31 dicembre, 2006
24 dicembre, 2006
CARO BABBO SILVIO
Silvio Berlusconi ci ha regalato gli anni più belli della nostra vita da Rossoneri, principalmente perché ha saputo immaginare un Calcio - in senso lato - differente da quello che era stato, da sempre. E perché ha avuto la forza (la capacità imprenditoriale, il talento, la passione) per trasformare il suo sogno in realtà.
La storia del pallone, in questo paese, va raccontata distinguendo due epoche facilmente riconducibili: Prima e Dopo Silvio. Con buona pace del Perdente Onesto, dello straordinario Commissario Telecom e del fido Poliziotto Borrelli. Ma dopo i fasti del ventennio romantico, oggi ci troviamo nel clou del più lugubre decadentismo. Appare ormai evidente che il grande limite di Berlusconi (e del berlusconismo che ne discende, drammaticamente impersonato dal Vicario disinibito e dalla sua corte dei miracoli) sia stato quello di affezionarsi a se stesso, alle proprie idee che furono vincenti, al proprio passato glorioso. E di supporre che le stesse idee - non più innovative - debbano continuare ad essere vincenti. E che il futuro riprodurrà all'infinito i risultati del passato, all'unica condizione di conservare lo stato delle cose nel presente, reiterando ad oltranza le medesime scelte.
Quella rossonera, tristemente, è oggi una dirigenza che ha smarrito la forza devastante dell'immaginazione e dell'innovazione: ciò che ha reso il Milan di Berlusconi, a cominciare da Sacchi e proseguendo con Capello - non dimenticando l'eredità tecnica, tattica e umana inconfondibile del Barone Liddas - un unicum tanto splendido quanto, forse, irripetibile.
Silvio deviò per sempre il corso naturale della storia il giorno in cui prescelse il Profeta di Fusignano. E dopo Arrigo inventò Don Fabio, già allevato dirigente alla scuola della polisportiva Mediolanum (altro progetto rivoluzionario, che purtroppo non ha avuto seguito né trovato emulazione). Sarà un fatto fisiologico: gli anni passano per tutti, la terzà età è fatalmente conservativa più che evolutiva... Fatto sta che da alcuni anni, il nostro Presidente sembra impegnato a contare i trofei messi in bacheca e a ricontare le schede elettorali, più che a sviluppare il progetto Milan. Il suo progetto, la nostra fede incrollabile.
Domando: dobbiamo essere condannati ad affondare con la nave ed il suo Comandante? Io ritengo di no. Il Milan non è (solo) un'azienda di Berlusconi. Il Milan esiste prima di Berlusconi ed esisterà dopo di lui. Il Presidente ha guadagnato una pagina di immortalità nella storia del club e conquistato, per sempre, il nostro affetto e la nostra riconoscenza. Ma se oggi non ha più nulla da dire (se non pronunciare, fuori contesto, proclami che assomigliano a slogan politici e che producono effetti collaterali deleteri) - e ha ben poco da dare - meglio che passi la mano. Per il bene del Milan. «Domani sogneremo altri traguardi, inventeremo altre sfide, cercheremo altre vittorie. Che valgano a realizzare ciò che di buono, di forte, di vero c'è in noi, in tutti noi che abbiamo avuto questa avventura di intrecciare la nostra vita a un sogno che si chiama Milan» (Silvio Berlusconi, 24 marzo 1986).
Grazie di cuore, Babbo Silvio.
Ora abbiamo bisogno di ricominciare a sognare.
E sempre, FORZA IL VECCHIO CUORE ROSSONERO!
23 dicembre, 2006
SE NON PROPRIO ZERO
Infine, chi ha ottenuto gli sconti della giustizia sportiva? Non il Milan, ma Galliani! Per chi si è prodigato l'Avvocato Cantamessa? Tristemente, non per il club ma per il suo amministratore delegato. Esauriente e significativa la dichiarazione dell'azzeccagarbugli sociale dopo la delibera del Collegio Arbitrale: «L'unico motivo di moderata soddisfazione per il lodo arbitrale odierno è legato al fatto che finalmente siamo alla fine. Questa vicenda finisce. Tutte le cose hanno una fine e l'unica ragione positiva di questa cosa è che è finita. L'ho detto e ripetuto, le colpe dell'uomo in questa vicenda se non proprio zero sono vicinissime allo zero, eppure ha dovuto sopportare ugualmente un bel po' di mesi di inibizione. Comunque basta, è finita, questa è l'unica cosa che conta, l'unica cosa veramente importante. Adesso per uscire del tutto da questo momento, anche in campo con la squadra, urge anche un requisito fondamentale che io non so come venga chiamato dagli altri, ma che io chiamo fortuna».
