31 marzo, 2007
13 marzo, 2007
IL GRAN SIGNORE
Moratti e quel gestaccio. Ora rischia il deferimento?
[Repubblica.it] Palla avvelenata. Più che mai. Massimo Moratti, patron dell'Inter, che in tribuna vip (vip?) a San Siro fa il gesto dell'ombrello e apostrofa così il suo ex pupillo Ronaldo ("vai a cagare, stronzo..."). Stranamente il procuratore federale non se ne accorge, eppure ci sono un sacco di immagini tv, e non lo deferisce in base all'articolo 1 (codice di lealtà). In molti altri casi, Stefano Palazzi, che aspira a fare il capo della nascente Superprocura del pallone, era stato molto più attento. Strano. Moratti ha ammesso di aver fatto "quel gesto" ma non ha intenzione stavolta di scusarsi: a Livorno aveva dato del "coglione" all'arbitro ma in quel caso aveva chiesto successivamente scusa.
[Repubblica.it] Palla avvelenata. Più che mai. Massimo Moratti, patron dell'Inter, che in tribuna vip (vip?) a San Siro fa il gesto dell'ombrello e apostrofa così il suo ex pupillo Ronaldo ("vai a cagare, stronzo..."). Stranamente il procuratore federale non se ne accorge, eppure ci sono un sacco di immagini tv, e non lo deferisce in base all'articolo 1 (codice di lealtà). In molti altri casi, Stefano Palazzi, che aspira a fare il capo della nascente Superprocura del pallone, era stato molto più attento. Strano. Moratti ha ammesso di aver fatto "quel gesto" ma non ha intenzione stavolta di scusarsi: a Livorno aveva dato del "coglione" all'arbitro ma in quel caso aveva chiesto successivamente scusa.
12 marzo, 2007
VICOLO CIECO
Da Istanbul 2005 al derby: i 652 giorni dell'agonia-Milan.
A dispetto dell'orgoglio mostrato in Champions, il declino della squadra di Ancelotti è sotto gli occhi di tutti: anche dei suoi dirigenti?
Se Brigitte Bardot fosse italiana, dopo la campagna contro lo sterminio delle balene si starebbe dedicando, anima e corpo, a un’altra iniziativa di tipo umanitario: la campagna contro la demolizione del Milan. La demolizione del Milan è un fenomeno - apparentemente inspiegabile – in atto da 652 giorni, per l’esattezza dalla sera del 25 maggio 2005, sera in cui si giocò, a Istanbul, la finale di Champions League tra Milan e Liverpool. Come molti ricorderanno, fu la più incredibile finale giocata dal giorno dell’invenzione del pallone: il più bel Milan di sempre chiuse il primo tempo sul 3-0 (Maldini, Crespo, Crespo), pensò di avercela fatta, tornò in campo distratto, si fece fare 3 gol in 7 minuti, riprovò a prendere in mano la partita ma la palla non volle più saperne di entrare nella porta di Dudek. Così, si andò ai calci di rigore, gli inglesi furono più bravi e la Coppa finì in Inghilterra. Per la cronaca: il Milan aveva vinto la Champions due anni prima, a Manchester, ai rigori contro la Juventus, ma non aveva giocato bene, e non era sembrato forte come il Milan targato 2004-2005: quello, appunto, della notte folle di Istanbul.
Ebbene: dal 25 maggio 2005, una specie di 5 maggio moltiplicata per 5 (tornano anche i conti!), il Milan di Carlo Ancelotti – un vero e proprio inno al calcio con la formula magica di un centrocampo composto da Gattuso, Pirlo, Seedorf e Kakà, due esterni di difesa come Cafu e Maldini, un bomber insaziabile, e infallibile, come Shevchenko – è andato via via sbriciolandosi. Quel Milan, che si permetteva il lusso di tenere Rui Costa in panchina e di mandare in tribuna, il giorno della finale, un certo Inzaghi, perché in campo andavano Shevchenko e Crespo (2 gol) e in panchina bastava Tomasson; quel Milan che sfiorò, senza toccarla, la Perfezione (nel primo tempo di Istanbul, Kakà giocò come nemmeno Rivera e Cruijff fusi assieme in laboratorio); quel Milan, nei 652 giorni che si sono susseguiti, è diventato ben presto la controfigura di se stesso. E adesso, inseguendo una gloria ormai appassita, si dibatte disperatamente alla ricerca di un’identità perduta, in una partita persa in partenza.
