31 marzo, 2008
29 marzo, 2008
SENATORI (segue)
Mercato e quarto posto nei pensieri di Ancelotti.
[Agi/Italpress] La mente dovrebbe essere rivolta al campionato e a un quarto posto vitale come l’aria, ma la tentazione è forte. La tentazione di sapere se e come sarà il Milan del futuro, dal momento che la primavera è la stagione che porta con sè le novità più importanti. Il fermento del calciomercato c'è già, lo si sente in ogni discorso, e le parole in questa fase pesano come macigni. Ecco perché quello che Carlo Ancelotti afferma circa la compatibilità tra Pato e il figliol prodigo Shevchenko non passerà sotto silenzio e creerà più di un malumore, soprattutto nel presidente Berlusconi, il primo a voler rivedere Sheva con la casacca rossonera. «Come coppia non sono l’ideale - entra a piedi uniti il tecnico - perché sono due attaccanti con caratteristiche abbastanza simili. Si muovono su tutto il fronte d’attacco e non sono statici. Una coesione tra due grandi giocatori - prova a correggere - è però possibile». Se non è una bocciatura, poco ci manca.
Meglio allora girare la questione, e sondare il terreno su chi potrebbe far coppia con l’astro nascente brasiliano. «I giocatori che possono coesistere più facilmente sono i giocatori con caratteristiche diverse - spiega Ancelotti - ad esempio Gomez ha caratteristiche diverse da Pato, è alto e meno veloce, sta più in area di rigore, ma anche Gilardino è compatibile con Pato. Borriello? Ha caratteristiche diverse dal brasiliano, quindi è compatibile». Tirando le somme le indicazioni sono chiare: no a Shevchenko, sì a uno tra Borriello e Gomez, con Gilardino citato a puro titolo di cortesia: «Il suo procuratore dice che non ha giocato molto? Le sue chance le ha sempre avute, penso che sia stato uno dei giocatori più utilizzati quest’anno». Se sul fronte mercato le cose sono in costante evoluzione, diverso è il discorso per quanto riguarda le panchine, che Ancelotti vede ben più stabili di quanto si senta dire in giro. «Le panchine di Juventus, Fiorentina, Milan e Roma mi sembrano molto stabili - afferma - non dico anche quella dell’Inter perché dopo le dichiarazioni di Mancini credo che alla fine dell’anno ci sarà un chiarimento con la società».
Il tempo è galantuomo e Shevalove ha parlato sempre in tempi non sospetti: nel Senato di Milanello, Ancelotti fu il primo cecchino del Balon d'Or. Al di là del buonismo paciarone imparato in gioventù sulle sponde del Tevere, dove auspichiamo di rivedere a luglio il pervicace di Reggiolo.
[Agi/Italpress] La mente dovrebbe essere rivolta al campionato e a un quarto posto vitale come l’aria, ma la tentazione è forte. La tentazione di sapere se e come sarà il Milan del futuro, dal momento che la primavera è la stagione che porta con sè le novità più importanti. Il fermento del calciomercato c'è già, lo si sente in ogni discorso, e le parole in questa fase pesano come macigni. Ecco perché quello che Carlo Ancelotti afferma circa la compatibilità tra Pato e il figliol prodigo Shevchenko non passerà sotto silenzio e creerà più di un malumore, soprattutto nel presidente Berlusconi, il primo a voler rivedere Sheva con la casacca rossonera. «Come coppia non sono l’ideale - entra a piedi uniti il tecnico - perché sono due attaccanti con caratteristiche abbastanza simili. Si muovono su tutto il fronte d’attacco e non sono statici. Una coesione tra due grandi giocatori - prova a correggere - è però possibile». Se non è una bocciatura, poco ci manca.
Meglio allora girare la questione, e sondare il terreno su chi potrebbe far coppia con l’astro nascente brasiliano. «I giocatori che possono coesistere più facilmente sono i giocatori con caratteristiche diverse - spiega Ancelotti - ad esempio Gomez ha caratteristiche diverse da Pato, è alto e meno veloce, sta più in area di rigore, ma anche Gilardino è compatibile con Pato. Borriello? Ha caratteristiche diverse dal brasiliano, quindi è compatibile». Tirando le somme le indicazioni sono chiare: no a Shevchenko, sì a uno tra Borriello e Gomez, con Gilardino citato a puro titolo di cortesia: «Il suo procuratore dice che non ha giocato molto? Le sue chance le ha sempre avute, penso che sia stato uno dei giocatori più utilizzati quest’anno». Se sul fronte mercato le cose sono in costante evoluzione, diverso è il discorso per quanto riguarda le panchine, che Ancelotti vede ben più stabili di quanto si senta dire in giro. «Le panchine di Juventus, Fiorentina, Milan e Roma mi sembrano molto stabili - afferma - non dico anche quella dell’Inter perché dopo le dichiarazioni di Mancini credo che alla fine dell’anno ci sarà un chiarimento con la società».
Il tempo è galantuomo e Shevalove ha parlato sempre in tempi non sospetti: nel Senato di Milanello, Ancelotti fu il primo cecchino del Balon d'Or. Al di là del buonismo paciarone imparato in gioventù sulle sponde del Tevere, dove auspichiamo di rivedere a luglio il pervicace di Reggiolo.
28 marzo, 2008
IL COMMISSIONER PELATO (segue)
Finalmente sedici.