Le mie più cupe illazioni sulla strategia del baratto, adottata dalla dirigenza per salvaguardare i propri interessi finanziari a danno del Diavolo, prende corpo nei fatti. La stampa bene informata (si legga, di sponda borrelliana) aveva parlato di un accordo che lo straordinario Commissario Telecom e il suo braccio destro, Avvocato Nicoletti, in estate avrebbero "tentato" di raggiungere con il Gatto Galliani e la Volpe Cantamessa. Riconoscendo l'assoluta inefficacia dell'inibizione - giacché i dirigenti squalificati non cessano di fatto la propria variegata attività di relazioni - sarebbe stato approntato una sorta di "decalogo" da far sottoscrivere al Vicario inibito.
[Repubblica.it] In cambio di uno sconto di pena, l'a.d. del Milan si impegnava a non rilasciare più dichiarazioni, a non partecipare a riunioni (nemmeno carbonare), a non fare mercato, etc. Se avesse sgarrato, avrebbe scontato sino all'ultimo giorno (17 aprile 2007) la sua squalifica. L'accordo poi non fu sottoscritto, forse perché Galliani andò in Spagna con Braida a trattare Oliveira...
«Galliani? Non rispetta le regole», il commento lapidario del poliziotto Borrelli in un'intervista del mese scorso a Radio Capital, puntualmente anticipata da La Repubblica. Il riferimento era a una riunione informale, tenutasi nel mese di novembre all'Hotel Gallia di Milano, per discutere (guarda caso) di diritti televisivi con vari presidenti di A e di B. A seguire, l'apertura di un'inchiesta federale sulla condotta dei dirigenti inibiti dopo le sentenze di Calciopoli e le sconsiderate esternazioni di Galliani - attraverso il sito ufficiale - che paragona il capo del pool Piedi Puliti al capo della polizia stalinista, Laurenti Beria: «Devo presumere che il prossimo intervento di Borrelli atterrà all'uso della tortura». Si noti come, prima della beffa del Coni e la farsa del pour parler di Pancalli, Galliani avesse tentato di blandire l'opinione pubblica rilasciando dichiarazioni subliminali del genere (pietoso): «Io sono stato l'unico a rifiutare ogni commento sulla mia squalifica e a dribblare qualsiasi trasmissione televisiva. Non sono entrato una volta nello spogliatoio e Gattuso mi ha pure detto che la mia mancanza si sente». L'applicazione delle sanzioni disciplinari risulta essere, di fatto, tanto tollerante da risolversi nell'impedimento a scendere negli spogliatoi durante la gara e - soprattutto - a rappresentare la società in circostanze ufficiali. Missione compiuta, dunque. Il Vicario disinibito torna in gioco. A questo punto, non resta che attendere la sua prossima mossa.
22 dicembre, 2006
BUON NATALE ANCHE A VOI...
Diciottesima Giornata, sabato 22 dicembre 2006
Stadio Olimpico di Torino
JUVENTUS-AREZZO 2-2
RETI: 13 s.t. Trezeguet, 20 s.t. Palladino, 35 s.t. Martinetti (rigore), 38 s.t. Martinetti.
JUVENTUS: Buffon; Chiellini, Boumsong, Balzaretti, Birindelli; Paro, Zanetti (22 s.t. Marchisio), Palladino; Del Piero, Trezeguet, Zalayeta.
A disposizione: Mirante, Bojinov, Piccolo, Guzman, Zebina, De Ceglie.
Alenatore: Deschamps.
AREZZO: Bremec; Barbagli, Ranocchia, Terra, Capelli (37 s.t. Conte); Rosselli, Croce, Bondi (22 s.t. Lombardi), Di Donato; Volpato (22 s.t. Martinetti), Floro Flores.
