16 dicembre, 2006

POVERO DIAVOLO

Mentre il nostro vecchio Diavolo annaspa 3 punti sopra il baratro della retrocessione, il Vicario inibito e il suo inseparabile sodale di Reggiolo non trovano argomentazione migliore per giustificare l'imbarazzo collettivo che invocare, all'ossessione, la Grande Ingiustizia: madre di tutte le sciagure di questa stagione nefasta. In buona sostanza, se la squadra è in condizioni psicofisiche pietose (e centra i pali invece del bersaglio grosso) la colpa è tutta di Borrelli & Compagni, che hanno costretto i Ragazzi a dimezzare la pausa estiva per preparare il turno preliminare di Champions. I vari cocoriti di corte - l'avvocato Azzeccagarbugli, il bravo Presentatore, l'Ordine di scuderia - hanno mandato a memoria la filastrocca e battono quotidianamente il tam-tam, ognuno dal suo colle. Non arriverò a scrivere che si tratti di un'abominevole menzogna ma, nella migliore delle ipotesi, è una mezza verità.

Fatto salvo che la società ha pagato nella misura di 30 punti la condotta sleale dei suoi dirigenti per il semplice motivo che 1 solo punto di penalizzazione in più avrebbe comportato (per la gradualità delle colpe e, dunque, delle sanzioni) la retrocessione in Serie B della Lazio (leggasi, grumo di potere Carraro-Geronzi-Capitalia), la pena irrogata per il campionato scorso avrebbe comunque garantito l'accesso alla Coppa Uefa 2006/2007. Senza preliminari. Si obietterà: la squadra aveva guadagnato sul campo l'accesso (diretto) alla Champions League - per non dire il titolo tricolore, dopo le sanzioni comminate alla cupola di Piazza Crimea - pertanto era moralmente lecito, se non doveroso, rivendicare il diritto ad iscriversi. Concordo. L'amministratore delegato però non agisce, né ha mai agito, per ragioni di morale (tanto meno di blasone) ma esclusivamente per ragioni di bilancio. Occorrevano i danari della massima competizione europea per puntare al pareggio tra costi e ricavi. Per quest'unica ragione, e non per altre, l'ineffabile Vicario e il suo vassallo Cantamessa si sono battuti contro gli organi federali. Hanno ottenuto l'iscrizione: per quest'unico obiettivo, il pareggio di bilancio, i Ragazzi hanno dimezzato le ferie estive e hanno saltato la preparazione atletica abituale.

Ciò premesso, una condizione fisica inadeguata quale conseguenza dei 30 punti di penalizzazione per il campionato 2005/2006 e una condizione psicologica intermittente quale conseguenza degli 8 punti di penalizzazione per il campionato in corso, rappresentano solo una porzione (non dico irrilevante) della verità. Il resto della verità è che il dinamico duo Galliani-Braida non ha risolto una delle tre-quattro lacune di organico più macroscopiche dell'ultimo biennio: un laterale destro (possibilmente di ruolo, dopo i forzati Stam e Simic) che garantisca una terza età serena a Cafu; un centrale di difesa che rappresenti una prospettiva credibile dopo il pensionamento dei prossimi quarantenni Costacurta e Maldini; un laterale sinistro (ribadisco) di ruolo che non debba snaturare la propria impostazione da centrocampista (Serginho l'anno passato, Jankulovski quest'anno - perché il lupo perde il pelo ma non il vizio...) per coprire il settore difensivo; magari, anche un centrocampista di costruzione (genere Dhorassoo) più che di interdizione (genere Vogel), in grado di dissipare lo stucchevole equivoco della variante tattica a Pirlo. Dopo lo "tsunami estivo" - che non è stato Calciopoli, con buona pace del Vicario inibito, bensì la partenza del Balon d'Or: secondo marcatore di sempre nella storia del Milan, per i disattenti ai numeri - occorre aggiungere un ultimo tassello: non si dice un altro Shevchenko perché l'esemplare è unico, ma quanto meno un attaccante con doti realizzative commisurate alle ambizioni della società, se non al suo irripetibile predecessore. Nulla di tutto ciò: sono arrivati nuovi saldi dalla sponda triste del Naviglio (il 35enne Favalli); un centralone dal piede ruvido (Bonera), peraltro istantaneamente dirottato sulla fascia (sempre perché il lupo etc. etc.); un onesto ronzino di ritorno (Brocchi), a cui tutto si può chiedere meno che imparare ad impostare il gioco a 31 anni. Sul bersaglio fermo Ricardo Oliveira è talmente facile sparare, che mi limiterò alla fredda cronaca: 1 gol in 4 mesi di campionato, non sono numeri da attaccante di Serie A. Ma Galliani lo ha pagato come tre attaccanti di Serie A. Del talentuoso Gourcuff dico che sarebbe una promessa su cui puntare ad occhi chiusi... ma tutto sta a sapere cosa ne pensa l'allenatore in seconda: Clarence Seedorf.