Non è un argomento da titolo come la confidenza di Drogba sul suo futuro interista, Shevchenko che sogna il ritorno al Milan o Lampard che ha già trovato casa a Torino (titoli realmente letti sulla stampa italiana dell'ultimo mese: questo Chelsea deve essere un inferno...), ma il ricorso di Sky all’Unione Europea è senz’altro più importante per l’assegnazione degli scudetti futuri. E non è un caso che i media abbiano quasi totalmente oscurato la vicenda, dal momento che gli editori puri di quotidiani e tivù (diverso per i libri) non esistono più da decenni. Per farla breve, da più di una settimana l’emittente di Murdoch ha presentato presso la Commissione Europea un ricorso contro la legge sui diritti televisivi, il cui volto è stato quello di Giovanna Melandri, perché lederebbe i diritti della concorrenza. Verissimo, da buone ultime ruote del carro l’abbiamo scritto sei mesi fa dopo avere consultato i nostri legali (in realtà uno solo, ma parlare al plurale fa effetto: ce l’ha insegnato quel direttore querelomane finito a fare l'ultrà): una norma anticostituzionale, perché va a toccare la libertà di impresa imponendo la vendita collettiva, prima ancora che contro un fantomatico mercato. Diciamo fantomatico perché si sta parlando dei soliti tre, quattro soggetti che decidono a tavolino come spartirsi tutto: a meno che non esista qualcuno di così stupido da rinunciare alla squadre con più tifosi per puntare su realtà geografiche e sportive dallo share infinitesimale. Per questo il ricorso di Sky è sembrato improvvisato, con argomentazioni quasi pretestuose, ispirato in fretta e furia, quasi a voler prevenire l’intervento in ordine sparso dei proprietari di società con tanti potenziali teleabbonati: prima di tutti Zamparini, che fra un esonero e l’altro (mentre scriviamo l'allenatore è Colantuono) aveva visto giusto parlando in Lega di anticostituzionalità, poi De Laurentiis convinto che in tutto il mondo ci sia voglia di Napoli, infine tutti gli altri medi con ambizioni. In una trascurata intervista ad Antenna Tre, Berlusconi aveva fatto intuire che la legge Melandri avrebbe avuto vita breve, ma non poteva certo mandare allo sbaraglio un Galliani che vuole giocarsi bene le sue carte da commissioner di una Lega depurata dalla B e dai piccoli. Una lega che vada verso un campionato semichiuso a 16 squadre, magari con fase a orologio per allungare il brodo e playoff per vendere qualche superevento anche al chiaro oltre al metadone della pay per noi tossici. Un presidente di queste medie con ambizioni ha spiegato qualche giorno fa ai suoi più stretti collaboratori che Matarrese ha i mesi contati, a meno che non si esibisca nell’ennesimo carpiato alla Louganis abbandonando la provincia al suo destino; e che milanesi, romane, Juve e Fiorentina hanno strategie diverse pur nella comune lotta alla legge comunista. Bianconeri e Inter vorrebbero tornare ai vecchi diritti soggettivi, che poi sono all’origine dei contratti in essere fino al 2010, Fiorentina e Lazio vorrebbero mettersi di traverso spuntando cifre superiori al numero assoluto dei propri tifosi (con questo trucco: stadio virtuale, cioè percentuale di diritti alla squadra in trasferta, del 19 per 100 quando in trasferta ci sono le piccole, e del 50 quando ci sono le sei sorelle), la Roma sta nel mezzo ed il Milan culturalmente starebbe con Moratti e Cobolli ma praticamente ha una mission che per il gruppo conta più della Champions League: sventare la nascita di quella tivù della Lega vagheggiata da Matarrese e ben delineata nel progetto di un giornalista oggi curiosamente alle dipendenze di Berlusconi, per salvare il digitale terrestre di Mediaset e le televisioni del finto nemico Murdoch. Che solo l’antiberlusconismo viscerale genere Micromega poteva trasformare in uno di sinistra... Conclusione: la serie A a sedici squadre è più vicina di quanto l'appassionato medio pensi, stando ad alcuni dei presidenti interessati. L'obiettivo sarebbe farla partire nel 2010: tutta in pay, con qualcosa di bello in chiaro, e magari il nostro Super Bowl. Massimo due romozioni/retrocessioni, temperate da criteri di ammissione oggettivi (tipo numero di abitanti della provincia, abbonati, eccetera). Secondo il manuale del giornalista sportivo dovremmo scrivere un'editorialessa sui bei tempi andati, ma onestamente ci sembra una buona idea.
di Stefano OIivari, su Settimana Sportiva
Non è un argomento da titolo come la confidenza di Drogba sul suo futuro interista, Shevchenko che sogna il ritorno al Milan o Lampard che ha già trovato casa a Torino (titoli realmente letti sulla stampa italiana dell'ultimo mese: questo Chelsea deve essere un inferno...), ma il ricorso di Sky all’Unione Europea è senz’altro più importante per l’assegnazione degli scudetti futuri. E non è un caso che i media abbiano quasi totalmente oscurato la vicenda, dal momento che gli editori puri di quotidiani e tivù (diverso per i libri) non esistono più da decenni. Per farla breve, da più di una settimana l’emittente di Murdoch ha presentato presso la Commissione Europea un ricorso contro la legge sui diritti televisivi, il cui volto è stato quello di Giovanna Melandri, perché lederebbe i diritti della concorrenza. Verissimo, da buone ultime ruote del carro l’abbiamo scritto sei mesi fa dopo avere consultato i nostri legali (in realtà uno solo, ma parlare al plurale fa effetto: ce l’ha insegnato quel direttore querelomane finito a fare l'ultrà): una norma anticostituzionale, perché va a toccare la libertà di impresa imponendo la vendita collettiva, prima ancora che contro un fantomatico mercato. Diciamo fantomatico perché si sta parlando dei soliti tre, quattro soggetti che decidono a tavolino come spartirsi tutto: a meno che non esista qualcuno di così stupido da rinunciare alla squadre con più tifosi per puntare su realtà geografiche e sportive dallo share infinitesimale. Per questo il ricorso di Sky è sembrato improvvisato, con argomentazioni quasi pretestuose, ispirato in fretta e furia, quasi a voler prevenire l’intervento in ordine sparso dei proprietari di società con tanti potenziali teleabbonati: prima di tutti Zamparini, che fra un esonero e l’altro (mentre scriviamo l'allenatore è Colantuono) aveva visto giusto parlando in Lega di anticostituzionalità, poi De Laurentiis convinto che in tutto il mondo ci sia voglia di Napoli, infine tutti gli altri medi con ambizioni. In una trascurata intervista ad Antenna Tre, Berlusconi aveva fatto intuire che la legge Melandri avrebbe avuto vita breve, ma non poteva certo mandare allo sbaraglio un Galliani che vuole giocarsi bene le sue carte da commissioner di una Lega depurata dalla B e dai piccoli. Una lega che vada verso un campionato semichiuso a 16 squadre, magari con fase a orologio per allungare il brodo e playoff per vendere qualche superevento anche al chiaro oltre al metadone della pay per noi tossici. Un presidente di queste medie con ambizioni ha spiegato qualche giorno fa ai suoi più stretti collaboratori che Matarrese ha i mesi contati, a meno che non si esibisca nell’ennesimo carpiato alla Louganis abbandonando la provincia al suo destino; e che milanesi, romane, Juve e Fiorentina hanno strategie diverse pur nella comune lotta alla legge comunista. Bianconeri e Inter vorrebbero tornare ai vecchi diritti soggettivi, che poi sono all’origine dei contratti in essere fino al 2010, Fiorentina e Lazio vorrebbero mettersi di traverso spuntando cifre superiori al numero assoluto dei propri tifosi (con questo trucco: stadio virtuale, cioè percentuale di diritti alla squadra in trasferta, del 19 per 100 quando in trasferta ci sono le piccole, e del 50 quando ci sono le sei sorelle), la Roma sta nel mezzo ed il Milan culturalmente starebbe con Moratti e Cobolli ma praticamente ha una mission che per il gruppo conta più della Champions League: sventare la nascita di quella tivù della Lega vagheggiata da Matarrese e ben delineata nel progetto di un giornalista oggi curiosamente alle dipendenze di Berlusconi, per salvare il digitale terrestre di Mediaset e le televisioni del finto nemico Murdoch. Che solo l’antiberlusconismo viscerale genere Micromega poteva trasformare in uno di sinistra... Conclusione: la serie A a sedici squadre è più vicina di quanto l'appassionato medio pensi, stando ad alcuni dei presidenti interessati. L'obiettivo sarebbe farla partire nel 2010: tutta in pay, con qualcosa di bello in chiaro, e magari il nostro Super Bowl. Massimo due romozioni/retrocessioni, temperate da criteri di ammissione oggettivi (tipo numero di abitanti della provincia, abbonati, eccetera). Secondo il manuale del giornalista sportivo dovremmo scrivere un'editorialessa sui bei tempi andati, ma onestamente ci sembra una buona idea.
di Stefano OIivari, su Settimana Sportiva
12 marzo, 2008
PAROLA DI SILVIO (segue)
Un tesoretto da 50 milioni per ridisegnare la squadra.
