Il Diavolo veste Galliani.
[Espresso.it] Su Adriano Galliani, il vicario di Berlusconi al Milan, l'opinione dei calciofili italiani si divide in due. Da un lato i tifosi rossoneri, che lo amano d'amor viscerale perché allo stadio fa certe facce - e certi gesti - che nemmeno un ultrà. Poi ci sono tutti gli altri, gli avversari, che lo considerano un antennista brianzolo miracolato da Berlusconi (quelli buoni) o uno squalo senza scrupoli (quelli meno buoni). Il Galliani in carne ossa e calvizie è invece un signore di 62 anni che si rade con cura la coroncina di capelli superstiti, si veste da una vita allo stesso modo (giacche blu di Tincati e cravatte gialle di Hermès), si è sposato tre volte (l'ultima con Malika, modella di Rabat più giovane di trent'anni) e a Natale ha finito di scontare la sua condanna per Calciopoli: una squalifica di cinque mesi e mezzo per le relazioni pericolose con gli arbitri di un suo (ex) collaboratore, Leonardo Meani.
Contento che questa inibizione sia finita?
«Sono stati mesi di grande tristezza. Sa, io sono uno che vive per il Milan, 12 ore al giorno dal lunedì al venerdì e tutti i weekend a Milanello o in trasferta. Ma adesso basta, a quella storia non voglio pensare più».
Intende dire Calciopoli?
«Sì, ci voglio tirare sopra una riga, il tempo è galantuomo e il giudizio ormai spetta alla storia. Certo, quel che è successo mi ha fatto parecchio male umanamente. Sono stato condannato per una telefonata di 106 secondi con Meani in cui gli chiedevo se avesse protestato per un gol annullato a Shevchenko. Tutto lì».
Il resto l'ha fatto il suo amico Meani...
«Macché amico, era un consulente esterno a 30 mila euro lordi l'anno. Uno che tra l'altro non avevo portato io al Milan».
E lei si è dovuto pure dimettere dalla presidenza della Lega. C'è chi dice che hanno voluto farla fuori proprio per ottenere questo risultato...
«Sì, credo di aver anche pagato il fatto di essere, all'epoca, presidente di Lega».
Almeno con le sue dimissioni è finito un lungo conflitto di interessi: lei è uomo di Mediaset, azienda che comprava i diritti tv ai club...
«Non c'era nessun conflitto, le regole non impedivano a un dirigente di club di salire ai vertici della Lega. Mi hanno eletto democraticamente due volte e credo di aver portato risorse al calcio italiano».
Veramente il pallone sembra esploso come una bolla di sapone: conti in rosso, bilanci truccati, un fallimento dopo l'altro, perfino presidenti latitanti all'estero. Colpa della sbornia dei diritti televisivi?
«Non c'è stata nessuna sbornia. In Italia non sono i diritti tv a essere cresciuti troppo, sono le altre risorse a essere cresciute troppo poco. Come il merchandising e gli introiti dai biglietti».
Già, allo stadio ci va sempre meno gente. Domenica scorsa, per Milan-Reggina, ad esempio, c'erano meno di 7 mila spettatori paganti...
«È evidente che c'è un problema di impianti. Servono stadi più moderni e attraenti, che siano di proprietà dei club e non dei comuni».
Infatti Moratti per l'Inter vuole costruirne uno tutto suo. E il Milan?
«San Siro è stato solo del Milan dal 1926 al 1947. Poi è arrivata l'Inter, che prima giocava all'Arena. Fino al '35 era anche di nostra proprietà, poi purtroppo è stato venduto al Comune. Insomma, noi siamo molto affezionati a San Siro e non vorremmo andare via. Però, certo, bisogna ristrutturarlo del tutto: metterci ristoranti, negozi e così via».
Avete già pensato come?
