Affari, ricatti, posti di lavoro. Tutti gli accordi con gli ultrà. I capi dei tifosi invitati dal club rossonero alla cena di gala per lo scudetto nel 2004. Patto nerazzurro per il controllo della curva: una chiamata e sparisce la croce celtica.
MILANO — Il capo dei Commandos, qualche anno prima, non poteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata» dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l'allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti dei Commandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei Leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i cattivi delle curve. Rapporti leciti, ma alla base di un giro d'affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in una tentata estorsione ai danni dei rossoneri. Con colpi di pistola e un pestaggio.
Equilibrio sottile
Rapporti a rischio. I capi ultrà viaggiano spesso sugli stessi charter che portano i giocatori e i dirigenti. «Ma volano a loro spese» fanno sapere da Milan e Inter. Entrano negli spogliatoi di San Siro e nelle aree vip. Perché i leader della curva possiedono pass nominali, con tanto di foto per «muoversi liberamente in ogni settore dello stadio, compresi gli spogliatoi dei giocatori» (deposizione di un dirigente del Milan). Lo stesso succede per l'Inter. A volte, i legami diventano lavorativi. Come per un esponente di Alternativa Rossonera, impiegato in un ufficialissimo Milan Point. Infine, sul sito delle Brigate Rossonere, Gilardino, Inzaghi, Kakà e Gattuso mettono gratuitamente a disposizione la loro (costosa) immagine per pubblicizzare magliette, cappellini e felpe del gruppo. Fin qui, niente di illecito. Solo la prova di una certa contiguità tra le società e i gruppi di tifosi più estremi. Di contatti che vengono considerati inevitabili. E da coltivare: servono a «responsabilizzare» i capi dei tifosi, con il risultato «di essere una delle squadre meno sanzionate in Europa e in Italia», come chiarisce un responsabile del Milan in un verbale della Digos. Il fatto è che l'equilibrio è fragile. E il confine tra rapporto corretto e complicità sottile.
Il patto nerazzurro
15 maggio 2005, a San Siro si gioca la partita Inter-Livorno. In curva Nord, quella nerazzurra, compare una croce celtica. Sventola per pochi minuti, poi viene ritirata. Cosa è accaduto? Un responsabile della polizia ha avvertito un referente della curva, che ha girato immediatamente l'ordine: «Fate levare quella roba». Il magistrato che ha indagato sugli ultrà interisti parla di collaborazione «efficace». È il sistema nerazzurro, per come è stato ricostruito dagli investigatori. Funziona così: concessione di benefici «limitati» ai capi-curva in cambio di una sorta di «servizio d'ordine». Il tutto sotto la supervisione della polizia, che però non compare mai sugli spalti. L'Inter assicura cinquanta biglietti omaggio «consegnati a Franco Caravita (leader della Curva Nord, ndr) e da questi gestiti con successiva distribuzione» ad altri esponenti degli ultrà. La contropartita, per l'immagine e per le casse di una società di calcio, è enorme: una curva calma, niente guerriglia urbana (rarissima fuori da San Siro negli ultimi anni), poche multe per incidenti e lancio di fumogeni. Ma come: si tratta con i cattivi? Ci si affida a loro per il servizio d'ordine, anche se alcuni hanno precedenti penali? E qual è il limite di questi accordi? La risposta l'ha data il pm Fabio Roia chiedendo l'archiviazione dell'indagine sul lancio di fumogeni che portò all'interruzione del derby di Champions del 12 aprile 2005: «È evidente come questa intesa possa suscitare qualche perplessità sotto il profilo etico e della eventuale prospettiva investigativa, ma la gestione dell'ordine pubblico in situazioni di particolare complessità comporta una visione ampia e flessibile del problema». Un pragmatismo efficace da un lato, ma che dall'altro rappresenta una sorta di resa del sistema calcio: le società sono i «soggetti deboli» per il principio della responsabilità oggettiva (le intemperanze dei tifosi si pagano con multe e squalifiche del campo); polizia e carabinieri non entrano mai nelle curve di San Siro per evitare «possibili provocazioni», e un anello chiave della sicurezza sono gli ultrà stessi. Viene da pensare: ma cosa succede negli stadi italiani se questo modello, come accertato dopo mesi di indagine, è il risultato della «bonifica culturale» del presidente Moratti? Se il calcio è una macchina da soldi, 3 per cento del Pil, le curve tentano di ritagliarsi la propria fetta. Il tifo che diventa mestiere.