Diciamo le cose come stanno. Il Milan sta arrancando perché i giocatori di oggi sono più vecchi, più stanchi e più scarsi di quelli che lo fecero grande nel periodo d’oro di Ancelotti: il ciclo, breve ma intenso, iniziato il 28 maggio 2003 all’Old Trafford di Manchester e concluso il 25 maggio 2005 allo stadio Ataturk di Istanbul col bottino di una Champions League, uno scudetto, una Supercoppa Europea e una Coppa Italia, più una Coppa Intercontinentale e una seconda Champions buttate via.
Più vecchi, più stanchi, più scarsi. Con tutto il rispetto per giocatori – anzi, campioni – che hanno fatto la storia del calcio, la verità sul conto del Milan è questa. Un Milan che annovera oggi tra le sue fila Costacurta, 40 anni e 11 mesi; Maldini, 38 anni e 9 mesi; Cafu, 36 anni e 9 mesi; Serginho, 35 anni e 9 mesi; per non parlare di nonno Fiori e dei molti altri over 30. Un Milan che nell’ultima campagna-acquisti ha pensato di rafforzarsi puntando sul 35enne Favalli, sul quasi 31enne Oddo, sul 30enne Storari; e ancora Ricardo Oliveira (sic), e poi Bonera e Gourcuff (praticamente ignorato da Ancelotti), e infine Ronaldo (ma il Fenomeno merita un discorso a parte). Un Milan che ha appena annunciato i rinnovi di contratto del 31enne Seedorf (fino al 2011), del 34enne Kalac (fino al 2010) e del 33enne Dida (fino al 2010), giocatori che hanno abbondantemente dato il meglio di sè e che già oggi, anzi già ieri, apparivano in chiara fase discendente.
Se a questo aggiungete il fatto che Shevchenko, l’estate scorsa, è stato ceduto al Chelsea per 45 milioni (di cui metà buttati per acquistare Ricardo Oliveira, che vale meno di Pozzi dell’Empoli); che Gilardino e Inzaghi, lontano da Sheva, hanno subìto un processo di “imbrocchimento” imprevisto ma evidente; che Kakà, unico fuoriclasse nello splendore della carriera, è costretto una partita sì e l’altra pure a provare a vincere, da solo, ogni match, Ascoli o Celtic non ha importanza; che i grandi vecchi – vedi Cafu, vedi Serginho, vedi Maldini - hanno smesso di essere i formidabili campioni di sempre, e ormai mostrano la corda di una carriera giunta al capolinea; se al quadro aggiungete queste pennellate, otterrete il Milan che abbiamo davanti agli occhi. Il Milan che una Roma in palla travolge come un birillo, a San Siro come all’Olimpico; il Milan che deve penare 210 minuti contro un modestissimo Celtic aspettando il prodigio del solo uomo capace di compiere i miracoli (per l’appunto, Kakà); il Milan che prova, con le unghie e coi denti, a vincere il derby – o almeno, a fare bella figura - ma che alla fine viene demolito a spallate da un’Inter più forte, più giovane, più dirompente, più cattiva. Il Milan che dopo 27 giornate naviga a 33 punti di distacco dall’Inter prima in classifica. Forse è veramente il caso di farlo stendere sul lettino e fargli dire 33!