Antichi fuoriclasse a fine carriera, reduci esangui del campionato mondiale, giovani (e meno giovani) comparse di talento mediocre e personalità incerta: di questo gruppo, i veterani han perduto le motivazioni e possono spendere, nella migliore delle ipotesi, le (esigue) velleità residue di gratificazione personale; mentre i comprimari sono imbrigliati nella morsa reverenziale dei primi che, come accade in ogni spogliatoio di fine ciclo, fornisce l'alibi psicologico ideale per restare nell'ombra senza assumersi responsabilità. Incornicia il quadro un allenatore bolso, che dei senatori è compagno di lungo corso, e con loro fatalmente condivide l'onere della conduzione tecnica; da tre anni vive nella rimembranza (patetica) di una notte magica a Manchester, da tre anni ripropone un copione tattico che non sa prescindere dalla presenza in campo dei suoi undici protagonisti di ruolo: non conosce alternative, non ne concepisce l'ammissibilità. Come vado ripetendo ormai da un anno e mezzo di post, questo gruppo ha cessato di essere Squadra ad Istanbul: nel bene e nel male, là è finito il ciclo del Milan di Carlo Ancelotti. Un po' per vocazione romantica, un po per interessi di bottega, un altro anno è stato speso senza cambiare nulla. Nel nome della Grande Rivincita di Parigi, si è puntata la posta piena sullo spirito di rivalsa dei singoli: unico collante in grado di tenere assieme, per una stagione ancora, un gruppo ormai scollato e sfilacciato. Scommessa plausibile, scommessa perduta. Il fuggi-fuggi generale paventato a fine stagione (parlo di Kakà, di Pirlo, di Gattuso... oltre che di Sheva, Rui e Stam) si è concretizzato solo in parte, ma doveva essere letto come un indicatore inequivocabile degli umori e delle potenzialità del gruppo.

Rinnovare (ad oltranza) la fiducia allo stesso allenatore, che predica lo stesso calcio e suppone di schierare gli stessi undici giocatori dell'Old Trafford (al netto di Kakà), trascurando il dettaglio non trascurabile che la linea difensiva ha 3 anni di troppo, che davanti non c'è più l'attaccante dei 173 gol e - soprattutto - che tutti, ma proprio tutti gli avversari del mondo hanno imparato le poche contromosse tattiche sufficienti per sterilizzare l'unico sistema di gioco che costui sia disposto a concepire, è un assurdo storico che fa scolorire nelle lacrime del Popolo Rossonero qualsiasi improbabile argomentazione di forma. Come di consueto, in Rino veritas: «In questo momento siamo una squadra senza identità. Anche noi ci aspettavamo qualche acquisto importante. I pali che abbiamo colpito sono solo tanti alibi. In realtà avevamo bisogno di rinforzi rispetto alla scorsa stagione». Davvero, un triste 107esimo anniversario per questo povero Diavolo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tutto vero, compresa l'età trapassata dei perni della squadra che non sono solo vecchi: sono irripetibili, cosa più grave della dipartita dell'ucraino, ed hanno fatto un'epoca da ricordare per una vita. D'altra parte, se a 38 anni il capitano recupera tre metri al fagotto di carne Zalayeta ed evita il gol della vergogna vuol dire che ad intermittenza resta un fuoriclasse. Per il futuro dobbiamo accontentarci di tornare sulla terra. Se la dirigenza avrà qualche lampo di intelligenza e spenderà meglio i molti soldi che Berlusconi lascia ancora in cassa magari, più tu che io, vedrai qualche scudetto ogni dieci anni. Ma la dimensione sarà peninsulare, secondo la vocazione che la politica sta dando al nostro calcio più per odio di schieramento che per convinzione, per la quale occorre il cerebro che emette onde.