28 febbraio, 2008

IL COMMISSIONER PELATO

Contro il campo.

Non sarà mai troppo tardi per parlare di playoff, anche se il discorso sembra sempre fatto contro chi al momento sta vincendo: ma una serie A ridotta almeno a 16 non dovrebbe e non potrebbe farne a meno, come pensa anche il commissioner del futuro (che purtroppo coincide con quello del passato). Non è un mistero che Antonio Matarrese non piaccia più a nessuno, per motivi strettamente finanziari: né alle grandi che l'hanno visto passivo di fronte alla legge Melandri, che peraltro non avrà vita lunga, nè alle piccole stizzite per la gestione della vicenda dei diritti televisivi della B. Prima subordinati ad uno sconto di Platini per la subcessione di quelli europei (figura meschina globale) della Rai, poi dopo la persistente inerzia dell'emittente di Stato offerti a mezzo mondo, da canali porno ad emittenti localissime, senza incassare nemmeno l'offerta di accollo dei costi di produzione (15mila a partita, per una cosa che non sembri il filmino del compleanno). Politicamente l'ex deputato Dc (18 anni di sporadiche visite a Montecitorio) non ha più sponde, la sua ora sta per arrivare ma prima devono andare nella loro casella alcune pedine.

E non occorre essere Kasparov per intuire che la prima è Adriano Galliani, che punta alla presidenza della Lega ma non vuole ritornare, soprattutto nel caso di scissione fra A e B, al doppio incarico che tanto fece discutere (anche gente che l'aveva votato, tipo Moratti e Sensi, e che avrebbe dovuto prendersla con se stessa): il vicepresidente del Milan viene ritenuto adatto dai peones a contrattare con le tivù le migliori condizioni possibili, soprattutto per chiaro e highlights, anche senza arrivare al miliardo di Matarrese. Con Berlusconi presidente del Consiglio su uno sbocco del genere si potrebbe giurare, con conflitto di interessi saltato all'italiana attraverso la gestione del Milan da parte di un manager sportivo di assoluta fiducia. Non Luciano Moggi, sogno di Berlusconi (un po' meno di Galliani), come lo stesso Moggi va dicendo negli ultimi giorni a giornalisti amici, per la banale ragione che c'è una squalifica ancora da scontare: ci sarà tempo e modo per rendersi utile, comunque.

I nomi caldi sono diversi, niente è ancora deciso, ma per evitare di fare la lista della spesa per poi puntare allo «Io l'avevo detto» ne facciamo solo uno, non come dirigente di grande visibilità ma come braccio del Galliani emigrato in via Rosellini: Gino Natali, ben noto agli appassionati basket come dirigente in genere delle società di Giorgio Corbelli. L'ultima in ordine cronologico l'Olimpia Milano, dalla quale Natali è stato allontanato in circostanze poco chiare (nel senso che la mossa di Corbelli potrebbe essere stata solo di facciata) qualche mese fa in seguito non tanto ai risultati scadenti, quanto ad un mercato gestito in maniera fallimentare: un capolavoro il contratto di Danilo Gallinari, non prolungato per tempo ed adesso legato ad una clausola capestro (in sintesi: se a giugno Gallinari vorrà cambiare squadra rimanendo in Europa l'Olimpia continuerà a controllarlo e potrà guadagnarci, se invece come probabile sceglierà la Nba l'Olimpia lo perderà a zero). Natali viene tenuto in caldo per progetti cestistici slegati da Corbelli, ma intanto è stato gradualmente introdotto da Galliani nel mondo Milan, ormai non c'è evento nel quale non lo si incroci (domenica sera gli abbiamo quasi sbattuto addosso a Milan-Palermo), e quella rossonera è una società così organizzata che fare danni è difficile. Curiosità: sua figlia è legata all'indimenticato Ciccio Colonnese, uno dei pupilli di Moggi (davanti ai nostri occhi una volta lo chiamò "papà", senza ironia), che a suo tempo ne consigliò l'ingaggio a Moratti per la serie «noi uomini di calcio». Insomma, Natali o non Natali, saremo sempre vicini a quel mondo, con ovviamente un personaggio di indiscusso prestigio a fare da garante: chi meglio di Paolo Maldini?

Memorabile, ma in positivo, è [l'articolo] di Fiorenza Sarzanini sul Corsera di quasi due anni fa (26 maggio 2006), che avevamo ritagliato, perso e adesso abbiamo ritrovato grazie all'archivio storico online del Corriere. L'argomento era una delle tante telefonate di Leonardo Meani, l'uomo-arbitri di Galliani temporaneamente tornato ai suoi risotti. In questo caso la telefonata era di puro cazzeggio, al guardalinee Puglisi, per commentare i sorteggi arbitrali relativi ai quarti di Champions del 2005. Parlando della designazione di De Bleeckere per la partita della Juve contro il Liverpool i due amici giudicano l'arbitro belga «uomo di Pairetto» nel calcio internazionale e quindi se la prendono con la Juve che, secondo loro, influenzerebbe anche le designazioni a livello europeo. In una successiva telefonata con l'arbitro Morganti, Meani continua a sparare contro la Juve, affermando che «De Bleeckere è praticamente il figlioccio di Pairetto nella Uefa». Non ci ricordiamo particolari scandali, in quel Liverpool-Juve finito 2 a 1 per i Reds, anzi se vogliamo dirla tutta a Del Piero fu annullato un gol per un fuorigioco che non c'era. Questo per la precisione, magari il guardalinee non era "figlioccio" di Pairetto, mentre a livello politico rimaneva il fatto che questa fosse la fama dell'arbitro belga. Protagonista senza fare danni di altre partite con italiane in campo, da Italia-Ucraina quarto del Mondiale 2006 a Milan-Manchester United dell'anno scorso. Fino alla partita di Anfield Road, con in campo la peggior Inter di stagione (a pari merito con quella di Istanbul) e fuori dal campo Materazzi dopo mezzora per un secondo fallo stupido ed un un primo inesistente. Davanti al televisore chissà la reazione di Pairetto davanti alla decisione del vecchio amico... C'è chi, come Adriano Galliani, crede che la soluzione ai mali del calcio italiano siano i fantomatici "arbitri stranieri", infallibili e privi di condizionamenti. Un consiglio: chieda a Meani.

di Stefano Olivari, su La Settimana Sportiva di oggi.

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