Sia chiaro: nessuno discute il fatto che il Milan, unico club in Europa, sia giunto ai quarti di finale di Champions per il 5° anno consecutivo; nessuno discute la grandezza di un club che nel torneo più difficile e prestigioso arriva due volte in finale (una vittoria e una sconfitta) e una volta in semifinale nelle ultime 5 edizioni; nessuno discute l’importanza di vedere il Milan unico sopravvissuto in Champions fra gli 8 club approdati ai quarti un anno fa. Quello che il Milan sta facendo, a dispetto degli anni, degli acciacchi e dei guai, è una cosa grande, e nessuno lo può disconoscere. È giusto però chiedere ai dirigenti, e cioè a Galliani e Braida (o forse bisogna girare la domanda a Berlusconi?) se la strada che il Milan ha imboccato dopo la notte di Istanbul è la strada giusta oppure no. Perché a noi – anche se Ancelotti riuscisse nell’impresa di far fuori il Bayern e di saltare un’altra volta in semifinale – la strada su cui cammina il Milan sembra, davvero, un vicolo cieco.
di Paolo Ziliani
A dispetto dell'orgoglio mostrato in Champions, il declino della squadra di Ancelotti è sotto gli occhi di tutti: anche dei suoi dirigenti?
Se Brigitte Bardot fosse italiana, dopo la campagna contro lo sterminio delle balene si starebbe dedicando, anima e corpo, a un’altra iniziativa di tipo umanitario: la campagna contro la demolizione del Milan. La demolizione del Milan è un fenomeno - apparentemente inspiegabile – in atto da 652 giorni, per l’esattezza dalla sera del 25 maggio 2005, sera in cui si giocò, a Istanbul, la finale di Champions League tra Milan e Liverpool. Come molti ricorderanno, fu la più incredibile finale giocata dal giorno dell’invenzione del pallone: il più bel Milan di sempre chiuse il primo tempo sul 3-0 (Maldini, Crespo, Crespo), pensò di avercela fatta, tornò in campo distratto, si fece fare 3 gol in 7 minuti, riprovò a prendere in mano la partita ma la palla non volle più saperne di entrare nella porta di Dudek. Così, si andò ai calci di rigore, gli inglesi furono più bravi e la Coppa finì in Inghilterra. Per la cronaca: il Milan aveva vinto la Champions due anni prima, a Manchester, ai rigori contro la Juventus, ma non aveva giocato bene, e non era sembrato forte come il Milan targato 2004-2005: quello, appunto, della notte folle di Istanbul.
Ebbene: dal 25 maggio 2005, una specie di 5 maggio moltiplicata per 5 (tornano anche i conti!), il Milan di Carlo Ancelotti – un vero e proprio inno al calcio con la formula magica di un centrocampo composto da Gattuso, Pirlo, Seedorf e Kakà, due esterni di difesa come Cafu e Maldini, un bomber insaziabile, e infallibile, come Shevchenko – è andato via via sbriciolandosi. Quel Milan, che si permetteva il lusso di tenere Rui Costa in panchina e di mandare in tribuna, il giorno della finale, un certo Inzaghi, perché in campo andavano Shevchenko e Crespo (2 gol) e in panchina bastava Tomasson; quel Milan che sfiorò, senza toccarla, la Perfezione (nel primo tempo di Istanbul, Kakà giocò come nemmeno Rivera e Cruijff fusi assieme in laboratorio); quel Milan, nei 652 giorni che si sono susseguiti, è diventato ben presto la controfigura di se stesso. E adesso, inseguendo una gloria ormai appassita, si dibatte disperatamente alla ricerca di un’identità perduta, in una partita persa in partenza.
Diciamo le cose come stanno. Il Milan sta arrancando perché i giocatori di oggi sono più vecchi, più stanchi e più scarsi di quelli che lo fecero grande nel periodo d’oro di Ancelotti: il ciclo, breve ma intenso, iniziato il 28 maggio 2003 all’Old Trafford di Manchester e concluso il 25 maggio 2005 allo stadio Ataturk di Istanbul col bottino di una Champions League, uno scudetto, una Supercoppa Europea e una Coppa Italia, più una Coppa Intercontinentale e una seconda Champions buttate via.