Il giro d’affari
Primo: i biglietti per le trasferte. Di solito le società li vendono ai rappresentanti della curva. Niente di illecito. Ma questo cosa comporta? Uno dei capi ultrà del Milan ha ammesso di rivenderli a 2-3 euro in più. Ed è il primo ricarico. Sui biglietti si fonda poi l'organizzazione dei viaggi: pullman e treni per le trasferte più vicine, aereo per quelle distanti. I curvaioli comprano il pacchetto completo. Che comprende, ovviamente, altri ricarichi. Moltiplicando per le 18 trasferte di campionato, più quelle di coppa Italia e di Champions, alle quali partecipano in media, per le squadre milanesi, tra le mille e le 4 mila persone, si scopre che una stagione calcistica può fruttare 5-600 mila euro. Sottobanco poi, è un'altra storia: biglietti regalati, venduti sottocosto o pagati in modo dilazionato. Per l'Inter la magistratura ha escluso questa prassi, sul Milan (come parte lesa in un tentativo di estorsione da parte di gruppi ultrà) c'è un'indagine in corso. «Ma per società molto importanti — spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica — l'omaggio può arrivare anche a un migliaio di biglietti». In questo caso gli introiti per gli ultrà-affaristi si moltiplicano. «I capi tifoseria hanno un potere enorme — aggiunge il procuratore capo di Monza, Antonio Pizzi, che ha condotto l'inchiesta oggi passata a Milano —. Ricattano le società che forniscono loro biglietti sottocosto o in omaggio. Il giro d'affari per una curva è nell'ordine di milioni di euro». A questo fiume di soldi bisogna aggiungere gli aiuti per le coreografie (negati dalle società) e la vendita dei gadget: cappelli, felpe, magliette. Questa è la montagna di soldi da spartire. Che non arriva a tutta la curva, ma nelle tasche dei pochi che comandano. Conseguenza: i capi degli ultrà milanesi pensano più agli affari che alla violenza. Ma appena gli equilibri si spostano, c'è qualcuno che per entrare nel business è pronto a sparare. È quel che sta succedendo intorno a San Siro.
La tentata estorsione
Nell'autunno 2005 si scioglie, dopo 37 anni, la Fossa dei Leoni. È un gruppo storico del tifo rossonero, ma ha due macchie: è l'unico rimasto di sinistra e non risparmia le critiche alla società. La ragione dello scioglimento sembra tutta da cercarsi dentro il codice d'onore ultrà: i Viking juventini hanno rubato lo striscione alla Fossa, che per la restituzione ha chiesto la collaborazione con la Digos. Questa storia è anche un pretesto. In realtà, c'è già un nuovo gruppo, di destra, che sgomita per la leadership: i Guerrieri Ultras. I Guerrieri si sarebbero alleati con le Brigate Rossonere. I Commandos vanno in minoranza. E pagano. «I nuovi cominciano a sgomitare. In due direzioni: per guadagnare spazio nella curva e per ottenere il riconoscimento dalla società. Che consente di partecipare al giro d’affari» spiega un investigatore. Così, l'ottobre scorso, due uomini in moto sparano alle gambe di A. L., 32 anni, esponente dei Commandos, davanti a un supermercato di Sesto San Giovanni. Il 25 gennaio, un altro leader dello stesso gruppo viene picchiato fuori da San Siro da sette persone (due sono state arrestate e stanno per andare a processo). È conciato così male che ancora oggi non si sa se ce la farà. Intanto, i Guerrieri chiedono biglietti alla società. Forse anche abbonamenti. Ma il Milan, per due volte, rifiuta. E, combinazione, subito dopo per due volte dalla curva piovono fumogeni: Milan- Lilla, 6 dicembre, e Milan-Torino, 10 dicembre 2006. Il Milan annuncia una linea più dura: taglia i pass. Galliani va in procura a Monza, che nel frattempo ha indagato dieci ultrà: «Ma non sono io che mi occupo di queste cose». Non c'è stata nessuna denuncia. La procura è arrivata alla tentata estorsione indagando sulla sparatoria. «Nei nuovi gruppi di ultrà — rivela un investigatore — ci sono molti delinquenti comuni, con precedenti per spaccio e rapine».
Sicuri che valga la pena tenerli in famiglia?
da Il Corriere della Sera del 7 febbraio 2007
07 febbraio, 2007
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4 commenti:
Dei rapporti dell'amministratore delegato del Milan Adriano Galliani si è sempre discusso parecchio. Poco più di un mese fa la procura di Monza l'ha convocato: sotto inchiesta ci sono dieci ultras, considerati vicini al nuovo gruppo organizzato «Guerrieri Ultras» accusati a vario titolo di tentato omicidio e tentata estorsione nei confronti anche della società rossonera.