A disposizione: Marconato, Goretti, Chiappara, Simonetta.
Allenatore: Sarri.
ARBITRO: Celi di Campobasso.
ASSISTENTI: Casotti, Chiocchi.
QUARTO UOMO: Vivenzi.
AMMONITI: 39 p.t. Del Piero, 40 p.t. Floro Flores, 15 s.t. Ranocchia.
ESPULSO: 45 s.t. Terra.
21 dicembre, 2006
SILENZIO! MORATTI TI ASCOLTA... (segue)
[Indiscreto.it] Giuliano Tavaroli ha vuotato il sacco sul sistema Moggi. L'11 ottobre scorso l'ex responsabile della security del gruppo Telecom Italia ha dichiarato a verbale, davanti ai Pubblici ministeri di Milano che indagano sui dossier illegali, nuove circostanze che fanno comprendere come già quattro anni fa i vertici dell'Inter fossero perfettamente a conoscenza della "rete" di rapporti di potere dell'ex direttore generale della Juventus. «Alla fine del 2002 dopo essere stato contattato dalla segreteria di Massimo Moratti - ha raccontato Tavaroli nella sua deposizione davanti ai PM - incontrai Moratti e Facchetti presso la sede della Saras. Facchetti raccontò a me e a Moratti di essere stato avvicinato da un arbitro della delegazione di Bergamo che in più incontri aveva rappresentato un sistema di condizionamento delle partite di calcio facente capo a Moggi ed avente come perno l?arbitro Massimo De Santis». Tavaroli ha subito precisato che «Facchetti non fece il nome dell'arbitro che lo aveva avvicinato anche se successivamente emerse che si trattava di Nucini». L'ex capo della sicurezza Telecom ha riferito nei verbali altre dichiarazioni del defunto presidente dell'Inter. Quest'ultimo ha raccontato a Tavaroli che il "misterioso" arbitro, cioè Danilo Nucini, era stato avvicinato da De Sanctis nel corso del raduno di Sportilia. In quella occasione De Sanctis gli aveva fatto presente che vi era un modo per avanzare nella graduatoria degli arbitri e che chi aveva contatti con Facchetti arbitrava prevalentemente in serie B.
Tavaroli ha proseguito nella sua esposizione davanti ai magistrati, riferendo altri dettagli che sarebbero stati dichiarati da Nucini a Facchetti. De Sanctis avrebbe spiegato allo stesso Nucini che se avesse voluto dirigere incontri in serie A, che comportavano rimborsi più consistenti, doveva seguire i suoi suggerimenti. «De Sanctis gli aveva altresì raccontato ? ha sottolineato Tavaroli ? di aver migliorato la sua posizione economica e di aver acquistato una bella casa a Roma e un'auto di lusso». Stando sempre alle parole dell'ex capo della security Telecom, l'arbitro bergamasco aveva confidato a Facchetti di aver accettato il consiglio di De Sanctis. E qui il racconto di Tavaroli si arricchisce di un episodio degno di una spy-story di John Le Carrè. Infatti, dopo alcuni giorni Nucini fu prelevato da un'automobile dopo aver lasciato il cellulare nella sua vettura. «Dopo un lungo giro in città fatto per disorientarlo ? ha proseguito Tavaroli nel suo racconto ? arrivò in un albergo di Torino dove incontrò Luciano Moggi che gli chiese la disponibilità a favorire la Juventus penalizzando le squadre avversarie nelle partite giocate prima di affrontare la Juve. L'arbitro accettò e ricevette da Moggi un cellulare sicuro e diversi numeri dove poteva essere chiamato». Tavaroli ha aggiunto altri particolari alla sua ricostruzione e riferisce che «Facchetti mi disse che l'arbitro gli aveva raccontato i fatti in cambio di un favore da parte dell'Inter, un posto nella società nerazzurra, aggiungendo che era disposto a denunciare».