Più vecchi, più stanchi, più scarsi. Con tutto il rispetto per giocatori – anzi, campioni – che hanno fatto la storia del calcio, la verità sul conto del Milan è questa. Un Milan che annovera oggi tra le sue fila Costacurta, 40 anni e 11 mesi; Maldini, 38 anni e 9 mesi; Cafu, 36 anni e 9 mesi; Serginho, 35 anni e 9 mesi; per non parlare di nonno Fiori e dei molti altri over 30. Un Milan che nell’ultima campagna-acquisti ha pensato di rafforzarsi puntando sul 35enne Favalli, sul quasi 31enne Oddo, sul 30enne Storari; e ancora Ricardo Oliveira (sic), e poi Bonera e Gourcuff (praticamente ignorato da Ancelotti), e infine Ronaldo (ma il Fenomeno merita un discorso a parte). Un Milan che ha appena annunciato i rinnovi di contratto del 31enne Seedorf (fino al 2011), del 34enne Kalac (fino al 2010) e del 33enne Dida (fino al 2010), giocatori che hanno abbondantemente dato il meglio di sè e che già oggi, anzi già ieri, apparivano in chiara fase discendente.
Se a questo aggiungete il fatto che Shevchenko, l’estate scorsa, è stato ceduto al Chelsea per 45 milioni (di cui metà buttati per acquistare Ricardo Oliveira, che vale meno di Pozzi dell’Empoli); che Gilardino e Inzaghi, lontano da Sheva, hanno subìto un processo di “imbrocchimento” imprevisto ma evidente; che Kakà, unico fuoriclasse nello splendore della carriera, è costretto una partita sì e l’altra pure a provare a vincere, da solo, ogni match, Ascoli o Celtic non ha importanza; che i grandi vecchi – vedi Cafu, vedi Serginho, vedi Maldini - hanno smesso di essere i formidabili campioni di sempre, e ormai mostrano la corda di una carriera giunta al capolinea; se al quadro aggiungete queste pennellate, otterrete il Milan che abbiamo davanti agli occhi. Il Milan che una Roma in palla travolge come un birillo, a San Siro come all’Olimpico; il Milan che deve penare 210 minuti contro un modestissimo Celtic aspettando il prodigio del solo uomo capace di compiere i miracoli (per l’appunto, Kakà); il Milan che prova, con le unghie e coi denti, a vincere il derby – o almeno, a fare bella figura - ma che alla fine viene demolito a spallate da un’Inter più forte, più giovane, più dirompente, più cattiva. Il Milan che dopo 27 giornate naviga a 33 punti di distacco dall’Inter prima in classifica. Forse è veramente il caso di farlo stendere sul lettino e fargli dire 33!
Sia chiaro: nessuno discute il fatto che il Milan, unico club in Europa, sia giunto ai quarti di finale di Champions per il 5° anno consecutivo; nessuno discute la grandezza di un club che nel torneo più difficile e prestigioso arriva due volte in finale (una vittoria e una sconfitta) e una volta in semifinale nelle ultime 5 edizioni; nessuno discute l’importanza di vedere il Milan unico sopravvissuto in Champions fra gli 8 club approdati ai quarti un anno fa. Quello che il Milan sta facendo, a dispetto degli anni, degli acciacchi e dei guai, è una cosa grande, e nessuno lo può disconoscere. È giusto però chiedere ai dirigenti, e cioè a Galliani e Braida (o forse bisogna girare la domanda a Berlusconi?) se la strada che il Milan ha imboccato dopo la notte di Istanbul è la strada giusta oppure no. Perché a noi – anche se Ancelotti riuscisse nell’impresa di far fuori il Bayern e di saltare un’altra volta in semifinale – la strada su cui cammina il Milan sembra, davvero, un vicolo cieco.