Secondo la procura, il 17 ottobre scorso il gruppo ha sparato contro un rappresentante di un vecchio gruppo di tifosi in un centro commerciale di Sesto San Giovanni per far valere il proprio diritto ad entrare nel giro d'affari che gravita attorno alla curva sud di San Siro.
E per mandare un segnale anche verso il gruppo dirigente del Milan. Galliani, sentito il 9 gennaio, ha risposto di essere «stupito» dall'ipotesi avanzata dalla procura, argomentando che gli unici a parlare con le tifoserie sono quelli della Milan Entertainment che gestiscono la distribuzione dei biglietti.
Eppure, chiacchiere da siti internet e bar a parte, alcuni episodi sono noti. Prendiamo il campionato 2004-2005, quello che ha visto il suicidio obbligato (dicono gli ex) della Fossa dei Leoni e la vittoria delle Brigate Rossonere e dei Commandos Tigre. In molti ricordano quella partita in trasferta, Cagliari-Milan: Galliani si piazzò davanti alla curva aspettando gli applausi dei suoi tifosi e ricevette in cambio la protesta del pezzo di curva gestito dalla Fossa, che aderiva ad una mobilitazione nazionale contro il caro-biglietti. Nei minuti immediatamente successivi l'intera curva vide che il capo delle Brigate Rossonere, Giancarlo Capelli detto «il Barone», scendeva dagli spalti verso Galliani per parlare con lui. E qualche meso dopo la Fossa dei Leoni fu costretta a sciogliersi per una faccenda di bandiere rubate che sembra troppo poco per convincere alla resa il più vecchio gruppo ultras rossonero.
Sulla compravendita di biglietti, i dati sono poco chiari. Sembra che il Milan, né più né peggio delle altre grandi squadre, venda sotto costo molti biglietti e ne regali «omaggio» circa un centinaio a partita. Ma i dati variano, e a far fluttuare gli accordi spesso sono i rapporti di forza tra tifoserie e gruppo dirigente della squadra. Ogni tanto l'accordo serve anche a convincere la tifoseria organizzata a star buona. Sembra che sia andata così durante la finale di Champions League Milan-Juventus del 2003, quando la dirigenza milanista riuscì ad ottenere la pace sugli spalti concedendo migliaia di biglietti da vendere in pacchetti tutto compreso da 320 euro ciascuno.
da Il Manifesto del 6 febbraio 2007
Curioso che i giornali di sinistra prodiana ed estrema puntino i fari solo sul milan mentre in questo mese si sono contati i morti altrove. Tant'è.E' il modello Italia riformista.
Ciò che stupisce è che solo ora il giornalismo di inchiesta, la federazione ed infine il Coni si accorgano dei patti scellerati che legano il mondo delle curve organizzate e le dirigenze calcistiche. Il sistema Milano, anche Inter, è di stampo mafia dei colletti bianchi. Soldi contro tifo non violento.Per estirpare questo male occorre un coraggio civile che non è un connotato italiano, una magistratura seria ed una politica meno compromessa con il caleidoscopio calcio. Tutte cose di una altro pianeta per un paese che convive con la corruzione, la violenza ed il terrorismo, usandoli di volta in volta come assi portanti nella gestione del potere.
Tornando al povero calcio è facile predirgli lo stesso destino che ebbe la boxe professionistica negli Stati Uniti. Quando il limone sarà stato spremuto dai peggiori figuri verrà buttato nei rifiuti.
Quello che è già visibile è il disamoramento delle masse che hanno perso il loro ingenuo entusiasmo e la voglia di andare negli stadi sulle cui tribune siedono sempre meno giovani(curve escluse ma li è una occupazione lavorativa)
Per ora meglio la Tv e le chiacchiere dei cervelli rasati. Poi, fra non molto, le giovani generazioni saranno indirizzate verso nuove emozioni e nuovi eroi ed il calcio, come oggi la boxe, diverrà l'oggetto di scommesse per pochi incalliti giocatori.
danielone
Dall'estate del 2006, sembra che un virus sia penetrato fino al nucleo del sistema calcio e, inarrestabilmente, lo stia portando al collasso. Prima Calciopoli, lo spionaggio industriale e le magistrature, poi il contrabbando dei passaporti e il doping contabile, la guerra per i diritti televisivi e la fuga dagli stadi. Ora il bubbone ultras. La sensazione è che si tratti di un colpo di grazia, quello che manderà definitivamente in frantumi il colosso d'argilla.
