Paolo Ziliani, Non si fanno queste cose a cinque minuti dalla fine! (2005).
Un gol che non doveva essere segnato. Una partita che non doveva essere vinta. Un giocatore famoso (Bagni) che i compagni dell'Inter rifiutano di abbracciare. Una rissa negli spogliatoi con pugni, insulti e accuse infamanti. Sullo sfondo, sospetti di scommesse al Totonero fatte da celebrati campioni e andate male. Due giovani giornalisti che annusano lo scandalo, iniziano una paziente inchiesta e arrivano a toccare con mano realtà scabrose: club al degrado, risultati accomodati, giocatori che scommettono, giornalisti corrotti, giudici che indagano, giudici che insabbiano, tribunali che si trasformano in saloon, avvocati disposti a tutto, agguati, intrighi, manovre di Palazzo e addirittura la scoperta di un Giuda che si aggira nella gloriosa redazione del quotidiano «Il Giorno» di Milano. È questa la vera storia del giallo Genoa-Inter: una partita che il club nerazzurro vinse per sbaglio. Una ricostruzione fedele, documentata, certificata, con retroscena inediti vissuti e testimoniati in prima persona da uno dei giornalisti (Paolo Ziliani) che fecero esplodere il caso. Un caso discusso e scottante che per cento giorni tenne banco sui giornali e in televisione grazie al puntiglio e all'ostinazione dei due giovani cronisti e di un «ispettore di campagna» decisi ad avventurarsi nell'intricata giungla del pallone dove la sola regola era - e forse ancora è - non ci sono regole. Una storia vera, emblematica e istruttiva di uno scandalo molto italiano che fece tremare un club glorioso come l'Inter e i piani alti del Palazzo del calcio. Un romanzo-verità, ma anche uno spaccato esemplare di un mondo - quello del calcio e del giornalismo - dove le zone d'ombra spesso hanno il sopravvento. E dove succedono storie inconfessabili. Come questa.
Prefazione, di Rino Tommasi.
Non so quali siano state le motivazioni che hanno spinto Paolo Ziliani a tirar fuori dal cassetto la meticolosa, eccellente eppure osteggiatissima inchiesta che, in compagnia di Claudio Pea, all'epoca suo collega al «Giorno», svolse più di ventuno anni fa.
La circostanza la ricordo bene. Era i127 marzo 1983 e si giocava la venticinquesima giornata di un campionato che fortunatamente era ancora a sedici squadre, il format ideate per il nostro calcio.
L'Inter era in quarta posizione staccata di sei punti dalla Roma, ormai avviata a vincere il secondo scudetto della sua storia, e giocava a «Marassi» contro il Genoa che era impegnato, come spesso gli capitava, nella lotta per evitare la retrocessione, che peraltro avrebbe conosciuto nella stagione successiva.
Per i motivi che leggerete nel libro, fu una partita che si rive-16 ideale per «costruire» un risultato utile per i clienti del Totonero e senza i sospetti che di regola accompagnano le gare delle ultimissime giornate di campionato. Il pareggio andava bene a tutti ma soprattutto a coloro che avevano puntato delle forti somme su quel risultato.
Sul 2 a 2 a cinque minuti dalla fine Salvatore Bagni, fedele al cliché di giocatore in perenne trance agonistica, realizzò invece il gol che avrebbe dato la vittoria all'Inter. Di regola anche in una partita poco importante chi segna un gol decisivo quasi allo scadere del tempo viene sommerso dagli abbracci, non tutti sinceri ma un po' isterici, che fanno parte di un rito.
Nulla di tutto questo. Bagni fu snobbato e insolentito dai compagni, insultato e minacciato dagli avversari. E negli spogliatoi, di 11 a poco, successero cose talmente strane da attirare l'attenzione dei giornalisti prima e far scattare l'inchiesta dell?Ufficio Indagini poi.
Poiché conosco abbastanza bene la storia del pugilato, ho affermato più volte, con una punta di provocazione ma anche con profonda convinzione, che ci sono stati meno incontri truccati in tutta la storia della boxe che in una qualsiasi stagione dei nostri campionati di calcio.
L'episodio di Genova non aveva bisogno di prove ma Ziliani e Pea le trovarono e le raccolsero. Esplose cosi un caso che mise a rumore il mondo del calcio e che tenne banco per 100 giorni: un giallo a regola d'arte che ogni giorno si arricchiva di una pagina scottante, di un retroscena torbido.
Pea e Ziliani si trovarono a fronteggiare, naturalmente, l'omertà degli addetti ai lavori, lo scetticismo dei benpensanti, l'astio di colleghi giornalisti scorretti quando non corrotti, le barriere difensive dei dirigenti del Palazzo convinti che la credibilità del calcio andasse difesa a ogni costo e a dispetto dell?evidenza e della verità.
Ho conosciuto Paolo Ziliani quando abbiamo lavorato insieme nella redazione sportiva di Canale 5 e lo avrei voluto con me quando sono diventato il primo direttore di Telepiù. Purtroppo non accettò, ma questo non ha diminuito la stima che ho sempre avuto per lui. Alla scrupolosa meticolosità, del recto confermata dal racconto di quella lontana inchiesta, Ziliani sa unire anche il raro dono dell'ironia.
Mi auguro che il suo racconto, uno spaccato fedele di che cos'erano ? e ancora sono ? il mondo del calcio e il mondo del giornalismo sportivo, faccia riflettere: perché questi due mondi dipinti spesso come idilliaci sono in realtà, ancor'oggi, ricettacolo di losche manovre, gol fasulli, abbracci finti o abbracci mancati, terreno di conquista di dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori il cui unico scopo e nascondere la verità.
01 luglio, 2006
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milan 1- cavese 2
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