15 gennaio, 2006

ROMA 1 - MILAN 0

(36 ST) Mancini.

Abbiamo giocato con Dida, Stam, Nesta, Kaladze, Serginho, Kakà, Gattuso (Ambrosini dal 20 ST ), Pirlo (Rui Costa dal 34 ST), Seedorf, Shevchenko, Gilardino (Inzaghi dal 37 ST).

E all'Olimpico cascò l'asino... Due anni dopo la vittoriosa campagna romana, che diede il la alla rimonta tricolore sui giallorossi di Capello, il Diavolo perde tre punti e forse per sempre se stesso. Cabale e ricorsi statistici sono buoni giusto per i peana del canale tematico. Sul campo, abbiamo giocato da Milan non più di venti minuti del primo tempo e qualcosa meno del secondo. Ancelotti subisce (l'ennesima) lezione tattica da Spalletti, che gioca senza punte di ruolo ma occupa il centrocampo con dedizione e schemi mortiferi in ripartenza: i contropiede orchestrati da Totti, con tocchi stretti di prima e ariose sovrapposizioni laterali, sono da manuale del calcio. Peraltro, l'episodio chiave della partita cade al minuto 26, allorché il glabro fiorentino intuisce la mossa Mancini. Poco conta che il colpo del k.o. sia (dieci minuti più tardi) una deviazione fortuita della coscia di Stam: sulla nostra sponda del Naviglio, quando deve piovere finisce che nevica. Ma con cinque pareggi in luogo di cinque sconfitte, saremmo qua a raccontare un campionato diverso. Una serata di vena storta può toccare anche all'attacco delle meraviglie: non accadeva dallo storico Ottomaggio. In cinque minuti, a metà della ripresa, bruciamo i due appuntamenti buoni con il destino: recupero feroce di Cufrè su Sheva, smarcato in area piccola dal faro Seedorf, e contropiede letto malissimo da Kakà: a testa bassa sulla fascia, con il Balon d'Or smarcato al centro. Il dato rilevante è che le partite si possono cambiare in corsa ed è preferibile farlo prima della mezzora del secondo tempo. Carlone dice che no: "mettere un uomo dieci minuti prima o dopo è esattamente la stessa cosa" e le sue sostituzioni "non sono state tardive". Per questo motivo scrivo (da settembre) che non abbiamo futuro. La gara di Roma è la sintesi e il paradigma di tutta una stagione: presunzione di essere i più forti e di poter risolvere in qualsiasi momento la partita; supponenza di riuscire ad accendere e spegnere a comando la concentrazione, ovvero l'intensità mentale che fa la differenza sul risultato finale; pervicacia nel replicare sempre i medesimi errori di assetto e nel ritenere di poterli comunque correggere negli ultimi minuti di gioco... ecco il nostro piccolo grande Milan 2005-2006. Riponiamo illusioni e ipocrisie! E bando anche agli editti presidenziali sulla filosofia del calcio offensivo e la predestinazione del "bel gioco": cadere prigionieri della nostalgia dovrebbe restare prerogativa dei nostri concittadini tristi. Oggi i numeri parlano per la storia: nel ventennio berlusconiano, solo in un'occasione avevamo raccolto più di cinque sconfitte nei primi 19 turni: correva la stagione 1996-1997 e chiudemmo il campionato in undicesima posizione... Il dato eclatante dei nove (su nove) successi casalinghi va interpretato in toni poco trionfalistici, se è vero che Juventus, Inter e addirittura Fiorentina hanno fatto altrettanto: è solo uno dei tanti indicatori del livellamento in basso prodotto dalla formula a 20 squadre. Torno a ripetermi. La stagione è stata buttata - e scientemente - perché è stato fallito prima di tutto l'impianto tecnico. Bisogna ricominciare da qui, dando ORA (e comunque con sei mesi di ritardo) una scossa al gruppo. Soluzione certo dolorosa e per nulla in linea con gli stili della Casa, ma necessaria se vogliamo almeno provare a partire per Parigi e dare un senso ai prossimi cinque mesi della stagione. Un esempio? Abbiamo bisogno di laterali di difesa come dell'ossigeno, ma a gennaio l'unica urgenza avvertita è stata rimpiazzare una vecchia gloria dell'attacco con un'altra (Marcio Amoroso era buono cinque anni fa). A giugno ci sarà da rifondare.

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