Chiunque sia passato attraverso gli ultimi trent'anni di calcio in Italia - anche solo da testimone oculare, come un abbonato o uno spettatore, insomma ognuno di noi - ha guardato e ha visto, ha ascoltato e ha sentito, ha riflettuto e ha capito. Tutto era sotto gli occhi di tutti, e l'ipocrisia dello stupore di oggi è solo pari all'ipocrisia dell'omertà di ieri. Senza conoscere i nomi e i cognomi, i patti e i ricatti, ognuno di noi sapeva senza sapere.
Chiunque abbia fatto una fila in biglietteria davanti al Milan Point di Piazza XXIV Maggio ha visto i bagarini napoletani smazzare i tagliandi che all'interno risultavano "esauriti" e ha pensato: mafiosi. Chiunque abbia frequentato San Siro ha sentito i cori scanditi dalla Sud misurare come un termometro la temperatura dello stadio, e se c'era da contestare una dirigenza o un calciatore, ha visto i cartelli sollevarsi anche in Tribuna Rossa... mentre oggi assiste impotente a un tam-tam ossessivo che prescinde dagli episodi del campo e ha pensato: venduti.
Un paio di settimane fa ho appena intravisto (di più non si può) una puntata di Studio Milan sul canale di proprietà e sono rimasto sbalordito per un'intervista in collegamento telefonico. Parlava niente meno che il Barone delle Brigate (ancora lui!), vezzeggiato dal bravo presentatore Mauro Suma alla stregua di un dirigente o un tesserato della società con motti del tipo: "ora anche per Ronaldo, vi vogliamo uniti come sempre col sostegno e coi cori". Agghiacciante, e oggi drammaticamente riconoscibile, la sua precisazione finale: "e mi raccomando, anche con i Guerrieri Ultras!".
Tutti i conti di questo tragico bilancio ormai cominciano a quadrare e la lenta agonia del pallone, purtroppo, si sta portando via anche il nostro caro vecchio Diavolo.
Un’altra giornata amara in una stagione fin troppo tribolata e in cui la Champions League resta una preziosa ancora di salvezza (anche se con il Bayern non sarà per nulla facile), ma le brutte notizie non vengono solo dal campo, perché per la prima volta a memoria di chi vi scrive, la Curva Sud ha scelto proprio la sfida stracittadina per contestare alcuni comportamenti della società e non ha disputato il derby del tifo, rinunciando alla coreografia, ai cori, agli sfottò, alle bandiere, agli striscioni e agli stendardi; muta e silenziosa ha lasciato soli i giocatori in campo, abbandonati a loro stessi e al loro destino, rinunciando a quel ruolo di dodicesimo uomo in campo che sempre ha avuto e dovrebbe continuare ad avere; in passato c’era stato qualche episodio di contestazione in un derby (ad esempio nell’infausta stagione ’96-’97 dove la sconfitta 3-1 nel derby venne immediatamente dopo la rovinosa sconfitta interna 1-6 contro la Juve), ma allora si trattò di chiara, evidente e “rumorosa” contestazione al rendimento della squadra, mentre in questo caso si è scelto il silenzio per punire comportamenti della società nei rapporti con i gruppi della curva.
La scelta, spero almeno “dolorosa” per chi l’ha presa (sicuramente lo è stata per chi l’ha dovuta subire e rassegnarsi ad un derby senza tifo), è stata spiegata varie volte ai megafoni della Sud con la lettura di un comunicato: “La società Milan ha dimostrato totale disinteresse nell’ultimo periodo riguardo alle nostre iniziative. In seguito a quanto successo oggi, a incomprensibili ambiguità nei confronti della coreografia, la curva sud ha deciso di non fare il tifo e di non esporre i colori del Milan”; è stato anche esposto uno striscione in transenna: AC MILAN, SE QUELLO CHE VOLETE E’ UNO STADIO SENZA CORI E COLORI, QUESTO E’ QUELLO CHE AVRETE…SILENZIO.
Sembra che, come al solito, un gruppo di ragazzi della curva si sia presentato ai cancelli di San Siro per entrare con largo anticipo e allestire la coreografia; solitamente in queste occasioni il Milan presenta una lista di nomi di persone autorizzate ad entrare, ma così non è stato e la stessa cosa era successa mercoledì scorso nella partita contro il Celtic, quindi queste persone si sono viste rifiutare l’ingresso anticipato e hanno dovuto aspettare l’apertura “ufficiale” dei cancelli (ore 12); ecco perché la coreografia è stata bloccata, è scattata la protesta e si è scelta la via del silenzio polemico.
