto quello che ho vinto. Queste sono cose che non mi aspettavo assolutamente”.

Adesso sei un centrocampista completo, sai anche fare gol, come quello fatto al Palermo nella stagione 2005-2006. Poi, ti sei rivolto ai tifosi della curva.

“Mi dimostrano sempre un affetto incredibile ed è il minimo che posso fare. Credo che i tifosi siano una parte importante di una squadra di calcio. Ed è giusto condividere insieme a loro queste gioie”.

Cosa ruberesti a Kakà?

“A livello fisico non cambierei niente. A livello calcistico, il motorino che ha al posto delle gambe”.

A Nesta?

“La classe. Nel senso che a volte, quando è in difficoltà, non sembra che lo sia, perché ha una classe incredibile, ha una potenza fisica incredibile”.

A Pirlo?

“I piedi. È incredibile. Io sono sempre in tensione quando ci sono partite importanti. Lui, ricordo la finale della Coppa del Mondo, e altre finali, scherza sempre. Poi, chi non conosce Pirlo, non capisce che lui prende in giro tutti. È uno molto scherzoso. Devo dire che è una persona simpaticissima”.

Ad Ambrosini?

“Il colpo di testa”.

La fascia di capitano?

“No, la fascia no. Perché penso sia giusto che la indossi Ambrosini, che da dodici anni è al Milan. Ho sempre detto nello spogliatoio, ai dirigenti, che mi sembra corretto che la fascia l’abbia lui. Dopo, se la prende qualcun altro, è normale che…”.

Gattuso protagonista di diversi spot pubblicitari.

“Per fortuna che abbiamo vinto i mondiali…”.

Non ti infastidisce il fatto di dover interrompere questi spot per andare a giocare le partite, tipo il derby, o il campionato del mondo?

“La cosa più bella è giocare queste partite. Le partite importanti, come il derby, sono sempre belle da giocare. Ti viene un’adrenalina, una voglia di giocare, che è incredibile”.

Ti cercano di più le squadre di calcio o gli agenti pubblicitari?

“Speriamo le squadre di calcio…”.

Sei pronto per il Chelsea o per il Manchester United?

“L’inglese è un disastro…”

Ti piacerebbe tornare a giocare da quelle parti?

“Mi piacerebbe avere la possibilità di giocare nella Premier League. E’ un sogno che ho sempre avuto e non l’ho mai nascosto. Perché penso di avere delle caratteristiche per giocare in quel campionato”.

Sulle voci di doping ai mondiali di Germania

“Quello è stato uno dei giorni più brutti della mia carriera. Ho sentito tante falsità, che mi ero rifiutato di fare l’esame del sangue, perché volevo nascondere qualcosa. C’era ancora la legge che ti dava la possibilità di scegliere di fare l’esame delle urine o il prelievo del sangue. Feci quello delle urine. Nella mia vita ho sempre lavorato per raggiungere degli obiettivi, per migliorare le prestazioni. Sentire che qualcuno ti dà del dopato, è una cosa molto brutta”.

da: www.calciomercato.com