Nella prossima campagna acquisti estiva il Milan potrà fare affidamento su almeno 50 milioni di euro. Sarebbe questa l’entità del "tesoretto" messo a disposizione dal presidente Berlusconi. Il numero uno di via Turati, intervenendo lunedì sera in diretta ad Antenna 3 Lombardia, ha fatto una promessa importante: l’acquisto di un fuoriclasse, con chiaro riferimento ad un attaccante di un certo peso e prestigio. Gli indizi conducono a uno fra Drogba, Amauri e Adebayor. Quest’ultimo appare sfavorito per il fatto che è extracomunitario e, quindi, toglierebbe il posto al rientrante Shevchenko. La scelta verrebbe ridotta a Drogba e Amauri. L’ivoriano e il brasiliano sono soggetti a una discriminante che potrebbe fare la differenza. Drogba viene valutato dal Chelsea almeno 35 milioni di euro. Zamparini ha fissato in 25 milioni di euro il prezzo di Amauri. Berlusconi ha annunciato anche un intervento piuttosto importante anche in difesa. Il gettonatissimo Zambrotta sta già preparando le valigie e dovrebbe costare almeno 6 milioni di euro, poco più della metà di quanto l’aveva pagato il Barcellona. Il rientro alla base di Marzoratti contribuirebbe ad abbassare l’età media dell’organico milanista. Scontato il divorzio da Dida, in via Turati ci si sta interrogando sull’eventualità di puntare anche su un portiere esperto e affermato come Frey (valutato almeno 20 milioni di euro) oppure su un giovane promettente come Lloris, anche lui francese, attualmente fra i pali del Nizza. Si tratta di una scommessa del valore di 3,5 milioni di euro. La campagna acquisti rossonera dovrebbe essere completata dagli ingaggi di Shevchenko (ceduto in prestito gratuito dal Chelsea) e da Flamini. Il potente centrocampista dell’Arsenal è in scadenza di contratto e il Milan l’ha già opzionato.
dal Corriere dello Sport di oggi.
Nella prossima campagna acquisti estiva il Milan potrà fare affidamento su almeno 50 milioni di euro. Sarebbe questa l’entità del "tesoretto" messo a disposizione dal presidente Berlusconi. Il numero uno di via Turati, intervenendo lunedì sera in diretta ad Antenna 3 Lombardia, ha fatto una promessa importante: l’acquisto di un fuoriclasse, con chiaro riferimento ad un attaccante di un certo peso e prestigio. Gli indizi conducono a uno fra Drogba, Amauri e Adebayor. Quest’ultimo appare sfavorito per il fatto che è extracomunitario e, quindi, toglierebbe il posto al rientrante Shevchenko. La scelta verrebbe ridotta a Drogba e Amauri. L’ivoriano e il brasiliano sono soggetti a una discriminante che potrebbe fare la differenza. Drogba viene valutato dal Chelsea almeno 35 milioni di euro. Zamparini ha fissato in 25 milioni di euro il prezzo di Amauri. Berlusconi ha annunciato anche un intervento piuttosto importante anche in difesa. Il gettonatissimo Zambrotta sta già preparando le valigie e dovrebbe costare almeno 6 milioni di euro, poco più della metà di quanto l’aveva pagato il Barcellona. Il rientro alla base di Marzoratti contribuirebbe ad abbassare l’età media dell’organico milanista. Scontato il divorzio da Dida, in via Turati ci si sta interrogando sull’eventualità di puntare anche su un portiere esperto e affermato come Frey (valutato almeno 20 milioni di euro) oppure su un giovane promettente come Lloris, anche lui francese, attualmente fra i pali del Nizza. Si tratta di una scommessa del valore di 3,5 milioni di euro. La campagna acquisti rossonera dovrebbe essere completata dagli ingaggi di Shevchenko (ceduto in prestito gratuito dal Chelsea) e da Flamini. Il potente centrocampista dell’Arsenal è in scadenza di contratto e il Milan l’ha già opzionato.
dal Corriere dello Sport di oggi.
07 marzo, 2008
SENATORI (segue)
Sheva, con 10 milioni si scappa dal Chelsea.
Un affare di famiglia. Nella notte dopo l'eliminazione, il presidente Berlusconi è tornato più forte e più chiaramente che mai sulla scelta di cuore («Voglio riprendermi Shevchenko») e ieri, davanti alle telecamere di Sky, anche Paolo Maldini ha fatto la sua dichiarazione di voto: «Sheva ha già fatto 200 gol per il Milan, quelli che hanno fatto bene per il Milan hanno sempre una porta aperta». La sera del 20 febbraio, dopo lo 0 a 0 all'Emirates contro l'Arsenal, Shevchenko salì sul pullman del Milan e andò a cena con i suoi ex compagni. In albergo, c'erano già i familiari ad aspettare. Adriana Maldini era seduta a tavola con Kristen Shevchenko.
Tante voci si sono diffuse subito dopo l'eliminazione del Milan dalla Champions e qualcuno parla di contatti fra la moglie dell'ucraino e agenti immobiliari: i due cercherebbero casa a Milano. In realtà, i due non hanno necessità immediata di un appartamento, visto che ne hanno conservato uno nella zona più elegante del centro. L'unica certezza, nella nebbia che ancora avvolge la carriera di Shevchenko, è che l'ucraino in nessun caso resterà a Londra. E non ci sono molte squadre, Milan a parte, per le quali abbia voglia di traslocare.
E non ci sono neppure molte offerte valide: due anni di Chelsea hanno sensibilmente ridotto il suo appeal, però anche il valore del suo cartellino è cambiato e questo per il Milan potrebbe essere un vantaggio. Perché quello che non si poteva fare per motivi economici dopo la finale di Atene si può fare adesso: Sheva potrebbe costare 10 milioni di euro, ed è stato ceduto per 45. I tifosi del Milan protestano perché non vogliono più giocatori «a fine carriera», come scrivono su molti siti, ma è difficile che Berlusconi in questo momento spenda 40 milioni per un attaccante: i messaggi dell'altra notte sono chiarissimi.
Nonostante le due stagioni di riposo più o meno forzato, causato in principio da Mourinho, poi dai suoi guai fisici, infine dalla eccezionale concorrenza (Drogba, Salomon Kalou, Anelka, Wright Phillips), l'ucraino si ritiene in ottime condizioni, e lo stesso pensano fisioterapisti e preparatori che lavorano con lui. Shevchenko si allena accanitamente, anche da solo quando non può farlo con le riserve del Chelsea: ieri ha sostenuto dei test di velocità e i risultati sono brillanti. Fisicamente, l'ucraino c'è. Il resto dovrà valutarlo il Milan, ma è chiaro che il ritorno a casa (così la famiglia Shevchenko considera Milano) è il desiderio più grande.
da La Gazzetta dello Sport di oggi.
Osservo con un occhio evidentemente interessato l'evoluzione recente della comunicazione mediatica sul tema che mi sta a cuore. A parte il tam-tam ogni giorno più insistente del foglio nazionale - ma si sa (ne sa qualcosa anche il povero Ordine) che la sponda rosa è quella buona - rilevo che il Senato di Milanello ha già iniziato a manifestare le proprie dichiarazioni di voto, come si legge sopra. Dico il Senato delle famose «tre componenti» di Galliani, quello del «veto tecnico», insomma quello che ha scagliato lontano il Balon d'Or un paio d'estati or sono. Ebbene, detto di Maldini (dichiarazione sommamente diplomatica, dichiarazione da prossimo dirigente non giocatore), riporto nei commenti una carrellata di opinioni rubate fra le righe. Ciò che conta è che oggi si trova il coraggio di pubblicare una verità che su questo blog si racconta da mesi: il presidente non investirà per ricostruire. E allora, per quale motivo dovrebbe essere Sheva l'eccezione alla regola di cinque anni di gestione al risparmio del club?
