30 maggio, 2006

LE VERITA' DEL POPOLO BUE

Dopo aver assistito, ieri sera, ad una deprimente edizione di "Studio Milan" sul canale tematico, il sospetto che il livore anti-Sheva fatto Opinione Pubblica attraverso i messaggi degli abbonati (?) sia una manipolazione bulgara, è diventato una certezza: è sufficiente confrontare il rapporto fra SMS benevoli e malevoli pubblicato, sempre ieri, in seconda pagina dal foglio rosa. Fra le molte (troppe) nefandezze lette e ascoltate nelle ultime settimane, mi fa piacere a questo punto riportare una voce fuori dal coro...

The cat is under the table, di Stefano Olivari

Non ci mancherà, Andriy Shevchenko, per la semplice ragione che in un anno guardiamo più partite del Chelsea che del Milan. Però mancherà tantissimo al calcio italiano prima ancora che alla società che presto avrà un Galliani a tempo pieno (e che di sicuro non lo sostituirà con l'ectoplasma di Marcio Amoroso), dal momento che per uno sport che fa della sua furbizia il suo valore fondante avere fra i suoi campioni un esempio di correttezza e di educazione come Shevchenko è decisivo. Tanto più in periodi come questi, pieni di "uomini di calcio" che non mollano nemmeno a parole vittorie palesemente sporche, uno sportivo cresciuto secondo i canoni sportivi della vecchia Unione Sovietica (Sheva l'ha vissuta fino al big bang del 1991, in pratica fino a quindici anni), unica cosa da salvare di quel mondo, ci fa sperare in un futuro migliore. Non a caso Shevchenko sarà ricordato, non solo dai milanisti, al di là dei tanti trofei vinti, vinti quasi sempre con suoi gol decisivi: uno scudetto, una Champions, una Supercoppa Europea, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana, mille trofei individuali e 173 gol segnati in tutti i modi. Cifre che dicono moltissimo meno di quella coppa portata sulla tomba del maestro Lobanovsky e di tante risposte gentili date a gente che non avrebbe potuto essergli utile nemmeno in venti vite. Detto questo, è inaccettabile che questa dolorosa partenza, tecnicamente non ancora perfezionata, dopo sette anni di gol e di affetto sia stata venduta come la decisione di un uomo succube della moglie Krysten, la solita Yoko Ono creata ad uso del popolo bue, desiderosa di vivere a Londra e intenzionata ad impartire ai figli (il secondo è in arrivo) un'educazione in una sola lingua, la più diffusa nel mondo. Certo, ci sono le dichiarazioni di Berlusconi e Galliani, bravi nel mascherare una cosa che passa sopra anche alle loro teste, e le parole dello stesso attaccante, che fra poco da mezzo infortunato si giocherà l'unico Mondiale della sua carriera: ''Devo pensare ai miei figli. Noi abbiamo un problema di lingua: comunichiamo solo in italiano, io non parlo inglese, Kristen non parla ucraino. L'unico modo per poter far capire ai nostri figli l'amore che abbiamo per loro è la lingua l'inglese''. Tutte cose prese per buone acriticamente, come se a Milano non esistessero scuole inglesi (quella vicino a San Siro è piena di figli di milanisti e interisti) e Shevchenko in pochi mesi a Londra potesse impadronirsi di una lingua non sua: in questo senso cosa si può fare più di avere una moglie americana? Più utile di Makelele, Cech o delle cassette del genere 'the cat is under the table'... Secondo la stessa logica adesso vengono ingigantiti dopo il vergognoso, per chi asserisce di essere un giornalista, pompieraggio del passato, gli scazzi (reali) con Ancelotti e la sempre minore sopportazione degli anziani grilli parlanti e sempre meno giocanti (Maldini e Costacurta, tirando a indovinare): dinamiche normali in uno spogliatoio, accettabili quando quasi ogni anno si vince o si lotta per vincere qualcosa di importante. In questi casi i giornalisti non hanno però colpe, potendosi basare solo su confidenze e metodi deduttivi piuttosto che su intercettazioni telefoniche, come quelle pubblicate oggi da Tuttosport (Galliani superstar e Juve meno sola), e pedinamenti. Di sicuro in questa strana storia di una partenza che quasi nessuno voleva, con anche lo stesso Abramovich che di un rifiuto si sarebbe fatto una ragione (fra i mille controlla anche Tevez, l'uomo dei prossimi dieci anni), c'è qualcosa che non si può raccontare. Forse minacce, in una lingua universale, con tono e autori ben diversi da quelli che qualche tempo fa fecero passare brutti momenti alla famiglia Shevchenko: quella era "solo" microcriminalità, che secondo la ruota della sfortuna prima o poi ti tocca. Magari a Londra Sheva racconterà la verità, magari non lo farà mai, magari non c'è nessuna verità segreta e il mondo è più piccolo borghese di come ce lo immaginiamo: di sicuro, quando ha detto che partiva per la famiglia non ha mentito. Se un altro eroe ucraino come Sergej Bubka non può girare per Kiev un motivo ci sarà...

(Stefano Olivari,
in esclusiva per Indiscreto)

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