«Sì, abbiamo nel cassetto un progetto di Giancarlo Ragazzi (architetto storico del gruppo fin dai tempi dell'Edilnord, ndr). Ma per ora l'impianto è del Comune, in concessione ai due club fino al 2030, con diritto di recesso ogni cinque anni. Se l'Inter dà la disdetta per costruirsi il suo stadio, noi cercheremo di comprarci San Siro e di rifarlo, sempre che aboliscano un po' di vincoli edilizi, come hanno fatto negli anni scorsi in Inghilterra con il Taylor Act».
E poi dovreste trovare i soldi. Pare che Berlusconi non abbia più voglia di spendere per il Milan. Tanto che i tifosi si lamentano per l'ultima campagna acquisti.
«Da tempo abbiamo un input chiaro dalla proprietà: fare quadrare i conti. Non mi sembra che un azionista debba giustificarsi se a un certo punto chiede non dico di portare a casa dei dividendi, ma almeno di non rimetterci più. Bene: il 2006 si chiude con un fatturato record di 253 milioni di euro e - fatto storico - anche con un leggero utile».
Però siete a 28 punti dalla prima.
«Non certo per colpa dell'organico, che è all'altezza di quello dell'Inter».
E allora perché?
«Partire penalizzati è molto disincentivante: se sai di non poter lottare per lo scudetto, è più difficile concentrarsi. E poi ci hanno detto il 25 luglio che dovevamo giocare i preliminari di Champions il 9 agosto, quindi abbiamo dovuto fare una preparazione forzata, che ha inciso sulla forma dei ragazzi e ha provocato in seguito una valanga di infortuni. L'anno prossimo, in condizioni normali, sarà tutto diverso».
Perché lei in tribuna è così esagitato?
«Beh, io sono uno malato di calcio. Da sempre, da quando ero ragazzino e andavo a vedermi il Monza al San Gregorio. Praticamente ho imparato a leggere sulla 'Gazzetta dello Sport'. Mio padre si arrabbiava, mi diceva che a leggere 'la Gazza' non avrei combinato nulla di buono nella vita... E adesso che ci sono le tv satellitari, la sera mi guardo tutte le partite possibili immaginabili».
Chissà com'è contenta sua moglie.
«Malika è brava e non si arrabbia, ma in effetti nei precedenti matrimoni qualche problemino l'ho avuto. Parecchi anni fa, un sabato mattina, sono sceso per fare due passi e ho incontrato degli amici che stavano andando in macchina in Puglia a vedere un Foggia-Cesena. Io mi sono aggregato al volo. Sono tornato a casa il lunedì all'alba e mia moglie non mi ha fatto entrare. Pioveva a dirotto e io: 'Dai, aprimi, ti prego!'. Niente, alla fine sono andato a dormire da mia sorella».
Perché non ha provato a fare il calciatore?
«All'oratorio giocavo da attaccante ma presto mi sono reso conto di essere troppo scarso. Allora ho capito che per me l'unico modo di lavorare nel calcio era diventare dirigente. E quando nel '75 sono entrato nella proprietà del Monza, mi sembrava di aver raggiunto un obiettivo fantastico. Invece il bello doveva ancora arrivare».
E com'è arrivato?
«Nel '79, quando sono diventato socio di Berlusconi, gli ho detto: dottore, io qui lavoro anche 24 ore al giorno, ma i weekend me li lasci liberi perché devo seguire il Monza. Insomma, gli ho fatto capire subito qual era la mia grande passione. Così, quando nell'86 ha preso il Milan, mi ha proposto di venire qui».
E lei è diventato un uomo ricco.
«No. Sa, ho due divorzi alle spalle...».
Quanto guadagna?
«Meno di quello che spendo. Mi piace fare acquisti, per me e per gli altri».
Le dà fastidio quando la chiamano 'zio Fester', il pelatone della famiglia Adams?
«Ma no, ci rido. Mi fanno arrabbiare molto di più altre cose».
Tipo?