Un affare di famiglia. Nella notte dopo l'eliminazione, il presidente Berlusconi è tornato più forte e più chiaramente che mai sulla scelta di cuore («Voglio riprendermi Shevchenko») e ieri, davanti alle telecamere di Sky, anche Paolo Maldini ha fatto la sua dichiarazione di voto: «Sheva ha già fatto 200 gol per il Milan, quelli che hanno fatto bene per il Milan hanno sempre una porta aperta». La sera del 20 febbraio, dopo lo 0 a 0 all'Emirates contro l'Arsenal, Shevchenko salì sul pullman del Milan e andò a cena con i suoi ex compagni. In albergo, c'erano già i familiari ad aspettare. Adriana Maldini era seduta a tavola con Kristen Shevchenko.
Tante voci si sono diffuse subito dopo l'eliminazione del Milan dalla Champions e qualcuno parla di contatti fra la moglie dell'ucraino e agenti immobiliari: i due cercherebbero casa a Milano. In realtà, i due non hanno necessità immediata di un appartamento, visto che ne hanno conservato uno nella zona più elegante del centro. L'unica certezza, nella nebbia che ancora avvolge la carriera di Shevchenko, è che l'ucraino in nessun caso resterà a Londra. E non ci sono molte squadre, Milan a parte, per le quali abbia voglia di traslocare.
E non ci sono neppure molte offerte valide: due anni di Chelsea hanno sensibilmente ridotto il suo appeal, però anche il valore del suo cartellino è cambiato e questo per il Milan potrebbe essere un vantaggio. Perché quello che non si poteva fare per motivi economici dopo la finale di Atene si può fare adesso: Sheva potrebbe costare 10 milioni di euro, ed è stato ceduto per 45. I tifosi del Milan protestano perché non vogliono più giocatori «a fine carriera», come scrivono su molti siti, ma è difficile che Berlusconi in questo momento spenda 40 milioni per un attaccante: i messaggi dell'altra notte sono chiarissimi.
Nonostante le due stagioni di riposo più o meno forzato, causato in principio da Mourinho, poi dai suoi guai fisici, infine dalla eccezionale concorrenza (Drogba, Salomon Kalou, Anelka, Wright Phillips), l'ucraino si ritiene in ottime condizioni, e lo stesso pensano fisioterapisti e preparatori che lavorano con lui. Shevchenko si allena accanitamente, anche da solo quando non può farlo con le riserve del Chelsea: ieri ha sostenuto dei test di velocità e i risultati sono brillanti. Fisicamente, l'ucraino c'è. Il resto dovrà valutarlo il Milan, ma è chiaro che il ritorno a casa (così la famiglia Shevchenko considera Milano) è il desiderio più grande.
da La Gazzetta dello Sport di oggi.
Osservo con un occhio evidentemente interessato l'evoluzione recente della comunicazione mediatica sul tema che mi sta a cuore. A parte il tam-tam ogni giorno più insistente del foglio nazionale - ma si sa (ne sa qualcosa anche il povero Ordine) che la sponda rosa è quella buona - rilevo che il Senato di Milanello ha già iniziato a manifestare le proprie dichiarazioni di voto, come si legge sopra. Dico il Senato delle famose «tre componenti» di Galliani, quello del «veto tecnico», insomma quello che ha scagliato lontano il Balon d'Or un paio d'estati or sono. Ebbene, detto di Maldini (dichiarazione sommamente diplomatica, dichiarazione da prossimo dirigente non giocatore), riporto nei commenti una carrellata di opinioni rubate fra le righe. Ciò che conta è che oggi si trova il coraggio di pubblicare una verità che su questo blog si racconta da mesi: il presidente non investirà per ricostruire. E allora, per quale motivo dovrebbe essere Sheva l'eccezione alla regola di cinque anni di gestione al risparmio del club?
HAPPY HOUR
La vita è adesso, soprattutto nello sport professionistico. Per questo nessun ciclo del Milan si è interrotto a San Siro contro l'Arsenal, al di là della lezione di calcio data per 180 minuti da Wenger: perché, bisogna ricordarlo, la stessa rosa dei Gunners allenata non da un passante ma, mettiamo, da Trapattoni, anche contro un Milan logoro avrebbe faticato ad uscire dalla metà campo. Tolti Fabregas e Van Persie (che era in panchina, in ogni caso), una squadra di giocatori medi ma nel fiore degli anni e bene allenati potrebbe far trarre l'affrettata conclusione che questo Milan sia da pensionare. Ma dove? Anche senza la scontata citazione delle recenti vittorie, a livello di primi undici per una squadra che deve vincere nel presente, tolto Maldini l'età è quella giusta. I due uomini da vetrina, Kakà e Pirlo, hanno 26 e 29 anni, la difesa con Zambrotta (che comunque ha la stessa età di Jankulovski) al posto di Maldini sarebbe tutta di gente intorno alla trentina, Seedorf (che anche zoppo è il giocatore decisivo di Ancelotti nelle partite senza domani: non a caso mancava) si può sempre gestire, Pato può solo crescere, tutti gli altri sono tranquillamente sostituibili con giocatori sul mercato. Drogba fa titolo, ma con meno di 20 milioni l'attaccante ideale, per fisico e tecnica, per aprire il campo a Kakà e Pato esiste già e si chiama Amauri. Non a caso è già stato cercato, al di là della sua nazionalità calcistica ancora da definire (scegliesse l'Italia guadagnerebbe punti Milan).
Tutto il resto è contorno, ricordando l'ovvio: negli ultimi anni Galliani ha sistematicamente sbagliato nella scelta delle seconde linee, un po' per bronzettismo (Emerson ha dato qualche segno di vita nell'ultimo mese, ma rapportato all'ingaggio è impresentabile), un po' per errori puri e moltissimo per non rovinare equilibri societari e di spogliatoio. Bonera perché ha lo stesso procuratore di Pirlo, Ba perché porta bene, Cafu perché è simpatico, Digao per ammorbidire suo fratello, Favalli perché piace a Fini, Simic perché non si è autoridotto l'ingaggio e non si è riusciti a cederlo, Serginho perché non ha pretese se non quella di essere pagato, Brocchi perché ha tanti affari a Milano, e così via: a parte Gourcuff e pochi altri il Milan Due è più una squadra di amici, di gestori di locali e di pubbliche relazioni che un'alternativa in grado di dare respiro in campionato al Milan Uno. Non è di per sé una cosa negativa, la panchina da happy hour: le gestione di giocatori di pari livello è spesso impossibile e prima di fare l'allenatore Ancelotti qualche anno sul campo l'ha passato. Insomma, con un attaccante di valore, qualche rincalzo sano di livello Empoli o Cagliari ed una scelta chiara del portiere, questa squadra rimarrebbe da Champions League anche con Lippi, facendo in campionato meglio del probabile quarto posto di quest'anno. Gli scenaristi sono già scesi in campo, ma fra un titolone e l'altro scommettiamo sul fatto che non ci sarà alcuna rivoluzione: i giornalisti di area servono a far sognare il tifoso con Ronaldinho e Gerrard, ma uno dei segreti dei 22 anni berlusconiani è stato sempre quello di cambiare poco da un anno all'altro. L'unica volta in cui si è derogato da questa regola, nell'estate 1997 (quella di Kluivert, Ziege, Bogarde, Ba, Leonardo e del ritorno di Capello), mezza squadra giocò contro allenatore e società.
di Stefano Olivari, su La Settimana Sportiva.