L'ex presidente nerazzurro si mise d'accordo con Nucini per un nuovo incontro. E qui l'ex dirigente del colosso della telefonia arricchisce la sua versione dei fatti con altri dettagli da romanzo giallo. «Facchetti mi disse di aver registrato su un cd ? ha sottolineato Tavaroli ? i suoi colloqui con l'arbitro Nucini e mi chiese di fare delle verifiche su De Sanctis. Concordammo di dare l'incarico a Cipriani (anch'egli arrestato per la vicenda delle intercettazioni). Chiesi ad Adamo Bove (ex funzionario di polizia passato a Telecom e morto a suicida a Napoli) di verificare i numeri dati da Moggi all'arbitro per vedere se fossero riconducibili a personaggi del mondo del calcio. Bove confermò. Cipriani redasse un report: "Operazione ladroni"». Tavaroli ha poi raccontato di aver dato un consiglio all'ex numero uno dell'Inter. «Io proposi a Facchetti due opzioni: presentarsi in Procura o collaborare come confidente delle forze dell'ordine senza esporsi subito. Facchetti preferì la seconda opzione. Ne parlai con il maggiore Chittaro comandante del nucleo informativo dei Carabinieri di Milano. Di fatto Facchetti non diede seguito a tale sua disponibilità».
Tavaroli ha concluso la sua deposizione davanti ai PM spiegando che Facchetti presentò un esposto in Procura il cui contenuto non fu poi confermato da Nucini. Questi fatti sono ormai diventati cronaca da tempo. I magistrati hanno chiesto a Tavaroli come mai il report su "Operazione ladroni" fu pagato con 50mila euro a Cipriani. Tavaroli ha risposto che «non so se il report che mi esibite è quello con tutta l'attività». Alla luce anche delle dichiarazioni rilasciate al settimanale L'Espresso da Massimo Moratti, ritornato da pochi mesi alla guida dell'Inter dopo l'interregno di Giacinto Facchetti durato dal gennaio 2004 sino all'ottobre di quest'anno, si devono fare alcune considerazioni e domande. «A un certo punto ? ha detto Moratti nell'intervista a L'Espresso ? mi ero rassegnato. Capivo che, ad andare bene, con quel sistema lì saremmo sempre arrivati secondi. E allora ho pensato seriamente di mollare». Il presidente dell'Inter, ha poi confessato di essere andato molto vicino a cedere il club nerazzurro. «Attorno ad aprile di quest'anno ? ha raccontato Moratti ? non ce la facevo piu a vedere quello che succedeva nell'indifferenza generale. Non speravo che sarebbe venuta fuori la verità, almeno in tempi brevi. Ero davvero stufo». Dall'insieme di queste dichiarazioni sembrerebbe che il patron dell'Inter abbia confermato ciò che ha detto Tavaroli negli interrogatori: Moratti sapeva del sistema Moggi, visto che nella famosa riunione del 2002 negli uffici della Saras era presente con Facchetti e Tavaroli. Ma allora, se sapeva del maneggi di Moggi, perché non ha presentato un esposto alla giustizia sportiva? Però, nel caso in cui ne fosse stato a conoscenza e non lo avesse denunciato, avrebbe violato l'articolo 6 comma 7 del codice di giustizia sportiva, quello che riguarda il dovere di denunciare l'illecito sportivo. C'è da aggiungere che, considerati i fatti lontani nel tempo, potrebbe già essere scattata la prescrizione. Quindi, forse a questa domanda non ci sarà più risposta. Altro quesito: perché l'arbitro Nucini non ha voluto più confermare ciò che aveva dichiarato a Facchetti? Paura, rimorso, dovuti magari a un "avvertimento" di qualcuno, o chissà quale altro motivo recondito? E, ultima domanda, ma non per questo non meno importante: che fine ha fatto il cd su cui Facchetti ha inciso le dichiarazioni di Nucini? Visto che l'ex gloria della Nazionale e della società nerazzurra era al vertice dell'Inter si suppone che ne avesse custodita una o più copie. Sono domande a cui forse solo i magistrati della Procura di Milano, se ne ravvedessero l'opportunità per le loro indagini sulle intercettazioni abusive, potrebbero dare un'esauriente risposta.
