20 giugno, 2006

I CONTI CHE NON TORNANO

Oggi l'Ufficio Indagini della FIGC consegna la sua relazione su Calciopoli (già Moggiopoli) al procuratore federale, che emetterà i deferimenti per club e tesserati coinvolti a vario titolo nello scandalo. Restiamo in attesa di capire in quale misura Meani e Galliani abbiano agito slealmente, a norma di regolamento sportivo. Ma a prescindere dalla sentenza che verrà a breve, da Rossonero, sento il bisogno di esprimere un sentimento che scaturisce spontaneo.

Per quanto è emerso negli ultimi 40 giorni, dal lavoro delle procure e attraverso le intercettazioni telefoniche pubblicate dalla stampa (più e meno schierata), il Sistema Moggi esisteva e l'A.C. Milan ne era perfettamente a conoscenza. Nessuno dei nostri dirigenti o legali mi risulta abbia mai dichiarato il contrario. Si è molto fantasticato sulla famosa visita di Big Luciano a Palazzo Grazioli, un mese dopo il via del campionato 2005-2006. A nessuno è dato sapere cosa si siano raccontati il direttore generale della Juventus e il Presidente del Consiglio nell'occasione. Ciò che so per certo è che ancora tre mesi fa, Berlusconi dichiarava: "E' vero, Moggi e Giraudo restano alla Juve: nessuna dirigenza con la testa sulle spalle se li lascerebbe scappare" (Ansa, 21 marzo 2006). Come dimenticare, peraltro, le proverbiali cene degli amiconi Antonio e Adriano, a corollario di ogni sfida fra Juve e Milan (inclusa l'ultima, inquietante, sulla sabbia del Delle Alpi con arbitro De Santis)? Vorrei anche aggiungere che il Buon Carlone, ai giudici napoletani, avrebbe confermato le illazioni emerse nelle telefonate di Meani a Collina, riguardo ai favori ottenuti dal fischietto di Tivoli ai tempi della sua panchina bianconera (fra cui il celeberrimo Juventus-Parma, con gol regolare di Cannavaro annullato al 90°), per non parlare dei calendari di Serie A pilotati ad agosto.

Ora, fatico a scorgere la coerenza di tali premesse con la postuma presa di distanze - unanime quanto tardiva - dalla Triade di Piazza Crimea (ormai Biade, dopo le lacrime di Bettega allo stadio) o dichiarazioni più recenti di Berlusconi, del genere: "Esigiamo che ci restituiscano i due scudetti che ci spettano. Siamo stanchi di subire ingiustizie. Attendere che tutto sia dimostrato? Ma più chiaro di così..." (Ansa, 14 maggio 2006). Il nostro ineffabile Vicario, spalleggiato in conferenza stampa dall'Avvocato Cantamessa, a maggio riferiva di sentirsi ferito nell'intimo per l'inatteso voltafaccia del Grande Accusato/Accusatore, dal momento che le sue relazioni con Moggi afferivano "la sfera dei sentimenti". Chi mi legge - o chi ha voglia di spulciare nell'archivio dei post - ricorderà peraltro una mia esternazione scomposta all'ormai epica: "La mia posizione di presidente di Lega mi obbliga a un sofferto silenzio e quindi di Milan non parlo" dopo l'arbitraggio scandaloso subito a Firenze (Assemblea di Lega, 21 novembre 2005).

I conti non tornano. In primo luogo, questi signori dovranno rendere conto del loro assordante silenzio, che vale come un'ammissione di connivenza. Secondariamente, trovo allarmante (oltre che grottesco) che l'unica linea difensiva espressa finora dalla società sia stata quella di isolare il carneade lodigiano, liquidandolo come un "povero diavolo": oste di professione con l'hobby del calcio e il vizietto di millantare crediti presso il Palazzo, spendendo il nome del Presidente di Lega e/o del Premier. "Sono il mandante di me stesso"...? I conti tornano sempre di meno. Per il semplice motivo che un club di blasone e comprovata tradizione manageriale non assegna a un povero diavolo la responsabilità di gestire (oltre tutto, in autonomia) le delicate relazioni con la classe arbitrale e gli organi federali.