Tutto il resto è contorno, ricordando l'ovvio: negli ultimi anni Galliani ha sistematicamente sbagliato nella scelta delle seconde linee, un po' per bronzettismo (Emerson ha dato qualche segno di vita nell'ultimo mese, ma rapportato all'ingaggio è impresentabile), un po' per errori puri e moltissimo per non rovinare equilibri societari e di spogliatoio. Bonera perché ha lo stesso procuratore di Pirlo, Ba perché porta bene, Cafu perché è simpatico, Digao per ammorbidire suo fratello, Favalli perché piace a Fini, Simic perché non si è autoridotto l'ingaggio e non si è riusciti a cederlo, Serginho perché non ha pretese se non quella di essere pagato, Brocchi perché ha tanti affari a Milano, e così via: a parte Gourcuff e pochi altri il Milan Due è più una squadra di amici, di gestori di locali e di pubbliche relazioni che un'alternativa in grado di dare respiro in campionato al Milan Uno. Non è di per sé una cosa negativa, la panchina da happy hour: le gestione di giocatori di pari livello è spesso impossibile e prima di fare l'allenatore Ancelotti qualche anno sul campo l'ha passato. Insomma, con un attaccante di valore, qualche rincalzo sano di livello Empoli o Cagliari ed una scelta chiara del portiere, questa squadra rimarrebbe da Champions League anche con Lippi, facendo in campionato meglio del probabile quarto posto di quest'anno. Gli scenaristi sono già scesi in campo, ma fra un titolone e l'altro scommettiamo sul fatto che non ci sarà alcuna rivoluzione: i giornalisti di area servono a far sognare il tifoso con Ronaldinho e Gerrard, ma uno dei segreti dei 22 anni berlusconiani è stato sempre quello di cambiare poco da un anno all'altro. L'unica volta in cui si è derogato da questa regola, nell'estate 1997 (quella di Kluivert, Ziege, Bogarde, Ba, Leonardo e del ritorno di Capello), mezza squadra giocò contro allenatore e società.
di Stefano Olivari, su La Settimana Sportiva.
06 marzo, 2008
PAROLA DI SILVIO (segue)
Berlusconi vuole Sheva: La soluzione migliore.
Presidente, sarà un boccone duro da mandar giù.
«Sono stato tutta la sera al telefono, ho dovuto consolare molte persone...».
Che cosa è mancato in particolare al Milan in questa sfida con l'Arsenal?
«Più di ogni altra cosa si è notata l'assenza di Ronaldo».
Non rischia di diventare un alibi?
«No, perché in avanti ci manca un pilastro. Avevamo progettato e impostato la squadra con una punta come Inzaghi o Pato assieme a un giocatore prestante come Ronaldo. E ora tutto questo non è possibile».
Non lo sarà ancora per un bel po'...
«Io sarò un romantico, ma credo ancora in un suo ritorno a pieno regime».
Adebayor...
«Sì, è davvero bravo, ma io quando penso a un attaccante ho sempre un'altra figura di riferimento».
È per caso Drogba? Pare sia il nome in cima alla vostra lista.
«Veramente intendevo Shevchenko. Ci penso continuamente, e lo sento con regolarità. Non credo che Abramovich abbia problemi a liberarlo. I tifosi capirebbero il suo ritorno. Per noi sarebbe la soluzione migliore».
La piazza però pare un po' scettica su un ritorno di Andriy.
I tifosi capirebbero che sarebbe la scelta più indicata. Lui è un giocatore prestante, per noi potrebbe rappresentare la soluzione migliore.
Presidente, sarà un boccone duro da mandar giù.
«Sono stato tutta la sera al telefono, ho dovuto consolare molte persone...».
Che cosa è mancato in particolare al Milan in questa sfida con l'Arsenal?
«Più di ogni altra cosa si è notata l'assenza di Ronaldo».
Non rischia di diventare un alibi?
«No, perché in avanti ci manca un pilastro. Avevamo progettato e impostato la squadra con una punta come Inzaghi o Pato assieme a un giocatore prestante come Ronaldo. E ora tutto questo non è possibile».
Non lo sarà ancora per un bel po'...
«Io sarò un romantico, ma credo ancora in un suo ritorno a pieno regime».
Adebayor...
«Sì, è davvero bravo, ma io quando penso a un attaccante ho sempre un'altra figura di riferimento».
È per caso Drogba? Pare sia il nome in cima alla vostra lista.
«Veramente intendevo Shevchenko. Ci penso continuamente, e lo sento con regolarità. Non credo che Abramovich abbia problemi a liberarlo. I tifosi capirebbero il suo ritorno. Per noi sarebbe la soluzione migliore».
La piazza però pare un po' scettica su un ritorno di Andriy.
I tifosi capirebbero che sarebbe la scelta più indicata. Lui è un giocatore prestante, per noi potrebbe rappresentare la soluzione migliore.
Davvero le considerazioni sull'attacco si esauriscono qui?
«No di certo. Bisogna tenere in considerazione Borriello, che adesso è il capocannoniere del campionato e tornerà alla base, e poi ci sarà anche Paloschi».
Situazione negli altri reparti?
«In difesa siamo messi abbastanza bene, mentre per il centrocampo credo molto in Gourcuff. A mio parere riuscirà a trovare un posto in mediana, e non dimentichiamo che ha un gran bel tiro».
Ora in Champions chi si tifa?
«Senz'altro Inter. Mia mamma è stata segretaria di Moratti e io sono amico di Massimo: gli auguro di vincere la coppa, così festeggeremo tutti insieme. Magari i tifosi del Milan non ne saranno molto contenti, ma io sono un tifoso anomalo...».
da La Gazzetta dello Sport di oggi.
05 marzo, 2008
UN PASSO AVANTI
Cesc e i suoi fratelli, sipario sui campioni.