16 dicembre, 2006
POVERO DIAVOLO
Fatto salvo che la società ha pagato nella misura di 30 punti la condotta sleale dei suoi dirigenti per il semplice motivo che 1 solo punto di penalizzazione in più avrebbe comportato (per la gradualità delle colpe e, dunque, delle sanzioni) la retrocessione in Serie B della Lazio (leggasi, grumo di potere Carraro-Geronzi-Capitalia), la pena irrogata per il campionato scorso avrebbe comunque garantito l'accesso alla Coppa Uefa 2006/2007. Senza preliminari. Si obietterà: la squadra aveva guadagnato sul campo l'accesso (diretto) alla Champions League - per non dire il titolo tricolore, dopo le sanzioni comminate alla cupola di Piazza Crimea - pertanto era moralmente lecito, se non doveroso, rivendicare il diritto ad iscriversi. Concordo. L'amministratore delegato però non agisce, né ha mai agito, per ragioni di morale (tanto meno di blasone) ma esclusivamente per ragioni di bilancio. Occorrevano i danari della massima competizione europea per puntare al pareggio tra costi e ricavi. Per quest'unica ragione, e non per altre, l'ineffabile Vicario e il suo vassallo Cantamessa si sono battuti contro gli organi federali. Hanno ottenuto l'iscrizione: per quest'unico obiettivo, il pareggio di bilancio, i Ragazzi hanno dimezzato le ferie estive e hanno saltato la preparazione atletica abituale.
Ciò premesso, una condizione fisica inadeguata quale conseguenza dei 30 punti di penalizzazione per il campionato 2005/2006 e una condizione psicologica intermittente quale conseguenza degli 8 punti di penalizzazione per il campionato in corso, rappresentano solo una porzione (non dico irrilevante) della verità. Il resto della verità è che il dinamico duo Galliani-Braida non ha risolto una delle tre-quattro lacune di organico più macroscopiche dell'ultimo biennio: un laterale destro (possibilmente di ruolo, dopo i forzati Stam e Simic) che garantisca una terza età serena a Cafu; un centrale di difesa che rappresenti una prospettiva credibile dopo il pensionamento dei prossimi quarantenni Costacurta e Maldini; un laterale sinistro (ribadisco) di ruolo che non debba snaturare la propria impostazione da centrocampista (Serginho l'anno passato, Jankulovski quest'anno - perché il lupo perde il pelo ma non il vizio...) per coprire il settore difensivo; magari, anche un centrocampista di costruzione (genere Dhorassoo) più che di interdizione (genere Vogel), in grado di dissipare lo stucchevole equivoco della variante tattica a Pirlo. Dopo lo "tsunami estivo" - che non è stato Calciopoli, con buona pace del Vicario inibito, bensì la partenza del Balon d'Or: secondo marcatore di sempre nella storia del Milan, per i disattenti ai numeri - occorre aggiungere un ultimo tassello: non si dice un altro Shevchenko perché l'esemplare è unico, ma quanto meno un attaccante con doti realizzative commisurate alle ambizioni della società, se non al suo irripetibile predecessore. Nulla di tutto ciò: sono arrivati nuovi saldi dalla sponda triste del Naviglio (il 35enne Favalli); un centralone dal piede ruvido (Bonera), peraltro istantaneamente dirottato sulla fascia (sempre perché il lupo etc. etc.); un onesto ronzino di ritorno (Brocchi), a cui tutto si può chiedere meno che imparare ad impostare il gioco a 31 anni. Sul bersaglio fermo Ricardo Oliveira è talmente facile sparare, che mi limiterò alla fredda cronaca: 1 gol in 4 mesi di campionato, non sono numeri da attaccante di Serie A. Ma Galliani lo ha pagato come tre attaccanti di Serie A. Del talentuoso Gourcuff dico che sarebbe una promessa su cui puntare ad occhi chiusi... ma tutto sta a sapere cosa ne pensa l'allenatore in seconda: Clarence Seedorf.