In estrema sintesi: l'asse inscindibile Ancelotti-Galliani ha già prodotto più danni del lecito. Quelli tecnici sono sotto gli occhi di tutti, da due stagioni piene. Quelli disciplinari saranno quantificati a giorni e, purtroppo per noi, a prescindere dal vantaggio sportivo conseguito sul campo dalla squadra. Come dire: dopo i danni, le beffe. Il tentativo di illecito, se comprovato, peserà meno dell'illecito pieno solo nel quantificare il grado della pena. In qualasiasi caso, questi nostri signori non ne escono puliti. Senza voler attribuire tinteggiature politiche ai (mal)costumi acquisiti dalla dirigenza nell'ultimo decennio, non ho potuto fare a meno di osservare - con un senso di crescente disagio, ormai convertito in disgusto - come il cinismo di Moggi o l'affarismo di Giraudo suscitassero in tempi non sospetti perlomeno la considerazione, se non addirittura la stima, della nostra proprietà. Aggiungo: diventa sempre più difficile identificarsi in un club che corteggia galantuomini come Moggi e Giraudo, e sul mercato cerca rinforzi dello spessore umano di Materazzi, Poulsen e Ibrahimovic. Un tempo esistevano "le facce da Milan". Calciatori, allenatori, dirigenti e tifosi. I nostri colori erano l'icona dei nostri valori, che alcuni bollano con l'etichetta sprezzante del populismo: per noi, semplicemente, valori romantici. Nel 1980 scendemmo in B perché, nel Sistema, Colombo contava qualcosa meno di Boniperti e Prisco. Ma quella retrocessione fu e resta il nostro punto d'orgoglio, perché fummo gli unici (con la Lazio) a pagare per tutti. Anche e soprattutto per la Juventus (e per il Bologna).

Oggi, con un Vicepresidente tradito e sbugiardato pubblicamente dai suoi sodali di ieri, e tuttavia incatenato alla poltrona della Lega, più che l'orgoglio restano solo imbarazzo e amaro in bocca. A prescindere dalla penalizzazione che sarà, auspichiamo, sportiva e non politica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Meani: "Ero mandante di me stesso", 10/6/2006.

All'ufficio indagini della Federcalcio è sfilato anche Leaonardo Meani, addetto agli arbitri del Milan, il cui nome compare in più di un'intercettazione. Lo stesso Meani, secondo quanto riporta "Il Messaggero", avrebbe confermato quanto già espresso dal presidente rossonero Galliani, e cioè che il dirigente lavorasse a titolo personale. "Ero il mandante di me stesso - ha detto Meani - portavo avanti solo un mio progetto".
Leonardo Meani ha passato sette ore e mezzo nell'ufficio indagini della Federcalcio di via Po a Roma a spiegare le sue ragioni.
L'addetto agli arbitri del Milan è citato in più di una intercettazione per richieste a guardalinee e designatori, ma, da quanto emerso nelle ore successive all'interrogatorio, il dirigente ha confermato al pool di Borrelli quanto già espresso dal presidente dei rossoneri Adriano Galliani nei giorni scorsi. Ovvero l'estraneità del club di via Turati alle iniziative dell'addetto agli arbitri. "Macchè esecutore di ordini - sono le affermazioni del dirigente riportate da "Il Messaggero" - portavo avanti solo un mio progetto. Ero il mandante di me stesso". E sulle numerose chiamate ai guardalinee, registrate nello scandalo intercettazioni, Meani ha spiegato a "Repubblica" le sue motivazioni. "Chiamavo i guardalinee - ha affermato - perchè li conosco da trent'anni, li volevo alle partite del Milan perchè sono degli amici".

da: www.tgcom.it