[LaStampa.it] Venticinque minuti, è il tempo di un cambio generazionale sopra un campo di pallone. Quanto ci mettono i ragazzi dell’Arsenal a prendere le misure e il coraggio, a tirar fuori la furbizia a sconvolgere l’ordine costituito. Non è una rivoluzione violenta e neanche un ’68 sbandierato con la forza e gli slogan di tattiche mai viste. Wenger li piazza bene e poi li lascia fare ed è questione di un centimetro per volta, non di un colpo di stato. Si riparte da una botta sulla traversa: Adebayor all’andata e Fabregas al ritorno. Due ammaccature sopra il potere che crolla a 5’ dalla fine. Sempre loro: Fabregas e Adebayor, vent’anni uno, 24 l’altro e non hanno più voglia né tempo di farsi dare ancora dei bambini. Dall’altra parte possono solo provare a resistere e non perché non sanno che altro fare, ci credono. Mangiare il tempo, spegnere i tiri avversari, sbiadire l’ardore di chi non si sente più un giovane, ma rivale, pronto e competitivo. Hanno una sola via per uscirne e la provano. È esperienza contro consapevolezza ed è lì che diventa difficile e si inceppa il sistema, prima era storia contro voracità e vince sempre la storia: troppo solida per buttarla giù a morsi. Ma ormai Fabregas non è più talento acerbo, Adebayor non è più tutto paura di sbagliare, Flamini non è più il cocco di Wenger e Hleb è geniale quanto Pirlo, ma più veloce di lui e in serata decisamente migliore. Ancelotti si arrende: «Abbiamo fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità». Il duello ha cambiato prospettiva, all’improvviso sono convinti anche i giovinastri, più maliziosi che spavaldi: non iniziano facendo gli sbruffoni, si insinuano e la vecchia guardia non se lo aspetta. Restano fermi dentro il loro passato: attaccanti sganciati e sollevati da ogni responsabilità perché è così che il Milan ha già vinto, anche l’ultima Champions. Però questa è pure peggio di una finale, è una partita di confine. Segna il limite, il passaggio di consegne. Lo sa bene Berlusconi cosa vuol dire trovarsi davanti la faccia nuova, che sforzi richiede avere a che fare con quello che tutti battezzano fresco, diverso, rapido e infatti prima della partita si piazza nel corridoio che porta al campo e stringe la mano a ogni calciatore con la maglia rossonera. Di solito regala pacche e sorrisi, entusiasmo americano, ma questo giro ci mette più presenza e non dice una parola. Si ferma solo su Kakà e allunga l’altra mano per toccargli la spalla come fosse un’investitura. Dà fiducia al talento e il pallone d’oro gli risponde con un cenno sereno. Non basterà. Il Presidente può solo congratularsi e guardare la Champions sparire dall’orizzonte: «Non ci hanno fatto vedere palla». In campo Kakà è costretto ad arretrare, non è una partita da giocare sulla memoria di quanto è stato. Qui non serve quello che ha funzionato prima, perché Flamini sta metri oltre la zona affollata e chiama fuori i suoi ed esce Inzaghi. Qualcosa più di una sostituzione. Il pubblico saluta l’uomo che ha deciso la finale 2007 contro il Liverpool, l’attaccante che ha rapinato aeree e scardinato partite, se ne va la possibilità di ripetersi. Anche Gattuso non funziona, non è una partita fisica, viene saltato e non solo fisicamente. Superato da una corrente, da un altro modo di far girare la palla che non prevede ringhi solo passaggi e freschezza. Lo spiega Wenger: «I miei sono cresciuti, uscivano da una brutta settimana e hanno dimostrato di avere la maturità e la calma per venir fuori nel momento che conta. Quel che mi dà soddisfazione è che la squadra era pronta per questa notte». Al Milan resta Pato, l’unico pezzo di futuro a disposizione. Ha ancora le spalle strette, è il giocatore che capisce meglio cosa fare, ma non ha ancora bene idea di come. Nel primo tempo spreca, nel secondo cresce, ma non gli riesce di farlo abbastanza in fretta. Ancelotti gli parla, di continuo, ci sono momenti in cui si concentra solo su di lui, un corso accelerato: «Come dimostrare di essere campioni». Lui esegue, trova degli spazi, poi viene spazzato via dall’onda. Kakà impreca e non lo aveva mai fatto, il pubblico applaude perché sa cosa ha visto ed è giusto salutare, omaggiare e ringraziare. È finito un mondo, cambiata un’epoca e il campo è di un’altra generazione.
Il Punto, di Roberto Beccantini.
Cesc Fabregas, vent’anni. Emmanuel Adebayor, ventiquattro. La sentenza è nell’età, più che nei nomi e nei gol. La gioventù dell’Arsenal spazza via le rughe e le stampelle del Milan. Giù il cappello. Verdetto limpido. E pochi rimorsi: se non le due punte (più Kakà) schierate da Ancelotti. Visti i triboli patiti a metà campo, perché non uno sherpa in più? Dettagli, comunque. Prima o poi doveva succedere. È successo. Il Milan gioca sulla memoria; l’Arsenal, a memoria. Due grandi squadre: una alla frutta, l’altra al primo. Applausi a entrambe: è così che si fa. Il pressing alto dei «gunners» ha ingoiato le rare sgommate di Kakà. Era lui, la differenza in Europa. Era. Berlusconi dovrà rinfrescare la rosa. I «quaranta» di Paolo Maldini commuovono, ma per far strada in Champions servono altre risorse. Un Pato meno acerbo, per esempio. Non si può sempre e comunque giocare a poker. Il giorno in cui al tavolo si siede un Arsenal - e la spalla di Inzaghi non funziona - finisce che ti spennano. Ho sbagliato pronostico. Ho trascurato i talenti di Wenger. Fabregas ha acceso i suoi, non altrettanto è riuscito a Pirlo. Gran duello, il loro: anche se a distanza. E Flamini, che pugnale nel costato. L’aggressività e la freschezza degli inglesi (per modo di dire) hanno scavato il fosso. Era il migliore dei Milan possibili, avaro, sgonfio, incollato al mestiere e a un’idea. Troppo poco. La baracca l’hanno tenuta su i difensori e Kalac. Oltre alla leziosità endemica degli Adebayor. Cruciale la staffetta fra Eboué e Walcott. Ha disarcionato Maldini. Rifornire Kakà, Inzaghi e Pato non era facile. E vigilare in otto, nemmeno. Al Milan, a «questo» Milan, non possiamo che dire grazie. È arrivato nudo e cotto alla meta, la qual cosa - infortuni a parte - chiama in causa i vertici societari. Da ieri sera, c’è un solo obiettivo: il quarto posto in campionato. Gira e rigira, chi ci rimette è sempre la Juventus.
Ancelotti: Io non me ne vado.
«Adesso dovete prepararvi bene per il campionato, da qui in avanti giocheramo dodici finali». Silvio Berlusconi e Adriano Galliani provano a consolare i giocatori rossoneri, ma all’interno dello spogliatoio del Milan c’è solo delusione. La società ha subito indirizzato il proprio pensiero al quarto posto in serie A perché come dice Berlusconi a Mediaset: «Non arrivare in Champions sarebbe inconcepibile». Kakà chiamerà la sconfitta contro l’Arsenal «un brutto incidente». Ancelotti non si sente in bilico: «Dimettermi? Non credo proprio che le cose andranno così, questa squadra ha vinto tanto e siamo pronti per ricominciare». I tifosi sono convinti che il ciclo sia finito, Ancelotti che ha ricevuto un coro d’incoraggiamento dalla Curva, però non è d’accordo: «Fin quando Berlusconi resterà presidente il ciclo non finirà». Il Cavaliere d’altra parte allontana l’ipotesi Lippi: «Carletto resta». Kakà puntualizza: «A fine stagione alcuni giocatori smetteranno e la società dovrà fare le sue valutazioni». Berlusconi vuole rifare il contratto a Ronaldo e riportare Shevchenko a Milanello, gli ultras, invece, si aspettano investimenti seri e duratori. Saranno mesi caldi per tutti.
Secondo un copione già scritto, il penultimo passo verso l'ecatombe finale di maggio. Ieri sera a San Siro, una lezione solare di calcio: dai tempi del Maestro di Fusignano non vedevo una squadra imporre il proprio gioco attraverso un possesso palla così geometrico e applicato a ritmi tanto ossessivi. Il pervicace di Reggiolo, dal canto suo, ha mandato il nostro povero Diavolo al massacro, schiacciando i due incontristi (sfiancati per mancata rotation, da noi detto turn-over) a ridosso della linea dei difensori e isolando le due punte sessanta metri più avanti: per raggiungerle, cavalcate di sessanta metri a testa bassa di Kakà in versione Gondrand (al secolo, la buonanima di Giancarlone Pasinato) o in alternativa, lanci di sessanta metri di Pirlo in versione pirla (leggasi appoggio sui piedi dell'avversario nell'azione che ha scatenato il gol del vantaggio, idem pochi minuti prima a ridosso dell'area di rigore, episodio miracolosamente oscurato da tutti i cronisti e da tutti gli highlights televisivi...). Come a dire, il calcio degli anni sessanta.