Questi sono i fatti e ognuno valuti di testa sua se la decisione sia stata giusta o sbagliata; personalmente sono rimasto disorientato e sorpreso da un tale comportamento e, come me, molta altra gente presente in curva con l’ormai “romantica” convinzione che il Milan venga prima di tutto, che sia necessario sostenere sempre la squadra, a maggior ragione in una partita del genere, La Partita per antonomasia, dimenticando per 90 minuti problemi e difficoltà che possono tranquillamente essere affrontati e risolti prima o dopo, ma non durante.
Questa è sempre stata la linea di condotta anche della Curva Sud, almeno fino a poco tempo fa, poi ultimamente sono sorti alcuni problemi, ora ingigantiti dall’inasprimento delle norme antiviolenza e penso che siano proprio queste ultime ad aver originato i problemi: le nuove leggi vietano qualunque rapporto fra società e tifosi, economico e non e ogni tipo di agevolazione; probabilmente la società ritiene che anche far entrare alcuni tifosi allo stadio prima dell’apertura dei cancelli possa essere considerata un’agevolazione illegale e ha deciso una linea “dura”, tagliando qualunque ipotetico legame con i gruppi della Sud.
L’irritazione era già alta a causa della gestione dei biglietti destinati ai tifosi rossoneri per questo derby; i tagliandi sono stati venduti in biglietteria e non consegnati direttamente ai club e ai gruppi della curva, perché così prevede espressamente una delle nuove norme del decreto antiviolenza, ormai diventate leggi, che vieta la distribuzione di gruppi di biglietti ai tifosi delle squadre ospiti; anche in questo caso il Milan si è solo adeguato a queste nuove norme e non è intervenuto ad aiutare i tifosi solo perché non può farlo, visto che è già abbastanza nel mirino di chi governa il calcio (vedi Calciopoli) e non servono certo altri futili motivi per finire sotto inchiesta ed essere indagato e punito.
Se consideriamo che da quando non c’è più la Fossa, che pretendeva di essere indipendente nel bene e nel male e non voleva legami con la società, né economici né di altro tipo, la Curva Sud era diventata piuttosto “filosocietaria”, gestiva migliaia di biglietti (rivendendoli con qualche euro di guadagno ciascuno, quindi creando un vero e proprio giro di affari) e collaborava con la società nella realizzazione delle coreografie (ricordate quelle imponenti e maestose della scorsa stagione nelle partite di Champions che coinvolgevano tutto lo stadio?), si può facilmente comprendere l’irritazione e lo sdegno per essere stati improvvisamente abbandonati a se stessi e privati dei tanti privilegi avuti fino ai tragici fatti di Catania, ma penso che si sia scelta la via peggiore per protestare, coinvolgendo la squadra (assolutamente innocente) e privandola del sostegno in una partita così importante per i giocatori e anche per noi tifosi, anzi soprattutto per noi tifosi.
Proprio alla vigilia della partita con il Celtic, i giocatori avevano sottolineato l’importanza del tifo, già venuto a mancare nella partita contro il Chievo per altri motivi (dimostrare a chi ha emanato le norme antiviolenza quanto sia brutta una partita senza cori e senza folklore) e nella decisiva partita di Champions il sostegno non era mancato; ora questo improvviso e ulteriore cambio di atteggiamento che, sicuramente, avrà disorientato e stupito i giocatori rossoneri, almeno quanto noi tifosi, inizialmente ignari di ciò che era accaduto e che avremmo voluto continuare con la consueta tradizione di giocare la nostra personalissima partita con la voce, mentre i giocatori lottano in campo.
Personalmente avrei preferito evitare una presa di posizione così dura e penalizzante per la squadra, che non c’entrava niente, ma non sono io che decido e organizzo il tifo e, mio malgrado, ho dovuto rassegnarmi a seguire la partita in silenzio o facendo un tifo “personale” senza cori e slogan urlati da tutta la Curva, quella curva in cui sempre più spesso i veri milanisti, quelli che continuano ad avere solo il Milan nel cuore e non interessi economici o privilegi personali e di gruppo da difendere, faticano sempre più a riconoscersi, perché certe scelte della Sud danno ragione a chi da più di un anno (da quando non ci sono più i leoni…) ha deciso di abbandonarla e di non mettervi più piede.
di Davide Bin, 12 marzo 2007
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