Antichi fuoriclasse a fine carriera, reduci esangui del campionato mondiale, giovani (e meno giovani) comparse di talento mediocre e personalità incerta: di questo gruppo, i veterani han perduto le motivazioni e possono spendere, nella migliore delle ipotesi, le (esigue) velleità residue di gratificazione personale; mentre i comprimari sono imbrigliati nella morsa reverenziale dei primi che, come accade in ogni spogliatoio di fine ciclo, fornisce l'alibi psicologico ideale per restare nell'ombra senza assumersi responsabilità. Incornicia il quadro un allenatore bolso, che dei senatori è compagno di lungo corso, e con loro fatalmente condivide l'onere della conduzione tecnica; da tre anni vive nella rimembranza (patetica) di una notte magica a Manchester, da tre anni ripropone un copione tattico che non sa prescindere dalla presenza in campo dei suoi undici protagonisti di ruolo: non conosce alternative, non ne concepisce l'ammissibilità. Come vado ripetendo ormai da un anno e mezzo di post, questo gruppo ha cessato di essere Squadra ad Istanbul: nel bene e nel male, là è finito il ciclo del Milan di Carlo Ancelotti. Un po' per vocazione romantica, un po per interessi di bottega, un altro anno è stato speso senza cambiare nulla. Nel nome della Grande Rivincita di Parigi, si è puntata la posta piena sullo spirito di rivalsa dei singoli: unico collante in grado di tenere assieme, per una stagione ancora, un gruppo ormai scollato e sfilacciato. Scommessa plausibile, scommessa perduta. Il fuggi-fuggi generale paventato a fine stagione (parlo di Kakà, di Pirlo, di Gattuso... oltre che di Sheva, Rui e Stam) si è concretizzato solo in parte, ma doveva essere letto come un indicatore inequivocabile degli umori e delle potenzialità del gruppo.
Rinnovare (ad oltranza) la fiducia allo stesso allenatore, che predica lo stesso calcio e suppone di schierare gli stessi undici giocatori dell'Old Trafford (al netto di Kakà), trascurando il dettaglio non trascurabile che la linea difensiva ha 3 anni di troppo, che davanti non c'è più l'attaccante dei 173 gol e - soprattutto - che tutti, ma proprio tutti gli avversari del mondo hanno imparato le poche contromosse tattiche sufficienti per sterilizzare l'unico sistema di gioco che costui sia disposto a concepire, è un assurdo storico che fa scolorire nelle lacrime del Popolo Rossonero qualsiasi improbabile argomentazione di forma. Come di consueto, in Rino veritas: «In questo momento siamo una squadra senza identità. Anche noi ci aspettavamo qualche acquisto importante. I pali che abbiamo colpito sono solo tanti alibi. In realtà avevamo bisogno di rinforzi rispetto alla scorsa stagione». Davvero, un triste 107esimo anniversario per questo povero Diavolo.
07 dicembre, 2006
THE TRUTH
Q: In one word: do you consider that the beginning of your career at Chelsea FC has turned out to be unsuccessful? There are a lot of rumours on the topic right now.
A: I know that more is expected of me. I realise that. And I am capable of bringing something to Chelsea - that I know as well. In actual fact, the season has just started. And it didn't commence without difficulties - both for me personally and for the team in general. Largely, this is due to the World Cup, which consumed a huge chunk of our break and took its toll on our condition - both physically and morally. It is not a secret that it is much harder to transcend into the new season after the World Cup. It does not only concern me - I'm referring to everyone. My injury before the Championship also came at a wrong time - I had to practically prepare myself physically from scratch... But I don't want to make excuses. Primarily, I do not consider my Chelsea debut to be so bad - despite everything, I scored 4 goals. Besides, people do not need my excuses. Right?
Q: Two months and 9 matches have passed between your Middlesbrough goal in August and the Portsmouth goal in October. You must have experienced mixed feelings when confronted with such an immense advertising campaign.
A: I experienced normal feelings. Yes, as a result of my past successes, the stakes are high. My transfer price also played its role. There is a lot still to be done in order to prove myself at Chelsea. But I will do that. I don't want to end up making excuses and explaining what happened and why. It is of highest importance for me to understand what is going on. And I do. That is why I am calm.
Q: What percentage of the difficulties that you are experiencing do you attribute to the acclimatisation in a new country, in a new club? This is only the second time in your life that you have done this.
A: This is not a big problem. They are very good at welcoming new players at Chelsea. I adapted very easily here - almost instantly.
Q: Did you experience any problems relating to the specificity of English Football?
A: I didn't find that anything was different here. In England they play the same game that they do on the continent.