[LaStampa.it] Venticinque minuti, è il tempo di un cambio generazionale sopra un campo di pallone. Quanto ci mettono i ragazzi dell’Arsenal a prendere le misure e il coraggio, a tirar fuori la furbizia a sconvolgere l’ordine costituito. Non è una rivoluzione violenta e neanche un ’68 sbandierato con la forza e gli slogan di tattiche mai viste. Wenger li piazza bene e poi li lascia fare ed è questione di un centimetro per volta, non di un colpo di stato. Si riparte da una botta sulla traversa: Adebayor all’andata e Fabregas al ritorno. Due ammaccature sopra il potere che crolla a 5’ dalla fine. Sempre loro: Fabregas e Adebayor, vent’anni uno, 24 l’altro e non hanno più voglia né tempo di farsi dare ancora dei bambini. Dall’altra parte possono solo provare a resistere e non perché non sanno che altro fare, ci credono. Mangiare il tempo, spegnere i tiri avversari, sbiadire l’ardore di chi non si sente più un giovane, ma rivale, pronto e competitivo. Hanno una sola via per uscirne e la provano. È esperienza contro consapevolezza ed è lì che diventa difficile e si inceppa il sistema, prima era storia contro voracità e vince sempre la storia: troppo solida per buttarla giù a morsi. Ma ormai Fabregas non è più talento acerbo, Adebayor non è più tutto paura di sbagliare, Flamini non è più il cocco di Wenger e Hleb è geniale quanto Pirlo, ma più veloce di lui e in serata decisamente migliore. Ancelotti si arrende: «Abbiamo fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità». Il duello ha cambiato prospettiva, all’improvviso sono convinti anche i giovinastri, più maliziosi che spavaldi: non iniziano facendo gli sbruffoni, si insinuano e la vecchia guardia non se lo aspetta. Restano fermi dentro il loro passato: attaccanti sganciati e sollevati da ogni responsabilità perché è così che il Milan ha già vinto, anche l’ultima Champions. Però questa è pure peggio di una finale, è una partita di confine. Segna il limite, il passaggio di consegne. Lo sa bene Berlusconi cosa vuol dire trovarsi davanti la faccia nuova, che sforzi richiede avere a che fare con quello che tutti battezzano fresco, diverso, rapido e infatti prima della partita si piazza nel corridoio che porta al campo e stringe la mano a ogni calciatore con la maglia rossonera. Di solito regala pacche e sorrisi, entusiasmo americano, ma questo giro ci mette più presenza e non dice una parola. Si ferma solo su Kakà e allunga l’altra mano per toccargli la spalla come fosse un’investitura. Dà fiducia al talento e il pallone d’oro gli risponde con un cenno sereno. Non basterà. Il Presidente può solo congratularsi e guardare la Champions sparire dall’orizzonte: «Non ci hanno fatto vedere palla». In campo Kakà è costretto ad arretrare, non è una partita da giocare sulla memoria di quanto è stato. Qui non serve quello che ha funzionato prima, perché Flamini sta metri oltre la zona affollata e chiama fuori i suoi ed esce Inzaghi. Qualcosa più di una sostituzione. Il pubblico saluta l’uomo che ha deciso la finale 2007 contro il Liverpool, l’attaccante che ha rapinato aeree e scardinato partite, se ne va la possibilità di ripetersi. Anche Gattuso non funziona, non è una partita fisica, viene saltato e non solo fisicamente. Superato da una corrente, da un altro modo di far girare la palla che non prevede ringhi solo passaggi e freschezza. Lo spiega Wenger: «I miei sono cresciuti, uscivano da una brutta settimana e hanno dimostrato di avere la maturità e la calma per venir fuori nel momento che conta. Quel che mi dà soddisfazione è che la squadra era pronta per questa notte». Al Milan resta Pato, l’unico pezzo di futuro a disposizione. Ha ancora le spalle strette, è il giocatore che capisce meglio cosa fare, ma non ha ancora bene idea di come. Nel primo tempo spreca, nel secondo cresce, ma non gli riesce di farlo abbastanza in fretta. Ancelotti gli parla, di continuo, ci sono momenti in cui si concentra solo su di lui, un corso accelerato: «Come dimostrare di essere campioni». Lui esegue, trova degli spazi, poi viene spazzato via dall’onda. Kakà impreca e non lo aveva mai fatto, il pubblico applaude perché sa cosa ha visto ed è giusto salutare, omaggiare e ringraziare. È finito un mondo, cambiata un’epoca e il campo è di un’altra generazione.
Il Punto, di Roberto Beccantini.
Cesc Fabregas, vent’anni. Emmanuel Adebayor, ventiquattro. La sentenza è nell’età, più che nei nomi e nei gol. La gioventù dell’Arsenal spazza via le rughe e le stampelle del Milan. Giù il cappello. Verdetto limpido. E pochi rimorsi: se non le due punte (più Kakà) schierate da Ancelotti. Visti i triboli patiti a metà campo, perché non uno sherpa in più? Dettagli, comunque. Prima o poi doveva succedere. È successo. Il Milan gioca sulla memoria; l’Arsenal, a memoria. Due grandi squadre: una alla frutta, l’altra al primo. Applausi a entrambe: è così che si fa. Il pressing alto dei «gunners» ha ingoiato le rare sgommate di Kakà. Era lui, la differenza in Europa. Era. Berlusconi dovrà rinfrescare la rosa. I «quaranta» di Paolo Maldini commuovono, ma per far strada in Champions servono altre risorse. Un Pato meno acerbo, per esempio. Non si può sempre e comunque giocare a poker. Il giorno in cui al tavolo si siede un Arsenal - e la spalla di Inzaghi non funziona - finisce che ti spennano. Ho sbagliato pronostico. Ho trascurato i talenti di Wenger. Fabregas ha acceso i suoi, non altrettanto è riuscito a Pirlo. Gran duello, il loro: anche se a distanza. E Flamini, che pugnale nel costato. L’aggressività e la freschezza degli inglesi (per modo di dire) hanno scavato il fosso. Era il migliore dei Milan possibili, avaro, sgonfio, incollato al mestiere e a un’idea. Troppo poco. La baracca l’hanno tenuta su i difensori e Kalac. Oltre alla leziosità endemica degli Adebayor. Cruciale la staffetta fra Eboué e Walcott. Ha disarcionato Maldini. Rifornire Kakà, Inzaghi e Pato non era facile. E vigilare in otto, nemmeno. Al Milan, a «questo» Milan, non possiamo che dire grazie. È arrivato nudo e cotto alla meta, la qual cosa - infortuni a parte - chiama in causa i vertici societari. Da ieri sera, c’è un solo obiettivo: il quarto posto in campionato. Gira e rigira, chi ci rimette è sempre la Juventus.
Ancelotti: Io non me ne vado.
«Adesso dovete prepararvi bene per il campionato, da qui in avanti giocheramo dodici finali». Silvio Berlusconi e Adriano Galliani provano a consolare i giocatori rossoneri, ma all’interno dello spogliatoio del Milan c’è solo delusione. La società ha subito indirizzato il proprio pensiero al quarto posto in serie A perché come dice Berlusconi a Mediaset: «Non arrivare in Champions sarebbe inconcepibile». Kakà chiamerà la sconfitta contro l’Arsenal «un brutto incidente». Ancelotti non si sente in bilico: «Dimettermi? Non credo proprio che le cose andranno così, questa squadra ha vinto tanto e siamo pronti per ricominciare». I tifosi sono convinti che il ciclo sia finito, Ancelotti che ha ricevuto un coro d’incoraggiamento dalla Curva, però non è d’accordo: «Fin quando Berlusconi resterà presidente il ciclo non finirà». Il Cavaliere d’altra parte allontana l’ipotesi Lippi: «Carletto resta». Kakà puntualizza: «A fine stagione alcuni giocatori smetteranno e la società dovrà fare le sue valutazioni». Berlusconi vuole rifare il contratto a Ronaldo e riportare Shevchenko a Milanello, gli ultras, invece, si aspettano investimenti seri e duratori. Saranno mesi caldi per tutti.