di Paolo Ziliani
10 marzo, 2007
MANTOVA MANTOVA
Serie B TIM 2006-2007
Ventisettesima Giornata, sabato 10 marzo 2007
Stadio Danilo Martelli di Mantova (campo neutro)
BRESCIA - JUVENTUS 3-1
RETI: 4 p.t., 26 p.t. e 46 p.t. Serafini, 10 p.t. Del Piero
BRESCIA: Viviano; Santacroce, Zoboli, Mareco; Zambelli (dal 28 s.t. Stankevicius), Piangerelli, Lima, Hamsik (dal 43 s.t. Cerci), Dallamano; Serafini, Del Nero.
A disposizione: Ambrosio, Cortellini, Jadid, Zambrella, Roussel.
Allenatore: Cosmi.
JUVENTUS: Buffon; Zebina (dal 32 s.t. Bojinov), Boumsong, Chiellini, Balzaretti (dal 14 s.t. Palladino); Camoranesi (dal 1 s.t. Marchionni), Zanetti, Giannichedda, Nedved; Del Piero, Trezeguet.
A disposizione: Mirante, Birindelli, Legrottaglie, Paro.
Allenatore: Deschamps.
ARBITRO: De Marco di Chiavari.
ASSISTENTI: Rossomando e Angrisani.
QUARTO UOMO: Tommasi.
AMMONITI: 14 p.t. Giannichedda, 32 p.t. Zambelli, 40 p.t. Camoranesi, 6 s.t. Mareco, 12 s.t Piangerelli, 22 s.t. Trezeguet.
Ventisettesima Giornata, sabato 10 marzo 2007
Stadio Danilo Martelli di Mantova (campo neutro)
BRESCIA - JUVENTUS 3-1
RETI: 4 p.t., 26 p.t. e 46 p.t. Serafini, 10 p.t. Del Piero
BRESCIA: Viviano; Santacroce, Zoboli, Mareco; Zambelli (dal 28 s.t. Stankevicius), Piangerelli, Lima, Hamsik (dal 43 s.t. Cerci), Dallamano; Serafini, Del Nero.
A disposizione: Ambrosio, Cortellini, Jadid, Zambrella, Roussel.
Allenatore: Cosmi.
JUVENTUS: Buffon; Zebina (dal 32 s.t. Bojinov), Boumsong, Chiellini, Balzaretti (dal 14 s.t. Palladino); Camoranesi (dal 1 s.t. Marchionni), Zanetti, Giannichedda, Nedved; Del Piero, Trezeguet.
A disposizione: Mirante, Birindelli, Legrottaglie, Paro.
Allenatore: Deschamps.
ARBITRO: De Marco di Chiavari.
ASSISTENTI: Rossomando e Angrisani.
QUARTO UOMO: Tommasi.
AMMONITI: 14 p.t. Giannichedda, 32 p.t. Zambelli, 40 p.t. Camoranesi, 6 s.t. Mareco, 12 s.t Piangerelli, 22 s.t. Trezeguet.
06 marzo, 2007
LA COPPA RUBATA
Ligue des Champions, le trophée 93 a disparu
[Lequipe.fr] L'Olympique de Marseille s'est fait voler son trophée récompensant sa victoire en Ligue des champions face à l'AC Milan en 1993 (1-0). La réplique de la vraie coupe a disparu des salons d'honneur du Stade Vélodrome. L'alerte a été donnée mardi matin par le personnel du club, qui a toutefois assuré qu'aucune porte n'avait été forcée. Une enquête est en cours.
[Lequipe.fr] L'Olympique de Marseille s'est fait voler son trophée récompensant sa victoire en Ligue des champions face à l'AC Milan en 1993 (1-0). La réplique de la vraie coupe a disparu des salons d'honneur du Stade Vélodrome. L'alerte a été donnée mardi matin par le personnel du club, qui a toutefois assuré qu'aucune porte n'avait été forcée. Une enquête est en cours.
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