Q: Another rumour around your so-called problems relates to the fact that Lampard and Ballack are apparently more intent on scoring themselves, than passing the ball, which is different to the strategy of your team-mates in Milan.
A: This is true. However, I have no problems with it. Who said that Lampard should play for Shevchenko? Lampard should play for the team! This applies to me as well. Scoring goals is my main prerogative, but not the only one. Maybe I am excessively elaborating, however, the match against Barcelona - where I didn't score, yet Chelsea won - made me much happier, than the match against Liverpool, where I scored, but we ended up losing.
Q: When you play with Drogba, you often have to settle for a position of second forward. Does this bother you?
A: No. During my last seasons at Milan, I was also playing second forward.
Q: How many goals do you intend to score for Chelsea as to not regret your transfer? And what do you hope to win?
A: I never thought about it like this. And I try not to regret anything.
Q: Your justifications for the transfer as being in the "interests of the family" did not appear very convincing...or rather - incomplete.
A: Of course there were other motivations. I wanted to try playing for a new team, to change atmosphere. It was also interesting to see what it is like working with Mourinho. In actual fact, I couldn't even imagine just how interesting it is until I came to Chelsea. As regards to the family circumstances - I did not exaggerate. Family is very important in my life, especially since it is about to get bigger.
Andriy has also reiterated the official statement he made last week following speculation about his future. This was:
"I give 100 per cent all the time and I am committed and hungry for success with Chelsea. I have total respect for the Chelsea club and fans as well as for football in England and the culture of the country. There are always good and not so good moments in sport, that's normal. If that means there is opinion and criticism I respect that."
03 dicembre, 2006
IN RADICE
Per non stonare, il Milan è in zona retrocessione. Un po' a causa dell'handicap convalidato dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato dello Sport, che era l'ultimissima spiaggia di Calciopoli. Riporto per completezza del quadro comico la motivazione: "la penalizzazione di punti 8 irrogata per il campionato 2006-2007 svolge un'adeguata funzione monitoria senza per questo precludere in radice il raggiungimento dei più alti traguardi sportivi, considerate le chances competitive della squadra e i risultati ottenuti nelle ultime stagioni". Considerate le chances competitive della squadra nella stagione in corso, ci sarebbe da chiedere un bonus oltre che uno sconto. Ma non ditelo a Berlusconi, perché se apre bocca un'altra volta, Borrelli ci manda in C1 senza passare dall'Olimpico di Torino. Mi domando: fosse rimasto Sheva, di punti ce ne avrebbero "irrogati" 30?
Dici Balon d'Or e pensi alla campagna acquisti/cessioni di quest'estate. Mai fu più inopportuna la virata epocale nella strategia di bilancio dettata dalla proprietà. Per andare in pareggio coi 45 milioni intascati da Abramovich, il Vicario inibito ha consumato anche gli spiccioli. Ma quei brutti ceffi di Simplicio, Diana, Bresciano e Amauri (solo per menzionare gli acquisti di una squadra di vertice) non erano da Milan: si sa che a Mediaset piacciono solo le facce pulite. Così sono arrivati bei bidoni e splendide vecchie glorie: la rosa ora è fotogenica, ma purtroppo è da centro classifica. Al lordo della penalizzazione. Aprire gli occhi oggi e guardare l'orizzonte più prossimo (i 39-40 punti della quota salvezza) è un'esercizio di realismo tanto crudele quanto opportuno. Continuare a lamentare i torti subiti e fantasticare sull'obiettivo Champions League (inteso sia come quarto posto in classifica, sia come finale ad Atene) viceversa è un'esercizio di stile che ha sempre più il retrogusto agrodolce dell'autocelebrazione e della vocazione al sogno di matrice berlusconiana. Il quadro è reso tanto più allarmante dall'ottimismo ostentato da dirigenti, allenatore e giocatori. Sorge il dubbio atroce che fra le righe della sentenza Coni sia già scritto - con squisita ironia - il verdetto della stagione in corso: ovvero, che i traguardi sportivi siano preclusi "in radice"... ma con la R maiuscola, per citare il nome dell'ultimo allenatore rossonero che a dicembre riteneva di avere un Milan da Scudetto e che a maggio lo vide sprofondare, lentamente ma inesorabilmente, in Serie B.