Secondo un copione già scritto, il penultimo passo verso l'ecatombe finale di maggio. Ieri sera a San Siro, una lezione solare di calcio: dai tempi del Maestro di Fusignano non vedevo una squadra imporre il proprio gioco attraverso un possesso palla così geometrico e applicato a ritmi tanto ossessivi. Il pervicace di Reggiolo, dal canto suo, ha mandato il nostro povero Diavolo al massacro, schiacciando i due incontristi (sfiancati per mancata rotation, da noi detto turn-over) a ridosso della linea dei difensori e isolando le due punte sessanta metri più avanti: per raggiungerle, cavalcate di sessanta metri a testa bassa di Kakà in versione Gondrand (al secolo, la buonanima di Giancarlone Pasinato) o in alternativa, lanci di sessanta metri di Pirlo in versione pirla (leggasi appoggio sui piedi dell'avversario nell'azione che ha scatenato il gol del vantaggio, idem pochi minuti prima a ridosso dell'area di rigore, episodio miracolosamente oscurato da tutti i cronisti e da tutti gli highlights televisivi...). Come a dire, il calcio degli anni sessanta.
01 marzo, 2008
SHEVA CERCA CASA
Shevchenko agli amici: Io ritorno a Milano.
[Corriere.it] Dice che un giorno scriverà un libro su Mourinho e su quella che è stata la sua amara avventura nel Chelsea. Dice che quando ha incontrato i suoi ex compagni a Londra, che lui stesso è andato a visitare in ritiro prima della gara con l’Arsenal, si è sentito uno di loro. «È come se non fossi mai andato via». Soprattutto ad alcuni amici milanesi, Andriy Shevchenko, 31 anni, l’attaccante fuggito due estati fa alla corte di Roman Abramovich per imparare l’inglese, ha confidato: «Sono pronto a rientrare a Milano». Chissà se alla sua convinzione hanno contribuito le parole di Adriano Galliani con cui si è intrattenuto a tavola dieci sere fa dopo lo 0-0 di coppa dei rossoneri. Un cheek to cheek che non era sfuggito nemmeno ai tabloid che già avevano sottolineato la strana decisione dell’ucraino di salire sull’autobus del Milan all’uscita dell’Emirates Stadium. Il centravanti avrebbe raccontato di aver raggiunto un’intesa di massima con la società rossonera per un accordo triennale. «Chiudo la carriera nella squadra che rappresenta la mia famiglia. Torno a casa». Di certo la moglie Kristen, che ebbe un ruolo rilevante nella scelta di traslocare sulle rive del Tamigi, è d’accordo sul rimpatrio.
Agli amici di Milano Andriy ha aggiunto che è alla ricerca di una nuova sistemazione italiana: dopo aver abbandonato la villa sul lago di Como nella quale risiedeva in affitto, ora Shevchenko vuole una casa adatta per sé, la moglie e i piccoli Jordan e Cristian (è già partita anche la caccia alla scuola materna per i bimbi). Pagato 43,5 milioni di euro nel giugno del 2006, ora la sua quotazione èmiseramente crollata. Problemi fisici alla schiena e il recente ingaggio di Nicolas Anelka hanno contribuito a rendere ancora più sporadica la sua presenza in campo. A Londra si sussurra che il patron dei blues, dopo le reticenze dello scorso anno, sarebbe ora disposto a cedere il suo pupillo con la formula del prestito. Proprio ieri Kaká, nel celebrare il prolungamento del suo matrimonio con il Milan, ha ricordato le parole con cui Sheva lo ha dissuaso dall’accettare la corte del Real Madrid. «Ho visto giocatori andare via, come Andriy, che poi mi hanno sempre consigliato di valutare bene le mie decisioni perché il Milan è diverso. Vive di sentimenti, di affetto». Uno degli ostacoli alla riuscita dell’operazione nostalgia è rappresentata dallo status di extracomunitario. Quindi l’eventuale tesseramento di Sheva impedirebbe l’arrivo di altri big (Drogba), però sarebbe compatibile con il rientro alla base di Marco Borriello, uno che a detta di Ancelotti «può giocare titolare nel Milan». Ne risentiremo parlare.
[Corriere.it] Dice che un giorno scriverà un libro su Mourinho e su quella che è stata la sua amara avventura nel Chelsea. Dice che quando ha incontrato i suoi ex compagni a Londra, che lui stesso è andato a visitare in ritiro prima della gara con l’Arsenal, si è sentito uno di loro. «È come se non fossi mai andato via». Soprattutto ad alcuni amici milanesi, Andriy Shevchenko, 31 anni, l’attaccante fuggito due estati fa alla corte di Roman Abramovich per imparare l’inglese, ha confidato: «Sono pronto a rientrare a Milano». Chissà se alla sua convinzione hanno contribuito le parole di Adriano Galliani con cui si è intrattenuto a tavola dieci sere fa dopo lo 0-0 di coppa dei rossoneri. Un cheek to cheek che non era sfuggito nemmeno ai tabloid che già avevano sottolineato la strana decisione dell’ucraino di salire sull’autobus del Milan all’uscita dell’Emirates Stadium. Il centravanti avrebbe raccontato di aver raggiunto un’intesa di massima con la società rossonera per un accordo triennale. «Chiudo la carriera nella squadra che rappresenta la mia famiglia. Torno a casa». Di certo la moglie Kristen, che ebbe un ruolo rilevante nella scelta di traslocare sulle rive del Tamigi, è d’accordo sul rimpatrio.
Agli amici di Milano Andriy ha aggiunto che è alla ricerca di una nuova sistemazione italiana: dopo aver abbandonato la villa sul lago di Como nella quale risiedeva in affitto, ora Shevchenko vuole una casa adatta per sé, la moglie e i piccoli Jordan e Cristian (è già partita anche la caccia alla scuola materna per i bimbi). Pagato 43,5 milioni di euro nel giugno del 2006, ora la sua quotazione èmiseramente crollata. Problemi fisici alla schiena e il recente ingaggio di Nicolas Anelka hanno contribuito a rendere ancora più sporadica la sua presenza in campo. A Londra si sussurra che il patron dei blues, dopo le reticenze dello scorso anno, sarebbe ora disposto a cedere il suo pupillo con la formula del prestito. Proprio ieri Kaká, nel celebrare il prolungamento del suo matrimonio con il Milan, ha ricordato le parole con cui Sheva lo ha dissuaso dall’accettare la corte del Real Madrid. «Ho visto giocatori andare via, come Andriy, che poi mi hanno sempre consigliato di valutare bene le mie decisioni perché il Milan è diverso. Vive di sentimenti, di affetto». Uno degli ostacoli alla riuscita dell’operazione nostalgia è rappresentata dallo status di extracomunitario. Quindi l’eventuale tesseramento di Sheva impedirebbe l’arrivo di altri big (Drogba), però sarebbe compatibile con il rientro alla base di Marco Borriello, uno che a detta di Ancelotti «può giocare titolare nel Milan». Ne risentiremo parlare.
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