«Essere dipinto come uno squalo, un duro, uno spietato, mentre il mio carattere è esattamente l'opposto. Credo di essere una persona mite e buona. Io proprio non mi ci ritrovo nell'immagine che di me danno giornali e tv. A volte quando guardo certe trasmissioni in cui si parla di me - Galliani di qua, Galliani di là - bah, penso che si riferiscano a un altro».
E perché secondo lei la dipingono così?
«Onestamente, non lo so. Forse non ho mai compiaciuto abbastanza i giornalisti, non li ho coccolati. Ci sono altri - imprenditori, manager - che hanno fatto della cura della propria immagine quasi una professione, mentre io ho sempre pensato solo a lavorare sodo per la mia azienda. Pazienza, in fondo qualcosa di simile è successo anche a Ezzelino da Romano».
A chi, scusi?
«Un cavaliere di ventura del Duecento che gli storiografi definiscono 'il terribile' e invece non lo era affatto. Una volta ho letto un libro su questo 'equivoco giornalistico' d'epoca medievale e mi sono consolato».
Altri libri sul suo comodino?
«Il mio preferito è 'Più grandi dell'amore', di Dominique Lapierre: un'opera che insegna a diventare più buoni. Ne ho regalata una copia a ogni giocatore del Milan».
Lei è cattolico?
«Credo in Dio, guardo con simpatia alla Chiesa e le dò il mio 8 per mille».
Nel '68 lei aveva 24 anni: che cosa pensava del movimento?
«Stavo dall'altra parte, ero un anticomunista che simpatizzava per la destra Dc. Come i miei genitori. E come quasi tutti, a Monza. Sono stato anche candidato al consiglio comunale, nel '75, primo dei non eletti».
Ora invece abita a Milano. Discoteche, feste, mondanità?
«Ma no, la sera quando non ci sono partite in tv vado al ristorante con mia moglie e con gli amici: il risotto con l'ossobuco del Matarel e il pesce da Giacomo sono il massimo dei miei peccati».
In che zona vive?"
«Via Bigli, a due passi da casa di Massimo Moratti. Ci incontriamo spesso, la mattina. E sua sorella Bedi è addirittura mia condomina».
Pare che quest'anno, a fine campionato, dovrà fare i complimenti ai suoi vicini.
«Eh, la sensazione è questa».
Già adesso, per via di Calciopoli, le tocca vedere lo scudetto cucito sulle maglie nerazzurre. La cosa le fa girare le scatole?
«Mi perdoni, ma almeno su questo lasci che io mi avvalga della facoltà di non rispondere...».
18 gennaio, 2007
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IL VOLO DEL GEOMETRA
Nato a Monza il 30 luglio del 1944, figlio di un impiegato e di una piccola imprenditrice nel settore del trasporto-merci, Adriano Galliani si è diplomato geometra e ha lavorato otto anni come dipendente comunale prima di fondare la sua azienda, Elettronica Industriale, specializzata in apparecchiature per la ricezione dei segnali tv.
Nel 1979 è diventato socio di Berlusconi, di cui era fornitore, ed è entrato nel giro dei suoi più stretti collaboratori proprio mentre stava nascendo Canale 5. Nel 1986, quando il Cavaliere ha comprato il Milan, Galliani ne è diventato l'amministratore delegato. Dal 2002 all'estate scorsa è stato anche presidente della Lega Calcio, la Confindustria del pallone.
Dopo lo scoppio di Calciopoli, Galliani si è dimesso dalla presidenza di Lega prima ancora della sentenza (una squalifica di due anni ridotta a nove mesi in appello e scontata di altri tre mesi e mezzo in sede di conciliazione Coni).
Galliani ha tre figli (Gianluca, Micol e Fabrizio) e si è sposato tre volte, l'ultima delle quali (poco più di due anni fa) con la modella marocchina Malika El Hazzazzi, 33 anni, con cui vive nel centro di Milano.
da: www.espresso.it
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